Lettura del Vangelo - Domenica 4e del Tempo Pasquale - Anno C

 

 

SCHEDA BIBLICA - 23

 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (10,27-30)

In quel tempo, Gesù disse: (27) "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. (28) Io dò loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. (29) Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. (30) Io e il Padre siamo una cosa sola".

 

IL CONTESTO

La lettura è continuazione del tema "Gesù, buon pastore" e cerca di indicare il fine dell'agire, ricco di amore, di Cristo verso i suoi discepoli.

Per riuscire a tener presente il senso di tutta l'affermazione è necessario intenderla continuamente come risposta alla domanda: "Sei tu il Messia?". Per quanto possano essere state numerose le immagini del messia che si attendeva all'epoca di Gesù, una tuttavia è la caratteristica che lo determina, e cioè il suo particolare rapporto con Dio e con il popolo. Da Dio egli è stato inviato con autorità, sul popolo deve regnare per liberarlo.

Le parole di Gesù infondono la sicurezza che, per quanto dipenderà da lui, certamente i suoi discepoli raggiungeranno la salvezza: nessuno potrà rapirglieli. La frase finale (v. 30), parlando dell'intima unione esistente tra Gesù e il Padre, la prospetta come un bene anche degli eletti.

 

L'ESEGESI DEI TESTO

v. 27 : Gesù si definisce il buon pastore, cioè quello vero, a differenza dei capi d'Israele. Alla base di questa affermazione si trova l'antico uso linguistico secondo cui Jahwè è il "pastore d'Israele" (Gn. 48,15). Nel futuro viene promesso al popolo disperso e abbattuto che da un lato Jahwè stesso tornerà a radunare e pascolare il suo gregge (Ger. 23,37 e che dall'altro egli porrà su di loro (Ez. 34,23) quale unico pastore il suo servo Davide (il messia venturo). Gesù afferma di essere questo pastore promesso. Questa sua affermazione viene però delimitata da tre punti di vista rispetto all'attesa di un messia politico: conoscenza reciproca, dono della vita eterna, unità con il Padre.

v. 28 : Secondo i Sinottici, Gesù ha annunciato la salvezza quale Regno di Dio. Talvolta si ha in essi anche il concetto di "vita (eterna)" quale sinonimo di regno di Dio (Mc. 9,43. 45). Nel vangelo di Gv. il termine regno di Dio appare solo in 3,3.5, dove Gesù risponde all'attesa del fariseo Nicodemo. In genere invece la salvezza viene sempre caratterizzata con "vita (eterna)".

v. 29 : La risposta di Gesù alla domanda se egli sia il messia culmina nel detto ("Io e il Padre siamo una cosa sola"), con cui egli fonda la sua autorità di inviato e il suo diritto di proprietà sul gregge di Jahwè. Il quarto evangelista non ha cercato di dimostrare la messianicità di Gesù con la sua derivazione genealogica da Davide e la sua nascita in Betlemme, benché tali dimostrazioni gli fossero note (7,42); così pure ha rinunciato come Paolo e Marco a dimostrare la divinità di Gesù tramite miracoli biologici. La sua dichiarazione della figliolanza divina suona: Dio ha amato Gesù già prima della fondazione del mondo, perché gli ha dato la "gloria". Allo stesso modo il Vangelo di Giovanni descrive il rapporto tra Gesù e Dio, determinato naturalmente da una totale imitazione di Dio: "Il Figlio da sé non può far nulla se non ciò che vede fare dal Padre...Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa" (5,19). L'unione interiore è talmente perfetta che Gesù può dire: "Chi ha visto me ha visto il Padre...Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me" (14,9-11).

 

IL MESSAGGIO

Ammettiamolo. La parabola del pastore e del gregge non è molto in sintonia con la nostra mentalità moderna.

Colpa anche di certa iconografia sacra che ci ha proposto una "certa" immagine di Gesù buon pastore: un Gesù dolciastro, biondo, capelli ricci, agghindato a dovere, occhi azzurri, e l'immancabile pecorella adagiata sulle spalle.

E poi, forse, anche noi proviamo una certa "difficoltà" nel riconoscerci parte di un gregge, sia pure del gregge pilotato da Cristo.

Comunque il gregge richiama il pericolo di un conformismo gregario, di un livellamento. La persona scompare, si lascia assorbire, viene inghiottita dalla massa, fino a smarrire la propria identità.

Nietzsche denunciava: "La comunità rende comune". Significativa un'espressione di Cechov: "Una volta nel gregge, è inutile che abbai: scodinzola". Oppure un proverbio finlandese: "Quando una pecora bela, tutta il gregge ha sete".

Ma questo triste fenomeno è reso possibile soltanto dal fatto che certe persone accettano di perdersi nell'anonimato, di lasciarsi assorbire in una massa confusa, di confondersi nel più piatto conformismo, di camminare a testa bassa. Non è certo questo lo stile del gregge voluto da Cristo.

 

COME PECORE SENZA PASTORE

L'uomo di oggi si sente sempre più avvilito e misconosciuto come uomo, come persona e centro di interesse. Lo avvilisce soprattutto il clima di anonimato, tipico della nostra civiltà, il senso opprimente della massificazione che lo rende un numero incolonnato in una serie grigia e incolore di altri numeri. E questa massa anonima ha la netta sensazione di essere in balia di forze oscure ma potenti che la manipolano a scopi di sfruttamento e di tornaconto, a fini egoistici di dominazione e di potere.

Si pensi solo, per riferirci ad un esempio, alla potenza della manipolazione pubblicitaria, ai fini di profitti crescenti, o alla manipolazione politica dell'opinione pubblica a scopi di potere.

La figura di Cristo "agnello-pastore" capovolge tutto questo. Come pastore Cristo inaugura rapporti personali con ciascuno di noi, singolarmente; per il suo amore che ci coglie nella nostra più profonda identità, non ci perdiamo in un gregge senza nome: egli "ci conosce", noi "lo conosciamo" a tu per tu, lo sentiamo vicino in ogni momento della nostra vita, interessato con amore alla nostra avventura umana. Non distaccato, freddo, indifferente.

E come "agnello" Cristo ci ricorda che la sua logica è la logica della donazione, non dello sfruttamento; del servizio, non del potere; del sacrificarsi per gli altri, non del sacrificare gli altri a sé. In questo contesto il Cristo "agnello-pastore" è figura di viva attualità. Ci sentiamo avvolti nella sua cura continua. E non schiacciati dall'indifferenza di un mondo ostile.

 

COLLETTIVITÀ O COMUNITÀ

Secondo il piano di Dio, la comunità costituita dal suo popolo rappresenta sia il superamento dell'individualismo (per essere se stessi occorre vivere-con), sia il superamento del conformismo gregario (per vivere-con occorre conservare la propria unicità).

L'apporto che il singolo reca al "gregge" dev'essere un apporto personale, dinamico, intelligente. Il che è proprio l'opposto di un perdersi nella collettività.

La comunità è "un concetto dove ciascuno ha la propria voce personale, insostituibile. E dove le voci accordate si richiamano, si completano e si sostengono a vicenda" (A. Motte). La sinfonia ha bisogno della mia nota personale. Se la rifiuto, rimango solo, povero, con la mia nota che risulta immancabilmente stonata.

 

LE MIE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE

Cristo quindi è pastore, il vero pastore, in quanto rappresenta l'opposto del "mercenario". Infatti lui dà la vita per le pecore. Non le sfrutta. Non le strumentalizza. Non le domina. Piuttosto le serve. Da lui siamo "conosciuti per nome", ciascuno di noi è importante, unico ai suoi occhi, rispettato e amato nel suo itinerario irripetibile.

E noi siamo il suo gregge, la sua Chiesa. Questo non vuol dire affatto che essere cristiani significhi essere "pecoroni". Oggi non si può più essere cristiani solo perché, combinazione, ci siamo trovati senza farlo apposta nel numero dei battezzati. Non si può più andare dietro a Cristo "per caso", solo perché spinti "dalla folla", cioè portati dal peso delle tradizioni.

Gesù non vuole che assumiamo atteggiamenti passivi. Esige che ci comportiamo da persone libere, creative.

 

LA POSSIBILITÀ DI SOLLEVARE LA TESTA

Corretta così l'immagine del "buon pastore" e del suo "gregge", resta da confessare le nostre mancanze nei suoi confronti. Forse possiamo riconoscerci, in alcuni momenti, in questa preghiera di Alessandro Pronzato.

"Signore. Anch'io faccio parte del tuo gregge. Ma ho la maledetta abitudine di stazionare sempre in coda al gruppo. Si, lo sai benissimo, anche se fingi di non accorgerti, sono una pecora che cammina ciondolando in ultima fila.

Ora vorrei descriverti che cosa succede in fondo al branco. In altre parole: il pastore visto dalla retroguardia del gregge.

Beh! Quanto a mormorare, si mormora, eccome. La strada difficile, le gambe che fanno male, il sole, la sete, la polvere che raspa in gola, e certi cani odiosi sempre pronti ad addentarti i garretti non appena accenni ad una sbandata. E poi, Tu che cammini impettito, con quel passo impossibile, per rispettare, immagino, degli appuntamenti di grandezza ai quali noi non abbiamo alcuna voglia di attivare.

Ma perché ti ostini ad andare così in fretta? Perché quel passo irragionevole? Dove vuoi condurci? Non ti accorgi che non ce la facciamo, che il cuore pare sempre sul punto di scoppiare e il fiato si rompe in gola?

Oh! non lo metto in dubbio: il pastore attraverso sentieri giusti mi guida (Salmo 22,3), ma chissà perché quei sentieri sono sempre in salita... Non potresti trovare un itinerario meno impegnativo?

Noi in fondo al gruppo camminiamo a testa bassa. E vediamo solo la strada con la sua polvere, i sassi, le spine. Non riusciamo ad amare quella strada impervia che ci scortica i piedi.

Lo so dovremmo imparare una buona volta ad alzare la testa. A guardare verso di Te. Perché, allora, scomparirebbe la strada e avremmo gli sguardi puntati sul Pastore che diventa strada".