James Lovelock, uno scrittore free-lance, esperto di
chimica dell’atmosfera, vede la vita rappresentata da un
sistema ambientale che si autosostenga e che egli chiama Gaia.
Gaia, nome dato
dal romanziere William Golding (su richiesta di Lovelock) e
derivato dall’antica dea greca della terra, opera in modi
misteriosi. Sistema superorganismico, che comprende tutti i
viventi della Terra, esso conserva ipoteticamente la
composizione dell’aria e la temperatura sulla superficie del
pianeta, regolando le condizioni per la continuazione della
vita. Mentre l’intricato intreccio delle relazioni biologiche
mediante le quali la vita fa questo non è ancora ben conosciuto
il fatto che il bioma terrestre controlli porzioni della
superficie del pianeta è un fatto altrettanto ben stabilito di
quello per cui il nostro corpo si mantiene a una temperatura
costante. Gaia, così. Può impedire che l’azoto e
l’ossigeno atmosferici, così importanti per la vita,
degenerino in nitrati e ossidi di azoto, in sali e gas
esilarante che potrebbero bloccare l’intero sistema. Se non vi
fosse una costante produzione a livello mondiale di nuovo
ossigeno da parte degli organismi fotosintetizzanti, se non vi
fosse liberazione di azoto gassoso da parte dei batteri che
utilizzano per la respirazione nitrati e ammoniaca, si
svilupperebbe rapidamente intorno alla Terra un’atmosfera
inerte o addirittura velenosa. Sotto l’influenza reattiva di
una grande quantità di fulmini che fanno sfavillare a ogni
minuto l’atmosfera terrestre, la terra non sarebbe più
ospitale per la vita di quanto lo è l’acida Venere. Sulla
Terra l’ambiente è stato prodotto e controllato dalla vita
proprio come la vita è stata prodotta e influenzata
dall’ambiente.
La cosa
sorprendente riguardo al nostro pianeta azzurro, chiazzato di
bianco, è che la peculiarità della vita, con la sua
incredibile diversità e caratteristica unità biochimica,
continua. Essendo noi obbligati a comunicare gli uni con gli
altri in una lingua tradizionale, è difficile afferrare la
definizione della vita come sistema autopoietico che si
riproduce. Eppure, secondo quanto sostiene Lovelock nella sua
ipotesi, che egli ha chiamato ipotesi Gaia, lo stesso bioma
terrestre ivi incluso l’ Homo sapiens, è autopoietico:
riconosce, regola, e crea le condizioni necessarie per la
propria ininterrotta sopravvivenza.
I reperti fossili
appoggiano l’idea che la superficie terrestre sia stata
soggetta senza interruzione a una regolamentazione fin dalla
primissima comparsa e diffusione della vita microbiotica.
L’ipotesi Gaia, secondo cui la temperatura e la composizione
dell’atmosfera terrestre in gas reattivi sarebbero regolate
attivamente dall’insieme di flora e fauna venne messa a punto
da Lovelock mentre stava lavorando per la NASA sui modi di
scoprire la vita su Marte. Lovelock trovò che, nella nostra
atmosfera, coesistono gas che, quando vengono saggiati in
sistemi chimici semplice, reagiscono prontamente, facilmente e
completamente, per dare origine a composti stabili. Sembra però
che questi gas rimangano separati, in apparente inosservanza
delle leggi che regolano l’equilibrio chimico standard.
Lovelock trovò la chimica dell’atmosfera terrestre così
persistentemente bizzarra da poterla attribuire soltanto alle
proprietà collettive degli organismi, in particolare al bioma
terrestre. In effetti, questo, in particolare il bioma di
dimensioni microscopiche, produce costantemente enormi quantità
di gas reattivi. Ricercando questi improbabili miscugli di gas
nelle atmosfere di altri pianeti con spettroscopi montati su
telescopi, Lovelock pensava di poter scoprire senza lasciare la
Terra biosfere estranee. Rivolgendo la propria attenzione a
Marte, egli trovò che questo pianeta era in un equilibrio
assolutamente comprensibile sulla base soltanto della chimica e
della fisica. Postulò l’assenza della vita su di esso
rilevando l’assenza del fenomeno Gaia. Ma, nel 1975, la NASA,
pronta per l’atterraggio sul pianeta rosso, non volle
pubblicizzare la semplice soluzione che egli proponeva per
l’annoso problema della vita su Marte.
Nulla, tuttavia,
andò perduto. La missione Viking ebbe inizio nel 1975 e, nel
1976, due satelliti da atterraggio e due in orbita giunsero su
Marte. Gli esperimenti biologici, effettuati a bordo e in
seguito a atterraggio morbido sulla superficie del pianeta,
ebbero un successo spettacolare, dimostrando in modo definitivo
che non vi era alcun segno di vita sul pianeta rosso. Il lavoro
di Lovelock fornì una base per capire i risultati. Inoltre,
l’analisi da lui condotta diede alla biosfera una nuova veste.
Il mistero della vita sulla Terra era altrettanto grande di
quanto questo stesso mistero lo fosse altrove, nell’universo.
Perché la Terra ha un’atmosfera così diversa da quella che
si può prevedere su semplice base chimica? Dato che
l’ossigeno costituisce il 20% dell’atmosfera, gli squilibri
relativi creati, tra gli altri gas, nel metano,
nell’ammoniaca, nei gas sulfurei, nel cloruro di metile sono
enormi. In base ai calcoli chimici, le quantità di questi gas,
che reagiscono così facilmente con l’ossigeno, dovrebbero
essere così minime da non potersi riconoscere. Invece esse sono
presenti e continuano a esserlo ogniqualvolta le si cerchi. In
effetti, vi è una quantità di metano, nell’atmosfera
terrestre, che è superiore di 1035 volte (dieci alla
trentacinquesima potenza, o uno seguito da trentacinque zeri)
alla quantità che dovrebbe esserci, considerando la quantità
di ossigeno disponibile per reagire con essa. Altri gas, come
l’azoto, il monossido di carbonio e l’ossido nitroso sono
solo più abbondanti di 10 miliardi, 10 e 10000 miliardi di
volte, rispetto a quello che dovrebbero essere sulla base della
chimica soltanto.
Un ulteriore
enigma riguarda la temperatura della Terra. Sembra che le leggi
della fisica rendano inevitabile il fatto che la luminosità
totale del Sole, cioè il suo output di energia come luce, sia
aumentata negli ultimi 4 miliardi di anni, forse anche del 50%.
Eppure, da prove ricavate dai reperti fossili indicano che la
temperatura terrestre è rimasta relativamente stabile,
oscillando il valor medio attorno a 22° C circa, pressappoco la
temperatura ambiente, malgrado le temperature molto basse che ci
si aspetta da uno sparuto Sole primitivo. È risultato, dunque,
che la vita non solo regolava su scala mondiale la composizione
dei gas, ma teneva, a quanto pare, sotto una specie di controllo
continuo anche la stessa temperatura del pianeta. Che cos’era
questo grande termostato nascosto?
Respingendo le
soluzioni mistiche, Lovelock teorizzò che il bioma terrestre,
specialmente il microcosmo batterico, doveva aver regolato il
proprio ambiente su scala globale fin dalla sua primissima
comparsa sul pianeta. Le forme di vita reagiscono alle crisi
geologiche e cosmiche che provocano perturbazioni; resistono
quanto più a lungo possibile agli attacchi che vengono portati
alla loro integrità individuale; e queste azioni individuali
portano a una conservazione generale delle condizioni favorevoli
alla sopravvivenza collettiva. (Ciò non significa che non vi
furono mai fluttuazioni: esse ci furono. Per esempio, a
giudicare dalla grande estensione dei fossili delle foreste
tropicali del Cretaceo, il pianeta doveva essere ben più caldo
all’epoca dei dinosauri. Sia prima sia dopo buona parte della
sua superficie fu coperta da ampie distese di ghiaccio. Ma sia
tra l’una e l’altra di queste fluttuazioni sia dopo di esse
la Terra si stabilizzò, non arroventandosi come Venere, né
congelando come Marte.
Se il bioma
terrestre non avesse risposto alle principali perturbazioni
esterne come l’aumento della luminosità solare o gli impatti
meteoritici, tanto devastanti quanto lo sono oggi le bombe
nucleari, non saremmo qui ora. La vita, concludeva Lovelock, non
è circondata da un ambiente essenzialmente passivo a cui essa
si è adattata. Al contrario, essa fa e rifà il proprio
ambiente. L’atmosfera, come un alveare o un nido di uccello,
è parte della biosfera. Poiché l’anidride carbonica viene
trasformata nelle cellule e può essere anche utilizzata per
controllare la temperatura dell’atmosfera, è probabile che un
modo in cui la vita regoli la temperatura del pianeta sia
modulando il livello atmosferico di anidride carbonica.
Alcuni scienziati
contestano l’analisi di Lovelock. L’idea della vita sulla
terra come superorganismo che risponde alle minacce a agli
insulti ambientali per assicurarsi la sopravvivenza non concorda
con le idee ormai accettate dell’evoluzione darwiniana, la
quale dipende dalla competizione di organismi in lotta.
Ammettendo che Lovelock abbia ragione, come fa la massa di geni
in lotta all’interno delle cellule di organismi localizzati
sulla superficie terrestre a sapere che deve affrontare
delle crisi? W. Ford Doolittle, l’esperto di biologia
molecolare che ha effettuato una ricerca, germe di ulteriori
sviluppi, sulla biologia molecolare dei plastidi, protestò
contro questa nozione di natura, come egli la definiva,
"materna". Richard Dawkins, zoologo dell’Università
di Oxford, paragonò l’ipotesi Gaia al programma "BBC
theorem", con un riferimento spregiativo alla nozione della
natura come equilibrio e armonia meravigliosi, data dai
documentari televisivi. Dawkins non poteva concepire
l’evoluzione dei meccanismi di Gaia, di controllo a livello
mondiale, senza un universo "pieno di pianeti morti, i cui
sistemi di regolazione omeostatica erano venuti meno, e con una
manciata di pianeti ben regolati, ben riusciti, sparsi
tutt’attorno e di cui uno era la Terra."
Per rispondere a
queste critiche, Lovelock progettò alcuni modelli matematici.
Quello più spettacolare, il Daisy World (il mondo delle
margherite), considera un pianeta mitico che può essere
ricoperto soltanto da margherite nere e bianche e da una
occasionale mucca che mastica rumorosamente margherite. Le
margherite rappresentano due specie, che crescono entrambe a
chiazze e ricoprono fino al 70% del pianeta entro intervalli
specifici di temperatura. Entrambe non crescono affatto dove fa
molto freddo, crescono lentamente al freddo, più rapidamente al
caldo e non crescono affatto, anzi muoiono, alle temperature
opprimenti al di spora dei 45°C.
Lovelock, che in
seguito cominciò a lavorare con Andrew Watson alla Marine
Biological Association di Plymouth, in Inghilterra, trovò che
le margherite bianche e nere potevano funzionare come un
gigantesco termostato, rendendo stabile la temperatura di un
intero pianeta semplicemente crescendo. Il fenomeno non è
misterioso, ma sinergico: è il risultato inatteso di un sistema
complesso.
Si può
immaginare come operi Daisy World. Si prenda un pianeta di
margherite nere e bianche, che ruoti attorno a una stella, il
Sole, la quale rallenta ma diventa costantemente più brillante.
All’inizio, essendo il Sole freddo, non cresceranno molte
margherite. A mano a mano che esso diventerà più caldo,
chiazze di margherite di entrambi i colori spunteranno e
cresceranno rigogliosamente. Ma, quando le margherite nere
fioriranno e produrranno un maggior numero di discendenti, perché
sono scure e assorbono una la luce del Sole, impediranno a
questa luce di essere riflessa nello spazio. La crescita di
macchie di margherite nere, che assorbono calore, ha l’effetto
di riscaldare un pianeta che, altrimenti, sarebbe freddo. Ma ben
presto l’ambiente circostante raggiunge un calore opprimente e
comincia a limitare la crescita delle margherite nere nelle
immediate vicinanze. L’aumento delle temperature locali porta
a un aumento globale della temperatura più forte del previsto,
in un mondo senza margherite. Cominciano allora a crescere
chiazze di margherite bianche. Ciò porta a un aumento della
riflettività planetaria, o albedo, dato che la superficie
bianca dei petali delle margherite riflette la luce nello
spazio, con la conseguenza di un ritorno su tutto il pianeta a
temperature più fredde. Le margherite nere ricominciano a
spuntare. Ma il Sole, nel frattempo, continua a diventare più
caldo e le margherite bianche, riflettendo il calore, continuano
a fiorire e a raffreddare il pianeta. In breve, il Sole diventa
più caldo, si formano chiazze sempre più estese di margherite
bianche, Daisy World diventa più freddo, il che porta a una
nuova crescita di chiazze di margherite nere, le quali di nuovo
si surriscaldano, creando ancora una voltale condizioni più
favorevoli alle margherite bianche. Ciò raffredda nuovamente
Daisy World incrementandone l’albedo, e così via fino a che
il Sole diventa una gigante rossa e brucia tutte le margherite.
Ma, entro certi limiti di temperature, le margherite funzionano
molto semplicemente da termostato, mantenendo il mondo vivibile,
malgrado un aumento potenzialmente letale della quantità di
energia solare che raggiunge il pianta. I fiori regolano
silenziosamente la temperatura del pianeta fino a un grado
notevole, entro quello stretto intervallo che è necessario alla
loro sopravvivenza quando il Sole si riscalda inesorabilmente.
In modelli più
simili al mondo reale sono la crescita, il metabolismo e le
proprietà che riguardano gli scambi di gas nei microbi, più
che le margherite, a formare i complessi sistemi di retroazione
fisici e chimici che modulano la biosfera in cui viviamo. Gli
organismi viventi, attraverso il loro effetto sull’acqua e
sulle nubi, hanno una immensa influenza modulatrice sulla Terra.
Tanto per fare un esempio, minuscole alghe che galleggiano sul
mare possono ipoteticamente fare entrare il mondo in un’epoca
glaciale semplicemente crescendo più rapidamente alle
latitudini settentrionali. Nel produrre i guscetti di carbonato
di calcio, morendo e inabiassandosi sul fondo dei mari,
rimuovono il carbonio necessario per produrre anidride
carbonica; poiché l’anidride carbonica è un gas da
"effetto serra", che agisce come manto invisibile che
fa entrare la luce e la trattiene sotto forma di calore, una
minore quantità di anidride carbonica nell’atmosfera si
traduce in un abbassamento delle temperature. Ma, con
temperature più basse, le alghe crescono meno, meno anidride
carbonica viene rimossa nell’aria per produrre guscetti e il
pianeta diventa tropicale. I circuiti di retroazione sono, perciò,
così strettamente collegati che una moria massiccia di alghe
marine, accoppiate all’erosione di rocce carbonatiche da parte
dell’acqua, processo che libera anidride carbonica
nell’atmosfera, può anche provocare un aumento termico
dell’atmosfera.
In effetti, nel
1979 e 1980, i ricercatori europei hanno analizzato dell’aria
"fossile", rimasta intrappolata nei ghiacci polari e
hanno trovato che circa 20000 anni or sono, al culmine
dell’ultima glaciazione, l’anidride carbonica aveva una
concentrazione pari sola a due terzi di quella che si sarebbe
avuta all’inizio della rivoluzione industriale. Immediatamente
prima che gli esseri umani diventassero agricoltori e
costituissero le prime civiltà, l’anidride carbonica
raggiunse il livello preindustriale. L’aumento di anidride
carbonica e della temperatura 12000 anni or sono ebbe luogo in
meno di 100 anni e non può essere interamente spiegato da
processi tradizionali geofisici o geochimici, come l’attività
tettonica o il corrugamento. Una fluttuazione così improvvisa
poteva provenire solamente dalla vita. Lovelock ritiene che
l’improvvisa moria di una percentuale sostanziale di alghe
marine causò probabilmente questo rapido aumento della
temperatura mondiale, una trasformazione ambientale che alla
fine permise agli esseri umani di uscire dalle caverne e di
popolare la Terra.
Col tempo, il
bioma terrestre edificò elaborati sistemi di controllo di cui
solo ora stiamo diventando vagamente consapevoli. La moltitudine
dei sistemi sensoriali negli organismi viventi, la capacità di
questi di avere un metabolismo e una crescita esponenziale e la
straordinaria diversità dei viventi che interagiscono sulla
Terra sono sufficienti a spiegare, in teoria, la modulazione
ambientale su scala globale.
Ma questo genere
di modulazione ambientale opera anche su una scala più piccola.
Anche sulla scala di gran lunga più piccola dei singoli
animali, la regolazione della temperatura comporta più di un
semplice singolo sistema di retroazione. Realizziamo un
esperimento mentale in cui una persona (un insieme di cellule,
come il bioma terrestre) deve affrontare un netto calo della
temperatura ambientale. Il suo primo tipo di risposta sarebbe la
tattica evolutasi più di recente: una risposta da alta
tecnologia, che consisterebbe nel girare il termostato,
nell’inserire il radiatore elettrico, o addirittura nel pagare
per il servizio di teleriscaldamento attraverso un modem del
proprio computer domestico. Benché queste modalità
diventeranno forme sempre più comuni di regolazione della
temperatura, esse sono così recenti da essere ancora
estremamente incerte tra i vari sistemi di retroazione. A un
livello più basso, vi sono invece le risposte da "bassa
tecnologia" ai rischi delle basse temperature: avvolgersi
in coperte e vestirsi con abiti più pesanti. Questo tipo di
tecnologia, ereditata dall’abitudine di prendere in trappola
gli animali di climi freddi o cacciarli, utilizzando poi le loro
pelli e pellicce folte per proteggersi, è antica di circa
100000 anni. Il cucito, un suo importante perfezionamento,
potrebbe, a giudicare dai reperti archeologici di aghi per
cucire il legno, avere aiutato le popolazioni orientali ad
attraversare lo stretto di Bering per recarsi nell’America
settentrionale. Il circuito di retroazione dei vestiti è
semplice: quando la temperatura si abbassa i vestiti vengono
indossati; quando si innalza vengono tolti. La regolazione della
temperatura, come comportamento, ha fatto la sua comparsa negli
esseri umani molto prima che venissero costruiti i sistemi di
riscaldamento a base di combustibili fossili ed è ancor oggi
predominante.
Se continuiamo a
sottoporre il soggetto del nostro esperimento a uno stato di
stress, indurremo in lui un metodo di regolazione della
temperatura ancora più antico e ancora più affidabile: si
tratta di sistemi comportamentali, non tecnologici, di
retroazione. Queste risposte si possono fare risalire a qualcosa
come 200 milioni di anni or sono e consistono nel correre, nel
fregarsi braccia e gambe, nel rannicchiarsi e nell’assumere la
posizione fetale, arrotolandosi, quando si ha freddo. Quando
sono minacciati dal caldo, i mammiferi come noi reagiscono con
un comportamento opposto: stendono gli arti e cercano l’ombra.
In generale diventano meno attivi. Tuttavia i mammiferi
condividono questo tipo di meccanismo di controllo della
temperatura, che dipende dall’avere un sistema nervoso
sufficientemente complesso, base del comportamento appreso. A
mano a mano che ci avviciniamo al microcosmo originale, i
sistemi di retroazione diventano ancora più prevedibili,
fondamentali e affidabili.
Ancora più
antichi dei sistemi comportamentali sono i tipi di controllo
rigorosamente fisiologici. Quando l’ambiente si raffredda, i
vasi sanguigni dei mammiferi si allontanano automaticamente
dalla superficie cutanea per contrazione dei muscoli che si
trovano nelle loro pareti. Più lontano della pelle, il sangue
viene rifornito agli organi vitali in maggiore quantità e gli
organismi risultano così più protetti. Segue il congelamento:
le dita delle mani e dei piedi ed altre estremità diventano
fredde come ghiaccio e intirizzite. Se il soggetto è ancora
sotto stress, si ha il distacco delle estremità. Il naso e la
punta delle orecchie, le dita delle mani e dei piedi si
staccano. La sudorazione, che è la risposta opposta, si basa
sull’evaporazione di acqua per raffreddare il corpo. Queste
risposte fisiologiche alla temperatura sono ancora più antiche
e ben radicate delle altre. Forse sono tanto antiche quanto gli
stessi animali (circa 600 milioni di anni or sono).
Se, nel nostro
esperimento mentale, continuiamo a sottoporre il soggetto alla
tensione del freddo, spingiamo fino al limite il suo sistema
autopoietico e mettiamo a nudo l’antico metodo genetico di
controllo della temperatura. Se l’ambiente diventa freddo
oltre il limite di tolleranza dell’uomo, questi muore e non
lascia (ulteriore) prole. Se la tensione del freddo continua,
l’intera popolazione e comunità congela fino a morire senza
lasciare discendenti. Tuttavia, nuove popolazioni e comunità
sostituiscono le vecchie, e alcune hanno mezzi più efficaci per
combattere il freddo. Solo organismi diversi o mutanti, in grado
di tollerare condizioni climatiche rigide, riusciranno a
sopravvivere. Un’enorme pressione selettiva viene esercitata
su quegli organismi che possono migliorare gli effetti
dell’ambiente e del freddo circostante.
Questo è ciò
che è avvenuto di solito nel mondo. Se la tensione è
abbastanza forte, sopravviveranno soltanto gli organismi
tolleranti. In altre parole, quando fa troppo caldo, le cellule
muoiono. Quando fa troppo freddo, le cellule muoiono. Quando la
temperatura è giusta, le cellule lasciano una numerosa
progenie. Ma il "giusto" della temperatura dipende da
ogni genere di vita. La selezione naturale darwiniana è
l’ultimo antico sistema di retroazione di Gaia su cui tutti
quelli tecnologici e comportamentali più recenti si basano.
Oggi, se si ha freddo si accende il riscaldamento, quindi si
mette un maglione, poi si comincia a tremare per generare
calore. Se il freddo incalza ancora, si entra in uno stato di
torpore, in cui il metabolismo si abbassa; se il freddo aumenta
ancora e non cede, si muore. Ma la morte individuale fa parte
dei sistemi più ampi di stabilizzazione ambientale. Prima di
morire, l’individuo ha fatto aumentare la temperatura
ambientale e, morendo e non lasciando una prole simile a sé, ha
fatto diminuire le probabilità che i futuri periodi di freddo
distruggano la vita, spianando la via alla riproduzione di
organismi adattati alle basse temperature.
Sistemi viventi
di regolazione della temperatura e dell’atmosfera a livello
planetario possono solo essere immaginati. Da una prospettiva
planetaria, tuttavia, non sembra che essi siano in un equilibrio
naturale difficile, sull’orlo del collasso. Al contrario, sono
vigorosi. I sistemi di controllo ambientale più importanti sono
le istituzioni microcosmiche collaudate dal tempo, che producono
gas e modificano l’albedo, e che sono di gran lunga più
resistenti e più antiche della combustione di oli minerali per
riscaldamento e dell’impiego di termostati domestici. Per
quanto riguarda il futuro, la nostra specie potrebbe essere come
quelle margherite nere rigogliose, che crescono così
rapidamente da rendere ottimale l’ambiente per altre
margherite, perfino quando si arroventano sino alla morte. Ogni
individuo, popolazione o specie è un’opzione che si esercita
soltanto in condizioni favorevoli. In caso di catastrofe, come
regolarmente avviene nella storia della vita, alcune opzioni non
saranno più valide. Ma la loro fine, sia come morte individuale
sia come estinzione, renderà la biosfera nel suo insieme più
robusta, più complessa e con maggiore capacità di ripresa. (Ciò,
naturalmente, non ha nulla a che vedere con il progresso o il
benessere umano. Nella documentazione fossile non si nota alcun
segno di progresso, solo di cambiamento ed espansione.)
Inoltre, sembra
che la maggior parte delle opzioni procariotiche non si sia
ancora estinta. Né l’esistenza né l’estinzione di specie
sono una proprietà dei batteri. Benché la morte individuale
dei batteri avvenga senza interruzione, forti pressioni sul
regno delle monere per la capacità di effettuare scambi
genetici a livello mondiale hanno portato al rapido scambio di
biotecnologie naturali, a enormi tassi di crescita delle
popolazioni e, in generale, alla capacità di resistere con
attitudini metaboliche intatte anche durante le più gravi crisi
planetarie.
Solo con
un’esplorazione scientifica completa dei meccaniscmi di
controllo di Gaia ci si può attendere di attuare nello spazio
habitat viventi che si autosostentino. Se mai dovessimo
progettare ecosistemi chiusi in grado di rifornire le loro
proprie riserve vitali, dovremmo studiare la tecnologia naturale
della Terra. Abitare altri mondi, avere la possibilità di
passeggiare in giardini, per esempio, su Marte, è un progetto
gigantesco, che si può pensare soltanto da una prospettiva di
Gaia. Dovremmo conoscere le nostre radici nel microcosmo prima
di andare in quel limbo che è il supercosmo. Ma, sia che
l’uomo porti nello spazio l’ambiente primevo dell’antico
microcosmo si che, cercando di farlo, muoia, sembra proprio che
la vita sia tentata in questa direzione. E la vita, finora, ha
resistito a tutto, tranne che alla tentazione.