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Nuestra America


Discorso pronunciato da Felipe Pérez Roque, Ministro degli Affari Esteri di Cuba, alla Cerimonia di Solidarietà con Cuba, effettuata nella Chiesa Battista ‘Nuova Speranza’
3 dicembre 1999

Cari amici,
Autorità della Chiesa Battista della Nuova Speranza, il suo Pastore e altre autorità,
Amiche e amici che assistono a questa cerimonia, emozionante per tutti noi,
amici e amiche di Cuba,
Compagni cubani della nostra delegazione e della nostra missione diplomatica,
è per noi un privilegio straordinario essere qui. Spero che anche il nostro popolo possa vedere questa attestazione di solidarietà e di amicizia con il popolo di Cuba, tanto lontano nella geografia in questo momento, ma tanto vicino a noi nel calore e nell'affetto con i quali ci ricevete in questa città.
La nostra delegazione, che ha partecipato in questa settimana alle attività per la Conferenza, è composta anche dal Ministro del Commercio Estero di Cuba, Ricardo Cabrisas. Non è qui perché sta ancora partecipando ai dibattiti e ai negoziati che stanno avendo luogo alla Conferenza.
La compone anche Osvaldo Martínez. E’ deputato all'Assemblea Nazionale cubana, è il Presidente della Commissione di Affari Economici del Parlamento di Cuba, dirige un centro di ricerca sull'economia mondiale. Vi renderete conto che è un personaggio molto occupato. C’è anche Fernando Remírez, che è il capo della nostra rappresentanza a Washington.
Ci sono altri diplomatici cubani, funzionari del nostro Governo, del nostro Ministero per il Commercio Estero.
Ci siamo stati tutti questi giorni non solo per partecipare alla Conferenza, bensì anche a numerose attività e contatti con settori politici e imprenditoriali della comunità cubana che vive negli Stati Uniti e con i gruppi di solidarietà. Aspettavamo tuttavia questo momento con molto interesse. Sappiamo che domani ci sarà la riunione della Rete Nazionale di Solidarietà con Cuba; sappiamo che uomini e donne di ogni luogo degli Stati Uniti si sono dati appuntamento qui per parlare della solidarietà con Cuba, di come dar impulso a questo movimento. Ciò ci commuove, ci riempie di una profonda emozione sapere che il nostro piccolo paese è presente nei cuori e nel pensiero di tante persone benevole negli Stati Uniti. E sapevamo anche che era stata organizzata questa cerimonia di solidarietà con Cuba, alla quale siamo venuti con una profonda gratitudine e con una nozione esatta di quanto importante sia questo come stimolo per la nostra resistenza, come testimonianza che non siamo soli nei nostri sforzi, come prova inconfutabile che il meglio del popolo nordamericano, i sentimenti di solidarietà profondamente umani della società nordamericana, difendono una causa giusta quando chiedono che cessi la politica
di aggressione contro Cuba e quando esprimono la loro amicizia e solidarietà con il nostro popolo che, orgoglioso del proprio paese, difende il diritto a costruire un futuro libero e indipendente. Ed è anche un'attestazione che non ci sono motivi per perdere la speranza.
Abbiamo seguito molto da vicino i dibattiti della Conferenza. Ho portato due documenti che mi è sembrato interessante che voi conosciate, perché esprimono la situazione in cui si trova attualmente la Conferenza dell'Organizzazione Mondiale del Commercio: non solo c'è stata battaglia nelle strade; c'è stata una gran battaglia all’interno del Centro dei Congressi.
E la delegazione cubana ha partecipato, nel salone delle convenzioni a tutte e a ciascuna delle battaglie che si sono svolte. Abbiamo alzato la nostra voce per difendere i diritti, le aspirazioni dei popoli del Terzo Mondo, le aspirazioni dei poveri e dei diseredati del pianeta. Abbiamo invocato un mondo più giusto. Abbiamo richiesto che non si parli solo di libero commercio; abbiamo detto che bisogna parlare di commercio equo, commercio che permetta lo sviluppo, commercio che non generi disoccupazione, commercio che non allarghi la povertà, commercio che non estenda la fame nel mondo, non un commercio selvaggio, un commercio organizzato e giusto, nel quale abbiano opportunità non solo le multinazionali, non solo pochi paesi ricchi; nel quale abbiano anche opportunità, perché è loro diritto, tutti gli abitanti del pianeta che reclamano a ragione uguaglianza di opportunità, una vita giusta, il diritto al lavoro, il diritto a potere educare i figli, il diritto di avere accesso alla sanità, il diritto ad avere una vecchiaia tranquilla e protetta, il diritto che tutti abbiamo che si protegga l'ambiente. Abbiamo invocato che si diffonda la comprensione che è indispensabile per la sopravvivenza della nostra specie sfruttare razionalmente le risorse disponibili nel pianeta. Abbiamo alzato la nostra voce per reclamare una soluzione giusta al debito estero che oggi soffoca i paesi poveri del pianeta che devono 2.5 milioni di milioni di dollari e che con simili ostacoli non possono trovare una strada appropriata per il loro sviluppo.
In data odierna sono stati resi noti questi due documenti. Uno è un comunicato dei Ministri del Commercio dell’Africa che hanno partecipato alla Conferenza. Dice che "Noi, Ministri del Commercio dell'Africa, desideriamo esprimere la nostra delusione e il nostro disaccordo per il modo in cui si stanno conducendo i negoziati in questa Conferenza. Manca trasparenza nelle delibere.
"I paesi africani si vedono emarginati e in generale esclusi da questioni che rivestono vitale importanza per i nostri popoli e per il loro futuro. Ci preoccupano specialmente le pretese di emettere un testo a qualunque costo, anche a scapito delle procedure concepite per garantire il consenso.
"Respingiamo il metodo che si sta usando, e nelle condizioni attuali non saremo in grado di aggregarci al consenso necessario per adempiere agli obiettivi di questa Conferenza".
Quest’altro è un comunicato della Comunità dei Caraibi, nella quale sono raggruppati tutti i membri del CARICOM. Dice:
"I Ministri del CARICOM dichiarano di fronte alle autorità della Conferenza e al Segretariato dell'Organizzazione Mondiale del Commercio il loro profondo disaccordo su alcune procedure seguite per realizzare questa Conferenza, permettendo la mancanza di trasparenza nella preparazione di un testo importante.
"Siamo particolarmente preoccupati per l’intenzione di emettere un documento finale a qualunque costo, anche modificando le procedure indicate.
"I Ministri del CARICOM esprimono la loro ferma convinzione che finché non ci saranno il dovuto rispetto per le procedure e le condizioni di trasparenza, apertura e partecipazione che permettano risultati adeguatamente equilibrati in relazione agli interessi di tutti i membri, non ci uniremo al consenso per raggiungere gli obiettivi di questa Conferenza.
Come vedete, c'è stata guerra tanto dentro che fuori. E in questo momento vi si sta discutendo ancora animatamente. Questo è il motivo per cui il nostro Ministro del Commercio Estero non è qui; si trova nell'altra trincea.
La posizione di Cuba è che l'Organizzazione Mondiale del Commercio deve servire gli interessi di tutti i paesi e di tutti gli abitanti del pianeta, non può essere solo lo strumento di pochi, non può servire per perpetuare la disuguaglianza, non può servire per proteggere gli interessi di pochi, e deve essere l'organizzazione democratica ampia e trasparente di cui la comunità mondiale ha bisogno.
L'opinione di Cuba è che l'attuale sistema economico, finanziario e commerciale internazionale è profondamente ingiusto e inoltre insostenibile. Non ha futuro un sistema che allarga la povertà invece dell'educazione che estende la disuguaglianza invece dell'accesso alla sanità, che privilegia i guadagni e non garantisce il lavoro, che distrugge l'ambiente. Ed è opinione di Cuba che la più profonda ingiustizia è quella che c’è oggi, non solo all’interno dei paesi, ma tra i paesi.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, soltanto il 20 % dei 6.000 milioni di abitanti del pianeta controlla l’86 % dell'economia mondiale, l’82 % dei mercati mondiali, il 68 % degli investimenti stranieri, il 74 % delle linee telefoniche.
E in questa Conferenza si è discusso sul commercio elettronico, sul commercio via Internet. Negli Stati Uniti, nei paesi europei, con 600 linee telefoniche per ogni mille abitanti, ha senso. Ma che senso avrà, per esempio, per il Ciad, dove c’è una linea telefonica ogni mille abitanti? Che senso avrà parlare di Internet, che senso avrà parlare della società tecnologica per i popoli africani che si dibattono di fronte al flagello dell'AIDS, perché ci sono oggi, a vergogna della nostra specie, 23 milioni di africani infettati dal virus dell'AIDS che non vengono curati, perché la cura costa 12.000 dollari all’anno e i malati africani non sanno oggi come affrontare la loro malattia? E dei paesi che hanno un telefono ogni mille abitanti, che dipendono appena da uno o da due prodotti di esportazione, nei quali si espandono fame, povertà, malattie, nei quali la mortalità infantile si aggira sul 10 % dei bambini nati, prima che compiano il primo anno di vita, si starà occupando di loro questa Conferenza? Saranno considerati i loro interessi? O i loro rappresentanti saranno spettatori di
un gioco al quale non è stato dato loro la possibilità di partecipare? Il 20 % più povero del pianeta riceve dagli indicatori suddetti l’1 %. Questo è il mondo profondamente ingiusto che abbiamo ereditato e che abbiamo il diritto e il dovere di trasformare.
Questa è la posizione di Cuba. E Cuba crede che sia possibile, e Cuba crede che abbiamo il diritto di esigere un mondo con opportunità per tutti. Cuba ritiene profondamente ingiusto che nello stesso momento in cui i paesi ricchi comprano 17.000 milioni di dollari all’anno di cosmetici, o 15.000 milioni all’anno di alimenti per animali domestici, esistano mille milioni di affamati nel mondo e millecinquecento milioni di poveri. Cuba crede che non sia possibile adattarsi all'idea di un mondo nel quale le tre persone più ricche del pianeta abbiano una ricchezza totale maggiore del Prodotto Interno Lordo dei 48 paesi più poveri del pianeta nei quali vivono 600 milioni di abitanti. Cuba crede che sia impossibile che sopravviva un sistema nel quale la fortuna delle 200 persone più ricche del pianeta sia maggiore dell’introito che riceve il 41 % della popolazione mondiale. Se si mettesse un'imposta dell'1 % sulla fortuna dei 200 più ricchi, ci sarebbe denaro sufficiente per garantire l'educazione primaria a tutti i bambini del pianeta.
Siamo idealisti? Sì, profondamente. Che sarebbe del futuro se non ci fossero sogni ora? Non abbiamo diritto di sognare e di lottare per un mondo più giusto? Dobbiamo accettare che le cose siano come sono oggi? Pensiamo di no, che i nostri popoli abbiano il diritto di reclamare la giustizia
che abbiamo il diritto di lottare per consegnare ai nostri figli un mondo più giusto. Cuba crede che ciò sia possibile se le tecnologie e le risorse disponibili vengano impiegate a beneficio di tutti. Si dovrebbe pensare che ciò sia impossibile? Il mondo dovrebbe adattarsi all'idea, con cui veniamo bombardati quotidianamente dalla televisione e dalla radio, secondo la quale bisogna applicare la filosofia del ‘si salvi chi può’, che non sono più validi i principi della solidarietà umana, che è impossibile ripartire tra tutti? Ci rifiutiamo di farlo, sentiamo profondamente che abbiamo diritto di lottare per la giustizia.
Un pastore cristiano, deputato alla nostra Assemblea Nazionale, mio amico, amico anche del Reverendo Lucius Walker e di molti di coloro che sono qui presenti, mi ha fatto conoscere una citazione della Bibbia pensando che spiegava molto meglio quello che volevo dire. Dice:
"Isaia, Cap. X, versetti 1 - 3:
"Guai a voi che dettate leggi ingiuste e pubblicate decreti intollerabili che non fanno giustizia ai deboli, né riconoscono i diritti dei poveri del mio popolo, che non aiutano le vedove e oltraggiano gli orfani. Che cosa farete voi quando dovrete renderne conto, quando vedrete venire da lontano il castigo? Verso chi accorrerete chiedendo aiuto? Dove lascerete le vostre ricchezze?"
Vale la pena, in un giorno come oggi, sottolineare la validità di questi testi biblici.
Abbiamo la convinzione e la speranza che le discussioni sul commercio mondiale non finiscano qui a Seattle. Non sono riusciti a imporci gli obbiettivi di pochi, bisognerà continuare a discutere e a sentire le nostre voci.
Ritorneremo domani a Cuba – il nostro visto scade oggi - con la profonda convinzione che ci sia l'opportunità di poter continuare a discutere nell’arena internazionale su un argomento decisivo per il futuro dei nostri paesi.
Parteciperemo anche al dibattito sull’organizzazione del mondo nel prossimo secolo. Difendiamo la necessità del rispetto al diritto internazionale, ci opponiamo ai tentativi di pochi di disconoscere la Carta delle Nazioni Unite. Crediamo che restino oggi più che mai validi principi come quello dell'autodeterminazione dei popoli, dell’uguaglianza sovrana degli Stati, della non ingerenza nelle questioni interne dei paesi, del non uso, né della minaccia dell'uso della forza. Crediamo che ciò sia possibile. Vogliamo un mondo senza armi nucleari, vogliamo un mondo nel quale abbiano anche diritto, e si sentano le voci dei paesi piccoli e poveri, crediamo che ciò sia possibile. Crediamo in un mondo solidale, crediamo in una società umana, crediamo profondamente nella validità dei diritti umani per tutti gli abitanti del pianeta, e lottiamo per essi con tutte le nostre forze a Cuba.
Sappiamo bene che se Cuba fosse piegata, se un giorno la nostra resistenza fosse sconfitta, se un giorno Cuba smettesse di essere libera, i paesi dell'America Latina, del Terzo Mondo e ogni uomo o donna progressista nel mondo sarebbero meno liberi. A nome del nostro popolo, che ha resistito mirabilmente in questi anni tanto difficili, vi esprimo la nostra convinzione che avremo la presenza di spirito, l'ottimismo necessario per continuare a difendere il nostro diritto di trasmettere ai nostri figli un paese libero e indipendente come quello che ci hanno trasmesso i nostri genitori.
Devo dire che il blocco contro Cuba ci ha privato di alimenti, ci ha privato di medicine, ci ha privato dell'accesso ad attrezzature, tecnologie, ci ha creato difficoltà; ma non ha potuto ucciderci la speranza, non ha potuto toglierci l'allegria. Oggi siamo più ottimisti che mai, siamo più sicuri che mai che abbiamo ragione, che il tempo sta della nostra parte, il tempo è favorevole ai piccoli. Sappiamo che, mai come prima, si estende nel mondo, si estende negli Stati Uniti la solidarietà con Cuba. Milioni di uomini e di donne nel mondo comprendono la nostra lotta, appoggiano i nostri sogni e manifestano quotidianamente esigendo il nostro diritto ad avere un popolo libero e indipendente e ad avere un paese come quello che i cubani vogliono costruire. Il blocco nordamericano contro Cuba deve cessare. Il blocco contro Cuba non soltanto causa sofferenze al popolo di Cuba, non soltanto priva il popolo di Cuba dell'accesso ad alimenti e medicine, il che è un delitto di genocidio secondo la Convenzione di Vienna; il blocco contro Cuba è una flagrante violazione dei diritti del popolo nordamericano.
Il blocco contro Cuba danneggia anche il popolo nordamericano, il blocco contro Cuba causa danno, colpisce e viola i diritti dei cubani che vivono negli Stati Uniti. Il blocco a Cuba impedisce ai cubani che vivono negli Stati Uniti di avere relazioni normali, come quelle che noi difendiamo, anche con Cuba e con le loro famiglie a Cuba. Il blocco impedisce ai cubani che vivono negli Stati Uniti di poter andare liberamente a Cuba, di poter ricevere visite delle loro famiglie negli Stati Uniti. Il blocco ostacola la comunicazione dei cubani con il loro paese. Il blocco, pertanto, deve cessare. In questo pubblico c'è un numeroso gruppo di cubani che, come noi, sono vittime e ostaggio di una politica impostaci da un piccolo e potente gruppo che non esprime – e noi lo sappiamo bene - le aspirazioni e i sentimenti della maggioranza dei cubani che vivono negli Stati Uniti.
Quando affrontiamo il blocco contro Cuba, quando ci opponiamo alla legge Helms-Burton, quando invochiamo che questa politica insensata, genocida, cambi, stiamo difendendo anche i diritti del paese nordamericano e i diritti dei cubani che vivono negli Stati Uniti.
Noi non abbiamo trovato in questi giorni una sola voce che si sia levata davanti a noi per difendere l'attuale politica del Governo degli Stati Uniti verso Cuba. Ovviamente, non abbiamo parlato coi signori Helms e Burton; ma tutta la gente con cui abbiamo parlato in questa città di Seattle, che ci ha accolti con tanto affetto, di cui abbiamo avuto l’opportunità di conoscerne il popolo generoso e ospitale, ha manifestato il suo accordo con noi sul fatto che sono passati quarant’anni e che è ingiustificato cercare di imporre a Cuba e al mondo una politica aggressiva, una politica che ostacola lo sviluppo dei cubani, che colpisce la vita dei bambini a Cuba, delle donne incinte, degli anziani, una politica che cerca di piegare la volontà di un popolo. Perché resistiamo noi cubani? Da dove tiriamo fuori le forze? Dal sapere che difendiamo una causa giusta e dal sapere che in questi momenti in ogni angolo del pianeta ci sono un uomo o una donna che inalberano una bandiera cubana; dal sapere che, a dispetto delle bugie che si dicono su Cuba, i popoli sono saggi, i popoli sono giusti, i popoli intuiscono la verità, i popoli non lasciano che li ingannino, e i popoli sanno bene che il nostro unico delitto è quello di avere voluto costruire un paese con opportunità per tutti, quello di avere educato un milione di analfabeti, quello di avere laureato 600.000 giovani nelle nostre università, quello di avere moltiplicato i pani e i pesci in un paese povero, ma dignitoso; di avere portato la nostra mortalità infantile a 6.5 per ogni mille nati vivi. Ci si accusa di garantire accesso gratuito alla sanità per tutti, ci si accusa di avere 65.000 medici, di avere un medico per ogni 173 abitanti; ci si accusa di tentare di condividere quello che abbiamo con il resto del mondo, ci si accusa per essere stati solidali con il mondo, ci si accusa per avere combattuto contro l'apartheid, ci si accusa per avere inviato 25.000 medici ad altri paesi del Terzo Mondo. Ci sentiamo orgogliosi di essere stati un paese aperto e solidale con il mondo. Comprendiamo bene che ci siamo guadagnati - lo dico in tutta umiltà - il diritto di ricevere la solidarietà del mondo, perché lottiamo non solo per noi: lottiamo anche per ogni uomo e donna che nel mondo aspira a un mondo più giusto e a un mondo più razionale.
Al popolo degli Stati Uniti diciamo che non nutriamo odio contro di lui. Il nostro paese ha sofferto molto, ma non prova odio. Il nostro paese distingue molto bene il popolo nordamericano dalle azioni di pochi politici che per debolezza, per incomprensione o per odio verso Cuba hanno permesso che una politica irrazionale e ingiusta venga imposta contro il nostro popolo.
Il popolo di Cuba è preparato e desidera relazioni normali, amichevoli, con il popolo degli Stati Uniti. Il popolo degli Stati Uniti non deve permettere di essere ingannato, quando gli dicono che un popolo nobile come quello di Cuba, un popolo allegro, rispettoso, ospitale come quello di Cuba, è un popolo nemico. Il popolo degli Stati Uniti non deve continuare a permettere che si invochi la Legge di Commercio con il Nemico per giustificare la politica del blocco contro Cuba. I cubani che vivono negli Stati Uniti devono sapere che noi cubani che viviamo a Cuba difendiamo il loro diritto ad avere relazioni con Cuba, e che ogni cubano che leva la sua voce negli Stati Uniti in questo momento contro il blocco che cerca di sterminare per fame e malattie il suo popolo, è un cubano che ha la nostra mano tesa, è un cubano che ha il nostro rispetto. Noi cubani che viviamo a Cuba e voi cubani che vivete negli Stati Uniti che vi opponete alla politica del blocco contro Cuba, che vi opponete al fatto che pochi tengano sequestrata la politica verso Cuba, dobbiamo unirci per reclamare insieme il nostro diritto.
Il popolo degli Stati Uniti troverà solo nel popolo di Cuba un popolo disposto a offrirgli amicizia, un popolo preparato a trattarlo con rispetto e simpatia. Il popolo di Cuba sa molto bene che il popolo degli Stati Uniti non è il suo nemico; il nemico del popolo di Cuba è la politica che pochi sostengono contro Cuba. E’ giunto il momento di cambiare questa politica. Questa è la nostra convinzione. Vi ringraziamo profondamente per averci regalato questa sera questa attestazione di solidarietà e di affetto che ci fa ritornare a Cuba con la nostra fede e il nostro ottimismo rinnovati.
Avrebbe dovuto esserci Fidel questa sera. Non è stato possibile, forze potenti si sono opposte negli Stati Uniti e hanno reso impossibile il suo viaggio a Seattle. Come qualcuno ha detto nel pubblico: un giorno ci sarà. Un giorno ci sarà, probabilmente più presto che tardi. Noi siamo convinti che un giorno i nostri figli, i figli dei nostri figli, quel bambino (indica un bambino tra il pubblico) che ha assistito alla nostra cerimonia quale testimone della nostra speranza nel futuro, vedranno relazioni normali e rispettose tra i nostri popoli e si riferiranno a questa storia come a un esempio di quello che non deve tornare a succedere.
Perché il popolo degli Stati Uniti non deve tornare a permettere che un giorno, nel suo nome, si sia cercato di sterminare un popolo. Il popolo di Cuba difende solo il suo diritto a essere un popolo libero, come il popolo degli Stati Uniti lo ha difeso per sé. Il popolo di Cuba ha diritto a essere ascoltato. Questa è la nostra convinzione, questa è la nostra speranza. A nome di Fidel, che è per noi il testimone della nostra fermezza e un motivo potente per la nostra speranza, vi ringrazio per lo sforzo fatto dal movimento di solidarietà con Cuba per ricevere Fidel in questa città. Vi esprimo la nostra convinzione, che la causa che insieme voi e noi difendiamo sarà alla fine vittoriosa. Vi esprimo la nostra convinzione, il nostro ottimismo, che il futuro di Cuba come paese libero e indipendente, come paese con opportunità per tutti, come paese con tutti e per il bene di tutti, come sognava l'Apostolo della nostra indipendenza, è un futuro difeso oggi non solo dalla generazione che ha fatto la Rivoluzione, bensì da coloro che sono nati dopo. Sei cubani su dieci sono nati dopo il trionfo della Rivoluzione, sei cubani su dieci hanno vissuto tutte la loro vita con il blocco; ma non sarà sempre così. Posso confermarvi che nei giovani cubani ci sono la speranza e la fiducia che un giorno il nostro paese non sarà un paese bloccato dal paese più potente del pianeta.
Lucius ha detto parole molto generose su di me. Interpreto il suo elogio come l'elogio a una generazione di cubani, è l'elogio a una generazione che comprende i suoi doveri con il futuro del suo popolo; in nessun modo lo intendo come un commento sul mio contributo personale o sui miei meriti. Sono soltanto una delle autorità del nostro Governo. So bene che sono, più che il Ministro degli Affari Esteri più giovane, appena un apprendista Ministro.
Il futuro di Cuba non dipende dalle personalità, nel futuro di Cuba gli uomini hanno un ruolo relativo. Questa è stata la predica e l'insegnamento costante al nostro popolo dello stesso Fidel. Il futuro di Cuba è il futuro di generazioni di cubani, perché la Rivoluzione ha seminato in noi l'idea di un impegno con il popolo e non quella delle aspirazioni personali. Nessuno di coloro che oggi ha responsabilità a Cuba vede nelle sue responsabilità un mezzo per vivere, nessuno di noi ha fatto politica. Intendiamo il nostro lavoro come un dovere che il nostro popolo ci assegna e siamo sempre pronti, nel momento in cui lo si decida, di realizzare qualunque altro lavoro. Nessuno di noi vive pensando a un domani che non sia il domani del paese. Tutti viviamo orgogliosi di essere amati e rispettati dal nostro popolo, di vivere come vive la nostra gente; tutti viviamo orgogliosi di sapere che non abbiamo dovuto raggranellare 20, 40 o 70 milioni di dollari per partecipare a un'elezione. Posso confermarvi che intendiamo la nostra partecipazione alla vita politica del paese come il compimento di un dovere, come il pagamento di un debito ai nostri genitori che tanto hanno lottato per consegnarci un paese libero e indipendente, come un debito e un dovere con il futuro di Cuba.
Vi esprimo, cari amici, la nostra gratitudine per questa sera. Vi auguro successo per l’evento che comincerà domani. Sentiamo la gioia che domani altri rappresentanti del nostro paese potranno stare con voi. Vi esprimo sinceramente - sapendo che è anche il pensiero di tutti i miei compagni e dei nostri diplomatici che qui in maniera esemplare, austera, ottimista e impegnata rappresentano il nostro paese davanti a voi - a nome della nostra delegazione e a nome di tutti e di ciascuno dei cubani che sono questa sera in questa sala, un profondo grazie, a nome del popolo di Cuba, per questa attestazione di solidarietà e di amicizia che ci state dando.
Noi sappiamo che il blocco avrà fine. Nel mentre, resisteremo con l'ottimismo e la fiducia nel futuro che ci hanno portato fin qui.
Molte grazie.