PARROCCHIA IMMAGINE DI CHIESA

FERMENTO DI EVANGELIZZAZIONE

 

In un volume pubblicato anni fa intitolato Le lettere di Berlicche, lo scrittore inglese Lewis immagina che Berlicche, il capo dei demoni, scriva una serie di consigli in forma di lettera epistolare ad un diavolo non ancora smaliziato, Malacoda, all’inizio della sua attività. In una di queste ha presente la vita parrocchiale, e si esprime così: "Caro Malacoda, è tempo che ti parli della parrocchia in cui vivono tanti seguaci del Nemico. L’organizzazione parrocchiale dovrà sempre essere combattuta, poiché essendo una unità di luogo e non di gusto, unisce insieme persone di età, classi e psicologia differenti in una sorta di unità che il Nemico desidera. Fa in modo che ciascuno, o almeno il singolo gruppo, ritenga di essere nella ragione, non ricerchi la comunione con tutti gli altri: questo principio fa di ogni chiesa una sorta di club senza che sia definito un vero criterio di appartenenza, e alla fin fine, se tutto va bene, una cricca o una fazione".

La divertita lettera di Berlicche può introdurre la nostra riflessione per la giornata. Ma la introduce ancor meglio un fatto recente. In un numero dello scorso anno 1997 l'agenzia di stampa "Adista" da la seguente informazione. "Burundi, Rwanda: luoghi dove si muore perché si è nati dalla parte sbagliata. Da oggi, forse, luoghi dove si muore per non voler appartenere ad una parte in lotta o in esclusione dell’altra. Un forte segno, tragico, ma anche fertile, di una opposizione alla guerra etnica e di un impegno per un mondo fraterno, è venuto da giovani: gli alunni di un seminario del Centro Pastorale di Buta, nel sud del Burundi, frequentato anche da laici. Durante la notte tra il 29 e 30 aprile un gruppo armato ha invaso l’edificio trucidando 34 allievi e sette persone di servizio. I ribelli hanno riunito tutti gli studenti in un salone, invitando poi quelli di etnia hutu a separarsi dai tutsi per scampare alla morte. Nessuno si è mosso. I compagni hanno affrontato il fuoco tutti insieme". Saranno probabilmente riconosciuti, come meritevoli di santità, il primo gruppo di martiri, testimoni insieme fino al sangue, dell’unità della chiesa.

È lo spirito di fraternità e di unità che guida e aiuta il formarsi di ciò che compagina la comunità cristiana, armonizza senza eliminarle le diversità e le dà il volto della chiesa in un determinato luogo che attua la preghiera di Gesù: "Siano tutti una cosa sola perché il mondo creda".

Il sociologo G. Ambrosio ha tracciato tre modelli possibili di parrocchia. Un primo tipo è la parrocchia come stazione di servizi religiosi: equivale ad una distribuzione funzionale di beni spirituali a una domanda di tipo prevalentemente individuale. Certamente il mare della santità di Dio si riversa nelle creature, ma rischia il limite di una certa gestione individualistica senza mirare alla comunione. Un secondo è la comunità di sostituzione: la parrocchia ha molteplici attività (oratorio, canali caritativi, proposte di gruppo familiare o catechistico, celebrazioni con relativo impegno liturgico, cantoria, servizi di segreteria, commissioni organizzative….): si partecipa alla parrocchia attraverso le sue attività, ma senza una visione globale ed organica dell’insieme e delle sue finalità. Certamente c’è più spirito di iniziativa e più spirito di collettivo, ma ha il rischio di essere assimilata ad un palazzo con molti appartamenti, ma dove gli inquilini non si conoscono e a mala pena si salutano. Infine, come terzo modello, la comunità intenzionale: la parrocchia cioè che ha coscienza primaria di essere fraternità universale, che vive la condivisione spirituale e materiale, che si fa conoscere come soggetto sociale, che anche mediante i servizi ed i gruppi giunge a mostrarsi come una realtà in crescita ed in espansione come lievito della società che la circonda. Può essere paragonata ad una famiglia di proporzioni più vaste.

In questo ultimo modello – ritornato vivo dopo il Vaticano II – si mostra un tipo di vita ecclesiale in un determinato luogo dove l’amore è il tessuto portante, l’unità è dote essenziale, la comprensione reciproca e l’aiuto vicendevole è cammino quotidiano. È questa la Comunione dei santi da noi professata nel "Credo": il bene di tutti diventa il bene di ciascuno e il bene di ciascuno diventa il bene di tutti, in una crescita armoniosa che la rende anche modello di socialità. "Nella santa Chiesa – scrive San Gregorio Magno – ognuno è sostegno degli altri e gli altri sono il suo sostegno".

È importante allora considerare e proporre la parrocchia come "soggetto di speranza". È infatti "tessuto portante della nostra chiesa", "luogo ordinario in cui i fedeli si riuniscono per crescere nella santità, per partecipare alla missione della chiesa e vivere la comunione ecclesiale". Inoltre "raccoglie nell’unità persone le più diverse tra loro per età, estrazione sociale, mentalità ed esperienza spirituale" manifesta a tutti che "gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani" e che "la legge fondamentale dell’umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore" (GS. 38).

Giovanni XXIII ha chiamato la parrocchia la fontana del villaggio a cui spontaneamente ci si reca perché lì si può trovare la sapienza che parte dalla vita e porta alla vita. Uno scritto, che proviene più da esperienza vissuta e compiuta che da ricerca in biblioteca, descrive in forma poetica l’ideale di comunità ecclesiale come fonte del luogo:

"Ho visto la grande fontana del villaggio,
acqua viva dell’unica Sorgente.
Una sola fontana, con tanti zampilli,
dove ognuno può dissetarsi
e rinnovarsi interamente da capo a piedi,
e persino giocarci dentro e nuotare…..
perché la grande Fontana
è la Vita del villaggio,

è la Festa del villaggio,
è l’Unità del villaggio,
perché tutti vivono della stessa Fonte,
anche le piante, i fiori, gli animali….
E ciascuno trova in essa ciò che cerca.
Ho bevuto alla Grande Fontana
E mi sono sentito un piccolo zampillo,
proprio io".

Facendo riferimento ad una parrocchia come corpo organico (e non soltanto organizzazione strutturale) vivificato dalla Parola di Dio, reso forte dall’Eucarestia e costituito dall’amore tra i suoi membri, Giovanni Paolo II poteva affermare che "Parrocchia vuol dire: la Presenza di Cristo tra gli uomini".

La presenza di Cristo nella comunità, quando il rapporto che unisce i cristiani è la carità, è un tema frequenta nei discorsi del Papa in visita alle comunità parrocchiali di Roma. "Rendete operante il cemento che di tutti deve formare la reale, organica, compaginata unità della chiesa. Ricordate le parole solenni di Cristo. Vi riconosceranno veramente per miei discepoli, autentici seguaci e fedeli, se vi amerete gli uni gli altri; se ci sarà questo calore di affetti, di sentimenti; si vibrerà la simpatia voluta più che vissuta, creata da noi più che spontanea, con quella larghezza di cuore e quella capacità di generare Cristo in mezzo a noi, derivanti, appunto, dal sentirci uniti in Lui e per Lui".

Questa presenza di Cristo, frutto dell’amore della comunità, permetterà al Papa di arrivare a dire: "Cristo è qui: la Parrocchia attua la sua Presenza in mezzo ai fedeli, e in tal modo il popolo cristiano diventa, si può dire, sacramento, segno sacro cioè, della presenza del Signore".

E alla parrocchia di San Bonaventura, formata da immigrati venuti da varie regioni italiane, Giovanni Paolo II diceva: "Quando in questo luogo giunge la gente da varie parti d’Italia, sembrava dicesse: - Vogliamo vedere in mezzo a noi Cristo! Vogliamo che Egli abiti con noi; che qui si alzi la sua casa. Ci conosciamo poco fra noi. Vogliamo che Egli ci faccia conoscere gli uni gli altri, che ci faccia reciprocamente avvicinare, affinché non siamo più estranei, ma diventiamo una comunità… La vostra parrocchia è nata qui dalla vostra ferma volontà di fare abitare Gesù in mezzo a voi"

La parrocchia è come Maria: riceve tutta la sua vita da Dio e a sua volta tutta la dona. L’identità della parrocchia è tutta relazionale: ha origine da quanto l’amore di Dio dona, esiste nella misura in cui è una risposta viva e collettiva alle proposte che vengono dal Signore, trasmette il patrimonio che possiede con il suo agire e la sua testimonianza. Origine, essere ed agire formano una inscindibile unità.

In questa dimensione il Papa poneva la comunità parrocchiale come sentinella avanzata della nuova evangelizzazione e come seme privilegiato di nuova civiltà con parole che ne sottolineano l’importanza insostituibile: "Certamente la Parrocchia è sempre un impegno, una sfida nel travagliato e tragico mondo contemporaneo".

Questo disegno di Dio sulla parrocchia (è il disegno del Signore sulla "chiesa in miniatura") fa sentire il fascino della chiamata e la distanza dalla meta. Fa capire che la comunità è sempre in viaggio, è luogo di conversione permanente, di fatica che non conosce sosta, dà la sensazione del provvisorio che deve crescere. Un semplice sguardo al complesso della nostra vita fa comprendere che la fraternità e l’unità non è già una meta raggiunta grazie alla perfezione dei membri, ma è e può essere frutto di quella ricerca che – come dice la Scrittura – "vince il male con il bene", "non giudica e non condanna, ma perdona", "che vive quell’amore che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta". In parrocchia non ci sono i perfetti e gli altri, né i fervorosi e gli altri, né gli impegnati e gli altri: nella vita della comunità il cristiano scopre come una unica fede può assumere forme culturali diverse, impara a distinguere l’essenziale e il necessario dal secondario, riconosce la somiglianza con l’altro ammettendo le differenze, non si stupisce di maturazioni spirituali differenti.

L’unità non parte dal trovare l’ambiente adatto per sentirsi bene senza fatica, ma è prima di tutto uno stato d’animo con il quale si vuole costruire a tutti i costi: "Siate sempre umili, cordiali e pazienti; sopportatevi l’un l’altro con amore; cercate di conservare, per mezzo della pace che vi unisce, quella unità che viene dallo Spirito Santo" (Ef. 4,2-4 interconf.)

Per questa visione globale ed organica della parrocchia, per questa dimensione comunitaria, sociale e storica della sua vita, Paolo VI invocava la necessità di "una pedagogia, di una formazione che abitui a pensare e ad agire come parti, come cellule, come figli e fratelli di questa comunione ecclesiale"

Anche i laboratori di questa mattina e le prospettive del pomeriggio sono piccoli segni e piccoli semi per un contributo di ricerca, di collaborazione, di comunione, di proposta per dilatare lo spirito e la dimensione della vita ecclesiale. Essi ci consentiranno, insieme al dialogo di tutta la giornata, di sperimentare – più che un discorso sulla chiesa – il cammino di comunione e di impegno di irradiazione necessario alla nostra vita ecclesiale.

Anche un Progetto Pastorale, suggerito dal Sinodo e di cui oggi spesso si parla, ha bisogno di partire dalla coesione e dalla profonda unità di coloro che mettono con amore intelligenza, tempo e fatica a sevizio di quella porzione di chiesa che è la parrocchia.

Per agevolare la prospettiva del cammino, la ricerca delle strade, la presa di coscienza della realtà in cui viviamo con i suoi aspetti di mete raggiunte e di sentieri ancora da percorrere forse è bene applicare al nostro lavoro ecclesiale il principio dei "tre meglio".


QUALCHE BRANO DI DOCUMENTAZIONE

Baldovino di Ford, monaco cistercense che ha avuto un grane influsso nella chiesa del sec. XII, così si esprime: "La chiesa è stata fondata sulla vita comune: basti pensare alla vita della prima comunità cristiana descritta negli Atti degli Apostoli. La chiesa, appena nata, ha iniziato la sua infanzia con la vita comune. Sono stati infatti gli stessi Apostoli a dare l’esempio di come si pratica la vita comune.

Le diversità non sono un ostacolo. Ogni persona, ogni gruppo, ogni espressione di vita cattolica ha i suoi doni.

La diversità dei doni raggiunge la comunione in due modi: quando i doni specifici dati agli uni e agli altri diventano proprietà comune grazie alla comunione d’amore, e quando per amore della comunione vengono amati da tutti assieme.

Perché la grazia in certo modo è comune tanto a chi ce l’ha quanto a chi non l’ha se, colui che la possiede, la possiede per l’altro comunicandogliela, e colui che non la possiede, la possiede nell’altro perché lo ama".

Per l’esperienza vissuta Baldovino di Ford non era così ingenuo da non capire che quella intima e profonda comunione, per noi, non è facile. Per cui subito aggiunge: "I rapporti interpersonali della nostra viziata natura in cui ci troviamo – soggetti come siamo al peccato facile e destinati alla morte – ci impongono tre obblighi: di avere la carità che ci ha dato il Maestro, di essere umili e di essere misericordiosi verso gli altri".

San Bernardo di Chiaravalle, parlando del suo Ordine e del rapporto con gli altri, poteva scrivere: "Io li ammiro tutti. Tengo a uno di essi con l’osservanza, ma a tutti nella carità. Abbiamo bisogno tutti gli uni degli altri; il bene spirituale che io non ho e non possiedo, lo ricevo dagli altri… In questo esilio la Chiesa è ancora in cammino, e, se posso dire così, plurale: è una pluralità unica e una unità plurale. E tutte le nostre diversità che manifestano la ricchezza dei doni di Dio, sussisteranno nell’unica Casa del Padre, che comporta tante dimore. Adesso c’è divisione di grazie; allora ci sarà distinzione di gloria. L’unità, sia qui che là, consiste in una medesima carità".

San Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli, fu costretto all’esilio per odio della corte e dei suoi nemici personali. Nell’omelia Prima dell’esilio (num. 1-3) rivolgeva alla sua gente parole di particolare intensità. "Cristo è con me, di chi avrò paura? Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per un’altra destinazione oggi stesso. Ripeto spesso: Signore sia fatta la tua volontà; farò quello che vuoi Tu. La sua Parola è la mia sicurezza e la mia difesa. Non sentite il Signore che dice "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro? E non sarà presente dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità?

Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte può separarci. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più lieto della vostra carità? Il raggio mi è utile per la vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura".