L'INVASIONE DI CUBA
di Filippo Gaja
ed. Parenti luglio 1961

L'invasione di Cuba, l'operazione Pluto, secondo il nome convenzionale stabilito dal comando controrivoluzionario, cominciò esattamente alle 00:10 di lunedì 17 aprile 1961. Era l'ora H prevista nei piani di sbarco. Sei vecchie navi da carico di medio tonnellaggio (fino a 5.000 tonnellate di stazza) che avevano navigato sotto bandiera liberiana, ribattezzate con nomi presi dalla fauna marina, circondate da una flottiglia di mezzi da sbarco di tipo militare, gettarono l'ancora davanti alla costa sud dell'isola, a una distanza di poco più di 100 chilometri dalla città di Cienfuegos, a 130 da Matanzas, a 180 da La Habana.
Tutte le luci spente, in un silenzio assoluto, le navi cominciarono a mettere in acqua le lance a motore e la truppa iniziò a prendere posto nei mezzi di sbarco scendendo lungo le fiancate delle navi con scale di corda. Erano circa 1.500 uomini, per la maggioranza profughi politici da Cuba, arruolati negli Stati Uniti, a Miami, o a New York, allenati da 25 ufficiali americani a Retalhuleu, in Guatemala, esclusi 12 uomini rana istruiti nella base di Vieques, a Porto Rico.
Il punto scelto per lo sbarco era la spiaggia della Ciénaga de Zapata, una vasta zona pantanosa che si estende dall'estremità occidentale della penisola di Zapata fino alla Bahía de Cochinos, per una larghezza di oltre 35 chilometri. La Brigata da sbarco era comandata da Manuel Artime Buesa, ex ufficiale dell'esercito di Castro e funzionario del Governo di La Habana, e da José A. Pérez San Román, ex capitano dell'esercito del dittatore Fulgencio Batista; sul berretto gli uomini portavano l'insegna "Dio, Patria e Libertà" e, cucite sulle spalle dell'uniforme mimetica da combattimento, le mostrine formate da una bandiera cubana con una croce bianca.
Un quarto d'ora più tardi, il bambino Valerio Rodríguez che tornava da far visita al suo maestro, percorrendo le spiaggia di Playa Girón, vide al largo le navi ferme, e rifletté che due ore prima non c'erano. Essendo un Joven Rebelde, pensò che era suo dovere osservare le navi misteriose e restò qualche minuto fra le rocce a guardare, finché gli parve di notare delle luci azzurre sull'acqua. Si mise allora a correre a perdifiato verso l'alloggiamento dei miliziani, distante un chilometro. Ma proprio in quell'istante, le navi aprirono il fuoco. Al rumore degli scoppi, Valerio Rodríguez ruzzolò per terra e corse a rifugiarsi di nuovo fra le rocce.
Radio Swan, una radio controrivoluzionaria situata nell'isola omonima, territorio degli Stati Uniti, a poca distanza dalla costa cubana, stava trasmettendo in quel momento stesso un messaggio speciale destinato alle organizzazioni terroristiche anticastriste dell'interno dell'isola. Il messaggio era l'ordine per i gruppi d'azione di attuare il piano di sabotaggio contro l’organizzazione militare e politica castrista. Poco più tardi, Radio Swan trasmetteva un comunicato straordinario: "La battaglia per liberare Cuba è incominciata. I patrioti hanno cominciato la battaglia per liberare la Patria dal dispotico dominio di Fidel Castro e per sbarazzare Cuba dalla crudele oppressione del comunismo internazionale".
II bambino Rodríguez non era in grado di apprezzare il piacere di vivere un momento straordinario della storia del suo paese, un avvenimento che doveva trascinare il mondo fin sull'orlo della guerra e condurre alla proclamazione della prima repubblica socialista dell'America Latina. Dagli avvenimenti che si sarebbero svolti nelle successive 72 ore dipendeva il destino della rivoluzione cubana.
Questa è la storia di ciò che accadde nelle 72 ore tragiche di Cuba, descritta attraverso i documenti e le testimonianze da me raccolti.
Filippo Gaja

I
Quasi nello stesso momento il miliziano Placido Salazar che stava facendo il suo turno di guardia a Playa Larga, in fondo alla Bahía de Cochinos, osservò una serie di imbarcazioni che scivolavano silenziose sull'acqua, e si gettò sulla manovella del telefono da campo per chiamare il capoposto. Non vedeva bene le barche che si avvicinavano, ma la sua impressione era che fossero molte e molto grandi. D'improvviso sulle imbarcazioni si accesero delle fiammelle e Placido Salazar riconobbe subito di che cosa si trattava: mitragliere da 50. Le traccianti indicavano che il fuoco delle imbarcazioni mirava a ripulire la spiaggia per una certa profondità. Si videro dei lampi più lontani e quasi simultaneamente gli scoppi delle granate intorno alla centrale telefonica. Il miliziano agitò di nuovo la manovella del telefono e informò che bisognava entrare subito in comunicazione con la Central Australia prima che le cannonate distruggessero la cabina.
– A che distanza sono da terra? – chiedeva il capoposto.
– Duecento metri, forse, saranno sulla spiaggia fra dieci minuti.
Tre minuti dopo il telefono dell'osservatorio squillò. Placido Salazar alzò il ricevitore. Il capoposto gli dava un ordine.
– Abbandonare l'osservatorio e gettare in mare le cassette di munizioni.
I trenta miliziani del plotone addetto alla sorveglianza costiera di Playa Larga indietreggiarono correndo fino all'imboccatura della strada per Central Australia e si disposero a difesa. Erano armati soltanto con pistole mitragliatrici e fucili R2, ma l'ordine che il capoposto aveva ricevuto era di impegnare il nemico e osservarlo da vicino. Non appena le prime imbarcazioni toccarono la spiaggia il plotone apri il fuoco. I controrivoluzionari uscirono correndo dai mezzi da sbarco e cominciarono subito a sparare con tutte le armi. Dal mare veniva il fuoco delle mitragliere pesanti. Dopo poco entrarono in azione anche i mortai e i bazookas.
Il fuoco del nemico era più intenso che preciso, ma i miliziani non potevano resistere e cominciarono a ritirarsi lungo la strada, spostandosi ora a destra ora a sinistra, sparando di quando in quando qualche raffica di pistola mitragliatrice e lanciando bombe a mano.
Due chilometri e mezzo più a occidente, sulla costa in una località detta Caletón, un altro piccolo gruppo di miliziani resisteva. Erano 40 uomini ma avevano soltanto 12 fucili. Molti erano maestri aggregati al reparto costiero della milizia per la campagna contro l'analfabetismo. Gli invasori stavano sparando contro lo yacht "Bravo", alla fonda. Il "Bravo" è lo yacht sul quale di solito Fidel Castro passa le sue vacanze e probabilmente gli invasori sapevano che a bordo era montata una mitragliera da 50 millimetri. Ma già ai primi rumori dello sbarco, i miliziani avevano smontato la mitragliera portandola a terra con tutte le munizioni, e ora se ne servivano per battere le imbarcazioni nemiche. Il piccolo reparto attestato a una curva della strada resistette finche poté, poi iniziò il ripiegamento lungo il terrapieno che da Caletón porta a San Tomás.
A Central Australia, il messaggio dei miliziani di Playa Larga aveva colto il comandante del presidio nel sonno. Era lontano le mille miglia dall'immaginare che il nemico avrebbe scelto la Ciénaga de Zapata per sbarcare, tanto che la sera prima, aveva ordinato che si lasciasse sui camion il raccolto di canna da zucchero e che le operazioni di scarico si rinviassero. Si sarebbe scaricato all'indomani.
L'ufficiale diede ordine di mantenere il contatto con il plotone della guardia costiera, che essendo munito di una radio portatile andava via via descrivendo le fasi dello sbarco avversario, e di liberare gli autocarri. Poi chiamò il comando di Jagüey Grande chiedendo ordini.

II
Esattamente alle 02:15 Fidel Castro venne svegliato dal suo segretario. Castro stava dormendo profondamente. Gli ultimi giorni erano stati di tensione estrema. La domenica si era svolta una manifestazione pubblica, il funerale delle vittime del bombardamento aereo di sabato mattina, e si era affaticato tenendo un lungo discorso. La notizia che il segretario gli portava era che si stava combattendo a Playa Girón e a Playa Larga. I plotoni di sorveglianza costiera che si trovavano sul posto avevano iniziato la resistenza.
Castro ordinò che si verificasse l'esattezza della notizia. Da tre giorni le notizie di navi da sbarco scorte nel tal punto o nel tal altro punto della costa cubana non facevano che accavallarsi. Pochi minuti dopo sopraggiunse però un’informazione che eliminava ogni dubbio. C'erano i primi feriti. Si comunicava che una forza militare sconosciuta e di entità imprecisata stava tenendo sotto il tiro di cannoni senza rinculo, bazookas, mitragliere da 50 e cannoni da marina le spiagge di Playa Girón e di Playa Larga, nella Ciénaga de Zapata. Non poteva più esserci dubbio: il nemico sbarcava.
Da Jagüey Grande giunsero conferme parziali, messaggi laconici pieni di ansiosa incertezza. Si chiedevano con urgenza disposizioni e rinforzi. Qualche minuto più tardi, la radio portatile del reparto avanzato della milizia cominciò a fornire dati precisi: osservate sei grandi navi e decine di mezzi da sbarco minori. Il nemico occupava l'abitato di Playa Girón e di Playa Larga e scavava buche di protezione per le armi pesanti mentre alcuni reparti di avanscoperta si spingevano lungo le strade verso l’interno in tutte le direzioni.
Castro si trasferì al Quartier Generale dell'Ejército Rebelde e della milizia e prese in considerazione la situazione in base alle prime notizie. La zona dove lo sbarco si verificava era una delle meno protette dell'isola. La possibilità di uno sbarco nemico in quel punto era stato considerato in precedenza come una ipotesi molto vaga.
Comunque il 339° Battaglione di miliziani, di Cienfuegos si trovava accasermato a Central Australia, dove stava aiutando i contadini a tagliare canna da zucchero. Diversi plotoni di miliziani, contadini e carbonai, perlustravano la zona di Cayo Ramona, Soplillar e Buena Ventura. Queste erano le sole truppe vicine al luogo dello sbarco, per di più male armate. Erano in condizione di dare man forte ai reparti di sorveglianza costiera, ma non potevano essere in grado di contrastare il passo al nemico. Non avevano né un mortaio né un bazooka.
Castro, nella sala operazioni dello Stato Maggiore, stava cercando di immaginare quale potesse essere il piano del nemico studiando su una grande carta il luogo nel quale il nemico era sbarcato: la penisola di Zapata.
Le caratteristiche della penisola di Zapata sono particolari. Castro immaginava che la scelta del luogo dipendesse proprio da quelle caratteristiche geografiche. La penisola presenta una fascia di terra dura rocciosa, larga da due a dieci chilometri, lungo la costa. Ma al nord di questa fascia, verso l'interno, si stende una palude impraticabile, in cui sorge una vegetazione tropicale foltissima.
Prima della Rivoluzione non esistevano vie di comunicazione attraverso la Ciénaga de Zapata. I paesi e le città che si trovano al di 1à della palude, nell’interno dell'isola, e cioè Jagüey Grande, Covadonga, Australia, non avevano accesso al mare. All'interno della Ciénaga de Zapata esistono solo piccoli villaggi di tagliatori di legna e carbonai, che un tempo vivevano in condizioni miserabili e che dovevano impiegare tre giorni per arrivare con la loro merce al più vicino mercato. Prima c'erano soltanto due ferrovie a scartamento ridotto, costruite dalle industrie zuccheriere, che conducevano da Central Australia a Cochinos e da Covadonga a Girón. La Rivoluzione ha costruito tre strade che attraversano la Ciénaga de Zapata su solidi terrapieni e uniscono Playa Girón con le industrie zuccheriere, Central Australia, 10 miglia a nordovest, e Covadonga, 20 miglia a nordest. Queste strade sono le uniche vie di accesso alla Ciénaga: fuori di esse non è possibile alcun movimento.
Gli ufficiali dello stato maggiore e Castro si chiedevano perché i controrivoluzionari avessero iniziato l'invasione sbarcando nel luogo più inadatto dell'isola per una offensiva. Qual era il vero calcolo dell'avversario?
Per dare una risposta a questa domanda, Castro chiese la più precisa valutazione possibile delle forze nemiche. Egli aveva già un'idea, ma desiderava una conferma delle sue supposizioni per agire. Ormai albeggiava. La radio dei plotoni di vigilanza costiera comunicò che il nemico aveva sbarcato una brigata forte da 1.200 a 1.500 uomini, dotata di armi pesanti. Dal fuoco di interdizione fatto dai controrivoluzionari per proteggere il primo balzo in avanti delle truppe, risultava che il nemico sparava con molti mortai pesanti da 4,2, cannoni senza rinculo da 75, e da 57 millimetri, mitragliatrici pesanti, da 50 e da 30; e stava sbarcando carri armati Sherman e autocarri blindati armati con mitragliatrici pesanti da 50. La fanteria sembrava avere una dotazione incredibile di armi automatiche.
Ciò bastava a Castro. Presentò agli ufficiali la sua ipotesi:
1 - Il nemico sbarcava presupponendo il totale dominio dell'aria, e certamente prevedeva di occupare e usare per una forza aerea tattica l'aeroporto da poco costruito a Playa Girón.
2 - Il nemico aveva deciso di occupare tutto il territorio della Ciénaga de Zapata appunto perché circondato completamente dal mare da una parte e dalla palude dall'altra. Sarebbe stata una posizione difficile da attaccare dal di fuori, e facile da difendere dal di dentro, specialmente se i difensori avessero avuto la supremazia nel cielo.
Le conclusioni di Castro erano che, se il nemico fosse riuscito a occupare il territorio della Ciénaga sarebbe stato duro riconquistarla. I miliziani e 1'Ejército Rebelde sarebbero stati obbligati ad avanzare sulle strade costruite sopra la palude. Il nemico avrebbe potuto difendere agevolmente le vie d'accesso alla palude con carri armati, cannoni anticarro, mortai pesanti, mitragliere da 50, bazookas. Militarmente un compito facile, poiché non vi sarebbero state protezioni di sorta per i miliziani al contrattacco. Un carro armato di traverso sulla strada avrebbe costituito un ostacolo insormontabile. Se il nemico avesse potuto contare realmente su un’aviazione efficiente, la situazione sarebbe divenuta assai grave, la lotta per la cacciata degli invasori sanguinosa e incerta. Non si poteva prevedere quale sarebbe stato l'aiuto straniero al nemico se la battaglia si fosse prolungata.
Alle quattro e mezzo della mattina, l’atmosfera creata dalle parole di Castro nella sala operazioni dello Stato Maggiore di La Habana era di intensa drammaticità. I volti degli ufficiali esprimevano una viva preoccupazione. Castro, pallidissimo, in piedi, parlava delle intenzioni dell'avversario con estrema calma. Il suo problema principale in quel momento era vedere i vari aspetti della situazione con lucidità.
Secondo Castro la mossa del nemico nel corso della notte sarebbe stata quella di avanzare il più velocemente possibile sulle strade costruite dalla Rivoluzione attraverso la Ciénaga de Zapata per costituire prima dell'alba dei caposaldi fuori della palude, in corrispondenza ai punti di ingresso delle strade nella Ciénaga, e quindi avrebbe operato il maggior numero di distruzioni sulle strade per rendere impossibile il transito ai mezzi motorizzati dell'Ejército Rebelde. Guai se il nemico avesse avuto il tempo di svolgere queste distinzioni, scavare trincee ed elevare difese.
L'idea dello sbarco nella Ciénaga de Zapata, in vista dei particolari obiettivi politici che il nemico si proponeva, non era priva di una sua logica. Lo Stato Maggiore controrivoluzionario, probabilmente su suggerimento di ufficiali americani, aveva immaginato di fare della Ciénaga de Zapata una striscia di terra circondata dal mare e dalla palude, una specie di isola artificiale. La riuscita del piano militare avversario dipendeva ora da due fattori: il completamento dell'occupazione del territorio di cui il nemico voleva impadronirsi, e l’effettivo controllo del cielo da parte dei controrivoluzionari.

III
Abbandonando la sede del quartier generale per recarsi al fronte, Castro, mezz'ora dopo, aveva già dato le disposizioni fondamentali che dovevano salvare la situazione. Era necessario un manipolo di forti combattenti, e questo manipolo furono gli uomini del 339° Battaglione di Fanteria della milizia, armati con fucili mitragliatori, pistole mitragliatrici e fucili, senza bazookas né mortai.
Castro aveva dato ordine che il battaglione di miliziani di Cienfuegos raggiungesse immediatamente Playa Larga e attaccasse il nemico. Doveva resistere a tutti i costi, per conservare una testa di ponte al di 1à della palude, entro il territorio che il nemico si apprestava a occupare. Non essere espulsi completamente dalla Ciénaga de Zapata significava conservare la possibilità di attaccare il nemico direttamente entro la testa di ponte, provocare il crollo dei presupposti fondamentali del piano avversario che prevedeva un’occupazione di sorpresa di tutta la Ciénaga.
Tenendo Playa Larga, e sgombra la strada per Playa Larga, si sarebbe consentito in seguito un attacco sul fianco al grosso del corpo di spedizione nemico. Se il nemico avesse mandato in avanti le sue colonne e fosse stato attaccato sul fianco, sarebbe stato costretto a ritirarle per non veder tagliata loro la ritirata.
Castro si fece chiamare al telefono il comandante del battaglione e gli illustrò quali fossero le probabili intenzioni del nemico e l'importanza della missione affidata al suo reparto, cioè tenere un pezzo di terra ferma dall'altra parte della Ciénaga e impedire al nemico di avanzare sulla strada da Playa Larga a Central Australia.
Simultaneamente, lo Stato Maggiore di La Habana diede ordine al battaglione della scuola per ufficiali della milizia di Matanzas, con tre batterie di mortai pesanti e una compagnia di carri armati, rinforzati da un altro battaglione di miliziani di Matanzas e da reparti di cannoni anticarro, di marciare alla maggior velocità possibile verso Jovenallos, e di qui dirigersi verso Playa Larga in soccorso al battaglione di Cienfuegos. Castro faceva molto assegnamento sul comandante della scuoia per ufficiali della milizia di Matanzas, Fernández, un ex combattente della guerra di Spagna, per la rapidità dello spostamento. Il battaglione degli allievi ufficiali della milizia era considerato il miglior reparto delle forze armate cubane, se fosse arrivato in tempo per rilevare il battaglione di Cienfuegos prima che fosse distrutto dal nemico, avrebbe salvato la situazione.
Questa fu la manovra difensiva principale. Ma contemporaneamente, fu dato ordine a due battaglioni di miliziani, di stanza a Las Villas, di muoversi rapidamente verso la zona di Yaguaramás e Covadonga e avanzare fino a prendere contatto con il nemico. Sulla strada di Yaguaramás e Covadonga, s'erano già attestati a difesa piccoli plotoni di miliziani che si trovavano nella Ciénaga in servizio di pattugliamento e ai quali era stato dato ordine di cercare di contrastare il passo al nemico lungo le due strade corrispondenti. C'era già notizia che questi reparti avevano incontrato le avanguardie del nemico nella notte e stavano combattendo.
Era ancora buio.
Le prime luci s'annunciavano appena. Radio Habana iniziò d'improvviso le trasmissioni per ripetere, a brevi intervalli, l'ordine a tutti i miliziani di raggiungere i comandi assegnati. Negli intervalli l'emittente trasmetteva gli inni della Rivoluzione. Cuba si svegliò di soprassalto. La gente si chiamava dalle strade, nei cortili. La radio non diceva ancora i motivi della chiamata alle armi, ma non c'era nessuno in tutta l'isola che non sapesse la verità. Era l'invasione.
Mentre veniva proclamata la mobilitazione generale, allo Stato Maggiore castrista non si era ancora certi che la Ciénaga de Zapata fosse l’unico obiettivo del nemico. Molti degli ufficiali si attendevano qualche altro sbarco. Castro aveva chiesto una jeep per il fronte. Allacciandosi il cinturone con la pistola, previde che se ci fosse stato qualche altro sbarco, si sarebbe quasi certamente trattato di una manovra diversiva.
All'alba, giunse la notizia che il nemico stava lanciando i paracadutisti per occupare gli accessi alla Ciénaga, e questo diede la certezza che la conquista della palude era prevista dal piano.

IV
Il 339° Battaglione di fanteria della milizia, formato tutto con uomini di Cienfuegos, era giunto a Central Australia da 4 giorni soltanto, proveniente dalle montagne dell'Escambray. La domenica il Battaglione aveva tagliato canna da zucchero, poiché questo è il compito dei battaglioni della milizia quando non c'è da combattere, dare una mano dove occorre. Il comando di zona aveva spedito il battaglione a Central Australia "di riserva tattica" ordinando che aiutasse i contadini nelle pause delle esercitazioni militari.
Essendo stato faticoso il giorno, i giovani miliziani dormivano profondamente, e parecchi tardarono a svegliarsi quando, poco dopo l'una, nella notte, l'accampamento fu messo in subbuglio dalla notizia che il plotone avanzato di Playa Larga stava osservando i controrivoluzionari che sbarcavano.
Il miliziano Luis Tellería, tiratore di fucile mitragliatore 7,32, pensò che sarebbe stato bene avere un po' più di munizioni e si accordò con i compagni di squadra per andarne a cercare al deposito. Ne volevano almeno due caricatori in più ciascuno. Passando accanto all'ufficio del comando, Luis Tellería vide della gente eccitata che usciva dalla stanza dell'ufficiale e dava l'incredibile notizia che aveva telefonato lui, Fidel, in persona e aveva detto: "Il paese è nelle vostre mani".
In quel momento il comandante del battaglione usciva correndo anche lui dal comando e urlava qualche cosa che non si riusciva a capire che cosa fosse e a chi; il mitragliere Tellería vide uscire gli autocarri dalle rimesse e udì gli ordini di adunata. Il tenente urlava un mucchio di cose tutte insieme, far presto, le munizioni, stare uniti, silenzio, attenti agli ordini, le comunicazioni radio. Stava ancora urlando quando il primo camion parti a tutta velocità verso Playa Larga, seguito da tutta la colonna.
Luis Tellería installò la sua 7,32 sul tetto del camion.
Da Central Australia a Playa Larga corrono meno di trenta chilometri. Erano forse le tre e mezzo quando il primo autocarro giunse a un chilometro dall'ingresso di Playa Larga, prima dell'incrocio della strada che porta a Caletón. Si udì il colpo secco di un cannone senza rinculo e la colonna si arrestò. Si levò una voce nella notte:
– "Siamo dell'esercito di liberazione. Miliziani, unitevi a noi!"
Era uno dei controrivoluzionari che chiedeva la resa. Dai camion carichi di miliziani si levò un urlo "Patria o muerte!". I miliziani si gettarono dai camion mentre i controrivoluzionari iniziavano a sparare. I proiettili sibilavano, uno dei camion prese fuoco. L'autocarro sul quale si trovava Luis Tellería fu crivellato di proiettili alla prima scarica. Luis, con la sua mitragliatrice in una mano, e un caricatore nell'altra, saltò dal veicolo e si buttò nella cunetta a lato della strada piazzando la sua arma, e apri il fuoco.
Fece una prima raffica 1unga, poi ricordò che doveva sparare a piccole raffiche.
Il comandante del battaglione stava urlando di sparare mirando, guardando alle lingue di fuoco che uscivano dalle armi dei controrivoluzionari.
Fra miliziani e nemici potevano esserci forse cinquanta metri, forse cento. Un carro armato nemico cominciò ad avanzare. Il comandante del battaglione ordinò che si entrasse nella vegetazione ai lati della strada. Il carro armato non avrebbe potuto manovrare perché sarebbe affondato nel pantano, non avrebbe potuto abbandonare la strada. Una volta passato il carro, bisognava iniziare una sparatoria intermittente, per impedire alla fanteria di avanzare.
Il carro passò sulla strada con gran rumore. Dietro venivano alcuni controrivoluzionari che furono subito centrati dai miliziani. Il carro tornò indietro. Il nemico aprì un fuoco infernale, battendo metro per metro la strada avanti a sé.
Gli invasori usavano una mitragliatrice da 50, piazzata in un luogo che dominava la strada e un cannone da 75 senza rinculo che sparava da qualche centinaio di metri. Alla destra del cannone, il carro armato Sherman, dietro al quale si proteggevano dei tiratori di bazookas
Il 339° Battaglione retrocedette lentamente nella notte, contrastando il passo al nemico. Alle prime luci dell'alba, il battaglione aveva perso qualche chilometro, subendo molte perdite. Ma i controrivoluzionari non avevano potuto procedere velocemente verso i loro obiettivi e avevano perduto tempo prezioso.
All'alba si udì un rombo di aerei. Era il nemico che lanciava unità di paracadutisti alle spalle del battaglione. I paracadutisti prendevano terra 8 chilometri dietro un luogo chiamato Pálpite. Il comandante del battaglione cercò di mettersi in contatto con il comando zona per aver ordini. Al comando sapevano già che i paracadutisti stavano scendendo. L'ordine era di attaccarli e aprirsi il varco per la ritirata, continuando a retrocedere il più lentamente possibile. Sarebbero arrivati rinforzi. Erano in marcia.
Il lancio di paracadutisti sembrava piuttosto nutrito: erano ondate di una ventina d'uomini ciascuna. La retroguardia del battaglione impegnò immediatamente i paracadutisti, senza poter impedire loro di prendere posizione, a cavallo della strada.
Il battaglione ora aveva tagliata la strada della ritirata. Se non fossero arrivati presto i rinforzi si sarebbe dovuto scegliere tra morire o arrendersi. Con la luce era arrivato un altro problema: L’aviazione nemica. Bisognava mantenere il contatto con il nemico, restargli vicino. Gli aerei non avrebbero potuto mitragliare né spezzonare il battaglione, perché avrebbero corso il pericolo di colpire i controrivoluzionari che avanzavano.
Il comandante chiese via radio al comando il permesso di abbandonare la strada e di piazzare gli uomini entro la vegetazione. Non restava altra soluzione. Il nemico restò padrone della strada, ma solo i carri armati potevano transitarvi. Dal folto della vegetazione i miliziani sparavano sulla fanteria. Con un fuoco rabbioso di tutte le armi, i controrivoluzionari cercarono disperatamente di ridurre al silenzio il battaglione di Cienfuegos, che continuava a indietreggiare, contenendo l’avanzata del nemico.
Si combatté in questo modo per tutta la mattinata. Verso mezzogiorno il comando comunicò che stava sopraggiungendo il battaglione allievi ufficiali della milizia, del corpo di artiglieria, con bazookas, cannoni senza rinculo e carri armati.
Il battaglione di ufficiali della milizia di Matanzas, mentre stava accorrendo in aiuto al battaglione di Cienfuegos, era stato attaccato da aerei controrivoluzionari che gli avevano causato parecchie perdite. Poiché gli aerei portavano dipinte le stesse insegne dell'aviazione cubana, i soldati castristi li salutarono agitando le mani. In tal modo subirono un attacco allo scoperto ed ebbero molti morti.
Gli ufficiali della milizia furono poi attaccati sulla strada e dovettero impegnare un forte combattimento per passare. L'ordine era di spezzare la resistenza avversaria e proseguire fino al ricongiungimento con il battaglione di Cienfuegos senza curarsi dei nuclei nemici che la colonna lasciava dietro di sé. Il battaglione aveva cozzato nella strada con il reparto di paracadutisti lanciato all'alba dal nemico, e che aveva già attaccato la retroguardia del battaglione di Cienfuegos.
La resistenza dei paracadutisti fu accanita. Se il rinforzo per Playa Larga fosse passato, tutto il piano sarebbe stato compromesso. Era il momento cruciale della battaglia. Intervenne anche l'aviazione castrista a mitragliare e a bombardare le posizioni dei paracadutisti che tenevano la strada e impedivano al battaglione di allievi ufficiali di Matanzas (e al battaglione di fanteria, che a esso si era aggregato per rinforzarlo), di proseguire. Infine la resistenza dei paracadutisti fu vinta. I controrivoluzionari abbandonarono la strada rifugiandosi nel pantano. Alcuni si arresero. I battaglioni rivoluzionari poterono passare.
Alle 15:00 finalmente il 339° Battaglione di miliziani di Cienfuegos ebbe il cambio nel compito di contenere la spinta offensiva dei controrivoluzionari. Il nemico avverti immediatamente che la situazione era mutata. Vide spuntare i primi carri armati castristi e fu investito da una gragnola di colpi di mortaio da 120: erano i mortai degli allievi ufficiali della milizia di Matanzas.

V
La prima cura di Castro, non appena avuta notizia dello sbarco, era stata quella di assicurarsi che non si commettessero imprudenze con gli aerei. In previsione che il nemico nella notte ripetesse gli attacchi aerei ai campi di aviazione, aveva ordinato che i due apparecchi apparissero sulla pista dell'aeroporto di San Antonio, in condizioni di prendere il volo alle prime luci del giorno. Gli altri dovevano essere lasciati nei luoghi in cui erano stati fino ad allora nascosti e custoditi.
A mano a mano che l'attacco controrivoluzionario procedeva, e che le sue intenzioni apparivano più chiare, Castro accentuò la sua convinzione che il presupposto fondamentale dell'azione nemica fosse la certezza di avere conquistato il predominio dell’aria. Finalmente capiva perché avessero attaccato gli aeroporti il 15 mattina, due giorni prima dello sbarco. Dal punto di vista militare era stato un errore. Lo Stato Maggiore di La Habana ne aveva dedotto che l'invasione fosse una questione di ore e aveva messo l'organizzazione di difesa in stato di preallarme, rinforzando la sorveglianza su tutte le coste. La ragione per cui il nemico aveva tardato due giorni a sbarcare era questa: che riteneva di avere distrutto tutti gli aerei castristi.
Castro era nel vero: cinque giorni più tardi, fra i documenti catturati a Playa Girón nel comando della Brigata da sbarco controrivoluzionaria, fu trovato un rapporto che confermava pienamente le sue supposizioni. I controrivoluzionari erano sicuri che l'aviazione del Governo di La Habana non esisteva praticamente più. Questo errore doveva segnare le sorti della spedizione.
Lungi dall'essere distrutta, l'aviazione di Castro era invece quasi intatta. Fin dai primi momenti, lo Stato Maggiore castrista poté disporre di due aerei a reazione, due aerei tipo Sea Fury e due B26.
Non era gran che, ma, se i controrivoluzionari lo avessero saputo, certamente non avrebbero iniziato l’operazione Pluto.

INFORMAZIONI SULL'EFFICIENZA AEREA DEI CASTRISTI TROVATE SU UFFICIALI CONTRORIVOLUZIONARI CATTURATI
Forza aerea: vedasi appendice B relativa alle informazioni sulla localizzazione e sulla capacità operativa attuale della Forza Aerea Cubana di Castro.
Appendice B: la forza aerea nemica è completamente disorganizzata e ha una scarsa capacita operativa. Dopo la drastica purga attuata da Castro nel giugno 1959, l'aviazione cubana è rimasta praticamente senza piloti allenati e senza specialisti per la manutenzione degli aerei. La forza aerea non ha squadriglie organizzate, né voli, né unità convenzionali. I decolli individuali sono controllati e disposti principalmente dal quartier generale di La Habana. La maggior parte degli aerei sono antiquati e inoperativi e ciò è dovuto alla manutenzione inadeguata e alla mancanza dei pezzi di ricambio.
I pochi aerei considerati operativi sono in condizioni di prendere il volo, ma non completamente in condizioni di combattere. L'efficacia di combattimento della forza aerea cubana è quasi inesistente. Possiede una capacità di osservazione e di preavviso limitata e potrebbe portare qualche attacco di mitragliamento contro una forza di invasione armata in modo leggero. In termini generali, caccia aerea e pattugliamento di vigilanza.

RELAZIONE SUL BOMBARDAMENTO DEGLI AEROPORTI CASTRISTI TROVATA SU UFFICIALI CONTRORIVOLUZIONARI
Rapporto della forza aerea: all'alba del giorno 15 aprile, è stato realizzato un attacco alla base di San Antonio, che ha messo fuori combattimento da 8 a 10 aerei; a Ciudad Libertad, da 6 a 8 aerei; a Santiago de Cuba, 12 aerei. Oggi è stato abbattuto un B26, n. 903, e un Sea Fury è stato avariato, fuori combattimento per una settimana almeno. Distrutto un camion rosso e bianco che conteneva da 20 a 30 uomini: da considerare che almeno 18 sono morti. Una cannoniera affondata dalla forza aerea fra Batabanó e 1'Isola dei Pini. Le nostre forze di fanteria a terra hanno abbattuto un Sea Fury, e un altro è stato colpito (correzione: un B26) lasciando cosi alla forza nemica in tutto 8 aerei a reazione, 2 Sea Fury, e da 1 a 2 B26. La nostra forza aerea ha le seguenti missioni per oggi: dalle ore 3 alle ore 4, protezione della zona di sbarco. Nella notte, 6 aerei tenteranno di distruggere il resto della forza aerea nemica
.

Quello che era accaduto era semplicissimo. Avendo pochissimi aerei a disposizione, lo Stato Maggiore di Castro si era preoccupato di non lasciarli distruggere da un attacco di sorpresa. Si era cosi studiato un sistema per nascondere e disperdere gli apparecchi fuori dai campi di aviazione, lasciando sulle piste di atterraggio carcasse di aerei in apparente buono stato e apparecchi fuori uso perché privi di pezzi di ricambio.
L'attuazione di questo piano era stata faticosa e aveva richiesto molti lavori, ma al momento opportuno si scopri che era stata utilissima. L'attacco aereo di sorpresa, a conti fatti, aveva prodotto danni più apparenti che reali. Molti degli aerei che i controrivoluzionari avevano visti distrutti dall'alto erano aerei finti. Un aereo da combattimento soltanto era stato effettivamente perduto dall'aviazione castrista nel bombardamento, sull'aeroporto di Santiago de Cuba, oltre a un certo numero di aerei civili; un altro aereo da combattimento era stato distrutto nella base di San Antonio assieme a un quadrimotore civile da trasporto. Ma ne restavano altri. A Ciudad Libertad, l'aeroporto di La Habana, non era stato colpito nessun aereo militare, ma soltanto un autocarro pieno di bombe.
Sei aerei erano in condizioni di prendere immediatamente il volo, dunque, e Castro decise di usarli con la massima energia, concentrando nello stesso tempo il maggior numero di batterie contraeree intorno agli aeroporti dai quali i sei apparecchi sarebbero decollati, per difenderli da qualsiasi attacco.
Castro chiese di sapere quanto tempo avrebbero impiegato i meccanici a tirar fuori gli aerei di riserva e a montare i pezzi staccati; e il comando dell’aviazione rispose che sarebbe occorso almeno tutto il giorno. In ogni modo, a lavoro terminato ci sarebbero stati più aerei che piloti. Castro comprese che doveva scegliere e stabilì che gli aerei avrebbero avuto come obiettivo unico le navi nemiche che si trovavano davanti a Playa Larga e a Playa Girón oltre che la testa di ponte. Per il primo giorno almeno la fanteria avrebbe combattuto senza appoggio aereo e senza artiglieria contraerea di protezione. Egli ammise che si distogliessero gli aeroplani dagli attacchi alle navi soltanto in un momento, quando fu necessario mitragliare e spezzonare i paracadutisti che tenevano la strada da Central Australia a Playa Larga e impedivano il passaggio del battaglione di allievi ufficiali della milizia di Matanzas che dovevano ricongiungersi con il battaglione di miliziani di Cienfuegos.
Vedendosi attaccati dagli aerei castristi che credevano distrutti, gli ufficiali della Brigata da sbarco compresero che la situazione si sarebbe presto fatta critica. Una serie di chiamate drammatiche parti per le basi aeree del Nicaragua. Tutto fu inutile. Era impossibile che partendo dalle basi del Nicaragua l'aviazione potesse mantenere un ombrello aereo di protezione costante sulla testa di ponte. Per poter agire efficacemente, l'aviazione controrivoluzionaria sarebbe dovuta decollare dal campo di aviazione di Playa Girón, ma questo campo d'aviazione era inutilizzabile perché si trovava sotto il tiro nemico. L'unica possibilità era che entrassero in azione gli aerei americani. Mentre sulle navi e nella testa di ponte si attendeva che la decisione politica, una decisione politica di grande importanza in verità, fosse presa, gli aerei castristi avevano già iniziato il loro lavoro.
I sei aerei avevano iniziato ad attaccare le navi e a mitragliare le lance che stavano portando a terra il materiale. Avendo le basi di decollo vicinissime, a cento chilometri, e dandosi il cambio a due a due, tennero sotto il fuoco la flotta nemica costantemente, ritardando le operazioni di sbarco. L'obiettivo principale nella prima parte della mattina furono le navi che stavano sbarcando la truppa a Playa Larga. Castro diede ordine che si impedisse a tutti i costi a questo gruppo degli invasori di far giungere rinforzi alla colonna che già stava marciando verso Central Australia, contenuta a stento dai miliziani di Cienfuegos.
Gli aerei presero ad attaccare la nave "Aguja" (il cui nome in realtà era "Houston") carica di soldati pronti a sbarcare e la costrinsero a riprendere il largo. Quel che accadde non è chiaro, ma probabilmente la nave ebbe ordine di ritirarsi dalla spiaggia per mettersi sotto la protezione di unità navali non identificate che incrociavano al largo. Ma a un miglio e mezzo dal punto di sbarco, mentre già stava avviandosi a uscire dalla Baia, la "Aguja" fu centrata da una bomba e cominciò a far acqua. La nave aveva ancora a bordo, al completo, il Quinto Battaglione della Brigata e, per evitare l'affondamento, il comandante della nave decise di arenarla.
Gli uomini del Quinto Battaglione dovettero cosi cercare scampo buttandosi in acqua e molti non arrivarono alla riva. I reparti che toccarono la costa erano decimati, quasi senza armi, senza più alcuna efficacia combattiva; in parte si trincerarono sulla costa, in parte si dispersero nella palude; comunque non poterono intervenire nella battaglia di Playa Larga nella quale il loro apporto sarebbe stato essenziale nel momento in cui si trattava di sopraffare la resistenza del battaglione di Cienfuegos.

VI
La nave "Houston", o "Aguja" che dir si voglia, aveva toccato con la chiglia il fondo della Bahía de Cochinos, e i naufraghi del Quinto Battaglione bagnati e sgomenti stavano meditando sulle imprecisioni del servizio informazione, appollaiati sulle rocce della costa est della baia. Al comando della Brigata da sbarco, a Playa Girón, si stava facendo un primo bilancio dell'operazione. Gli ufficiali commentavano nervosamente il fatto che l'applicazione del piano di sbarco fosse stata imperfetta.
Fin dall'inizio, c'erano stati degli inceppi nello svolgimento dell'operazione, mentre secondo le previsioni tutto sarebbe dovuto andare liscio, almeno nelle prime ore. La mancanza di esperienza di combattimento da parte degli uomini aveva ingigantito difficoltà minime.
Lo sbarco a Playa Larga aveva incontrato la resistenza dei trenta uomini del plotone di vigilanza, i quali avevano iniziato il fuoco con armi automatiche leggere, centrando i mezzi da sbarco prima ancora che toccassero la spiaggia. Poiché erano molto dispersi, era stato difficile localizzarli. C'era voluta almeno un'ora per assodare che quello che faceva resistenza era un piccolo reparto; il ritardo era stato fatale al Quinto Battaglione, che sarebbe dovuto scendere dalla nave "Aguja" subito dopo che avesse preso terra il Secondo Battaglione della Brigata d'invasione. Il ritardo del Secondo Battaglione nel consolidare le posizioni sulla spiaggia fece si che solo all'alba gli uomini del Quinto potessero prendere posto sulle lance. E con le luci dell'alba arrivarono gli aerei nemici. Le operazioni di sbarco dovettero essere sospese finché la nave fu colpita e, per evitare l’affondamento, fu arenata.
La perdita dell' "Aguja" e del Quinto Battaglione aveva a sua volta ritardato lo scatto in avanti del Secondo Battaglione. E quando l’avanzata verso Central Australia era cominciata sulla strada che attraversa la Ciénaga de Zapata, già il battaglione di miliziani di Cienfuegos era arrivato a pochi chilometri da Playa Larga e si disponeva a contrastare disperatamente la spinta in avanti delle truppe controrivoluzionarie. Praticamente dimezzata nelle sue forze, la colonna controrivoluzionaria aveva perso molto della sua combattività. Gli uomini combattevano malvolentieri. Erano abbastanza intelligenti per comprendere che tutta l’operazione era seriamente compromessa.
Già dalle prime luci dell'alba del 17 aprile, gli uomini del Secondo Battaglione speravano che il comando decidesse subito il reimbarco. Il Secondo Battaglione era formato quasi esclusivamente di studenti ed ex studenti delle università cattolica e di stato di La Habana, giovani in grado di analizzare le situazioni e trarne delle conclusioni; per la maggioranza essi appartenevano a famiglie ricche, non avevano alcuna vocazione eroica e molto scarsa preparazione militare. Dal comando della Brigata giunsero ripetute sollecitazioni a sbrigarsi. Il comando del Secondo Battaglione chiese rinforzi in sostituzione del Quinto Battaglione andato perduto, e gli fu promesso che una parte delle riserve disponibili sarebbero subito accorse lungo la strada costiera che corre da Playa Girón a Playa Larga, il che in seguito avvenne.
Questa strada cominciava già a essere la grande preoccupazione del comando della Brigata da sbarco. Era chiaro che se il nemico fosse riuscito a tenere aperta la strada attraverso la Ciénaga, cosa ormai molto probabile, e fosse riuscito a prendere Playa Girón, avrebbe potuto attaccare Playa Larga percorrendo la strada costiera: questo avrebbe significato il fallimento dello sbarco.
A Playa Girón, lo sbarco era stato più regolare. C'era stata anche a Playa Girón una resistenza dei plotoni di sorveglianza costiera castristi, ma i primi reparti sbarcati formati da uomini d'una certa esperienza militare non s'erano ingannati sulla consistenza reale della forza nemica, cosicché avevano potuto attestarsi e ripulire la spiaggia in breve tempo. L'unico incidente degno di nota era stato l'affondamento di uno dei mezzi da sbarco che aveva urtato contro una roccia non segnalata.
La celerità delle operazioni di sbarco aveva consentito di portare a terra tutti gli uomini prima che facesse giorno, di prendere subito l'aeroporto di Playa Girón e di spingere le pattuglie avanzate nelle direzioni previste, sulle strade che attraversano la Ciénaga de Zapata.
Anche il lancio dei paracadutisti era avvenuto regolarmente, all'alba, in tre gruppi. Il primo, come si è già detto, era sceso sulla strada da Playa Larga a Central Australia, alle spalle del battaglione dei miliziani castristi di Cienfuegos, per tagliargli la ritirata e i rifornimenti, e agevolare il Secondo Battaglione nella sua avanzata. Il luogo del lancio era stato scelto all'ultimo momento. In origine, secondo il piano di operazioni, questo reparto di paracadutisti avrebbe dovuto essere lanciato molto più a nord, ma il ritardo nello svolgimento del piano aveva indotto i capi controrivoluzionari a lanciarlo in modo che potesse attaccare subito alle spalle l'ostinato battaglione di Cienfuegos. A causa della scarsa preparazione, la zona di lancio era stata sbagliata e una parte dei paracadutisti era caduta in piena palude, affondando nel fango. Ciononostante, il reparto aveva preso possesso della strada e stava trasmettendo con la radio che si attestava a difesa in attesa di essere investito dalle sopraggiungenti colonne di miliziani castristi.
Il secondo gruppo di paracadutisti era sceso sulla strada che da San Blas va a Covadonga, e il terzo sulla strada che va da San Blas a Yaguaramás, le altre due principali vie di attraversamento della grande palude. San Blas era caduta nelle mani della Brigata. Le truppe stavano fortificando il nodo stradale di San Blas.
Su queste strade, il lancio dei paracadutisti aveva tagliato fuori piccoli reparti di miliziani contadini e carbonai che, secondo gli ordini di Castro, stavano accorrendo, a piedi, per impegnare le colonne controrivoluzionarie in avanzata. Plotoni di miliziani isolati dentro alla Ciénaga, erano stati agganciati dalle truppe controrivoluzionarie in località Cayo Ramona, ma non erano eliminabili a causa della loro estrema agilità di manovra sul terreno paludoso.
In teoria, il controllo di queste strade attraverso la Ciénaga era effettivo, tuttavia il problema era ora di sapere se ci sarebbe stato il tempo di consolidare i caposaldi all'ingresso della palude, di fortificare i punti di resistenza e operare sulla strada le distruzioni che avrebbero impedito all'avversario l’uso di truppe corazzate.
Nei piani, l’occupazione delle centrali zuccheriere di Central Australia e Covadonga era ritenuta importante. Gli edifici delle centrali, all'ingresso delle strade che attraversano la Ciénaga, potevano essere tramutati in fortilizi.
Ora, nessuna delle due centrali si trovava nelle mani dei controrivoluzionari. I paracadutisti comunicavano di trovarsi a circa un chilometro e mezzo di distanza dalla centrale di Covadonga e di avere incontrato resistenza. (In realtà la centrale di Covadonga in quel momento era difesa da soli undici uomini). Central Australia era ben lontana per il momento dall'essere investita, poiché la strada di Playa Larga era sbarrata dal battaglione di Cienfuegos.
L'aviazione stava comunicando che un intenso movimento di truppe verso il fronte era in atto nella retrovia avversaria. Mentre gli aerei di Castro attaccavano le navi, l'aviazione controrivoluzionaria doveva essere impiegata esclusivamente per appoggiare la fanteria nella sua manovra di consolidamento della testa di ponte. Il comando della Brigata di Playa Girón tempestava di avvisi radio il quartier generale dell'invasione perché si convincessero gli americani a dare il loro appoggio aereo. Era una questione di ore. O questo appoggio veniva o lo sbarco poteva essere considerato fallito.
Le navi restarono cosi senza la protezione dell’aviazione che dovette attaccare invece a terra tutti i reparti della Milizia e dell'Ejército Rebelde (Ejército Rebelde è la denominazione assunta dalle formazioni di combattenti castristi sulla Sierra Maestra. L'Ejército Rebelde inquadra oggi la truppa d'assalto in unità formate di veterani della Rivoluzione) che stavano accorrendo verso la zona dello sbarco. Gli spezzonamenti e i mitragliamenti si susseguirono nell'intento di ritardare la marcia delle formazioni castriste. La Brigata aveva bisogno di tempo per rimuovere gli ostacoli che aveva incontrato sulle strade dell'invasione e annientare i focolai di resistenza. La radio di Playa Girón stava comunicando continuamente queste difficoltà al quartier generale e informava che il nemico era assai combattivo. Le defezioni previste dal servizio informazioni non si erano affatto verificate. Esercito e milizia sembravano essere completamente fedeli a Castro.

VII
Gli annunci pessimistici della radio del comando di Playa Girón non avevano fatto molta impressione al quartier generale dell'invasione situato in un luogo imprecisato dei Caraibi, dato che alle 8:05 1'Associated Press trasmetteva la seguente notizia urgente:
"Fort Lauderdale (Florida) 17 - Due capi del movimento rivoluzionario anticastrista negli Stati Uniti, José Miró Cardona e Antonio De Varona sono in viaggio per Cuba e sbarcheranno nell'isola non appena le truppe ribelli avranno stabilito una testa di ponte. Lo hanno reso noto oggi fonti degli esiliati cubani. Cardona è presidente del movimento e De Varona è il coordinatore del Fronte Democratico Rivoluzionario".
Poco più tardi, alle 9:09, un'altra informazione dettata dal governo cubano in esilio diceva: "Washington, 17 - Gli esiliati cubani hanno dichiarato che la grande macchina che dovrà abbattere il regime di Fidel Castro è entrata in azione. Secondo gli esiliati cubani, l'invasione ha preso terra in tre punti. Gli esiliati hanno informato che le forze anticastriste che si trovano dentro Cuba hanno mantenuto contatto con i gruppi di opposizione che si trovano fuori Cuba. Poco prima che le comunicazioni telefoniche fra Stati Uniti e Cuba fossero interrotte stanotte, messaggi in codice informavano che gruppi di invasione erano giunti alla costa dell'isola sabato notte senza avere incontrato resistenza. Pare che un gruppo di invasori sia sbarcato sulla costa sud di Cuba, nella provincia di Matanzas, a Playa Larga nella Bahía de Cochinos. Le fonti degli esiliati hanno informato che questa unità ha incontrato una certa resistenza da parte delle forze castriste, ma che stava realizzando progressi. Gli esiliati hanno dichiarato che molti dei miliziani di Castro, cosi come soldati dell'Esercito e della Marina, si sono uniti agli invasori e che Santiago de Cuba, città che si trova all'estremo orientale dell'isola, potrebbe a quest'ora essere già nelle mani degli invasori".
Ma a quell'ora, parecchie cose erano già chiare a Playa Girón, e sia San Román che Artime sapevano perfettamente che a causa della breccia rimasta aperta sul fianco di Playa Larga l'invasione aveva almeno il cinquanta per cento di probabilità di terminare in una catastrofe. Essi avevano anche già comunicato i loro dubbi. Sembra quindi inspiegabile che si diffondessero queste notizie scientemente false, il cui risultato non poteva essere che quello di fare apparire in seguito più grande lo smacco degli invasori della controrivoluzione. Per tutta la giornata il mondo avrebbe ricevuto una serie di annunci strabilianti quanto infondati.
Forse le due macchine, quella bellica e quella propagandistica, procedevano ciascuna per conto proprio ma anche questo manca di una vera logica. Infatti, la macchina propagandistica era controllata dagli americani, i quali non avevano alcun interesse a che le notizie false fossero diffuse, dato che in caso di sconfitta la perdita di prestigio più grave sarebbe stata loro.
L'unica interpretazione possibile è che i controrivoluzionari responsabili e gli americani non credettero a quanto si diceva loro da Playa Girón, e ciò per un motivo: la spedizione era stata preparata con una cura meticolosa in tutti i particolari, preceduta da un lungo lavoro di informazione, di osservazioni aeree, di missioni speciali. Il risultato di questo studio complesso era stato che l’operazione era destinata a svolgersi inizialmente con il massimo di sicurezza. L'opinione dei tecnici militari era che si trattava di una faccenda che un qualsiasi reggimento di fanteria americana avrebbe sbrigato in poche ore.
Ad annientamento della Brigata concluso, Castro poté esaminare i piani operazionali della Brigata d'invasione, trovati nel Comando Brigata a Playa Girón.
Lo Stato Maggiore controrivoluzionario, vale a dire i tecnici militari americani, avevano stilato la previsione di operazioni rapide e facili, in cui l’ipotesi di una reazione nemica è appena accennata.
Ecco qui di seguito, testuale, il piano operazionale della Brigata d'invasione.

PIANO DI OPERAZIONI I-200
1) Alle ore "H" 14 si effettua un’operazione diversiva sulla costa nelle vicinanze di Santa Fé per ottenere che il nemico faccia confluire le sue forze navali, terrestri e aeree in questa zona.
La forza aerea tattica inizia le sue operazioni non appena viene occupato il campo d'atterraggio nella zona dell'operazione (Aeroporto di Playa Girón).
3) Si distruggono i principali ponti delle ferrovie e delle strade nella zona di La Habana, Matanzas, Jovellanos, Colón, Santa Clara e Cienfuegos, per isolare la zona d'occupazione delle operazioni nemiche.
4) Il gruppo da Trasporto Aereo, trasferisce elementi della Brigata alla zona dell'obiettivo per dar luogo a un lancio di paracadutisti.
5) Il Gruppo da Trasporto Marittimo trasporta e sbarca truppe della Brigata mediante operazioni anfibie.
6) Il giorno D, due navi, (il "Barracuda" e il "Marsopa") assistono lo sbarco delle truppe, con proporzionato appoggio di fuoco.

MISSIONE
Cominciando alla ora H del giorno D la Brigata inizia uno sbarco anfibio e di paracadutisti, prende, occupa e difende una testa di ponte nei settori della Bahía de Cochinos e di Playa Girón, nella Ciénaga de Zapata per stabilire una base dalla quale poter realizzare operazioni terrestri e aeree contro il Governo di Castro a Cuba.
1) Con inizio il giorno D7, la Brigata si imbarca sulle navi d'assalto in un porto base di retrovia. L'imbarco è completato alle ore 24 del giorno D4.
2) Il giorno D3 le navi d'assalto "Barracuda", "Marsopa", "Aguja", "Sardina", "Tiburón" e "Ballena" salpano dal porto base di retrovia.
3) Le navi procedono indipendentemente fino all'alba del giorno D-l; a tale ora si riuniscono per formare un convoglio di appoggio nella zona di fronte a Playa Girón. Le navi "Barracuda" e "Aguja" procedono in avanti con destinazione Bahía de Cochinos, e sbarcano le truppe imbarcate sulla nave "Aguja". Non appena iniziato lo sbarco il "Barracuda" si ritira in alto mare e pattuglia l'entrata della Bahía de Cochinos. Allorché 1’"Aguja" termina lo sbarco, si ritira; il "Barracuda" procede fino a Playa Girón e pattuglia la costa per 5 miglia a est, cannoneggiando eventuali veicoli e truppe nemiche osservati sulla strada costiera.
4) Nella zona di trasporto di fronte a Playa Girón si svolgeranno le seguenti attività:
a) Il "Tiburón" mette in mare una piccola lancia con uomini rana allenati alla demolizione sottomarina. I nuotatori procedono fino a Playa Girón per esplorare e segnalare gli accessi alla stessa.
b) Con un battaglione di fanteria, la Compagnia Carri Armati si trasferisce dalla nave "Sardina" su tre mezzi da sbarco tipo LCU, e su tre tipo LCVP; non appena il "Sardina" ha completato il trasferimento della truppa, si ritira in alto mare in attesa di istruzioni per sbarcare il carico del materiale.
c) La nave "Marsopa" si accosta alla nave "Tiburón" per prelevare un battaglione di fanteria e quindi procede al suo imbarco, seguita da un mezzo da sbarco LCVP
5) Una volta che la spiaggia è stata segnalata e le luci di posizione installate dagli uomini rana, le truppe su mezzi LCVP cominciano a sbarcare, alla ora H, a Playa Girón. I mezzi da sbarco tipo LCU sbarcano invece i carri armati e i veicoli.
6) Raggiunto il suo settore, la nave "Marsopa" sbarca truppe, e, terminato la sbarco, si ritira a Playa Girón funzionando come nave comando, per il controllo delle operazioni di sbarco.
7) All'alba si effettua un lancio di paracadutisti per occupare gli accessi alla zona della testa di ponte.
8) Una volta giunte a terra, le truppe prendono e difendono una testa di ponte secondo quanto indicato nell'Allegato B.


SCHEMA OPERATIVO
All'alba del giorno D:

Primo Battaglione (Paracadutisti)
All'ora H, una compagnia paracadutisti rinforzata discende nella zona di lancio 1 e 2 prende l’obiettivo A e stabilisce il posto avanzato n° 1 al congiungimento successivo con il Secondo battaglione, la compagnia rinforzata si aggrega a detto battaglione.
All'ora H, l’intero battaglione paracadutisti viene lanciato nella zona di lancio 3, 4 e 5, prende e difende gli obiettivi C e D, e sgombra dalle pattuglie nemiche la zona H e G, stabilendo i posti avanzati n° 2 e n° 3.
Al congiungimento del Primo Battaglione con il Quarto Battaglione, che sopraggiunge da Playa Girón, nella zona H, una compagnia fucilieri del Quarto Battaglione si aggrega al Primo Battaglione Paracadutisti.
Un plotone di cannoni senza rinculo da 75 millimetri (escluse due squadre) e un plotone mitragliatrici (escluse due squadre) si uniscono allo stesso battaglione.

Secondo Battaglione (rinforzato)
All'ora H sbarca sulla Playa Larga, si riunisce con una compagnia rinforzata del Primo Battaglione nella zona di lancio n° 1. Una compagnia del Primo Battaglione si aggrega al Secondo Battaglione a ricongiungimento avvenuto.
Occupa e difende l’obiettivo A e il posto avanzato.

Terzo Battaglione
All'ora H sbarca a Playa Girón, occupa e difende gli obiettivi E ed F, e stabilisce i posti avanzati 7 e 8.

Quinto Battaglione
Sbarca sulla Playa Larga immediatamente dopo il Secondo Battaglione.
Occupa e difende la zona costiera nel settore.
Stabilisce il posto avanzato n° 4.
Stabilisce contatto con il Secondo Battaglione, nella zona di lancio n° 1 alle ore 06:00 del mattino del giorno D+1. Deve mantenersi pronto a rinforzare il Secondo Battaglione qualora questo fosse attaccato.

Sesto Battaglione
Sbarca a Playa Girón immediatamente dopo il Battaglione Cannoni. Occupa e difende il campo di aviazione a Playa Girón e la zona costiera di questo settore. Rileva il Quarto Battaglione nel compito di protezione del Posto di rifornimento della Brigata. Dà assistenza alle operazioni di sbarco. Non oltre il giorno D+1, il battaglione, esclusa una compagina, si trasferisce nella zona di riunione. Rinforza i posti avanzati n° 5 e 6, e si prepara a occupare le posizioni J e K. Una compagnia continua ad aiutare le operazioni di scarico a Playa Girón.

Compagnia Carri Armati (rinforzata con una squadra fucilieri del Quarto battaglione)
All'ora H sbarca mediante mezzi da sbarco LCU a Playa Girón. Nell'atto stesso dello sbarco, un carro con gli elementi di una squadra fucilieri, si dirige seguendo la strada costiera verso la zona tenuta dal Terzo Battaglione e gli si aggrega
Due carri armati si uniscono a una compagnia del Quarto Battaglione. I carri armati e la compagnia di fanteria raggiungono il Primo Battaglione nella zona H. Raggiunta la zona dei carri armati, la compagnia rientra a Playa Girón restando di riserva.

Battaglione Cannoni (escluse due squadre di cannoni senza rinculo da 75 millimetri e due squadre di mitragliatrici)
All'ora H sbarca con mezzi LCVP e LCU, a Playa Girón subito dopo il Quarto Battaglione. Una compagnia di mortai 4,2 concede il proprio appoggio al Primo e al Terzo Battaglione. Un plotone di cannoni senza rinculo da 75 millimetri si aggrega al Primo Battaglione. Ugualmente un plotone di mitragliatrici si aggrega al Primo Battaglione.

Quarto Battaglione (motorizzato, con esclusione di una squadra cannoni)
All'ora H sbarca a Playa Girón e scarica il materiale contenuto negli automezzi, stabilendo il posto rifornimento della Brigata, assicurandone la protezione fino al momento in cui non viene rilevata dal Sesto Battaglione. Una compagnia, rinforzata da due carri armati, si trasferisce su autocarri nella zona di congiungimento, zona H, con il Primo Battaglione, aggregandosi a quest'ultimo. G1i automezzi tornano al centro controllo del Quarto Battaglione.
Il Battaglione Motorizzato resta in condizioni di riserva sul campo di aviazione di Playa Girón, e si tiene pronto a eseguire un contrattacco e a correre di rinforzo nei vari settori di operazione. Deve ugualmente tenersi pronto a distaccare pattuglie motorizzate.


PIANO AMMINISTRATIVO I-400 CHE ACCOMPAGNA IL PIANO DI OPERAZIONI I-200 IN RIFERIMENTO ALLA CARTA DEL PIANO D'OPERAZIONE PLUTO
1) Fonte di approvvigionamento navi della Brigata, operanti dalle basi logistiche della Brigata.
2) Codice dei colori:
a) Rosso: rifornimenti relativi al periodo da D a D+10. Tonnellaggio totale 415. A bordo della nave "Ballena". Scarico: immediatamente dopo lo sbarco della truppa.
b) Azzurro: rifornimenti per il periodo da D+11 a D+20. Tonnellaggio totale: 530. A bordo della nave "Atun". Scarico: dopo lo sbarco del materiale rosso.
c) Verde: rifornimenti per il periodo D+21=D+30. Tonnellaggio totale 607. Resta in attesa nelle basi logistiche della Brigata. Trasporto programmatico per via aerea e marittima, a cominciare dal giorno D+21.
d) Bianco: munizioni per le armi montate sulle navi. Tonnellaggio totale 25.
e) Giallo: rifornimenti che potranno essere richiesti al di 1à del periodo di 30 giorni, bastanti per 10 giorni: 887,8 tonnellate.
f) Nero: armi per reparti di guerriglia, e alleati che dovessero cooperare e unirsi alla Brigata. Consistono di armi, munizioni ed equipaggiamento per comunicazioni. Armi per 1000 uomini caricate sulle navi "Marsopa" e "Barracuda". Armi per altri 2000 uomini, caricate sulla nave "Tiburón". Armi per altri 5000 uomini disponibili per essere trasportate per via aerea o marittima al momento in cui fossero richieste
.

Questi erano i piani relativi allo sbarco della Brigata d'invasione, redatti secondo il tipico stile dei "marines". Sono state qui omesse le parti che riguardano la distribuzione, l'evacuazione dei feriti, la circolazione della zona d'operazioni, i servizi ausiliari. Tutto esattamente previsto, ogni problema pienamente risolto, nulla lasciato al caso.
Ma già dieci ore dopo che il convoglio era entrato in vista della costa della penisola di Zapata, tutti gli uomini dell'invasione erano già convinti che c'era qualche cosa di sbagliato nel piano. L'errore stava nell'aver concepito il piano come una pura e semplice passeggiata militare.

VIII
Le truppe castriste stavano marciando da tutte le province vicine verso la zona di operazioni per partecipare alla battaglia di annientamento della Brigata controrivoluzionaria di invasione. Il 17 aprile fu una giornata particolarmente calda nell'isola di Cuba, e il caldo rendeva più faticosa la marcia.
Lo Stato Maggiore, non potendo ancora disporre di tutti gli aerei necessari perché i meccanici li stavano montando, ordinò che le armi pesanti e i carri armati, salvo le unità di impiego urgente, fossero trasportati dalle basi fin nei pressi delle vie di grande comunicazione ma restassero al coperto fino al tramonto per sottrarsi all'osservazione aerea e al bombardamento dell'avversario.
Non v'era praticamente alcun reparto di cannoni pesanti, di carri armati pesanti e medi nei dintorni della Ciénaga de Zapata, e questo in altre condizioni avrebbe potuto essere un errore fatale. Certamente il nemico era bene informato di ciò, come si poté poi notare analizzando i suoi piani vuoti di precauzioni.
L'eroismo del battaglione di Cienfuegos, la rapidità della intuizione di Fidel Castro, la manovra fulminea del battaglione di allievi ufficiali della Milizia di Matanzas, permisero di rovesciare una situazione che, nelle prime ore dello sbarco, si era presentata molto difficile.
Sapeva il servizio informazioni del Governo di La Habana ciò che stava per accadere? Perché non aveva predisposto mezzi sufficienti nelle vicinanze della Ciénaga de Zapata?
Il governo rivoluzionario aveva ricevuto notizie abbastanza precise su ciò che stava preparandosi. Sapeva anche che i controrivoluzionari avevano esagerato il numero dei soldati che dicevano di aver reclutato. Avevano parlato di cinquemila uomini, ma il nucleo pronto a entrare in azione era molto minore, non poteva superare le duemila unità. I più preparati erano quelli che si trovavano in Guatemala.
La preparazione di questa forza nemica era stata oggetto di studio da parte dello Stato Maggiore, già nove mesi prima. Castro, a quell'epoca, aveva pienamente convenuto sulla logicità delle conclusioni dello Stato Maggiore sulle intenzioni del nemico. Era probabile che quelle truppe dovessero essere allenate per uno sbarco all'Isola dei Pini.
Occupando 1'Isola dei Pini e liberando le varie migliaia di prigionieri custoditi nelle fortezze del l'isola, quasi tutti prigionieri politici, il comando controrivoluzionario poteva avere tre scopi:
1. Disporre immediatamente di gente ben disposta a lottare contro Castro, con cui ingrossare le file dell'esercito di invasione.
2. Conquistare una zona del territorio nazionale abbastanza vasto e abbastanza lungo per potervi insediare un "governo" provvisorio. La difficoltà maggiore dei controrivoluzionari doveva essere quella di non avere alcuna base territoriale, essendo per tanto obbligati a operare dal Guatemala, dal Nicaragua o dagli Stati Uniti, vale a dire da territorio straniero, incorrendo nella violazione di norme internazionali e agendo nell'illegalità. Nessuna nazione al mondo poteva ufficialmente approvare l'esistenza di basi militari su territorio nicaraguense e guatemalteco per attaccare Cuba, né tantomeno riconoscere un "governo" cubano in esilio su questa base. La cosa però avrebbe cambiato aspetto ove in un modo qualsiasi l'esercito di questo "governo" in esilio si fosse impadronito di una parte del territorio nazionale. In questo caso, alcune nazioni avrebbero potuto riconoscere questo "governo" e prestargli aiuto. Certamente l'avrebbero fatto almeno quattro stati: Nicaragua, Guatemala, Panama e Stati Uniti.
3. Una volta presa l'isola difficilmente l'esercito di Castro avrebbe potuto riconquistarla; non avendo una marina da guerra né un'aviazione sufficiente, tanto più che immancabilmente; a conquista avvenuta dell'Isola dei Pini, il nemico avrebbe potuto ottenere l'appoggio diretto della marina e delle aviazioni "amiche"
Dall'Isola dei Pini il governo controrivoluzionario avrebbe potuto poi fare una politica più libera e attiva, e iniziare una guerra di logorio contro Castro, con bombardamenti quotidiani di Cuba, paralizzando l'attività economica nell'Isola. Questa era la strategia avversaria. Più tardi venne la conferma che il nemico stava frettolosamente preparando il colpo di mano contro 1'Isola dei Pini, e Castro decise di premunirsi, ordinando che si facesse subito dell'Isola dei Pini una roccaforte imprendibile.
A cominciare dall'estate 1960, l'isola fu fortificata con trincee, cannoni pesanti, unità di fanteria, batterie di mortai, cannoni anticarro senza rinculo, mitragliere antiaeree a quattro canne, e artiglieria antiaerea pesante, in modo tale che l’isola divenne praticamente invulnerabile. Per attaccarla, il nemico avrebbe dovuto impiegare un esercito enorme, mezzi navali molto numerosi, un grande numero di aerei, con scarsa probabilità di potervi metter piede. Il risultato della mossa di Castro fu che la Central Intelligence Agency americana sconsigliò vivamente l'operazione militare contro 1'Isola dei Pini e il "governo" cubano in esilio decise di desistere dal proposito.
Il problema se il servizio segreto americano era male, oppure bene informato, sulla reale efficienza difensiva delle truppe di Castro, resta quanto mai aperto dopo di ciò. È strano che gli americani fossero bene informati su quanto accadeva nell'Isola dei Pini, e male informati su quanto avrebbe potuto accadere a Cuba.
Mi sembra assai più probabile che il servizio segreto americano fosse perfettamente informato che i miliziani erano molto bene armati, con artiglieria, obici, mortai pesanti, carri armati e mitragliere da 50 e da 30 millimetri, e che il loro spirito combattivo era alto.
La mia opinione è che un servizio segreto esperto, come quello americano, non abbia potuto prendere eccessivamente sul serio le informazioni ottimistiche fornite dai gruppi controrivoluzionari che preconizzavano la ribellione e la resa praticamente immediata dell’avversario.
Palesemente, Allan Dulles e i suoi collaboratori conoscevano esattamente che se si fosse trattato di stare a osservare come andavano a finire le cose in uno scontro diretto fra castristi e anticastristi era più che certo quale poteva essere la fine del dramma. Non c'era nessuna possibilità che i controrivoluzionari potessero piegare da soli Castro sul piano militare e politico. La Central Intelligence Agency non credette a una sola parola delle relazioni che informavano che 1'Ejército Rebelde e la Milizia castrista si sarebbero battuti fiaccamente o addirittura si sarebbero arresi.
I veri agenti segreti americani dovettero fornire ben altre informazioni, agli uffici di Washington sul come sarebbero andate le cose, informazioni delle quali deriva la logica dell'operazione nella Ciénaga de Zapata.
Sfumata la conquista dell'Isola dei Pini, i controrivoluzionari avevano cercato di fortificare i gruppi ribelli che operavano sulle montagne dell'Escambray. La Central Agency aveva fornito il suo appoggio al piano, lanciando per via aerea armi, munizioni e viveri ai partigiani. Qui la teoria era che si potesse stabilire una base solida intorno all'aeroporto di Trinidad. Ma nel dicembre 1960 e nel gennaio 1961, Castro lanciò un’offensiva massiccia contro i controrivoluzionari dell'Escambray, riuscendo a liquidarli quasi completamente.
Nel corso dell'esperienza Escambray, il cui unico risultato era stato quello di riempire di controrivoluzionari i campi di concentramento e le prigioni, e creare all'interno dell'isola un clima di tensione e di mobilitazione a favore del governo di Castro, il servizio segreto americano comprese perfettamente almeno due fenomeni:
1) Non c'era stato che un debole appoggio di una parte della popolazione ai ribelli;
2) Castro possedeva una forza militare vera e propria, bene allenata, entusiasta ed efficiente.
Dopodiché, gli ufficiali del C.I.A. di Washington ebbero la certezza matematica che la soluzione al problema di Cuba, dal loro punto di vista, non poteva risiedere che in una operazione militare che avesse le seguenti caratteristiche:
1) Impiego di una aliquota di uomini bene allenati, non essendo possibile reclutare un grosso esercito di cubani veramente pronti a battersi. Si potevano mettere assieme forse duemila uomini, certo non di più.
2) Assoluta sorpresa iniziale, su terreno senza difesa.
3) Facile difesa del territorio conquistato, per il tempo necessario a giustificare l'insediamento di un Governo, il quale richiedesse immediatamente l’intervento delle truppe amiche.
4) A breve distanza dallo sbarco, impiego dì "marines" quali "truppe amiche" in misura considerevole, con l'appoggio più ampio dell'aviazione americana.
Questo era il solo modo per tentare la riconquista di Cuba: restringere l'azione dei cubani a uno sbarco rapido, di sorpresa, senza troppo pericolo. Dopodiché, create le premesse politiche necessarie, dovevano entrare in azione i "marines". Per creare le premesse politiche, sarebbe stato sufficiente un sommovimento interno bastante per proclamare di fronte al mondo che l'opinione pubblica cubana ne aveva abbastanza di Castro. Per questo non sarebbe stato necessario che il popolo scendesse in piazza a lato dei controrivoluzionari, ma che vi scendessero un certo numero di squadre d'azione armate e attrezzate per un lavoro terroristico. Ciò non avrebbe potuto servire a liquidare Castro all'interno, ma almeno a creare quello stato di confusione che avrebbe ritardato la mobilitazione dei miliziani e della difesa contro lo sbarco. Inoltre, avrebbe comportato, da parte di Castro, l’impiego di molta truppa per mantenere l’ordine nelle città e nei paesi, e il fronte dello sbarco ne sarebbe stato alleggerito.
In questo modo il piano era abbastanza ragionevole. Più o meno si erano svolte in questo modo le cose in Spagna nel 1936, quando Franco occupò un tratto del territorio nazionale venendo dal Marocco, e quindi 1'Italia e la Germania gli mandarono navi, armi e uomini. Il servizio segreto americano partiva dal presupposto che i controrivoluzionari non avrebbero potuto costituire un vero pericolo per Castro neppure con tutti gli aiuti immaginabili.
Quindi, l’attenzione del tecnici del servizio segreto americano si era concentrata nel localizzare in Cuba un luogo in cui poter impiegare un corpo di spedizione della forza di un reggimento, con la certezza tecnica di poter difendere la posizione conquistata. Per questo pretesero che la composizione della forza combattente controrivoluzionaria cubana, fornisse loro le necessarie garanzie umane. I funzionari della Central Intelligence Agency erano convinti che degli intellettuali si sarebbero battuti più coraggiosamente e più tenacemente, in quanto sorretti da una spinta idealistica. Ciò spiega la composizione sociale del corpo di spedizione, che esamineremo in seguito.
Per maggior garanzia, i soldati allenati allo sbarco furono isolati e sottoposti a un brutale "training" propagandistico adatto a creare il clima di fanatismo utile a un’operazione del genere.
Ciò in pratica non risultò affatto producente. L'eccessivo ottimismo con cui i soldati controrivoluzionari scesero a terra, fu la prima causa del loro rapido crollo psicologico.
Il Governo di La Habana, dal canto suo, dopo la vittoria dell'Escambray, non era più ben sicuro di quale sarebbe stata la prossima mossa del nemico se avrebbe attaccato in forze, o non avrebbe invece fatto sbarcare una serie di piccoli gruppi di 200 o 300 uomini ciascuno in punti differenti dell'isola, riservandosi di appoggiare ulteriormente quello che avesse incontrato minor resistenza. Perciò, lo Stato Maggiore dell'Ejército Rebelde e della Milizia avevano studiato una dislocazione delle forze idonee a controllare tutti i punti probabili di sbarco, gli accessi alle zone montagnose, e che permettesse di attaccare rapidamente i controrivoluzionari ovunque fossero sbarcati.
La tattica degli sbarchi multipli, che avrebbe permesso ai controrivoluzionari di affermare sul piano della propaganda internazionale, che nemici di Castro erano un po' dappertutto, parve decisamente la più probabile allo Stato Maggiore di La Habana. Tra l’altro la sconfitta diluita in tanti piccoli insuccessi sarebbe stata meno grave per i controrivoluzionari che uno smacco massiccio. Castro stesso non riteneva credibile che gli americani avrebbero dato il loro assenso a un’impresa che comportasse la probabilità di una sconfitta totale, per timore di un contraccolpo politico, nell’America Latina, nel mondo, con una perdita di prestigio e danni conseguenti. Uno dei posti in cui il Governo di La Habana si attendeva meno uno sbarco, era proprio la Ciénaga de Zapata.
Intorno al 5 aprile erano giunte a Cuba notizie che il nemico si stava imbarcando in Guatemala, e che il corpo di spedizione era in movimento. Nell'imminenza dell'attacco la vigilanza su tutte le coste fu rinforzata, e in questa occasione furono spediti alcuni plotoni di osservazione anche sulla Ciénaga di Zapata.
Il 14 aprile, sul far della sera, fu segnalato dalla ricognizione un movimento di navi in alto mare, e in base a certe notizie provenienti dalla provincia di Oriente su un certo nervosismo regnante fra i gruppi controrivoluzionari, lo Stato Maggiore delle Forze Rivoluzionarie di Castro dichiarò il preallarme, e a partire dalla mezzanotte lo stato di allarme permanente. Castro raggiunse la sede dello Stato Maggiore per dirigere le operazioni personalmente. Era ormai chiaro che, da un momento all'altro, si sarebbe visto quali fossero le vere intenzioni dell'avversario.
Nella notte fu annunciato da Oriente che un naviglio di piccolo tonnellaggio si trovava di fronte a Baracoa. Immediatamente fu disposta una concentrazione di mezzi in quella zona. Già esisteva sul posto uno schieramento piuttosto robusto: un battaglione di fanteria schierato fra Baracoa e Moa, rinforzato da batterie di mortai e di anticarro. Come misura suppletiva si ordinò alle batterie di cannoni pesanti di avvicinarsi alla costa dalle loro basi situate al centro dell'isola per battere il naviglio da sbarco quando fosse stato in vista.
Le misure ordinate da Castro erano piene di cautele, poiché era prevedibile che il nemico avrebbe tentato qualche manovra diversiva, e prima di agire bisognava individuare i veri e più importanti movimenti del nemico. Nei giorni precedenti, i mezzi d'osservazione della marina e dell'aviazione avevano osservato un grande movimento di navi americane al largo. Avvicinandosi alla costa, e poi allontanandosi velocemente, le navi cercavano di creare disorientamento e tensione nei servizi di vigilanza costieri. C'era stato anche un mezzo incidente con una cannoniera americana che s'era avvicinata alla costa pur restando fuori delle acque territoriali cubane, senza alcuna bandiera né segno di riconoscimento. Una motosilurante cubana s'era avvicinata per intercettarla e subito all'orizzonte erano apparse altre navi americane e aerei, e la motosilurante aveva ricevuto l'ordine di ritirarsi.
Quasi costantemente negli ultimi giorni erano state segnalate navi americane al largo della Costa settentrionale cubana, di fronte a La Habana e a Pinar del Río, a una distanza dalle 8 alle 10 miglia da terra.
Nella notte dal 14 al 15 Castro ordinò che un aereo si levasse per controllare la situazione della presunta flottiglia da sbarco nemica, ma il pilota comunicò che non poteva distinguere nulla. Disgraziatamente l’aereo si incendiò improvvisamente, a tre miglia dalla costa, e scomparve in mare. Per tutto il resto della notte, l'attesa fu vana.
L'atteso sbarco a Baracoa non si verificò affatto.
Il movimento di navi osservato da terra si dissolse nel nulla nel corso della notte. All'alba, il mare risultò sgombro. Castro e il suo Stato Maggiore stavano considerando che cosa quel singolare avvenimento potesse significare e aspettando notizie quando, alle 6 della mattina del giorno 15 aprile, sabato, un B26 sorvolò La Habana e pochi minuti dopo si udì la deflagrazione delle bombe e il tipico rumore secco dell'artiglieria contraerea. Dopo pochi minuti squillò il telefono e giunse la notizia che l'aeroporto di Ciudad de La Habana, era stato attaccato e bombardato. Sopraggiunse un altro B26, che lasciò cadere altre bombe.
Castro e i suoi ufficiali si guardarono in faccia, Castro era pallido e aveva l'espressione preoccupata.
Fece chiamare al telefono subito gli aeroporti di San Antonio e di Santiago de Cuba, e seppe che simultaneamente anche questi due aeroporti erano stati attaccati. Ciò poteva avere un solo significato. Era l'aggressione. Ormai sapeva che sarebbe avvenuto entro poche ore, ma non sapeva dove. Per dare risposta a questa domanda doveva attendere, come abbiamo visto, due sole notti.

IX
Impartiti gli ordini di mobilitazione generale, Fidel Castro fin dal mattino del 17 si trasferì al fronte. I membri del Governo avrebbero preferito che il Primo Ministro restasse a La Habana e dirigesse le operazioni da dietro un tavolino. Castro aveva invece deciso di partire subito e s'era fatto preparare una jeep con una scorta. Gli sembrava ridicolo restare nella capitale, mentre il nemico era sbarcato. Due anni di Governo non hanno sopito gli istinti del rivoluzionario, come ai tempi della Sierra Maestra, Castro è sempre pronto all'azione. Inoltre era sdegnato, furente, e per niente al mondo avrebbe rinunciato a esserci di persona in quei combattimenti.
Arrivò a Central Australia a giorno fatto e insediò il suo Quartier Generale nella palazzina dell'amministrazione. In quel momento la situazione non era affatto chiara, e il nemico stava marciando verso Central Australia sulla strada che veniva da Playa Larga. Castro aveva deciso tuttavia di attendere lì l’arrivo dei rinforzi, poiché quello era il punto più delicato del fronte; e con il telefono e le radio portatili si informava e ordinava i trasferimenti.
Alle spalle della Ciénaga de Zapata si stavano intanto mettendo in azione due distinte forze militari. L'una accorreva nella zona delle operazioni, l'altra era organizzata a difesa dei nodi stradali e degli obiettivi strategici per l'eventualità che l'invasione della Ciénaga fosse stata seguita da altri sbarchi. Già al primo mattino, dopo appelli della radio, la situazione all'interno del paese era rivelatrice del fatto che il popolo si disponeva a lottare. Il Paese si era messo da solo in stato di assedio, e i controrivoluzionari erano rimasti paralizzati. Gli operai e i contadini avevano risposto alla chiamata, scendendo nelle strade vestiti nelle uniformi di miliziani, armati, calmi, per le strade delle città e dei paesi, a partire dall'alba, era un andirivieni di soldati; transitavano in ogni senso camion, trasporti, carri armati, traini di cannoni anticarro, plotoni di miliziani e di miliziane. La Habana e le città costiere erano trasformate in campi trincerati. Ovunque si scavavano trincee e si riempivano sacchetti di sabbia. Ogni angolo di strada veniva sistemato a difesa; si piazzavano le mine anticarro.
Castro fu informato a Central Australia della reazione del popolo all'invasione e ne fu visibilmente rallegrato. I suoi occhi erano umidi di gioia.
Resosi conto con i suoi occhi della situazione, cominciò a dare le disposizioni che dovevano permettere di annientare in poche ore il corpo di spedizione avversario. La situazione ormai non poteva più cambiare, a meno che non si verificasse un nuovo sbarco. Ma le informazioni lo escludevano. Le truppe impiegate dal nemico erano le migliori che avesse. Alcune migliaia di elementi raccogliticci, non del tutto allenati e addestrati, e male armati, si trovavano ancora nei campi del Guatemala e del Nicaragua, ma non potevano essere di alcuna efficacia militare in una situazione difficile. L'unica possibilità che gli invasori avevano di cavarsela, in quel momento Castro ne era già certissimo, era un aiuto diretto degli americani, ma le notizie che i suoi collaboratori gli davano da La Habana, sulla reazione nel mondo alla notizia dell'invasione, tendevano a escludere questa possibilità. L'ambasciatore russo aveva annunciato una dichiarazione pubblica di Krusciov. L'ambasciatore cinese aveva comunicato "lo spirito di concreta collaborazione del Governo della Cina nei confronti di Cuba nel presente momento". Questo a Castro bastava. Gli Stati Uniti non avrebbero mosso un dito.
A mezzogiorno di lunedì 17 aprile 1961 questi erano i discorsi che si udivano nei cortili della centrale zuccheriera di Australia fra gli ufficiali della milizia e dell'Ejército Rebelde: poco prima Castro aveva tenuto una breve riunione di Governo; aveva parlato brevemente muovendosi a grandi passi da un lato all'altro della stanza, toccandosi di tratto in tratto la barba, agitando le braccia per sottolineare il senso delle parole. Era calmo. Aveva anche scherzato. La riunione è stata udita da tutti poiché la porta della sala era aperta.
Castro aveva comunicato la sua convinzione tecnica di poter vincere rapidamente quella battaglia. La sua prima intuizione del problema si era rivelata esatta. Già in quel momento la situazione del nemico era critica, poiché non si erano verificati i tre presupposti fondamentali della sua azione:
1) L'occupazione totale della Ciénaga de Zapata e il controllo integrale delle vie di comunicazione attraverso la palude non erano state raggiunte. La resistenza del battaglione di Cienfuegos aveva lasciato aperta la strada diretta alla stessa base di sbarco dell’avversario.
2) Non c'era stata alcuna sollevazione di alcun genere all'interno del Paese, e il Governo controllava la situazione, essendo cosi in grado di concentrare tutti i mezzi necessari contro lo sbarco della Ciénaga, il morale delle truppe combattenti era altissimo e ciò aveva costituito una deludente sorpresa per il nemico. Come avevano dichiarato i primi prigionieri, essi si attendevano una resa generale quasi immediata, il delinearsi della sconfitta prevedibilmente avrebbe ridotto la combattività dell'avversario, la cui omogeneità ideologica era dubbia.
3) Il nemico non aveva il controllo totale dell'aria. La presenza di aerei castristi in efficienza aveva permesso l’affondamento di una nave e impedito lo sbarco di un battaglione, rallentato le operazioni di consolidamento della testa di ponte, impedendo che il piano nemico fosse messo in atto in tutte le sue parti e con la dovuta rapidità. Il nemico aveva potuto occupare solo una parte del territorio che si era ripromesso di prendere, e stabilire solo una parte dei capisaldi a difesa che avrebbero dato maggiori probabilità di riuscita all'invasione.
Alle 3 del pomeriggio, la colonna formata dal battaglione allievi ufficiali della milizia di Matanzas, da un altro battaglione di fanteria di Matanzas, da carri armati, mortai e bazookas dopo aver spezzato la resistenza dei paracadutisti, aveva raggiunto il battaglione dei miliziani di Cienfuegos, ormai ridotti allo stremo delle forze, e gli aveva dato il cambio. Con l'arrivo della colonna di rinforzo, il principale problema era risolto. I miliziani tenevano ormai una delle strade di attraversamento della palude, e spingevano le loro posizioni nel cuore stesso dello schieramento nemico.
Nel tardo pomeriggio, dopo breve preparazione di artiglieria di piccolo calibro e mortai pesanti, i miliziani passarono all'attacco sulla strada di Playa Larga, tentando di fare indietreggiare il nemico. I controrivoluzionari fecero intervenire l'aviazione, senza della quale la situazione si sarebbe fatta critica. I B26 spezzonarono per tutto il resto del pomeriggio gli allievi ufficiali miliziani obbligandoli a segnare il passo. Il battaglione doveva attaccare su una strada stretta, in un luogo in cui la palude lambiva praticamente la strada, e gli aerei avversari mitragliavano continuamente quella strada.
Fu un combattimento durissimo. I controrivoluzionari impiegarono tutte le armi pesanti in dotazione, costringendo i miliziani, per evitare il concentramento del fuoco su di loro, anche da parte dell'aviazione, ad avvicinarsi il più possibile al nemico. Sul resto del fronte, i castristi non avevano potuto impedire al nemico di conseguire i primi obiettivi; salvo il fatto che i rinforzi erano riusciti ad arrivare in tempo per impedire ai paracadutisti controrivoluzionari di occupare la centrale zuccheriera di Covadonga e un battaglione di fanteria teneva la linea a 5 chilometri dagli edifici dell'industria, sulla strada per Playa Girón.
Su tutte le altre possibili direttive di marcia degli invasori, reparti di miliziani, attestati solidamente a difesa, ne impedivano l’avanzata. Intorno a tutta la Ciénaga de Zapata, il cerchio era stretto. Dalle basi più lontane, stavano accorrendo i reparti d'attacco dell'Ejército Rebelde e della Milizia, l'artiglieria pesante, i battaglioni corazzati e l'artiglieria contraerea. Attendevano l’imbrunire per prendere posizione, allo scopo di sottrarsi agli attacchi aerei. Lo Stato Maggiore aveva dato questo ordine, per precauzione.
Non si voleva rischiare nulla.
Il lavoro che in quello stesso pomeriggio svolse l’aviazione cubana governativa fu veramente straordinario. Ciò che realizzarono i pochissimi piloti castristi fu una vera prodezza. Senza possibilità di riposo né di sostituzione alcuna, con aerei vecchi e logori, dall'alba al tramonto, attaccarono incessantemente le navi e le imbarcazioni nemiche davanti a Playa Girón. Nel pomeriggio, l’aviazione controrivoluzionaria fu chiamata a proteggere le navi. Per lunghe ore, sulla flotta, fu un continuo duello aereo.
La prima perdita dell'aviazione castrista fu un "Sea Fury" pilotato dall'ufficiale dell'aviazione rivoluzionaria Ulloa, abbattuto da due B26. Un altro aereo si inabissò in mare, colpito dal fuoco antiaereo di una delle imbarcazioni. Nonostante le perdite, l’aviazione cubana insisté nell'attacco alle navi, e alla fine della giornata aveva affondato 4 navi, lasciando al nemico solo 2 grosse navi e un certo numero di mezzi da sbarco.
Questa era, dunque, la situazione al termine della prima giornata di combattimenti. Un bilancio nettamente positivo per le forze castriste, pieno di amare sorprese per i controrivoluzionari. Esso poteva essere cosi riassunto:
1) la brigata da sbarco aveva perduto più di metà della flotta d'appoggio con la maggior parte del materiale;
2) l'aviazione castrista, lungi dall'essere distrutta, era perfettamente operante;
le truppe di Castro tenevano una posizione ferma entro la Ciénaga de Zapata, sulla strada da Australia a Playa Larga, a meno di 10 chilometri dalla spiaggia.

X
La notte dal 17 al 18, Castro stabilì il suo comando nella palazzina dell'amministrazione di Central Australia. Erano con lui Osmany Cienfuegos e altri ufficiali dell'Ejército Rebelde. Castro aveva chiesto un silenzio assoluto. Era stato tutto il pomeriggio al fronte, ed era rientrato al comando per organizzare l'attacco definitivo per l'alba.
Castro chino su una carta della Ciénaga de Zapata dava gli ordini. Si udivano sulla strada i rumori dei convogli di autocarri che portavano i rifornimenti al fronte, le colonne dei battaglioni di rinforzo che accorrevano, il cigolio dei carri armati e dei trattori che trascinavano i pezzi d'artiglieria pesante. Più che del generale, Castro aveva l'aria di un professore di università. Ascoltava le notizie al telefono, scrivendo brevi note su foglietti che passava ai suoi aiutanti a destra e a sinistra. Al telefono Fidel Castro parlava con voce ferma, pacata, senza alzare mai il tono, senza irritarsi mai. Gli ufficiali che venivano dalla linea gli portavano gli ultimi particolari. Castro li interrogava chiedendo sempre nuove precisazioni. Nella elaborazione dei piani d'attacco egli è sempre meticolosissimo: non trascura nessun particolare, non lascia nulla al caso. Anche nella Sierra Maestra, le azioni di guerriglia venivano da lui studiate con la massima precisione.
Castro chiamava al telefono i comandanti dei battaglioni, per informarli sull'andamento delle operazioni e sul comportamento delle truppe.
–– È un combattimento duro. Fernández si sta battendo come un leone contro il nemico. Vedremo quel che accadrà domani, sì … vedremo domani.
Non dubitava minimamente del successo, ma non voleva farlo sapere. È un ottimista nato, ma non gli piace di sembrarlo. Diceva a tratti: "Vamos a ver", vedremo.
A un certo momento, passò l’ordine alle truppe che si trovavano in una certa posizione di attestarsi a difesa. Gli comunicarono che in linea non c'erano né pale né picconi per scavare una buca. Castro chiamò il comandante del reparto al telefono.
–– E con che cosa scavavamo le buche nella Sierra Maestra? Per caso avevamo pale e picconi? No. Eppure le buche si scavavano … Andiamo, si scavino quelle buche.
Dispose per le cinque e mezzo esatte un attacco aereo sulla testa di ponte nemica. Gli aerei dovevano attaccare dal mare l’avversario a Playa Girón.
In silenzio, tracciava dei piccoli segni sulla carta topografica, analizzando le caratteristiche del terreno sul quale si sarebbe svolto il combattimento. Ogni tanto traeva le sue conclusioni a voce alta.
Esaurito l’esame della situazione di un settore, passava a considerarne un altro. Gli ufficiali attendevano in piedi, attorno al tavolo le disposizioni.
– Domattina bisogna prendere Playa Larga.
– Sarebbe bene mandare truppe attraverso Cayo Ramona per tagliare loro la ritirata attraverso la laguna. Dì, Borges, chi credi che potremmo mandare (Borges, ufficiale della milizia, nella vita civile è medico dentista) al fronte, truppe della riserva? Il 111° Battaglione?
Non attese la risposta. Tornò a rivolgersi allo stesso ufficiale.
– Credi che potresti andare, dentista? Si, certo … .
– E tu, Masiques, la tua gente cammina? Sì cammina, stanno marciando ora.
Castro spostò la sua matita su un altro settore della carta e concluse:
– Dai, allora.

XI
Alle 00:10 della notte fra lunedì 17 e martedì 18, esattamente 24 ore dopo la comparsa della flotta nemica nella Bahía de Cochinos, l’artiglieria castrista apri il fuoco su Playa Larga e sulle posizioni controrivoluzionarie che difendevano la testa di ponte in questo settore dando agli invasori il segnale del principio della fine. In questo settore, la Milizia e 1'Ejército Rebelde avevano concentrato una batteria di obici da 122, e 8 batterie di artiglieria contraerea, una batteria di cannoni da 37, una batteria di bazookas e una colonna di fanteria d'assalto. Un diluvio di colpi di tutte le armi pesanti dei castristi investì i controrivoluzionari da mezzanotte all'alba; la batteria di obici da 122 batteva la spiaggia. Alle prime luci, fu lanciato un attacco di carri armati, con l'appoggio dell'artiglieria. Un carro armato fu messo fuori uso dai controrivoluzionari, a 150 metri dalle loro linee. I carri dovettero ritirarsi.
Nella notte, i controrivoluzionari si erano trincerati, in buche profonde, interrando un carro Sherman all'ingresso della spiaggia. Con l’artiglieria anticarro di piccolo e grosso calibro, i bazookas e le mitragliere da 50, battevano la strada in ogni punto, e la strada continuava a essere il solo luogo su cui i miliziani potevano avanzare.
Inutilmente i castristi tentarono a più riprese di sloggiare l'avversario dalle sue posizioni. I loro assalti furono respinti uno dopo l’altro. Quel combattimento che si svolgeva all'alba, di fronte a Playa Larga, era forse il più duro di tutta la battaglia. Un combattimento strano.
Le strade che attraversano la Ciénaga sono terrapieni artificiali che sorgono dall'acquitrino; sui lati il terreno solido è scosceso e ha una larghezza variabile, talora soltanto un metro, talora 10, 20 e anche 50 metri. Tutto intorno alla strada la vegetazione è alta, foltissima.
Anche alla luce del giorno era quindi difficile per i miliziani localizzare il nemico: le uniformi mimetiche lo dissimulavano perfettamente.
Per stanarlo, i miliziani e i soldati dell'Ejército Rebelde dovevano avanzare lentamente sparando in continuazione finché il nemico non rispondesse. Una volta localizzata la posizione avversaria entravano in azione bazookas, cannoni senza rinculo, mortai. Il nemico indietreggiava di poche decine di metri e tutto ricominciava da capo.
Se il piano d'attacco dell'invasione fosse stato portato a termine, e si fosse dato il tempo ai controrivoluzionari di far saltare qualche tratto di strada, costruire trincee e difese permanenti nei caposaldi, il compito della riconquista della Ciénaga sarebbe stato molto arduo, per le truppe di Castro. Riprendere metro per metro l’immensa palude sarebbe costato perdite umane incalcolabili.
In quelle condizioni, tuttavia, la difesa dei controrivoluzionari era un’impresa disperata. I miliziani erano riusciti a ridurre al silenzio una mitragliatrice da 50, un cannone senza rinculo da 76 e vari mortai. Pur essendo costretti a ritirarsi, avevano lasciato il nemico malconcio. Informato dell'asprezza dello scontro, che era costato molti morti, Castro ordinò una manovra diversiva. Un reparto fu mandato attraverso un terrapieno perché prendesse sul fianco l’avversario.
Se la manovra fosse riuscita, questo reparto avrebbe tagliato la ritirata al battaglione controrivoluzionario arroccato sulle posizioni di Playa Larga. Alle 8 del mattino, il reparto comunicò via radio di essere pronto a prendere il nemico sul fianco.
Gli obici da 122 stavano iniziando una preparazione d'artiglieria, quando improvvisamente si levò dalla colonna dei miliziani un urlo. Gli ufficiali comunicavano la notizia che il nemico aveva abbandonato Playa Larga e stava ripiegando sulla strada costiera verso Playa Girón.
Il 180° Battaglione della Milizia entrò a Playa Larga alle dieci del mattino. Un gruppo di maestri che erano stati fatti prigionieri dai controrivoluzionari, al momento dello sbarco, riferirono che il nemico era ubriaco. Nella notte, sotto il fuoco dell'artiglieria castrista, i soldati dell'invasione avevano bevuto per rincuorarsi. All'alba, quando avevano compreso che ogni resistenza sarebbe stata impossibile, lo scoramento si era dipinto chiaramente sui loro volti. Infischiandosene degli ordini avevano dato fondo al whisky VAT 69 di cui vi erano molte cassette nel campo. Il terreno abbandonato dal nemico era ingombro di cadaveri, armi, munizioni. Nelle trincee era praticamente intatto l’equipaggiamento personale della truppa controrivoluzionaria. Avevano portato nell'invasione perfino il borotalco per i piedi e la senape. Un equipaggiamento di lusso.

XII
Playa Girón era ormai l'ultimo caposaldo dell'invasione nella Ciénaga de Zapata. La caduta di Playa Larga l'aveva però reso vulnerabile. Poteva essere attaccato lungo la striscia costiera di terra ferma, abbastanza larga per la manovra dei carri armati. La resistenza dei controrivoluzionari non avrebbe potuto durare a lungo.
Se il comando nemico si proponeva di salvare la situazione, a questo punto aveva solo tre scelte: sbarcare nuove truppe con l'appoggio di navi da guerra e aerei stranieri; oppure tentare un semplice reimbarco con l'appoggio di naviglio e aviazione stranieri; oppure ancora, attuare una manovra diversiva sbarcando in un altro punto della costa e contemporaneamente inviare rinforzi a Playa Girón. L'ipotesi più probabile era che il comando nemico avesse deciso di abbandonare i difensori della testa di ponte al loro destino. La situazione internazionale si era aggravata a tal punto da sconsigliare un intervento degli Stati Uniti. I controrivoluzionari non avevano altre truppe addestrate, e neppure navi per trasportarle.
Tuttavia lo Stato Maggiore castrista decise di far presto. Un successo fulmineo avrebbe moltiplicato l'effetto propagandistico della vittoria nel mondo. Si diede quindi ordine alla colonna che aveva conquistato Playa Larga di muoversi verso Playa Girón, e agganciare le retroguardie nemiche. I miliziani si mossero da Playa Larga verso Playa Girón alle 15:15. Sin dalle prime ore del mattino i castristi erano all'offensiva su tutto il resto del fronte. I combattimenti erano duri. La notizia della caduta di Playa Larga aveva acceso d'ardore i combattenti delle colonne governative. La sensazione di essere in una trappola mortale dava ai controrivoluzionari il coraggio della disperazione.
Lo schieramento della Brigata da sbarco controllava ancora le due strade attraverso la Ciénaga de Zapata da Playa Girón a Covadonga e Yaguaramás, e il nodo stradale di San Blas, all'interno della Ciénaga, tenuto dai paracadutisti. Ma su tutta la linea era però in fase di ripiegamento.
La mancata occupazione dello zuccherificio di Covadonga era stata un notevole handicap per l'invasione. I castristi erano riusciti a tenere gli edifici della centrale fino all'arrivo dei rinforzi, nel pomeriggio di lunedì 17, poi subito avevano iniziato a guadagnare terreno. All'alba del giorno 18 anche da Yaguaramás la colonna governativa avanzava, impiegando due compagnie di carri armati medi e pesanti, e artiglieria di medio calibro.
I controrivoluzionari affrettavano la ritirata sul far della notte, per attestarsi a San Blas. Durante la notte fra il 18 e il 19, l'artiglieria, gli obici da 122 e i mortai batterono le posizioni controrivoluzionarie a San Blas e a Playa Girón. Castro venne a visitare le truppe su tutti i settori. La testa di ponte controrivoluzionaria aveva ormai una profondità massima di 7 chilometri.
Il Primo Ministro ispezionò la milizia e ordinò che la mattina si attaccasse contemporaneamente su tutti i lati con carri armati. Andò a parlare personalmente con i carristi:
"Ragazzi" disse "che i carri armati arrivino al mare domani!".
All'alba del 19, l’ultima offensiva per l’annientamento della testa di ponte ebbe inizio. Nelle file castriste c'era aria di festa. La gente cantava. I carri armati avanzavano su San Blas. Alle 9 e mezzo San Blas cadde. I controrivoluzionari si ritirarono combattendo verso la spiaggia. La sacca era ormai molto piccola. Il nuovo problema di Castro era solo quello di evitare, nella maggior misura possibile, che i superstiti si disperdessero, com'egli immaginava, nella boscaglia acquitrinosa cosparsa da una vegetazione fittissima. Mentre l’artiglieria e i mortai battevano furiosamente tutto il settore ancora in mano al nemico, ordinò che si lasciasse una zona completamente senza pericolo, per stimolare il nemico a rifugiarvisi. Li si sarebbe arreso.
Prima di dichiarare chiusa la partita, quella mattina, i controrivoluzionari tentarono un grosso colpo. Un B26 attaccò d'improvviso il quartier generale governativo a Central Australia, sperando di trovarvi Fidel Castro. Castro c'era infatti, ma sin dal giorno innanzi il quartier generale era difeso da un poderoso schieramento di artiglieria contraerea. Non appena il B26 fu segnalato, i cannoni e le mitragliere cominciarono a sparare di conserva. Il B26 fu abbattuto al primo passaggio.
Asserragliati nell'abitato di Playa Girón i controrivoluzionari parevano disposti a battersi sino alla fine. Alle undici del mattino; sperando forse di alleggerire la pressione, gli invasori partirono al contrattacco. Venne avanti prima un carro armato Sherman, che sparava con tutte le sue armi, mentre dalle posizioni arretrate partiva una valanga di colpi di mortaio e di armi pesanti che investivano in pieno i miliziani.
Una squadra della 4a compagnia bazookas del1'Ejército Rebelde piazzò tre pezzi a triangolo per fermare il carro armato. Poco dopo però, comparve un aereo B26 che iniziò il mitragliamento della strada, davanti al carro armato al fine di proteggerne l'avanzata.
Finalmente il soldato José Bechara riuscì a piazzare il suo colpo di bazookas sul fianco del carro, mentre sul lato opposto anche il soldato Céspedes Batista faceva altrettanto. Lo Sherman era immobilizzato.
Nel tentativo di salvare dalla cattura l'equipaggio, una jeep con sei uomini a bordo usci a tutta velocità dagli avamposti dei controrivoluzionari, aprendo il fuoco con fucili mitragliatori sui miliziani che si stavano avvicinando al carro. Dal folto della vegetazione si fece udire un cannone dei miliziani e la jeep volò in aria. L'equipaggio dello Sherman aprì la botola e usci con le mani alzate. Era l'ultimo carro del corpo di spedizione.
Il nemico continuò fino al pomeriggio la sua resistenza disperata e testarda. Una drammatica serie di appelli radio allo Stato Maggiore dell'invasione, perché si convincessero gli americani a reimbarcare i superstiti era già partita dalla spiaggia di Playa Girón. Le unità navali americane al largo della costa, non potevano intervenire senza l’ordine del loro Governo e questo aveva deciso di mantenersi, almeno ufficialmente, estraneo alla vicenda.
Alcuni piccoli mezzi navali carichi di un centinaio d'uomini salparono da Playa Girón tentando di raggiungere il largo ma non riuscirono a staccarsi da terra. Gli aerei castristi li attaccarono in picchiata, affondandoli tutti. Nessuno riuscì a fuggire.
Playa Girón cadde alle 17:30 di mercoledì 19 aprile 1961. Le colonne castriste entrarono nell'abitato. Fidel Castro convocò subito una conferenza dei capi. Si riunirono Almeida, Martínez Sánchez, Tomasevich, Duque, Bordón, Faustino e gli altri. L'ex caposaldo controrivoluzionario era pieno di miliziani, soldati dell'Ejército Rebelde e contadini.
Nelle prime ore dopo la caduta di Playa Girón si fecero 300 prigionieri. Molti contadini del luogo che erano stati catturati dagli invasori dopo lo sbarco, e liberati dopo la resa, gridarono indignati contro di loro. Fidel Castro saltò su un bidone di benzina, fece segno di tacere e con voce ferma ordinò che i prigionieri fossero rispettati. La gente tacque. Castro chiamò subito gli ufficiali e impartì l'ordine di spiegare ai miliziani come un comportamento corretto nei confronti dei prigionieri fosse doveroso, al di 1à di qualsiasi risentimento.
Intorno agli invasori si formarono crocchi di miliziani muti e severi. Molti dei prigionieri piangevano e si lamentavano d'essere stati "ingannati".

XIII
La fulminea conclusione della battaglia della Ciénaga de Zapata apri una serie di problemi. La sera del 19, tirando le somme, sul campo di battaglia alcuni conti non tornavano. Il nemico aveva lasciato sul terreno 82 morti in tutto. Nelle carcasse delle navi affondate dovevano trovarsi altri cadaveri. Ma sommando i caduti effettivi, e quelli presunti, i 338 prigionieri, fino allora catturati, di cui 95 feriti, mancava la metà esatta della Brigata d'invasione. Dove era andata a finire? Si trovava nella Ciénaga. Tutte le misure prese per evitare che il nemico vinto si rifugiasse nella palude non erano servite a nulla. I controrivoluzionari non avevano in ogni modo via d'uscita. Quanto tempo avrebbero potuto resistere in quella prigione di acqua e di fango, dipendeva soltanto dalla resistenza fisica di ciascuno e dalla quantità di viveri e di acqua potabile che avevano potuto portare con sé. Il pericolo di sortite organizzate, di resistenze o colpi di mano era praticamente inesistente. Tantomeno esisteva il pericolo che potessero uscire dalla Ciénaga per raggiungere le montagne, che sorgevano assai lontano.
Castro era contrario all'idea di un rastrellamento in forze nella Ciénaga. Avrebbe impegnato un numero enorme di uomini, e sarebbe costato probabilmente altre vite umane. E per quell'avventura si era già pagato un prezzo di sangue troppo alto. Bisognava attendere. Ogni sentiero, ogni terrapieno, ogni sbocco anche piccolo della Ciénaga doveva essere presidiato. Ove fosse stato necessario, si sarebbe potuto dare fuoco a qualche tratto della vegetazione per indurre il nemico a uscire dal suo rifugio. Ma soprattutto, bisognava attendere. Finita la battaglia della velocità, cominciava quella della pazienza.
Com'era previsto, i controrivoluzionari si decisero presto a uscire dalla Ciénaga de Zapata la sera del 22 aprile i prigionieri raggiunsero la cifra di 438.
Nella giornata del 23 ne furono catturati altri 166. La sera del 24 i prigionieri catturati erano già 743. Si era arreso anche uno dei capi, San Román. Nella notte di giovedì 27, la cifra sorpassò i 1100.
Piccoli gruppi continuarono a uscire nei giorni seguenti dalla palude. Il 2 maggio si arrese un gruppo di 13 invasori. Fra questi fu identificato Manuel Artime, il secondo capo dell'invasione. I conti cominciavano a tornare.