IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA
No. Quella mattina Emmanuel non
aveva proprio voglia di alzarsi e faceva di tutto per far passare
del tempo. Era il suo primo giorno di scuola e aveva una paura
matta ad andarci!
A Nazareth egli non conosceva
nessuno. Ci era arrivato qualche settimana prima, nel pieno dell'estate
durante la mietitura del grano, e siccome la scuola del
"Rabbino" (così si chiamavano allora i maestri) era
ancora chiusa, era rimasto nascosto in casa per tutto il tempo, come
del resto avevano fatto tutti quelli della sua famiglia. Infatti
erano arrivati in quel paesino di pastori e contadini, sperso
sulle montagne, scappando di luogo in luogo: il babbo era ricercato
dai Romani, perché si era ribellato per non pagare le tasse, a Gerusalemme,
dove abitavano prima.
Ma ora a scuola doveva proprio
andare. Tutti i bambini ebrei dovevano imparare a memoria la
Legge e i Profeti. Guai se il Rabbino si fosse accorto che c'era
un bambino in paese che non andava alla sinagoga (la
"chiesa" del paese, dove c'era appunto la scuola).
Così alla fine ci andò, trascinato dal papà. Quando
arrivarono, il Rabbino parlò sottovoce con suo padre, poi - senza
neppure dirgli una parola - gli indicò severamente un posto ed
egli vi si mise a sedere, proprio alla fine della fila. Quando
iniziò la lezione, si guardò intorno: c'erano parecchi bambini,
di età diverse, e nessuno sembrava essersi accorto di lui. Si
sentì solo e disperato: se non si fosse vergognato, si sarebbe messo
a piangere!
Dopo qualche tempo, notò che un
bimbo bruno (che aveva certamente 6 o 7 anni come lui, e che
all'inizio era seduto esattamente dall'altra parte dell'aula) tutte
le volte che il Rabbino voltava la schiena, cambiava posto, muovendosi velocemente
dietro le spalle dei compagni e avvicinandosi poco per volta a lui.
Quando finalmente gli si sedette vicino, Emmanuel fu affascinato dal suo sorriso splendente e dai suoi occhi scuri e lucenti, che sembravano profondi come un pozzo
.
Il bimbo gli diede, sotto il
banco, un pezzo di vecchia pergamena su cui aveva disegnato con un
carboncino la faccia un po' buffa del Rabbino. "Ti piace? - gli
chiese ridendo - Se vuoi, te lo regalo."
Poi continuò, sempre sottovoce:
"Come ti chiami?". "Emmanuel", fu naturalmente
la risposta. Allora il bimbo dai riccioli bruni sorrise ancor di più e
disse: "Quasi come me. Anch'io mi chiamo quasi così. Cioè,
il mio vero nome è Gesù, ma 1a mamma sovente mi chiama Emmanuel
come soprannome. Dice che glielo ha detto un angelo...".
In quel momento il Rabbino si
voltò e guardò severamente i due bambini che stavano parlando. Gesù
allora fece l'occhiolino ad Emmanuel e poi si mise ad ascoltare
attentamente il maestro. Trascorse così tutta la mattina, senza più nessun
discorso. Finita la scuola, il bambino bruno disse: "Oggi
devo subito correre a casa perché devo aiutare la mamma a
travasare l'olio dalle giare. Ma ci vediamo domani!".
Emmanuel tornò a casa sua
veramente contento. All'indomani sarebbe andato a scuola volentieri:
sentiva che aveva trovato un amico.