Lettura del Vangelo - Domenica 5a del Tempo Pasquale - Anno C

 

SCHEDA BIBLICA - 24

 

 

DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (13,31-33a.34-35)

(31) Quando Giuda fu uscito (dal cenacolo), Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. (32) Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. (33) Figlioli, ancora per poco sono con voi. (34) Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

(35) Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".

 

IL CONTESTO

Il brano evangelico, che segue immediatamente la denuncia del tradimento di Giuda (13, 21-30), parla di Gesù che cammina verso la sua liberazione totale (in termini giovannei "gloria"). Essa implica la croce che è però vista, malgrado l'angoscia che comporta, come vittoria sul principe di questo mondo, cioè sul potere del ma le. Ai discepoli che non possono seguirlo (13,33b) e che rimangono nella tribolazione, Gesù lascia come testamento un comandamento, detto "nuovo" per la perfezione a cui egli l'ha portato e perché costituisce il distintivo dei discepoli (v 35).

La nostra pericope va senz'altro interpretata alla luce dei capitoli 17 e 15. Si tratta, infatti, di una sintesi di importanti temi dei discorsi di addio di Gesù.

 

L'ESEGESI DEL TESTO

v. 31: Il tema della glorificazione del figlio dell'uomo raggiunge qui il suo culmine. In precedenza il vangelo aveva fatto notare alcune volte che la sua ora non era ancora giunta. In Gv. 17,1 Gesù prega: "Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo". Questa preghiera si compie ora, in vista della croce. Per il vangelo di Gv. è tipica la concezione secondo cui la gloria di Gesù si manifesta nella croce e nella risurrezione. Gv. considera il venerdì santo pasqua e pentecoste, alla luce di un'unica prospettiva: è l'ora in cui il Figlio dell'uomo viene glorificato. Questa gloria diviene manifesta nel mondo.

v. 32: La gloria ("doxa") del Padre e quella del Figlio sono identiche. La rivelazione che si attualizza in Gesù è lo splendore della gloria del Padre.

v. 33: Il versetto descrive la situazione di passaggio in cui si trovano "adesso" i discepoli. Ancora per breve tempo sperimentano la presenza di Gesù. In futuro, il modo con cui i discepoli potranno essere vicini al Signore sarà la fede. Contenutisticamente ci troviamo nella medesima problematica di Lc 24,13-35 (discepoli di Emmaus). Il Signore si sottrae alla vista dei discepoli. Essi tuttavia lo riconoscono nello spezzare del pane. Rinforzati così dalla presenza del Signore i discepoli possono divenire i testimoni di Gesù nel mondo.

v. 34: Il Signore che sta per andarsene dà ai discepoli la sua eredità. La sequela di Gesù si realizzerà nell'amore reciproco. Si noti attentamente la misura dell'amore: come io vi ho amato. La fede in Dio si può realizzare quindi solo nell'amore al prossimo. Solo se il credente rimane profondamente unito al rivelatore (Gesù) (Gv. 15,5) può realizzare un amore cristiano. Questo comandamento non è nuovo perché nel corso della storia dell'uomo non sia mai stato posto questo precetto, ma per il fatto che tramite la rivelazione di Dio "adesso" è iniziata una nuova epoca.

v. 35: Questo amore dei discepoli diverrà un "fenomeno di discriminazione di fronte alla società". L'incredulità conosce come misura di vita solo il proprio interesse. "Adesso" giungono i discepoli del Signore i quali si interessano agli altri. Questa nuova vita è un impegno per tutti, non vi sono privilegi. Essa è aperta a tutti coloro che si aprono a Cristo e sono pronti ad appartenergli come tralci a una vite. L'offerta quindi è aperta a tutto il mondo e a tutti gli uomini.

 

IL MESSAGGIO

Nel Vangelo troviamo una parola fatta apposta per metterci in imbarazzo: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri...".

Sì, sono belle parole, anzi bellissime! Parole che si sentono anche volentieri; ma purtroppo sembra che queste parole vadano bene solo in chiesa. Fuori di lì, ancora una volta, la vita è un'altra cosa, come si suol dire. La legge fondamentale che regola di fatto i rapporti umani sembra essere quella dell'egoismo, dell'interesse, della concorrenza, della forza e del potere; non certo quella dell'<amore gli uni per gli altri>.

Anche nei discorsi di principio che riguardano la vita sociale, le parole d'ordine obbligate sono altre: giustizia, libertà, progresso e così via...Ma nessuno parla di 'amore'! Fuori di chiesa, questa parola al massimo va bene per le canzoni...!

Allora: Gesù non parlava per noi? O dobbiamo dire onestamente che siamo noi a non prendere molto sul serio le sue parole, come se Gesù dicesse cose impossibili, "fuori del mondo", o cose in cui, comunque, noi non riusciamo davvero a credere?

Amore, carità, riconciliazione: troppo spesso queste parole suonano false, come vuote di senso, prive di contenuto reale. Al massimo ci sembra di vederne qualche applicazione nell'ambito della "nostra" famiglia, del nostro gruppo, dei nostri amici. Ma gli altri?

Riusciamo a sentire gli uni verso gli altri un rapporto cordiale, amichevole, fraterno, dal momento che ci dichiariamo tutti discepoli di Cristo? O ci comportiamo gli uni verso gli altri come perfetti estranei? Dov'è il nostro "amore gli uni per gli altri" se quando ci troviamo in chiesa o per strada non siamo capaci neanche di un sorriso, di un saluto, di una stretta di mano, di un gesto di cortesia, di una parola gentile gli uni verso gli altri?

 

UN COMANDAMENTO NUOVO

Nel discorso d'addio, in un contesto di complotto, tradimento, pesantezza, tenebre, Gesù lascia ai suoi amici un comandamento nuovo: quello dell'amore. Questo comandamento ha tre caratteristiche: - è nuovo; - lo si vive imitando l'amore di Gesù; - costituisce il segno distintivo del cristiano.

L'amore dunque assume un carattere di novità. Anzi è la vera novità. L'odio, la vendetta, la violenza, l'indifferenza, l'egoismo: sono tutte cose vecchie, sorpassate, che ci fanno invecchiare e fanno invecchiare il mondo. Sono notizie risapute, atti "ripetitivi" che non fanno progredire il mondo.

Soltanto l'amore è nuovo, inedito, capace di creare, inventare situazioni nuove, di trasformare radicalmente una realtà. L'amore costituisce l'elemento sorpresa, il "mai visto" che determina il vero progresso.

Inoltre il nostro amore deve modellarsi sull'amore di Cristo. "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Il comandamento del Cristo è nuovo perché pone la persona di Gesù, il suo amore "folle" verso gli uomini, come paradigma dell'amore che deve improntare i rapporti tra di noi.

Ora l'amore del Cristo è un amore che si traduce nel dono di sé, nel non appartenersi, nell'essere-per-gli-altri. Lui, più che darci delle cose, ci ha donato se stesso.

 

UN AMORE GRATUITO, UN AMORE CREATIVO

Il suo è un amore gratuito, senza "motivo". Inutile cercare una causa dell'amore di Dio nelle qualità dell'uomo. Cristo non ci ama perché siamo virtuosi, buoni, tanto ammodo, meritevoli, ma amandoci ci fa buoni.

Il suo, insomma, è un amore creativo. Dio non ama ciò che in sé è degno di amore. Ma, amando, conferisce valore all'oggetto del suo amore. Dio non mi ama perché valgo qualcosa, ho delle qualità, dei meriti. Ma divento prezioso perché lui mi ama.

L'amore non costata dei valori. Li crea! Non li verifica, non ne fa l'inventario. Li produce. L'amore è un principio creativo di valori.

Sovente, invece, il nostro amore, più che essere creativo, risulta reattivo: ci lasciamo cioè condizionare dai comportamenti altrui: se quello è simpatico, meritevole, mi tratta bene, è gentile, generoso con me, anch'io lo amo. È risposta più che proposta.

Il vero amore cristiano, invece, è un amore creativo, che sa prendere l'iniziativa, lancia una sfida, indipendentemente dagli atteggiamenti altrui nei nostri confronti.

 

LA CARITÀ, DIVISA DEL CRISTIANO

In cristiano possiede un segno caratteristico fondamentale. Non è un "osservante", uno che va in chiesa, uno che fa delle elemosine, uno che recita il Credo. È, essenzialmente, uno che ama.

La carità diventa la parola chiave, definitiva, del linguaggio cristiano, che altrimenti diventa indecifrabile. Senza la presenza della carità le altre parole del vocabolario non hanno alcun valore. "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un bronzo che risuona" (1Cor 13,1)

La carità è il messaggio fondamentale che il cristiano deve trasmettere nella sua giornata. Mancando questo messaggio, anche se uno ha parlato tutto il giorno, non ha detto niente. E, comunque, gli altri non hanno capito niente.

"Quanto a noi...abbiamo creduto all'amore" (1Gv. 4,16). E credere all'amore significa anche credere alla forza dell'amore. Significa essere convinti che: * si ha ragione amando; * si vince amando; * si insegna amando; * si mette in piedi una persona amandola.

"Tu non sei nessuno, finché nessuno ti ama", dice una canzone popolare americana. Un poveraccio si accorge di esistere soltanto quando si sente amato.

 

AMARE È POSSIBILE

Un segno di riconoscimento deve essere visibile, leggibile! L'amore non è un vago sentimento, una buona intenzione. Apriamo il Vangelo e impariamo come Cristo ha amato, in maniera così divina e così umana.

"Amatevi gli uni gli altri": possiamo anche dire che è un discorso "ingenuo", non realistico, impossibile...Resta il fatto che questo è il messaggio del Vangelo e proprio questa è la missione che Gesù affida a tutti coloro che vogliono essere suoi discepoli. Poiché questa è la missione della Chiesa: dimostrare che è possibile!

Un gruppo giovanile ha adottato questo slogan molto significativo: "Ogni uomo è tuo fratello. Ma tuo fratello non lo sa..." Lo devi informare? Glielo devi dire tu. Glielo devi far capire con i fatti. In questa prospettiva, un amore manifestato con i fatti permette di riconoscere il cristiano attraverso la scoperta, l'esperienza di "essere amato".

Quando un uomo qualsiasi si ritrova importante, di amore e di attenzione, sa di aver incocciato un cristiano sul proprio cammino.