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Nuestra America

Undici milioni di cubani non implorano, bensì esigono, in piedi, la fine di questa sporca guerra


Intervento di Roberto Robaina González, Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Cuba, alla presentazione alla 53° Assemblea Generale dell’ONU del progetto di risoluzione "Sulla necessità di mettere fine al blocco economico, commerciale e finanziario degli Stati Uniti d’America contro Cuba", New York, 14 ottobre 1998

Signor Presidente, Signori Delegati,
ciechi e sordi, gli Stati Uniti d’America continuano a ignorare ancora una volta le richieste che per sei anni consecutivi le sono state rivolte da questa Assemblea per fare terminare la loro lunga, cruenta e spietata guerra economica, commerciale e finanziaria contro Cuba.
Anno dopo anno, questo è stato il mandato dell’umanità:
1992: 59 voti a favore della Risoluzione che condanna il blocco degli Stati Uniti contro Cuba e 3 contrari, il resto si è astenuto o si è assentato; 1993: 88 a favore, 4 contrari; 1994: 101 a favore, 2 contrari; 1995: 117 a favore, 3 contrari; 1996: 137 a favore, 3 contrari; 1997: 143 a favore, 3 contrari.
Ciascuna di queste decisioni è stata storica; dalla prima, adottata allorché l’ebbrezza trionfalistica per lo sfacelo dell’URSS e dell’Est europeo condannava anche a morte la Rivoluzione Cubana; e le scommesse sulla caduta imminente del governo di La Habana erano tanto frequenti, come valigie fatte e come accessi riservati per il banchetto degli avvoltoi che ci sarebbe stato sulle rovine e sulle spoglie dei nostri sogni di indipendenza e di giustizia.
Coloro che non hanno mai dubitato di noi, coloro che hanno temuto per la nostra sorte, colore che ci hanno sempre accompagnati fiduciosi nella nostra volontà, fermezza e forza, hanno visto appagate le loro speranze: Cuba non solo ha resistito; Cuba e il suo popolo sono stati capaci di sopravvivere alla cosiddetta "fine della storia" e alla persecuzione della maggiore potenza di tutti i tempi.
In questi saloni e in questi corridoi siamo stati testimoni di pressioni, ricatti e minacce abusivi affinché le mozioni presentate da Cuba non andassero a buon esito. Non sono mancati coloro che hanno perso crediti, coloro che si sono visti cancellare affari e operazioni commerciali o coloro che hanno anche sofferto rappresaglie politiche per essersi astenuti o assentati dalla votazione.
Nel mezzo di queste realtà e malgrado i reiterati e addirittura quasi unanimi accordi di questa Assemblea Generale contro il blocco, è stata approvata l’infame Legge Helms-Burton, con cui gli Stati Uniti pretendono di consacrare l’egemonia, l’extraterritorialità e l’unilateralità come figure del diritto internazionale, beffandosi degli alleati, calpestando i soci e umiliando altri stati.
Le sue conseguenze non colpiscono soltanto brutalmente Cuba, bensì corrodono da allora il sistema mondiale del commercio, le trattative per un futuro accordo multilaterale di investimenti e i meccanismi internazionali di fiducia, compresi tra i centri di potere economico mondiale, al punto che nemmeno i principali rimostranti delle imprese statunitensi nazionalizzate la appoggiano più oggi.
Il mondo, che l’ha contestata dal primo momento, impara a riconoscere che l’extraterritorialità della legislazione che il blocco copre, va molto oltre le pretese dei capitoli III e IV che colpiscono terzi. Una legge degli Stati Uniti non ha giurisdizione in nessun paese del mondo, compreso Cuba. Pertanto è anche illecito il fondamento dei capitoli I e II.
Bersaglio principale del recrudescente blocco è stato il finanziamento esterno. Tagliare tutte le vie di accesso del nostro paese a fonti creditizie internazionali o provenienti da singole nazioni è diventato un’ossessione.
Come è noto, le finanze sono il sangue di un’economia. Senza di loro, il paese non c’è. Nessuno può immaginare le condizioni precarie o rischiose a cui si è sottoposta Cuba per avere prestiti. Soltanto nell’industria saccarifera gli effetti sono drammatici, segnati da tassi di interessi draconiani, a brevissimo termine e a condizioni di pagamento rovinose.
Non lo diciamo solo noi. Secondo il Capo dell’Ufficio Cuba del Dipartimento di Stato "dall’approvazione della legge (Helms-Burton), 19 società di oltre 6 paesi hanno modificato i loro piani di investimento a Cuba o hanno ritirato i loro investimenti, (...) il governo cubano ha incontrato maggiori difficoltà per avere finanziamenti e potenziali investitori, dato che i tassi di interesse si sono elevati fino al 22 %" e "si indagano 12 compagnie di oltre 7 paesi per le loro attività a Cuba", con lo scopo di fare pressioni su di loro.
I danni reali sono molto maggiori di quelli segnalati da questo funzionario.
L’Associazione Americana per la Salute Mondiale, organizzazione non governativa notoriamente indipendente, ha presentato i risultati di un’indagine, della durata di un anno, sugli effetti del blocco nei settori degli alimenti e delle medicine. Il sommario esecutivo di questa indagine, che è stato diffuso in questa Assemblea, certificava che - e cito frammenti:
"L’embargo degli Stati Uniti ha aumentato significativamente il disagio a Cuba. Per diversi decenni l’embargo degli Stati Uniti ha imposto un forte peso economico al Sistema Nazionale della Salute di Cuba. Però, dal 1992, il numero delle esigenze mediche scoperte ha avuto un incremento più accelerato: osserviamo pazienti che non dispongono di medicine essenziali e parliamo con medici che si vedono costretti a eseguire operazioni senza le idonee attrezzature. (...) La contrazione nella disponibilità di alimenti, medicine e forniture mediche di base...sta avendo un alto costo umano, (...) Infine l’Associazione Americana per la Salute Mondiale desidera enfatizzare la severità dell’embargo degli Stati Uniti contro Cuba. Pochi embarghi della storia recente hanno compreso una proibizione totale di vendita di alimenti. Pochi altri embarghi hanno ristretto in tal modo il commercio di prodotti medici fino al punto di negare a semplici cittadini l’accesso a medicinali salvavita. E’ evidente che un simile embargo viola gli accordi e le convenzioni internazionali più elementari che guidano le norme sui diritti umani, che comprendono la Carta delle Nazioni Unite, lo Carta dell’Organizzazione degli Stati Americani e gli articoli della Convenzione di Ginevra che regolano il trattamento dei civili in tempo di guerra".
Aggiungo solo che il governo nordamericano, irritato per la denuncia, ha fabbricato una controinformazione tanto rozza, politicizzata e premeditatamente menzognera che ha sollevato le proteste di agenzie statunitensi e internazionali ed è stato definito in un documento del Comitato dei Media e degli Arbitrati’ del Congresso come ‘un tentativo deliberato per ripararsi dalle denunce dell’Associazione Americana per la Salute Mondiale".
I dati su permessi concessi per un presunto commercio con Cuba sono stati falsificati, da quanto in seguito si è potuto verificare, in rapporti dei Dipartimenti del Tesoro e del Commercio. Sono state prese cifre dello scambio con filiali estere, anteriori al 1992, per citarle come attuali e sono state intimidite e portate a giudizio compagnie come la Merck e cittadini stranieri e nazionali.
Inoltre sono state raggirate le organizzazioni Mondiale e Panamericana della Salute, nascondendo che la proporzione assegnata alla salute all’interno del Prodotto Interno Lordo della Cuba sotto blocco, è la maggiore di tutta l’America Latina ed è superiore del 34 % di quella degli stessi Stati Uniti.
L’indagine del Congresso sul cinico documento concludeva che: "Il Dipartimento di Stato ha l’obbligo di difendere la politica degli Stati Uniti, però non ha l’obbligo di falsificare i fatti in modo intenzionale, specialmente se le tendenziosità e le falsificazioni sono usate per difendere una politica di blocco (badate bene, qui si riconosce che si tratta di blocco) all’accesso della popolazione civile alle sue elementari necessità di vita nel mezzo di una profonda crisi economica..."
E il colmo è che, soltanto due settimane fa, un ambasciatore nordamericano è stato obbligato a dichiarare insolentemente in questa stessa seduta Plenaria che, dal 1992, oltre due miliardi di dollari di aiuti umanitari privati erano stati autorizzati dagli Statu Uniti per la devoluzione a Cuba.
Tutti i dati apportati da diverse fonti nordamericane riportano numeri assolutamente incongrui, tanto di permessi, quanto del presunto ammontare delle operazioni che sostengono di aver autorizzato nel quadro del presunto totale di due miliardi di dollari autorizzati.
Mai, dacché si è iniziato a propagare la campagna che gli Stati Uniti erano il principale donatore di aiuti umanitari a Cuba, nessun funzionario ha spiegato da dove uscisse questo rigagnolo di numeri di cui non si dà un rendiconto, né su quale base il Governo statunitense calcola che gli aiuti umanitari provenienti dai cubano-americani ammontavano a due miliardi di dollari.
Il citato ambasciatore ha detto testualmente: "più di due miliardi in aiuti umanitari privati sono stati autorizzati per Cuba dal 1992". Hanno moltiplicato per 100 volte gli aiuti di carattere umanitario inviati da istituzioni non governative o individualmente da cittadini nordamericani. Tenendo presente che perfino le rimesse familiari erano proibite per gran parti di questi anni.
Come ha detto il compagno Fidel lo scorso 28 settembre: "Milioni di cittadini di tutto il mondo inviano rimesse familiari, dagli Stati Uniti, dall’Europa, dai paesi produttori di petrolio, dal Sudafrica, dalla Malesia, da qualsiasi paese in cui lavorano emigranti stranieri e mai, in nessuna parte del mondo, sono state definite aiuti umanitari, sarebbe un’offesa per coloro che le inviano e per le mogli, i figli, i genitori, i fratelli che le ricevono".
"Praticamente tutti i paesi del Terzo Mondo ricevono rimesse inviate ai familiari dai paesi più sviluppati. Si riscontrano anche rimesse familiari tra paesi sviluppati. Se a questo vogliono riferirsi, è un’impudenza, non si può cambiare così il dizionario".
I numeri veri dell’aiuto umanitario proveniente dagli Stati Uniti pervenuto a Cuba, e senza nessuna protezione da quel governo, e da noi registrato accuratamente al centesimo, sono i seguenti:
Nel periodo 92-97 il valore delle donazioni provenienti da quel paese, con o senza permesso, è stato di 23.559.086 dollari. Il 98 % di questi rappresenta un apporto di organizzazioni non governative e religiose, represse per aver sfidato il blocco con le loro azioni; circa l’1.1 % provengono da donazioni individuali di amici di Cuba; e circa lo 0.6 % ha corrisposto a entità private.
Il mondo è stato tuttavia testimone di come la repressione politica e poliziesca all’interno degli stessi Stati Uniti, si è abbattuta su un gruppo di organizzazioni civili e religiose nordamericane capeggiate dai Pastori per la Pace che, sfidando i divieti del blocco, tentavano di fare arrivare a Cuba bibbie, medicine, attrezzature mediche e computer.
Cuba cita i rappresentanti degli Stati Uniti affinché vengano qui e dicano al reverendo Lucius Walker e ai suoi compagni, picchiati dalle guardie di confine e in lungo sciopero della fame a qualche metro dalla frontiera con il Messico fino al via libera delle loro donazioni, che il loro carico aveva il permesso di entrata a Cuba.
Che vengano qui a raccontare che era donazione del governo il famoso bus giallo destinato ad azioni caritatevoli di un centro religioso, al quale hanno bucato le gomme per non fargli passare il confine a Laredo.
Che vengano e lo dicano agli organismi internazionali con cui hanno infiniti debiti e dei cui contributi vogliono appropriarsi in repentina e falsa ostentazione di paternità.
Che vengano e lo dicano ai cubani emigrati che, in modo illegale, esponendosi a multe e carcere, o pagando somme esorbitanti per usare banche in paesi terzi, hanno inviato rimesse ai loro famigliari.
Press’a poco allo stesso modo si sono mossi anche in questi giorni i portavoce di quel governo, indicendo campagne, accusandoci perché ci rifiutiamo di ricevere aiuti alimentari di emergenza che, benché canalizzati dal Programma Mondiale degli Alimenti, vengano identificati, controllati e condizionati dagli Stati Uniti.
Accettare le briciole di chi è il nostro carnefice, quando dall’altro verso si rende più severo e spietato il blocco, non sarebbe adeguato a un popolo dignitoso. Da José Martí abbiamo imparato che la povertà passa, ma ciò che non passa è il disonore.
Come ancora una volta ha dichiarato in questi giorni il Governo di Cuba, "questo indegno e disonorevole aiuto non lo accetteremmo nemmeno incondizionatamente. Ciò che noi esigiamo è che cessi il blocco, e se cessa il blocco non avremo bisogno di aiuti umanitari dal governo che ci ha bloccati per quasi 40 anni, ci fa una guerra economica e concentra in questa guerra la sua influenza nel mondo..."
Signor Presidente:
Non riconoscendo altri limiti e neppure leggi che i propri interessi imperialistici, gli Stati Uniti si collocano ai margini del diritto internazionale: un anno fa, 75 stati sovrani del mondo che rappresentavano circa la metà della popolazione mondiale, erano minacciati da oltre 40 misure unilaterali o extraterritoriali, non solo federali, bensì pure statali e simili alla Legge Helms-Burton e al blocco contro Cuba.
In relazione con Cuba, si sono considerate più di una ventina di nuove misure messe in fila a impersonare in altre legislazioni i lineamenti della Helms-Burton; e alcune di loro sono state già approvate in quest’ultimo anno.
Nelle stesse, non solo si rafforzano i divieti già legiferati, ma si aggiungono nuove azioni ostili ed extraterritoriali, molto più passibili di approvazione per via della forma differente, occulta e manipolate in cui si presentano e si adottano.
Anche nello scorso marzo, e dopo che Sua Santità, Papa Giovanni Paolo II, aveva condannato nella sua visita a Cuba il blocco come un atto "ingiusto ed eticamente inaccettabile", si era arrivati a strombazzare in giro da parte del Governo degli Stati Uniti, una presunta flessibilità delle misure per avere accesso a medicine e alimenti, facilitare viaggi a Cuba e rimesse a familiari di cubanoamericani, vittime per di più di trattamenti discriminatori.
E’ bene rilevare che le misure annunciate non significavano in nessun modo una riconsiderazione dell’atteggiamento nordamericano. Si trattava in realtà di un’operazione pubblicitaria, gravata di procedure tanto complicate e paralizzanti che allo stesso Segretario di Stato Albright non è rimasto altro che ammettere che "si manterrà la pressione economica su Cuba attraverso il blocco e la Legge Helms-Burton".
Sette mesi dopo non abbiamo visto nulla nel senso di dar corso a quanto annunciato. Tre mesi fa Cuba ha mandato ordini a dieci ditte farmaceutiche nordamericane, non appena venne dichiarato ufficialmente che sarebbero state autorizzate da un sistema flessibile di permessi per le vendite di medicamenti. Alcune hanno detto di no e da altre non abbiamo ricevuto risposta. E’ stata anche negata la richiesta di presentare a La Habana un’esposizione di prodotti farmaceutici e tecnologia medica che sarebbe una base normale per stabilire relazioni d’affari.
Ma, supponendo che una vendita di medicamenti sia autorizzata: come comperare? Con quale banca operare che non sequestri i soldi cubani? Dove aprire una lettera di credito e chi la accetterebbe? Che mezzi avrebbero gli importatori cubani per verificare le specifiche dei loro acquisti, come è consuetudine internazionale? Quali aerei o navi si utilizzerebbero e attraverso quale porto o aeroporto? Chi sarebbe l’assicuratore? Con tanti e tali impedimenti, quale impresa americana si mobiliterebbe per chiedere il permesso?
Inoltre appena tre mesi fa tre compagnie charter sono state autorizzate a volare a Cuba e a due di loro hanno appena ritirato il permesso. Questa è la realtà, scarna, tangibile e palpabile.
Certamente gli Stati Uniti hanno progettato un blocco che, come la vile garrota medievale, è stato in grado di provocare, con lento e pirrico successo, privazioni innumerevoli a 11 milioni di esseri umani e di ostacolare considerevolmente il normale sviluppo del paese.
Tuttavia hanno fallito totalmente nel centrare il loro obbiettivo di distruggere la Rivoluzione Cubana, di sollevare il popolo contro i propri leader e contro il sistema politico ed economico che liberamente abbiamo scelto.
Signori delegati:
Dalla stessa fondazione degli Stati Uniti è sorta l’idea di appropriarsi di Cuba. Un lungo elenco di nomi, piani e dossier ci perseguita da oltre 200 anni: Franklin, Adams, Jefferson, Monroe, Wood, Platt, Magoon, Crowder, Sumner Welles, Caffery, Mack, Torricelli, Helms, Burton, Graham... e nove amministrazioni trascorse dal 1959 che hanno commesso sempre il medesimo errore: pensare, legiferare e sognare di governare Cuba in inglese. Cuba la pensiamo, la legiferiamo e la governiamo noi cubani, nel nostro proprio e creativo linguaggio.
Siamo cresciuti e abbiamo preso coscienza, soffrendo dall’infanzia l’aggressività, la prepotenza e il blocco del paese che mai ha voluto accettarci come popolo libero e sovrano e che ci considera ancora come frutta che deve maturare per cadere nelle sue grinfie e sottomettersi ai suoi disegni.
I sacrifici imposti non hanno mai intaccato il nostro senso di solidarietà e la nostra preoccupazione per il futuro dell’umanità; e per questo, circa mezzo milione di professionisti universitari, maestri, collaboratori e combattenti cubani per più di 30 anni hanno condiviso le sofferenze di altri popoli e, sentendole come proprie, li hanno aiutati a vincerle.
Soltanto nell’ambito della salute, oltre 26.000 medici e personale tecnico parasanitario hanno prestato servizio in decine di paesi del Terzo Mondo. In questi stessi giorni, dopo il passaggio dell’uragano Georges che ha causato la morte di oltre 150 persone ad Haiti, il compagno Fidel ha proposto che se un paese come il Canada, che ha stretti rapporti con Haiti, un paese come la Francia, che ha pure strette relazioni storiche e culturali con Haiti, i paesi della Comunità Economica Europea o il Giappone mandano i medicinali, Cuba è disposta a mandare tutti i medici necessari per salvare annualmente la vita di 15.000 bambini minori di 5 anni e di almeno 10.000 persone maggiori di questa età: la vita di 25.000 haitiani. Parliamo di diritti umani non con semplici parole ma con fatti veramente umani.
In nome di quei compatrioti che hanno difeso indipendenze, hanno portato la luce della conoscenza attraverso terre del Terzo Mondo e di quelli che ancora oggi percorrono tutta questa geografia umana dimenticata per costruire la sua salute, senza chiedere nulla in cambio.
In nome di 402 medici che in Sudafrica non hanno avuto bisogno dell’inglese per il loro lavoro, poiché sono stati capaci di istruire e curare popoli e etnie nelle loro stesse lingue e dialetti.
In nome di coloro che sono accorsi immediatamente per soccorrere i sinistrati da terremoti e uragani, come la brigata medica che oggi lavora in una lontana e devastata zona della Repubblica Dominicana.
In nome di tutti gli operatori della salute cubana, di tutti i medici che fossero necessari per salvare 25.000 vite ad Haiti e che sono disposti a far parte di uno sforzo globale sotto gli auspici e la direzione dell’Organizzazione Mondiale della Salute delle Nazioni Unite.
In nome di tutti i milioni di compatrioti che oggi non possono accedere a importanti prodotti culturali, informativi, scientifici e tecnici che vengono loro premeditatamente negati.
In nome dei malati di leucemia, di cancro, degli oncologi e dei chirurghi che non hanno accesso all’Oncaspar che ho citato qui alcuni giorni fa, a cateteri permanenti sottocutanei e altre simili risorse.
In nome dei malati di AIDS che non hanno tempo di aspettare che noi acquistiamo i loro costosi medicamenti.
In nome dei vecchi che, in reparti di terapia intensiva, non hanno respiratori artificiali e non possono avvalersi della prolungata aspettativa di vita che viene loro offerta dal Sistema della Salute della Rivoluzione.
In nome dei malati che abbisognano di determinati antibiotici della terza generazione che non possiamo acquistare perché sono quasi tutti di brevetto nordamericano.
In nome dei cardiopatici a cui viene impedito di accedere all’Aprotinin, al Captopril ed ad altre medicine delle coronarie, come pure ai pace-maker.
In nome di una creatura che era sul punto di morire davanti agli occhi di ricercatori nordamericani per una grave infezione micotica per la cui cura non avevamo la medicina che si produce negli Stati Uniti.
In nome dei bambini che non sono stati immunizzati per via degli ostacoli negli acquisti della materia prima per la produzione dei vaccini.
In nome dei contadini e degli operai agricoli che non vedono prosperare i loro raccolti perché non dispongono dei fertilizzanti o disinfestanti forniti prima e ora negati dalle filiali delle compagnie statunitensi.
In nome di tutti coloro i cui impieghi e salari sono stati colpiti dalla chiusura di fabbriche che non hanno pezzi di ricambio né materie prime.
In nome della grande quantità di emigranti cubani che in quel paese si oppongono al blocco e i cui diritti di comunicare fra di loro, di viaggiare e di sostenere liberamente i loro familiari sono calpestati con l’impedimento e la limitazione al minimo possibile dei contatti familiari e con l’impedimento e la limitazione della normalizzazione delle relazioni con la loro Patria.
In nome delle imprese di vari paesi quali Bayer, Siemens, Nunc, Telectronics, Vitalmex e di imprese nordamericane quali Cargill, Continental Grains, Bristol-Meyer, Eli Lily, Johnson and Johnson, SmithKline Beecham e moltissime altre che hanno dovuto cancellare le loro vendite a Cuba o che, perseguitate e scoraggiate, temono oggi di vendere.
In nome anche del nobile popolo nordamericano che viene ingannato dicendogli che il crimine del blocco viene fatto in nome della libertà, dei suoi medici commossi da tanto danno, degli imprenditori desiderosi di commerciare liberamente, degli agricoltori bisognosi di trovare nuovi mercati per le loro produzioni, dei contribuenti beffati, degli scienziati, artisti, intellettuali e semplici persone bisognose di conoscere e avere in pace scambi con Cuba e in disaccordo con la brutalità e l’ostinazione dei loro governanti.
In nome della giustizia, della verità e di tutti i diritti che vengono a noi violati in modo pesante e flagrante, che ci appartengono e che siamo pronti a difendere come esseri umani.
In nome della dignità, del decoro e della stessa voce di questo popolo, mille volte eroico, che malgrado il grave fardello di oltre 60 miliardi di dollari di danni, non è stato sconfitto, né umiliato, né messo in ginocchio.
In nome di 11 milioni di cubani che non implorano, ma che esigono, in piedi, la fine di questa sporca guerra e che non accettano aiuti che disonorano, quando si sentono in grado di alzarsi e di andare per il mondo.
In nome di molti popoli che oggi o domani possono essere le prossime vittime, vi chiedo che ancora una volta siate giusti e con la forza della ragione, con il vostro cuore e con il vostro stesso onore, esigiate dagli Stati Uniti che mettano fine al loro crudele blocco.
Molte grazie.