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Nuestra America

Il passaggio del 20 maggio 1902: da colonia a neocolonia

Ironicamente, a quasi un secolo dal primo intervento degli Stati Uniti nell’isola, il popolo cubano continua a lottare contro questo tipo di libertà che viene dal nord.
Un 20 maggio, 95 anni fa, nell’antico Palazzo dei Capitani Generali di La Habana avveniva il "passaggio" cubano da colonia a neocolonia
Secondo J. Fred Reppy - come afferma nella sua opera Rivalry of the United States and Great Britain Over Latin America - già dal 1805 il Presidente nordamericano Thomas Jefferson aveva avvertito il Ministro inglese a Washington che, in caso di guerra contro la Spagna, gli Stati Uniti si sarebbero impadroniti di Cuba per necessità strategiche per la difesa della Louisiana e della Florida.
John Quincy Adams, Segretario di Stato del Presidente Monroe, nell’aprile del 1823, commentava in una nota a Hugh Nelson, suo Ministro a Madrid: "Queste isole, per la loro posizione locale sono appendici naturali del continente nordamericano e una di loro, l’isola di Cuba, quasi in vista delle nostre coste, per molte ragioni è diventata, di fondamentale importanza per gli interessi politici e commerciali della nostra Unione...Tutto collima per darle tanta importanza nell’insieme dei nostri interessi nazionali che... è quasi impossibile resistere alla convinzione che l’annessione di Cuba alla nostra Repubblica federale sarà indispensabile..."
Il Segretario di Stato del Presidente Cleveland, Richard Olney, intensificò le sue manovre annessioniste quando Maceo portò l’impetuosa campagna dell’invasione da una punta all’altra del paese presiedendo le riunioni delle giunte nei Municipi conquistati. Il diplomatico inglese colonnello Charles Akers informava Olney che "i cubani erano padroni dell’interno dell’Isola, poiché Weyler non poteva sconfiggere le truppe mandate da Maceo", a prescindere dai 210.000 soldati che la Spagna aveva a Cuba.
Prima delle gestioni interventiste di Olney, sostenuto da alcuni cubani, Antonio Maceo confidava, nel luglio del 1896, a Tomás Estrada Palma, delegato del Partito Rivoluzionario negli Stati Uniti: "Nemmeno aspetto nulla dai nordamericani, dobbiamo affidare tutto ai nostri sforzi; è meglio salire o cadere senza il loro aiuto che contrarre debiti di gratitudine con un vicino così potente".
José Martí, da parte sua, qualche ora prima di morire, nel maggio del 1895, esortava a "impedire in tempo, con l’indipendenza di Cuba, che gli Stati Uniti si estendano sulle Antille e cadano, con questa forza in più, sulle nostre terre d’America. Quanto ho fatto fino a oggi e farò, è per questo...".
Martí e Maceo, i due più illuminati e carismatici leader cubani, erano gli ostacoli invalicabili che impedivano agli Stati Uniti di perpetrare le loro ambizioni sull’Isola.
Si deve riconoscere che i successori di questi funzionari degli Stati Uniti furono coerenti con le idee che ispirarono la Risoluzione Congiunta del Congresso per giustificare nel 1898 la guerra contro la Spagna a cui si riferiva Jefferson. Poiché, in nome della libertà e della democrazia, non solo inghiottirono le isole di Cuba e Portorico nei Caraibi ma, come prodotto extra, andarono nel Pacifico per incrementare il bottino con le Filippine e Guam. Un sottoprodotto dell’intervento risultò essere l’annessione delle Hawaii, dove cinque anni prima i marines avevano graziosamente abbattuto la regina Liliuokalani, per dare inizio al "passaggio" che ebbe termine nel 1959 quando furono dichiarate 50° Stato dell’Unione.
Nel 1901 venne approvato nel medesimo Congresso l’Emendamento Platt, quella Ley Helms del secolo scorso che diede anche il via a "una transizione democratica e pacifica a Cuba".
In questo paese che inventò le leggi dell’apartheid, non fa specie leggere la nota che Olney indirizzò al Ministro della Spagna negli Stati Uniti, Enrique Dupuy de Lome, il 4 aprile 1896: "Si deve temere che la Spagna si trovi nell’impossibilità di continuare la lotta e debba abbandonare l’Isola all’eterogenea combinazione di elementi e razze che attualmente sono in armi contro di essa. Questa conclusione del conflitto non può essere guardato senza timore...".
Tuttavia nel 1898 la Spagna si lasciò sedurre dai politici nordamericani che predicavano riforme quali l’autonomia per impedire l’indipendenza di Cuba. Il liberale Sagasta, da poco designato Capo del Governo, ricevette da Woodford, nuovo rappresentante diplomatico degli Stati Uniti, un vero e proprio ultimatum: concedere l’autonomia prima del primo novembre. Ossia, in un termine di 40 giorni. Woodford sapeva da fonti spagnole che in quel momento la Spagna aveva a Cuba, oltre alla flotta, un esercito di 250.000 uomini di fanteria, cavalleria e artiglieria. La Spagna ammetteva che l’esercito cubano era di soli 40.000 uomini, però non poteva sconfiggerlo, nemmeno dopo la caduta di Maceo che in quei giorni del 1896 già scorrazzava con le sue truppe impunemente nei quartieri periferici di La Habana. Ma per gli Stati Uniti un trionfo dei mambises nella guerra avrebbe fatto fallire i progetti di espansione.
Sagasta fece sostituire il sanguinario Weyler come Capitano Generale a Cuba e la Regina Reggente firmò i decreti per stabilire l’autonomia dal 25 novembre, con la convinzione ingenua che questo avrebbe calmato i governanti degli Stati Uniti che non si stancavano di dichiarare che avevano come obiettivo solo la libertà di Cuba. Il messaggio del Presidente McKinley al Congresso il 6 dicembre 1897 cominciava dicendo: "Abbiamo soltanto il desiderio di vedere i cubani prosperi e contenti, sfruttare quelle misure di autodeterminazione che sono un diritto inalienabile dell’uomo".
Parlava più avanti di un "intervento neutrale per finire la guerra; imponendo un razionale compromesso... Non parlo di annessione forzata poiché questo è inconcepibile. Per il nostro codice morale sarebbe una criminale aggressione... Se poi risulterà essere un dovere imposto dai nostri obblighi verso noi stessi, verso la civiltà e verso l’umanità, intervenire con la forza non sarebbe un errore da parte nostra, ma solo perché la necessità di una simile azione sarebbe tanto chiara da contare sul sostegno e sull’approvazione del mondo civile".
Ma il governo spagnolo non seppe o non volle leggere tra le righe. L’esplosione del Maine, inviato arbitrariamente nella baia di La Habana fu il pretesto, "la necessità di una simile azione" per non tenere fede alle promesse e dichiarare guerra alla Spagna. La Risoluzione Congiunta del Congresso schivò la proposta dei senatori Allen e Turpie di riconoscere Cuba come nazione indipendente e la Repubblica in Armi come governo legittimo. Il 22 aprile 1898 erano già bloccati i principali porti dell’Isola per aumentare le privazioni della popolazione.
L’ufficiale Rowan venne inviato ad incontrare in Oriente il luogotenente generale Calixto García che aveva sostituito Maceo come secondo capo dei mambises alla caduta del Titano di Bronzo. In questo modo evitavano di trattare con Máximo Gómez, generale in capo delle forze insorte.
García, che aveva già preso Guáimaro, Guisa e Las Tunas con il forte esercito orientale, invece di mandare a Gómez i quattromila uomini che chiedeva per prendere La Habana, preparò il suo esercito ad attaccare Santiago assieme alle truppe degli Stati Uniti che avevano inviato all’inizio circa 25.000 uomini. Il generale Arsenio Linares, difensore spagnolo di Santiago de Cuba, dichiarò al Heraldo de Madrid: "...Senza l’ausilio dei cubani, gli yankees non sarebbero mai sbarcati, l’aiuto dei cubani fu potentissimo... Prova di questo è che i nordamericani sbarcarono soltanto dove più dominava l’insurrezione".
Quando avvenne la presa di Santiago, il generale Schafter, capo delle forze interventiste, non lasciò nemmeno entrare nella città Calixto García e le sue truppe.
Una settimana più tardi le truppe spagnole si arresero. Il 10 dicembre 1898 venne firmato a Parigi il trattato che legittimava l’occupazione nordamericana a Cuba e che impegnava i nuovi occupanti a rispettare le vite e i beni spagnoli.
Così il Governo di Washington poté strappare le Filippine e Portorico alla nazione spagnola soltanto per sottometterle ad una nuova colonizzazione. La ripercussione mondiale della cruenta lotta scatenata dai mambises nella Grande Antilla rendeva difficile tentare l’annessione.
Il senatore Orville Platt, in nome degli interessi annessionisti nel governo McKinley, si incaricò di promuovere l’emendamento che eliminò le nobili intenzioni di molti congressisti e amanti della libertà. In cambio assicurò agli Stati Uniti il diritto di intervento a Cuba, diritto che tornarono a utilizzare due volte. Lo stesso diritto che ora, nella sezione 203 della Legge Helms attribuisce al Presidente di questo paese di accertare "che si trovi al potere un governo cubano eletto democraticamente... E a promuovere nell’Isola uno sviluppo basato sul mercato". Nel 1933, non riconobbero il Governo che aveva abbattuto il tiranno Gerardo Machado, ma che non si adeguava allo standard di Washington, ne ridussero a tre mesi la durata associandosi a Fulgencio Batista, allora capo dell’esercito.
Come specificava il Trattato di Parigi, concordato tra Washington e Madrid, escludendo La Habana, gli Stati Uniti rispettarono le vite, ma non i beni degli spagnoli. Né dei cubani. L’autorevole storico profondo conoscitore della città, Emilio Roig de Leuchsenring, deceduto nel 1964, riporta come all’occupazione dell’Isola il primo gennaio 1899 soltanto il vincitore dominava il mercato cubano in generale e in modo speciale il mercato dello zucchero. Gli investimenti ammontavano a circa 50 milioni di dollari. Leland L.H. Jenks, autore di Our Colony in Cuba, compara l’ondata immigratoria di affaristi che si era allora verificata, a quella precedentemente avvenuta negli Stati occidentali dell’Unione.
Questa febbre dell’oro si basava fondamentalmente sull’articolo 4 dell’Emendamento Platt, che si convertì in un’appendice della Costituzione di Cuba, e che diceva testualmente: "Tutti gli atti compiuti dagli Stati Uniti a Cuba durante l’occupazione militare saranno ratificati e ritenuti validi...". Siccome si consideravano nella loro terra conquistata, nel 1928 le proprietà nordamericane a Cuba ammontavano a 1.140 milioni di dollari, distribuite tra industria saccarifera, servizi pubblici, ferrovie, miniere, industria del tabacco, alberghi e svaghi, commercio, agricoltura, fabbriche, edifici e proprietà urbana e debito pubblico.
Nel 1959 c’erano compagnie nordamericane che possedevano più di un milione di ettari di terre cubane. Una superficie pari a quella della province di Matanzas e di La Habana. E l’elettricità, i telefoni, il sottosuolo... Insomma, quasi tutto.
Il 20 maggio 1902 il delegato del Partito Rivoluzionario di Martí, Tomás Estrada Palma, che con le sue manovre era riuscito a fare accettare ai mambises l’intervento nordamericano, venne insediato in una presidenza soggetta ad un proconsole. Riceveva così i 30 denari del suo tradimento.
La Legge Helms, presentata dal Senatore che le dà il nome - sebbene come nel caso della Platt l’iniziativa si debba ad altri - ha ottenuto paradossalmente che il sentimento contrario alla causa di Golia sia più forte che mai. Dal rifiuto un po’ passivo del blocco, la comunità internazionale è passata a un’opposizione attiva a questa legge che ha contenuti extraterritoriali non soltanto contro Cuba, ma contro il mondo intero. Ha messo in luce che non si tratta di un embargo, ma di una vera guerra che Washington si incarica di dichiarare quando punisce gli imprenditori o i paesi che "commerciano con il nemico", come recita il testo legale che offre una base giuridica al blocco dal 1962. E’ tecnicamente una dichiarazione di guerra.
La condanna del Gruppo di Rio, l’insolito rifiuto della OSA, la minaccia di rappresaglie della UE e del Canada, così come la sorprendente presa di posizione del G-7, hanno indotto il Presidente William Clinton a fare giochi di prestigio per cercare di non essere accusato all’Organizzazione Mondiale del Commercio per una legge che egli stesso condannava fino agli inizi dell’anno scorso.
Da quando hanno dichiarato quella guerra a Cuba, i Presidenti degli Stati Uniti invitano a commemorare il 20 maggio a Miami. Ma il 20 maggio non si festeggia a La Habana, anche se segnò la fine della guerra contro la nazione coloniale. E’ certo che fu un progresso, come il passaggio dal feudalesimo al capitalismo, ma con essa bisognò iniziare la lotta contro il neocolonialismo, contro gli annessionisti di qui e di altrove per la seconda e vera indipendenza.