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Nuestra America

Il cibo degli Orichas

Carlo Nobili *

La cocina criolla, parte inseparable de nuestra cultura… (Natalia Bolívar Aróstegui e Carmen González Díaz de Villegas, studiose di culture afrocubane)

La relazione che lega il culto agli alimenti è a Cuba assai stretta e, malgrado non vi siano dèi simili ai Penati romani, che vegliavano sulla famiglia e assicuravano ad essa un’adeguata provvista di cibi e bevande, in tutte le principali cerimonie i pasti in comune rivestono un ruolo d’importanza primaria. Queste sono alcune delle vivande e delle bibite offerte in occasioni di feste di Santería (Bembé): la harina amalá, l’ekó, il calalú, il quimbombo, il guengueré, il masango, il cheketé, l’ochinchín e l’ecrú (o ekrú) de frijoles de carita.
La harina amalá
Cibo di Changó, la harina amalá è un piatto costituito da un impasto di mais (Zea mais) tenero macinato e carne, cotto in foglie di plátano (banano, Musa paradisiaca). Scrivono Natalia Boliívar Aróstegui e Natalia González de Villegas: "Amalá: pelotas de harina de maíz cruda con manteca de corojo. También harina de plátanos verdes salcochada, secada después al sol, que se cocina con agua. Se le llama, asimismo, amalá, a la harina de maíz sin pajuza en agua hirviente hasta espesar. A veces se le añade limón".
L’ekó
L’ekó è considerato il pane (akará) degli orichas. Si tratta di una specie di tamal (pasta) che viene mangiato sia nelle feste comuni che nei bembés. Lydia Cabrera, la grande studiosa cubana, ci dà la seguente ricetta "Si mette a bagno il mais per tutta la notte, si macina fino a fino e il giorno dopo si cucina a bagno maria in modo che resti una massa bianca e morbida, si setaccia e si divide in forma di pani che si mettono a seccare su delle foglie di banano (chiamato plátano vianda). L’ekó, sciolto in acqua fredda, con l’aggiunta di un po’ di zucchero, è considerata una bevanda salutare e gradevole. L’ekó è uno degli elementi più importanti dell’ebbó (saraekó)". Secondo Natalia Bolívar Aróstegui e Valentina Porras Potts, l’ekó può anche essere fatto con mais macinato, miele, farina di mais secco e grani di mais tostato, il tutto, involto poi in foglie di plátano, cotto sul carbone.
Il calalú
Si tratta del cibo favorito da Changó. Il calalú, a cui si aggiungono farina e carne di maiale, viene cucinato allo stesso modo dello yonyó, vegetale simile al gombo (Hibiscus esculentus). La variante congo prevede anche l’aggiunta di gamberetti. Natalia Boliívar Aróstegui e Natalia González de Villegas ci danno questa ricetta: "Se emplean tasajo, huesos y carne de puerco, calabaza, acelgas y plátanos verdes. Se cocinan las acelgas y la calabaza. Aparte, se sofríen en manteca los huesos de puerco con cebolla picada, ajos machacados con albahaca y tomate. En otra cazuela se cocinan el tasajo, la carne de cerdo y los plátanos ya fritos. Cuando todo esté blando, se pican el tasajo, la carne de puerco y las acelgas, se maja la calabaza en el mortero y se agrega todo el caldo donde se cocinaron el cerdo y el tasajo, sazonando con sal y pimienta a gusto". La pianta del calalú appartiene a Changó e a Oggún. I rami della pianta vengono usati a Cuba per fare suppliche e ottenere che il nascituro venga al mondo sano e senza difficoltà. Il calalú è un piatto molto diffuso nelle Antille e non soltanto a Cuba: in genere viene preparato aggiungendo a questo vegetale siguine, gombo, melanzane, prezzemolo (Petroselinum crispum, Petroselinum hortense), peperoncino (Capsicum baccatum), timo (Thymus vulgaris) e aglio (Allium sativum) e quindi servito con merluzzo finemente spezzettato e riso alla creola.
Il quimbombó
Questi sono gli ingredienti per la preparazione del quimbombó, così come viene cucinato oggi a Cuba: 1 libbra di gombo tenero, 1 libbra di costole di maiale, 2 banane, 2 grossi cucchiai di sesamo (Sesamum indicum), 1 cipolla (Allium cepa) grande, 10 pomodori, 3 spicchi d’aglio, sale, origano (Origanum vulgare, Origanum majorana), cumino (Cuminum cyminum), lardo e limone (Citrus limon). Questa è la ricetta di Renee Mendez Capote: "Se lava el quimbombó, se le quita la colita y la puntica y se corta en rueditas. Se le echa limón bastante para cortarle la baba. En la cazuela donde se va a cocer el quimbombó se echan dos o tres cucharadas de manteca derretida y la sazón picada bien finita. Se afregan las agujas de puerco ya lavadas. Se echa la sal, un polvito de comino y otro de prégano y el quimbombó y después se añede medio litro de agua. Cuando hierve se agregan bolas de plátano pintón previamente salcochado en agua con un poco de sal. Se tapa bien y se cuece a fuego lento por espacio de media hora. Entonces se añede el ajonjoli ya tostado. Se deja cocer unos minutos más". Il piatto di quimbombo cucinato con farina di mais e brodo di gallo viene chiamato a Cuba Babá. Il quimbombó contiene vitamina B, l’1,6% di proteine, il 7,4% di carboidrati, lo 0,2% di grassi, lo 0,71% di calcio e lo 0,00060% di ferro.
Il guengueré
Il guengueré (Corchorus olitorius), conosciuta come Malva dei giudei, appartiene a Yemayá, a Ochún e a Changó. Questo vegetale, alquanto viscido, è molto simile al gombo. Il piatto è assai semplice: foglia di guengueré, carne di quadrupede e riso. In realtà, quest’ultimo (Oriza sativa), che appartiene a Obatalá ed è conosciuto tra i Lucumí come Euo, Sincopa o Irási e tra i Congo come Lóso, accompagna il piatto più che esserne un elemento. Riso e guengueré è un’offerta tradizionale per Oyá Yansá, la dea delle folgori, dei temporali e i venti, ma anche dei cimiteri presso le cui porte vive.
Il masango
Si tratta di mais bollito. Masango è il termine congo per indicare il mais. Esso appartiene, così come il cocco e l’igname (Dioscorea alata; popolarmente Ñame), a tutti gli orichas: le pannocchie abbrustolite si offrono a Babalú Ayé; pannocchie non devono mancare a Elegguá – padrone della chiave del destino, colui che apre e chiude le porte alla felicità e alla sventura –, così come non devono mancare abbrustolite a Oggún, e a Ochosi, santo dei maghi, degli indovini, dei cacciatori e dei pescatori. Mais abbrustolito si usa per le purificazioni (si sparge nella casa quando un oricha lo ordina); i chicchi (aguardó) tostati ad Elegguá, ma anche a Oggún e a Ochosi; la pannocchia tagliata a pezzi a Ochún e a Yemayá, l’oricha che rappresenta il mare ed è la fonte principale della vita. A Yemayá si offre pure il maíz finado, un piatto a base di mais tostato e macinato al quale si aggiunge zucchero. Sempre a Yemayá appartiene anche il mais del morto, piatto che una volta veniva mangiato in tutte le case la sera del 2 novembre e che oggi si mangia esclusivamente in quelle delle santeras e di qualche famiglia devota a Yemayá. Scrive Lydia Cabrera: "… si mettono le pannocchie in un recipiente con acqua e cenere e si lasciano a mollo tutta la notte. La mattina si cambia l’acqua o dentro la stessa si mettono a bollire. Una volta cotte si toglie la pellicola ai chicchi sgranellati dal torsolo. Si lava ogni traccia di cenere. Si fa un soffritto di cipolla; si buttano i chicchi nella padella e si fanno cuocere finché non si è consumato lo strutto e non sono diventati ben teneri". Il granturco soffiato piace a tutti gli orichas, ma in modo particolare a Obatalá e agli Ibeyi, le celestiali immagini che godono dell’amore paterno e materno di tutti gli orichas, patroni dei barbieri e dei chirurghi.
Il cheketé
Il cheketé, che si offre tradizionalmente con mais soffiato (ekrú aro, olelé ed ekó), è una bevanda preparata con granturco abbrustolito (da qui il colore che la fa apparire come un cioccolato), acqua, succo di arancia (Citrus aurantium) e melassa.
L’ochinchin
Comida de Ochún (cibo di Ochún), l’ochinchin, si fa con crescione (Nasturtium officinale), bietola cicla (Beta vulgaris), mandorle e gamberetti lessati. Altri ingredienti dell’ochinchin possono essere i capperi (Capparis spinosa) e il pomodoro (Lycopersicum esculentum).
L’ecrú de frijoles de carita
È tra i cibi offerti a Obatalá. Si tratta di una purea, o torta, senza sale, fatta con fagioli dell’occhio o dolico (Vigna unguiculata, Dolichos Sinensis, Dolichos lablab). Sempre Natalia Boliívar Aróstegui e Natalia González de Villegas forniscono questa ricetta: "Ekrú: pasta de frijoles carita pelados y machacados con una china pelona sobre una piedra lisa. La pasta se mezcla con bastante manteca de corojo, usando una cuchara de güira. Se envuelve como tamales en hojas de plátano; se cocina a baño de María. No se sazona, pero sí se le da color con bija". Con il frijol de carita, appartenente, come tutti i cibi in grani a Babalú Ayé, viene poi preparato per la dea Ochún anche l’olelé, un tamal che viene avvolto in foglie di banano, al quale viene aggiunto l’oriana, un colorante arancione estratto dai semi di oriana (Bixa orellana) e un po’ di sale. L’ecrú con anile (Indigofera suffruticosa) viene offerto a Yemayá; con zafferano (Crocus sativus) a Ochún; con la bija, ossia la bixa orellana, a Oyá.


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Carlo Nobili è antropologo americanista del Museo Nazionale Preistorico Etnografico "Luigi Pigorini" di Roma.