Perché i Babalaos usano il Tablero de Orula (Patakkin)

Marilisa Verti


Obatala aveva giurato che tutti i figli maschi nati da Yemu avrebbero dovuto morire. Non intendeva più passare dall'esperienza che uno di loro commettesse un incesto con la propria madre, come era accaduto con Ogun. Dopo parecchio tempo, quando la rabbia iniziò a sbollire gli venne voglia di fare ancora l'amore con sua moglie e la possedette con grande lussuria. Ne nacque una creatura, a cui venne posto il nome di Orula e che, per il solo fatto di essere maschio, era destinato a non appartenere al mondo dei vivi. Obatala lo prese, lo portò lontano da casa e lo seppellì in un buco nella terra, sotto l'ombra di una Ceiba, così che la fame, il freddo e la notte facessero il resto. Ma Eleggua, travestito da topo, lo aveva seguito e osservava tutto quanto veniva fatto a suo fratello. Addolorato corse da Yemu che, nell'ascoltare tutto il racconto, si mise a piangere e chiese a Eleggua di aiutare Orula. Da subito gli portarono del cibo e cercarono di salvarlo da quel calvario, approfittando del fatto che Obatala aveva cancellato dalla mente tutto quanto era accaduto a partire dal momento in cui aveva scoperto l'incesto per opera di Ogun.

Mesi dopo nacque anche Chango, un bimbo forte, allegro, giocherellone. Obatala decise di allontanarlo da casa perché una cosa aveva ben chiaro in mente: che i suoi figli maschi non potevano rimanere nel suo llé (abitazione). E per questo lo affidò a Dada, sua sorella, che da quel momento lo crebbe e si prese cura di lui. Una volta cresciuto, Dada ritenne che Chango avrebbe dovuto conoscere suo padre e così lo portò in visita nella casa dei genitori. Solo a vederlo, Yemu divenne un mare di lacrime. Chango era preoccupato per essere la causa di quel pianto dirotto, ma Obatala lo tranquillizzò dicendogli di togliersi quella idea di colpa dalla testa e che un giorno gli avrebbe raccontato tutto. Un giorno, perché in quel momento non ricordava cosa fosse accaduto, per quanti sforzi facesse. Chango ogni giorno si dimostrava sempre più curioso: ogni volta che andava a trovare i genitori, sua madre non smetteva di piangere,. Dopo tante richieste per conoscere il motivo di quelle lacrime, Yemu gli rispose: "Non posso parlare, ma Eleggua sa tutto e te lo può raccontare". Ma Eleggua non disse nulla, o molto poco: neppure lui poteva parlare. Obatala era quello indicato e avrebbe parlato se Chango gli avesse fatto un ebbó e così Eleggua gli disse: "Cogli la pasta di tre güiras, tre pezzi di cocco, acqua di pioggia e burro di corojo; prepara il tutto vicino a una Ceiba; lascialo tre giorni e tre notti; quando lo ritiri fai un impasto con il guscio macinato di un uovo e, siccome sei l'unico che può avvicinarsi a Obatala, mettigliene un po' sulla lingua, sulle tempie e sugli occhi".

Grazie all'ebbó e al gesto di coraggio, Obatala ricuperò la memoria e raccontò tutto a Chango. Si vergognava molto per le azioni compiute sotto la spinta della gelosia ed era molto dolente per il danno creato a Orula senza che questi avesse commesso alcuna colpa. Chango sentì molta rabbia e tanto odio nei confronti di Ogun e giurò di vendicarsi per le sofferenze di Obatala e di Yemu. Obatala, dal canto suo, giurò di fare penitenza come prova del suo rimorso. Eleggua, che osservava il tutto con molta attenzione, non perse l'opportunità di intercedere a favore di Orula, che Obatala credeva morto. Gli parlò con calma e gli fece capire che non avrebbe dovuto lamentarsi in modo esagerato: "C'è stata sufficiente sofferenza con l'assenza del ricordo, e altrettanta con il pianto di mia madre, smettiamola con il dolore". Obatala spalancò gli occhi e chiese: "Quale segreto nascondi da potermi impedire di continuare a vivere nel rimorso e da evitare la sofferenza di mia moglie?" E così Eleggua parlò, con un tono sicuro e tranquillo, perché convinto di quale sarebbe stata la reazione di suo padre. Parlò in modo che Obatala non sapesse che in tutti quegli anni Orula era stato molto presente nella casa, nonostante non si potesse menzionare il suo nome:

"Tempo fa, padre mio, sono passato vicino a una grande Ceiba; lì ho incontrato un uomo immerso nella terra sino alla cintura. Mi ha dato molta pena vedere la sua espressione che rifletteva innocenza e limpidezza d'animo; anche se era rassegnato a soffrire la cattiveria che stava pagando. Da quel giorno gli ho portato cibi e, ho parlato con lui senza conoscere però le ragioni della sua situazione. Lui tiene un Aché, un dono molto speciale: vede il passato, il presente e il futuro. È diventato famoso per i suoi insegnamenti e per le sue divinazioni. Da lui c'è sempre gente che lo consulta per conoscere meglio la propria situazione e per trovare la via per risolvere i problemi. Alcuni hanno persino pensato di toglierlo dalla terra, ma non l'hanno fatto per evitare che suo padre lo ammazzi, così come aveva giurato di farlo con tutti i suoi figli maschi. Padre, ascoltando oggi delle vostre sofferenze, ho pensato che quest'uomo potrebbe essere Orula".

Sorpreso, ma allegro e triste nello stesso momento, Obatala corse verso il luogo dove aveva mezzo sepolto Orula. Non era semplice riconoscere la strada, perché la memoria non si era sanata completamente. Ma Eleggua, pazzo di gioia per quanto stava per accadere, gli segnalava il cammino assumendo sempre dei diversi aspetti. Quando Obatala giunse al cospetto di Orula lo riconobbe immediatamente e lo salutò. Questi rispose al saluto.

Terminati i convenevoli lo tolsero dalla terra e Obatala gli chiese perdono invitandolo a tornare a casa. Orula lo guardò e disse: "Non devo perdonarti alcunché; so che cosa ti è passato per la testa, ma non ti porto rancore. E, comunque, non devo separarmi dalla Ceiba, lei mi ha dato il suo legno e le conchiglie con cui ho divinato per tutto questo tempo". Obatala, come segno di ringraziamento, diede dei soldi alla Ceiba e le promise che da quel momento sarebbe stato un albero sacro, rispettato da tutti, e le chiese di poterle staccare un pezzo di tronco per poter fabbricare un tablero a Orula, così da favorirlo nella divinazione. La Ceiba acconsentì. Obatala costruì il tablero proprio in quel luogo e lo diede a Orula. Raccolse un poco di sabbia e sentenziò: "Divinerai nella tua casa con questo tablero di Iroko; non esisterà un vero olowo che non si consulti con te prima di fare qualsiasi cosa". Orula gli rispose: "Maferefefun Eleggua, Majerefefun Chango, Maferefefun Baba". E da allora ciascun babalao per poter esercitare le sue funzioni deve rivolgersi a Orula.

 

Tratto da: MARILISA VERTI, I tamburi di Aña. Santeria, spiritualità e magia a Cuba, Milano, Xenia Edizioni, 1999, pp. 110-112


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