italiacuba.jpg (23268 byte) Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba Cubaband.gif (7566 byte)
  

Ramón Pardo Guerra

Intervista con il generale di divisione delle Forze Armate Rivoluzionarie Ramón Pardo Guerra, aiutante del Che durante la guerriglia sulla Sierra Maestra

D: Chi è oggi Ramón Pardo Guerra?

R: Oggi lavoro al Ministero delle Forze Armate come ispettore principale delle FAR (Fuerzas Armadas Revolucinarias). Ho conosciuto il Che nei primi mesi del 1957 pochi giorni dopo la battaglia dell’Uvero, quando il comandante Fidel Castro gli affidò la missione di proteggere e curare i feriti di quella battaglia. Nell’accampamento si trovavano tra gli altri il comandante Juan Almeida e Vilo Acuña che poi morirà in Bolivia a fianco del Che. Loro cercavano un luogo sicuro e finirono per fermarsi a casa di mio fratello, vicino a dove viveva mio padre e dove mi trovavo io in quel momento. In sintesi è stato questo il mio primo contatto con il Che.

D: Quando lei e i suoi fratelli decideste di lottare contro la tirannia di Batista e perché?

R: Come ti ho detto poc’anzi, da quel preciso momento ci siamo incorporati alla guerriglia. Dopo che abbiamo saputo dello sbarco di Fidel a Playa de las Coloradas. A partire da quel momento e una volta incontrati, per primo si incorpora mio fratello Israel e parte con la colonna di Fidel. Io rimasi in una base di rifornimento, e questa fu la definitiva incorporazione alla guerriglia.

D: Quanti fratelli Pardo hanno lottato contro la tirannia di Batista?

R: Nella Sierra lottammo in sette, uno è morto il 5 gennaio 1958 nella battaglia di Dos Palmas nelle vicinanze di Santiago di Cuba in una delle prime azioni che mise in atto l’esercito ribelle in quell’epoca in Oriente.

D: Che impressione ha avuto del Che quando lo ha incontrato per la prima volta?

R: L’impressione che mi ha dato il Che è stata quella di un uomo normale, avevamo poche referenze su di lui e su Almeida, si sapeva che il Che era un comunista e Juan Almeida un grande negro. Nella prima conversazione che ho avuto con il Che ho potuto constatare che era un uomo di grande cultura rispetto a noialtri che eravamo contadini. Lui era un medico che veniva a lottare qui nel nostro paese in condizioni molto difficili e in una situazione sfavorevole per la guerriglia. Nonostante il fatto che era asmatico, con crisi frequenti in quel periodo, il suo spirito era esemplare, come la sua volontà ed il suo stoicismo. Realmente instaurammo quasi subito buone relazioni e questo ci ha uniti durante tutta la campagna della Sierra, dell’offensiva, dell’invasione fino ad arrivare all’Avana. Dopo il trionfo della Rivoluzione per motivi di lavoro ci dividemmo.

D: Lei ha conosciuto Camilo Cienfuegos. Può raccontarci qualcosa sul "Signore dell’Avanguardia"?

R: Ho conosciuto Camilo. Lui era incorporato nella colonna del Che che in quel periodo faceva ancora pare della Colonna numero Uno guidata dal comandante Fidel Castro. Questo ci facilitò il contatto. Come il tipico cubano era n compagno molto espressivo, molto amico, un tipo gioioso. Successivamente mi toccò servirgli da messaggero e combattemmo insieme perché era il capo dell’avanguardia del Che. Gli consegnai molti messaggi del Guerrigliero Eroico e per questo motivo ho avuto molte relazioni di lavoro con Camilo. Poi lui iniziò la "Guerra del llano" (pianura) come parte della colonna del Che, e mio fratello Samuel combatté con Camilo. Abbiamo avuto rapporti da comandante a subordinato, però anche di grande amicizia e cameratismo. Lui scherzava molto con il Che, anche noi a prescindere dalla sua autorità. La sua scomparsa ci ha addolorato molto e ancora oggi la sua presenza ci manca.

D: Quest’anno si celebra il 40° anniversario della scomparsa di Camilo Cienfuegos. Che cosa ha lasciato Camilo al suo popolo?

R: Camilo ha lasciato il suo esempio. Un esempio vivo che continuerà ad essere tale. Lo definirei come dissero Fidel e il Che: "Camilo è Camilo, Camilo era l’immagine del popolo". Questo vale per la gioventù ma anche per noi. A prescindere dal fatto ce lui morì giovane, la sua vita fu molto intensa, una vita che si è forgiata attraverso una dura gioventù, attraverso i suoi viaggi all’estero, negli Stati Uniti e in Messico fino ad unirsi, fu tra gli ultimi, al futuro gruppo guerrigliero. E fu tra questi uno di quelli che più si distinse, fino a diventare uno dei grandi artefici di questa Rivoluzione. Nonostante non avesse studiato, nella lotta dimostrò di essere un uomo molto intelligente, molto martiano, autodidatta nei suoi studi. Questo è un esempio eccellente per tutti noi.

D: Cambiamo tema. Lei è stato responsabile di varie missioni internazionaliste in Africa. Cosa pensa della lotta guerrigliera del Che in Congo?

R: Il fatto che il Che sia andato a lottare in Congo non è altro che una grande manifestazione del suo grande spirito internazionalista, come lo rappresenta il fatto che è venuto a lottare a Cuba. Nonostante le difficoltà che avrebbe potuto trovare in quel paese africano, non ha esitato nella scelta di tornare a lottare. Anche nel caso del Congo è stato un esempio di sacrificio e di volontà nella lotta. Hanno fatto il massimo sforzo lui ed il resto dei compagni che lo hanno seguito. Non ho avuto l’opportunità di stare con lui, però conosco abbastanza gli sforzi che sono stati fatti. E’ una pagina brillante in più che ha scritto nella storia della sua vita e che considero molto bella e molto sentita nei confronti di un popolo che ha sofferto molto in quel periodo e che continua a soffrire. Lui decise di combattere a fianco del popolo congolese per farlo uscire dall’orribile situazione in cui si trovava.

D: Può dirci a quali missioni internazionaliste ha partecipato?

R: Ho partecipato a due missioni in Angola. La prima volta sono stato dal 19i80 al 1983. Tre anni comandando un reggimento di fanteria vicino alla frontiera con la Namibia. Durante quel periodo partecipammo a tutte le campagne; fu un’esperienza bellissima per l’aiuto che offrimmo al popolo angolano. Successivamente sono stato inviato come secondo capo della missione cubana in Angola, a fianco dell’esercito e del popolo angolano.

D: Lei ha conosciuto qualcuno dei compagni che lottarono con il Che in Bolivia?

R: Ho conosciuto Vilo Acuña, Joaquim in Bolivia, Jesus Suarez Gayol, El Rubio, Eliseo Reyes, Capitan San Luis, Sanchez Piñares, Marcos, e molti altri, però quello a cui sono stato più unito nella guerra, fu Vilo Acuña. Lo conobbi dopo la battaglia dell’Uvero nella "Comandancia del Che. Te ne ho parlato all’inizio di questa intervista. Vilo fu il capo della retroguardia nell’offensiva guidata dal Che; erano presenti anche San Luis e Olo Pantoja.. Abbiamo avuto la possibilità di stare uniti come soldati e ufficiali e di combattere uniti in quella lotta.

D: Che ricordi ha di quei compagni?

R: Degli ottimi ricordi. Uomini molto umili, esemplari nella lotta. Molti erano contadini; Eliseo Reyes era molto giovane, oggi avremo avuto la stessa età.

D: Ho letto il libro di Emilio Surí Quesada "El mejor hombre de la guerrilla", in cui si narra la storia di questo giovane capitano; può raccontarmi qualcosa di lui?

R: Ci conoscemmo nella Sierra alla fine del 1957 ed ebbe l’incarico di portare i messaggi del Che, compì molte missioni in pianura. Era di un paesino che si chiama San Luis, nelle vicinanze di Santiago. Un ragazzo valoroso, umile, disciplinato, gran lavoratore; diventammo ottimi amici ed è sempre stato un gran combattente. Dopo il trionfo della Rivoluzione prestò servizio al Ministero dell’Interno fino a quando non fu scelto dal Che per andare in Bolivia. In quell’occasione si comportò come il miglior uomo della guerriglia, come lo definì il Che. Continuerò a ricordarlo con molta stima.

D: Se lei potesse rivolgersi ai giovani italiani, come definirebbe in sintesi Camilo, il Che e Fidel?

R: Direi che l’esempio dei tre va seguito non solo per l’esempio che rappresentano, ma bisogna imparare a studiarli dall’adolescenza e la gioventù e seguire la traiettoria che hanno indicato con i loro principi rivoluzionari. Con la loro lealtà, fedeltà al popolo, per la loro responsabilità di fronte alla storia, nella lotta che hanno sviluppato non solo per il nostro popolo, ma anche per tanti altri. L’esempio del Che, che ha dato la sua vita, nonostante avesse acquisito una certa posizione a Cuba per andare a lottare in Africa e poi in Bolivia. Si è sovrapposto a tutte e malattie, per questo motivo consideriamo il suo esempio vivo e grande non solo per la gioventù italiana, ma anche e in particolar modo per la cubana, ma essenzialmente per la gioventù mondiale. Sono stato poco tempo a Roma e ho avuto l’occasione di avere l’affetto che avete nei confronti del Che. Questo ci inorgoglisce molto.

D: Perché è così attuale il pensiero del Che a più di 30 anni dalla sua morte?

R: Penso che sia molto attuale perché la causa per cui si è battuto trent’anni fa e per la quale ha dato la vita è la stessa per cui ci battiamo oggi. Una battaglia più dura, più raffinata, con altre tecnologie, con più modernità e con i mezzi di propaganda che ai tempi del Che non esistevano. Il nemico è sempre lo stesso, ha cambiato le forme ed è più forte che mai. I metodi di lotta, di denuncia del Che, sono applicabili anche ai giorni nostri..

D: Perché l’imperialismo secondo la sua opinione non ha potuto sconfiggere l’esempio che rappresenta Cuba nel mondo di oggi?

R: Non lo hanno potuto sconfiggere e non lo sconfiggeranno mai, perché l’esempio di Cuba non è solo l’esempio della Rivoluzione del 1959. E’ un esempio che va visto attraverso la nostra lotta indipendentista, che segue un filo retto di una lotta patriottica, rivoluzionaria, che non si sottomette a nessun giudizio. Per questo motivo lottiamo ed questo comportamento coraggioso di fronte alla potenza più forte del mondo che loro non ci perdonano.