lettura del Vangelo - Domenica 4a di Quaresima - Anno C

SCHEDA BIBLICA - 20

 

DAL VANGELO SECONDO LUCA (15, 1-3.11-32)

In quel tempo, (1) si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani (2) e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro". (3) Allora egli disse loro questa parabola: (11) "Un uomo aveva due figli. (12) Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. (13) Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. (14) Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno.(15) Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci.(16) Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. (l7) Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! (18) Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te; (19) non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni.(20) Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.(21) Il figlio gli disse: Padre ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.(22) Ma il padre disse ai servi: presto portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. (23) Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, (24) perché mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. (25) I1 figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; (26) chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. (27) Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. (28) Egli si indignò e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. (29) Ma lui rispose a suo padre: Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. (30) Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. (31) Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; (32) ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

 

IL CONTESTO

L'amore di Dio per tutti coloro che soffrono per qualche difficoltà e la sua misericordia per i più poveri tra di essi, i peccatori, costituisce uno dei temi centrali di Luca. Il contenuto del brano fa parte del patrimonio lucano, uno dei più lunghi discorsi in parabole della tradizione sinottica. La parabola del figlio prodigo, che si dovrebbe chiamare più esattamente la parabola dell'amore del Padre, presenta alcune somiglianze con quella dei due figli di Mt 21, 28-32. Tuttavia mentre là si poneva l'accento sui due figli, qui la figura centrale è il padre. I rapporti di Gesù con i pubblicani e con gli altri membri del popolo ebraico che erano considerati "peccatori" rinfocolano un'antica accusa secondo cui egli non può arrischiarsi a proclamare il regno di Dio in quanto frequenta gli ingiusti.

A questa incriminazione risponde il cap. 15.Ne risulta una trilogia di "perduti": vv. 4-7: la pecorella smarrita; vv. 8-10: la dracma perduta; vv. 11-32: il figlio prodigo. Le tre parabole occupano una posizione di rilievo all'interno della seconda parte principale del vangelo di Luca, la cosiddetta "relazione di viaggio" che si estende da 9,51 a 19,27. Il loro significato consiste nell'affermare che "Gesù si è considerato come testimone di Dio per l'amore di Dio verso i peccatori, cosicché la comunione con lui è pegno della comunione con il Dio della giustizia".

 

L'ESEGESI DEI TESTO

v. 11ss: La divisione del patrimonio tra i figli viene regolata esattamente in Dt. 21,17: al primogenito spetta una parte doppia di quella di tutti gli altri. Il peccato del figlio più giovane non inizia quando egli comincia a dissipare la sua parte del patrimonio paterno: egli rinuncia al suo stato di figlio già quando richiede che essa gli venga consegnata.

v. 15: Il modo con cui Gesù presenta la miseria del figlio prodigo è caratterizzato dalle categorie del suo ambiente: il maiale è per gli ebrei il simbolo dell'impurità. Perciò l'incarico di pascolare un branco di porci comporta per il figlio fuggito da casa un'umiliazione molto dura.

v. 16: La pesantezza della sua situazione è caratterizzata anche dal fatto che deve cibarsi delle carrube ( difficili da digerire) gettate in pasto ai porci. Vi è un famoso proverbio ebraico che dice: "L'ebreo si converte quando è costretto a mangiar carrube". Ora anche il figlio prodigo si "converte". La sua situazione lo porta a fare un esame di coscienza.

v. l9ss: Le parole con cui ne parla indicano in modo evidente che cosa significa per Gesù e per il NT la "metanoia": conversione dalla propria autonomia di fronte a Dio, conversione ad una incondizionata fiducia e obbedienza a lui. Conversione è ritorno al Padre.

IL MESSAGGIO

"Tutte le parabole sono belle, ragazzo mio, tutte le parabole sono grandi, soprattutto le tre parabole della speranza. Ma su questa centinaia e migliaia di uomini hanno pianto: Un uomo aveva due figli... Di tutte le parole di Dio è quella che ha destato l'eco più profonda. È l'unica che il peccatore non è mai riuscito a far tacere nel proprio cuore".

Péguy ha ragione: questa pagina di Luca è di quelle che non si dimenticano. È talmente ricca che rivela il proprio segreto per gradi, a mano a mano che diventiamo attori della storia - la nostra - che vi è raccontata. I cristiani hanno tutte le ragioni per fare proprio il punto di vista del filosofo ebreo Abraham Heschel, quando scrive: "La Bibbia non è un libro, ma un dramma da vivere; non il racconto di un avvenimento, ma essa stessa un avvenimento; essa è il grido di Dio all'uomo".

Essere onnipotente e accettare che il figlio minore se ne vada da casa, e accoglierlo poi a braccia aperte quando ritorna; lasciar perdere tutto e andare alla ricerca della pecora smarrita, essere padrone di tutto e mettersi a servire i propri servi: questo modo divino di comportarsi si chiama "misericordia". Ad essa la Chiesa deve la propria esistenza: è stata necessaria questa iniziativa di Dio per fondare il popolo che noi siamo, fatto di figli sperduti e di pecore smarrite.

Per quale motivo la parabola del figlio prodigo risveglia sempre in noi una profonda risonanza? Senza dubbio perché raggiunge, al di là della nostra sensibilità, la struttura stessa della nostra esistenza nel suo rapporto con Dio e con suo figlio Gesù Cristo.

Questa parabola ha subìto il torto di vedersi affibbiare un titolo errato. Infatti viene comunemente indicata come la storia del figlio prodigo. Invece la figura centrale, il protagonista indiscusso è il padre. Infatti ci parla di un padre misericordioso, di un Dio che si preoccupa di ogni peccatore al punto che non può rassegnarsi all'idea di perdere uno solo dei suoi figli. Un Dio tutto cuore, con una pazienza eternamente aperta, perché non può mostrarsi pienamente padre finché non vede di nuovo profilarsi all'orizzonte la figura del figlio perduto.

 

IL PADRE

Di questo padre colpisce, prima di tutto il silenzio. C'è il figlio minore che parla, pretende. Il padre non dice una parola. Il suo è il silenzio dell'amore, rispettoso della libertà del figlio. Accetta il rischio di questa libertà. Senza libertà non c'è amore. Certo addolorato, ma non adirato per la richiesta. Lui non può sostituirsi alla scelta del figlio.

Noi ci domandiamo d'istinto: perché non l'ha trattenuto? Perché non gli ha rifilato una buona razione di legnate sulla schiena, invece della parte di patrimonio che gli "spetta'"?

La vera paternità è discrezione. È accettare il rischio della libertà...La paternità non va confusa con il paternalismo. Quest'ultimo ne rappresenta la deformazione. Con l'intento di proteggere, finisce col soffocare la crescita dell'individuo e di bloccarlo in uno stadio infantile.

'Nel contesto del Vangelo, Dio non appare come il padre che spranga la porta perché i figli non escano di notte, ma la luce illuminante, la misteriosa bussola che orienta l'uomo nelle sue scelte, che non lo abbandona nell'esercizio rischioso della libertà, e che crea nuove prospettive di liberazione… Il padre può aiutare solo essendo un modello…" (Arturo Paoli) .

E poi l'attesa. Sembra che il padre sia rimasto in casa ad aspettare il figlio scappato, a scrutare l'orizzonte. In realtà non esiste più la "casa paterna" dal momento che il figlio se n'è andato. La casa paterna si trova là dove c'è il cuore del padre. L'amore è sempre in movimento, sempre in anticipo, prende costantemente l'iniziativa, non si chiude in un'attesa corrucciata e indispettita.

I passi del perdono arrivano molto più lontano della distanza scavata dalla rottura. Dio non si rassegna a perdere l'uomo peccatore. Lo spia, lo insegue, lo bracca tenacemente, lo "tormenta". Pascal fa dire a Dio: "Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato". Forse sarebbe meglio precisare: "Non mi cercheresti se io non ti avessi già trovato...".

 

IL FRATELLO MAGGIORE

Tradizionalmente noi ci identifichiamo col secondo figlio, il "figlio prodigo", che sperimenta la sconvolgente tenerezza del padre. Ma per un figlio "scavezzacollo" che ritorna da lontano, c'è l'altro, che sta dentro da sempre, "esemplare" nella sua condotta, che non vuole rientrare. Che non gradisce la festa, non sopporta la gioia del padre, non riconosce il fratello che non possiede i suoi titoli di merito.

Avremmo torto a trascurare il primogenito, che non è per niente una comparsa. Il fratello più anziano simboleggia molto bene l'umanità contemporanea. Lavoratore efficiente, sistematico, apparentemente non ha nulla da rimproverarsi. È un calcolatore, quasi un burocrate della virtù, senza un guizzo di vita, di gioia, di spontaneità, di "gratuità".

Non c'è soltanto un abisso tra lui e il fratello. Ma, soprattutto, tra la sua mentalità e quella del padre. C'è qualcosa di peggio che non essere a posto. È "credersi" a posto. In fondo la conversione più difficile è la sua.

Difficile convincersi che il posto, nella casa, non lo si può "conservare" ma soltanto "ritrovare" giorno per giorno. E che la fedeltà non è semplicemente un "rimanere", ma un accettare, quotidiana mente, le sorprese e la logica paradossale e le sconvolgenti iniziative del Padre. Non basta non abbandonare la casa. Bisogna saper tener dietro al "vecchio" padre che corre incontro al figlio scappato che ritorna. E partecipare alla festa, senza produrre stonature.

Nella parabola manca il "lieto fine". Ci sarà soltanto quando si verificherà l'avvenimento della conversione del figlio maggiore.