PRIVATIZZAZIONI

V) PRIVATIZZAZIONE DEL PUBBLICO IMPIEGO

SOMMARIO

1. - PREMESSE

1.1. - Il sistema tradizionale.

1.2. - Senso e fasi della privatizzazione

2.- I PRINCIPI

2.1. - L’area della nuova disciplina

2.2. - Il sistema delle fonti. La transizione

2.3. - La "contrattualizzazione"

2.4. - Altri principi

3.- L’ORGANIZZAZIONE

3.1. - La dirigenza

3.2. – La mobilità

3.3. – Il reclutamento

4. - Contrattazione collettiva, rappresentatività, diritti sindacali

4.1. - La contrattazione collettiva

4.2. - La rappresentatività sindacale

4.3. - Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro

4.4. - La spesa e i controlli

4.5. - Interpretazione autentica dei contratti collettivi

5. - IL RAPPORTO DI LAVORO

5.1. - Lavoro pubblico e statuto dei lavoratori. La stabilità

5.2. - Mansioni dei lavoratori

5.3. - La retribuzione e la parità di trattamento

5.4. - Incompatibilità, cumuli, incarichi

5.5. - Sanzioni disciplinari e codice di comportamento

5.6. - L’orario di lavoro

5.7. - Pari opportunità

6. - LA FLESSIBILITA’

6.1 I dati normativi

6.2. La nozione di flessibilità

6.3. La nuova disciplina del lavoro a tempo parziale

6.4. Le attività incompatibili e il conflitto di interessi

6.5. I rapporti a termine

6.6. Flessibilità e mansioni. Flessibilità e mobilità. Flessibilità retributiva (richiami)

6.7. Telelavoro

6.8. Lavoro temporaneo e contratto di formazione.

7. - La tutela DEI DIRITTI

7.1. - Il riparto di giurisdizione e i suoi criteri

7.2. - Ambito e senso di ciascuna giurisdizione

7.3. - La disapplicazione degli atti presupposti

7.4. - La materia dei concorsi

7.5. - I tipi di pronunzia e i mezzi di attuazione

7.6. - Risvolti sostanziali

7.7. - Tempi e modi del passaggio

7.8. - La deducibilità in cassazione. Problemi in tema di natura e interpretazione dei contratti collettivi

7.9. - La "pregiudiziale" collettiva

7.10. – Conciliazione e arbitrato (cenni)

7.12. - La difesa dell’amministrazione

8. - FONTI NORMATIVE

9. - BIBLIOGRAFIA

1. - PREMESSE

1.1. - Il sistema tradizionale. – La codificazione del 1942 sintetizzava e anzi fotografava, pur evocandone gli sviluppi precedenti e non precludendo del tutto quelli futuri, l’esperienza caratterizzata dalla distinzione, sia sostanziale sia di regime processuale, tra lavoro privato e pubblico.

Già in tema di fonti, e implicitamente di organismi deputati a esprimerle, infatti, escludeva il contratto collettivo per i rapporti di lavoro "in quanto" disciplinati "con atti della pubblica autorità in conformità della legge" (art. 2068, 1° co., c.c.).

Con il che intendeva riferirsi, come detto nella Relazione[1], non a tutti i rapporti con soggetti pubblici ma appunto a quelli per i quali ancora esistesse (e "in quanto" ma altresì fin quando esistesse) una riserva legale di disciplina autoritativa, a sua volta correlata, nel sistema così richiamato, al divieto di inquadramento sindacale, stabilito all’instaurazione dell’ordinamento corporativo (l. 3.4.1926, n. 562; r.d. 1.7.1926, n. 1130, art. 52) ma poi revocato (l. 16.6.1938, n. 1303) per gli enti pubblici aventi "forme di organizzazione e fini economici analoghi a quelli delle imprese private", con conseguente esigenza di "criteri uniformi" in tema di rapporti di lavoro.

Agli enti pubblici "inquadrati", e agli altri "limitatamente alle imprese da essi esercitate", anzi, dichiarava applicabile l’intero libro del lavoro, contenente insieme lo "statuto dell’imprenditore e dei prestatori di lavoro" (art. 2093 c.c., a chiusura appunto della sezione dell’imprenditore).

E ai dipendenti, in genere, degli enti pubblici, non ravvisando "ragione di sottrarli" del tutto al "diritto comune", dichiarava applicabili le disposizioni sul rapporto di lavoro (sez., III, artt. 2096-2129), "salvo che" questo fosse (cioè, anche qui, dove e fin quando fosse) "diversamente regolato dalla legge" (art. 2129 c.c.; la Relazione [1] menzionava anche i "regolamenti speciali", richiamando quanto detto a sull’art. 2068).

Correlativamente demandava al giudice ordinario, comprendendole tra quelle individuali, le controversie sui rapporti di lavoro e d’impiego dei dipendenti di enti pubblici "inquadrati" (art. 429, n. 3, testo originario, c.p.c.), e delle imprese esercitate da altri (art. 429, cit., n. 1, attraverso l’art. 2093, cit., c.c.), oltrechè sui rapporti dei dipendenti di enti pubblici non devoluti ad altro giudice (art. 429, cit., n. 4; cfr. su tutto JAEGER, N., [75], [76]).

Postulava, in tal modo, la giurisdizione, da tempo resa "esclusiva" (cfr. Barbieri, E.M., [12]), del giudice amministrativo sui "ricorsi relativi al rapporto", "prodotti dagli impiegati" dello stato e degli enti pubblici non economici, per la tutela tanto di diritti soggettivi quanto di interessi legittimi (artt. 29, n. 1 e 4, 1° co., dei t.u. 26.6.1924, n. 1054 e 1058).

Al sistema non hanno innovato nè l’istituzione dei tribunali amministrativi regionali (l. 6.12.1971, n. 1034, artt. 7, 2° co., e 39: cfr. De Roberto, A., [53]) né la riforma del processo del lavoro (l. 11.8.1973, n. 533: cfr. VACCARELLA, R., [123]), contenente se mai aggiornamenti nella definizione degli enti pubblici economici (cfr. ROSSI, G., [100]), come quelli "che svolgono esclusivamente o prevalentemente" attività di tal sorta (art. 409, n. 4, nuovo testo, c.p.c.), e nella formula di "chiusura" (ora "rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici e altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice": art. 409, cit., n. 5).

La Costituzione, oltre ad ammettere la giurisdizione amministrativa "per la tutela", "nei confronti della pubblica amministrazione", "degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi" (art. 103, 1° co.: cfr. BERTI, G., [17]), ha introdotto una riserva di legge, riferita all’organizzazione dei pubblici uffici (art. 97, 1° co.: cfr. PINELLI, C., [93]), stabilendo altresì il principio dell’accesso per concorso agli "impieghi nelle pubbliche amministrazioni", salvi i casi a loro volta indicati dalla legge (97, cit., 2° co.: cfr. Assini, N., e Solinas, M., [10]), e proclamando che "i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della nazione" (art. 98).

Il che non ha precluso, pur ponendo difficili problemi di contemperamento, la "sindacalizzazione" della disciplina dell’impiego (cfr. MANTERO, A. [78]), che per lungo tempo si è valsa del "recepimento" delle "ipotesi di accordo" in regolamenti governativi (art. 6, 9° co., l. 29.3.1983, n. 93: cfr. ORSI BATTAGLINI, A.,[86]).

Lo "statuto degli impiegati civili dello stato" ha formato oggetto di un importante testo unico (d. legisl. 10.1.1957, n. 3, in base alla delega contenuta nella l. 20.12.1954, n. 1181, che all’art. 4 escludeva la "tutela degli interessi collettivi ed individuali degli impiegati"), seguito da varie integrazioni, modifiche, riordinamenti (sulle carriere d. legisl. 28.12.1970, n. 1077).

Meno organiche e significative "disposizioni sul riordinamento", anche del "rapporto di lavoro del personale dipendente", sono intervenute per gli enti pubblici non economici (inclusa la soppressione di quelli considerati "inutili") con l. 20.3.1975, n. 70 (D’AURIA G. [40]).

1.2. - Senso e fasi della privatizzazione. – L’operazione intrapresa con la delega contenuta nella l. 23.10.1992, n. 421 (art. 2: cfr. GHEZZI, G., [64]), seguita da quella della l. 15.3.1997, n. 59 (art. 11, 4° co.: D’ANTONA, M., [39]), a sua volta riaperta dalla l. 16.6.1998, n. 191 (art. 1, 14° co.), deve dirsi di "privatizzazione" in senso non già soggettivo, come invece è stato per le imprese in mano pubblica (JAEGER, P.G., [77]), bensì normativo (cfr. già GIANNINI, M.S., [69]).

Datrici di lavoro, infatti, sono rimaste e rimarranno le amministrazioni pubbliche, con la riconduzione, invece, dei rapporti di lavoro "sotto la disciplina" del diritto privato, anzi "civile", per essere "regolati contrattualmente", e correlativamente la devoluzione delle controversie al giudice ordinario.

La brevità dei tempi di esercizio della prima delega (novanta giorni) e l'apparente minuziosità dei principi e criteri stabiliti (art. 2, 1° co., lett. da a a mm, l. 421 del 1992) indicavano in realtà l'essere stati questi piuttosto la sintesi di un testo pressoché già pronto (quello, poi, del d. legisl. 3.2.1993, n. 29), pur se ancora oggetto di perplessità e contese, con la previsione, perciò, di "correzioni" (cfr. DELL’OLIO, M., in [46]).

Queste sono intervenute a tre riprese (d. legisl. 19.7.1993, n. 247, 18.11.1993, n. 470, 23.12.1993, n. 546: il primo, però, abrogato e sostituito dal terzo, insieme all'art. 10, 2° co., del secondo: cfr. ALBENZIO, G., [8]), in un termine complessivo più lungo (31.12.1993), che era quindi già da considerare quello sostanziale, ed hanno dato luogo, in pendenza, a inconsueti dibattiti su una sorta di diritto precario ed emendabile (cfr. anche la documentazione in [3]), oltrechè modificato o inciso dall’esterno, soprattutto in occasione dei provvedimenti "collegati" alle leggi finanziarie (l. 24.12.1993, n. 537, e 23.12.1994, n. 724) o di decretazioni d'urgenza.

La "fase transitoria" (cfr. CORPACI, A.L, [35]), prevista nella delega per la "gradualità" della sostituzione del precedente regime con il nuovo, si è quindi aperta, o comunque ha acquistato una almeno apparente chiarezza di presupposti, solo in seguito.

Ed era rimessa dal legislatore delegato, attraverso un'unica, anche se complessa e a sua volta emendata, "norma transitoria" (art. 72), alla contrattazione collettiva, con la previsione che la prima esplicazione di questa, conclusiva di una sorta di prima sottofase, per sè statica e di conservazione delle disposizioni precedenti (se non direttamente abrogate), rendesse inapplicabili queste ultime, "in relazione alle materie e ai soggetti contemplati", e che la seconda comportasse, "in ciascun ambito di riferimento", la cessazione di ogni loro idoneità a produrre effetti (DELL’OLIO, M., in [46]).

L'intervento dei primi contratti (TREU, T., [119]), soprattutto di quello concernente il comparto (personale dei Ministeri) più ampio e prevedibilmente "guida" (pur se non "punta"), oltrechè di quasi tutti i provvedimenti regolamentari ed attuativi inizialmente previsti, ha quindi segnato un momento e offerto un riferimento importante per la rimeditazione del dibattito dottrinale (DELL’OLIO, M., in [46], CARINCI, F., in [25]) ed attraverso questo dell'apparentemente consolidato testo normativo (GALANTINO, L., in [60]), in coincidenza con l'apertura della fase "attiva" della nuova esperienza (per un esempio GARILLI, A., in [46]), cioè della concreta applicazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, del diritto privato del lavoro, esempio e anzi prima esperienza, in un intero ramo, del vaticinato (GIANNINI, M.S., [68]) ritorno della pubblica amministrazione all'uso del diritto comune.

Tuttavia sono parse necessarie, poi, "ulteriori disposizioni integrative e correttive", che hanno costituito oggetto della suaccennata nuova delega, per conformare l’intervento al disegno di riforma della pubblica amministrazione (art. 11, 4° co., cit., l. 59 del 1997; cfr. anche il "protocollo d’intesa sul lavoro pubblico" 15.3.1997 in Lav. e inf., 1997, 6, 47 ss., sub D, 5) e "completare l'integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato" (art. 11, cit., lett. a), soprattutto nell’area della dirigenza (lett. b, d), oltrechè per regolare meglio la procedura di contrattazione collettiva (lett. c, e, f) e la devoluzione delle controversie al giudice ordinario (lett. g).

Onde la "seconda privatizzazione" (D’ANTONA, M., [39], e in proposito PICCININI, I., [90], [91]), attuata con i d. legisl. 4.11.1997, n. 396, 31.3.1998, n. 80, 29.10.1998, n. 387 (cfr. MATTEINI, P., e TALAMO, V., [81], D’ANTONA, M., [40]), che hanno profondamente novellato il d. legisl. 29 del 1993 (qui d’ora in poi citato, salvo diversa indicazione, nel testo attuale; un testo unico è previsto dall’art. 8 l. 8.3.1999, n. 50) e imposto il rifacimento di questa stessa voce, pur nata come aggiornamento.

2. - I PRINCIPI

2.1. - L’area della nuova disciplina. - Nell'identificazione dell'area d'intervento, cioè dei rapporti regolati (FERRARI, P., GARILLI, A., in [46]), si seguie ancora la tecnica dell'elenco, sia pure per tipi, delle amministrazioni pubbliche datrici di lavoro (art. 1, 2° co.).

E la disciplina è descritta in termini di applicazione delle norme del codice civile, e in genere di legge, sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (art. 2, 2° co.), con un limite dapprima costituito dalla specialità dei rapporti (testo originario dell'art. 2, 2° co., su cui DELL’OLIO, M., [45]; SANTORO PASSARELLI, G., [113]) ma poi dalle disposizioni dello stesso nuovo testo, e con il già accennato dispositivo di perdita di efficacia delle norme, anche di legge, all'entrare in vigore di quelle collettive (art. 72, cit., ora ripreso "dinamicamente" dal testo, due volte novellato, dell’art. 2, 2 co., che rende derogabili dai contratti, ed in tal caso non più applicabili, salvo loro espressa disposizione diversa, le norme di legge, regolamento, statuto, contenenti discipline limitate ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche o a categorie di essi).

Sono esclusi (PROIETTI, F., in [46]) (art. 2, 4° co.) alcuni settori (magistratura, avvocatura di stato), corpi (militari e di polizia), carriere (diplomatica, prefettizia, poi anche universitaria), o loro segmenti (non più i dirigenti generali), e alcuni enti (Banca d'Italia, Consob, "Antitrust": un completo "riordino" è previsto dall’art. 7 l. 50 del 1999), mentre un trattamento particolare è fatto ad altri, quasi occultati nella "norma finale" (art. 73, 5° co., più volte ampliato).

Viceversa, e proprio per ricondurre i rapporti finora di pubblico impiego "sotto la disciplina del diritto civile", "applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato" (così il nuovo testo dell’art. 1, 1° co., lett. c: cfr. PICCININI, I., [91]), si sarebbe potuto, ormai, partire dal codice, radicando in questo una disciplina generale dei rapporti di lavoro, che avrebbe perfino potuto superare la distinzione, eco di sudditanze commercialistiche (cfr. DELL’OLIO, M., [50]), tra lavoro nell'impresa e non (del resto recentemente abbandonata proprio dalla normativa sui licenziamenti, che ne costituiva uno dei principali profili di rilevanza), oppure utilizzando con più equilibrio, anzichè prima quasi mitizzando e poi abbandonando del tutto, la nozione di rapporto speciale (FERRARI, P., PILEGGI, A., in [46]), comprendente, come si sa, quello "non inerente all'esercizio di un'impresa" (art. 2239 c.c.).

2.2. - Il sistema delle fonti. La transizione. - Più operativi che ricostruttivi, una volta chiarito il senso dell'inconsueto meccanismo adoperato, possono dirsi i problemi non tanto di diritto transitorio (FERRARI, P., in [46]) quanto di attuazione del passaggio "graduale" dal vecchio al nuovo sistema (su questo MARESCA, A., [79], RUSCIANO, M., [107], GHEZZI, G., [65]).

Le disposizioni sul pubblico impiego, ed anzi quelle sulle "materie" che non restano riservate alla disciplina legale e precluse a quella collettiva (art. 2, 1° co., lett. c, n. da 1 a 7, l. 421 del 1992, cit.), infatti, alla stregua della norma transitoria, modificata una sola volta, "costituiscono", se non direttamente abrogate, la disciplina che a sua volta limita l'applicazione di quella stabilita per il lavoro nell'impresa.

Ma sono diventate inapplicabili, come già accennato (mentre il testo originario, forse più esattamente, parlava di deroga), "a seguito" dei primi contratti collettivi stipulati nel nuovo contesto (GARILLI, A., in [46]), "in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati", come opportunamente (ma forse non esaustivamente) i contratti collettivo si sono dati carico di specificare in lunghi elenchi.

E dovrebbero cessare totalmente di produrre effetti con la seconda tornata contrattuale, "in ciascun ambito di riferimento", cioè via via in ciascun "comparto" o "area" della contrattazione nazionale (cfr. art. 45): evento escatologico, quasi "fine del mondo" tradizionale del pubblico impiego, da non determinare senza aver non solo creato le basi ma attuato la costruzione, con la contrattazione, del "nuovo mondo" del lavoro interamente privato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

Al riguardo è discutibile la prassi, invalsa nella contrattazione collettiva, di continuare ad indicare una serie di "disapplicazioni" di norme, postulando così il perdurante vigore delle altre, che invece sembra dover cessare per il fatto, o evento, della contrattazione, non già per effetto di una specifica volontà, tanto meno abilitata ad operare scelte o distinzioni tra le stesse norme.

Forse anzi si può, in questo quadro, parlare ancora, o nuovamente, di specialità, per la presenza di nuove discipline particolari, ma alresì di alcune espressamente confermate (cfr. ad esempio l'art. 58, 1° co.), e così salvate in anticipo dall'esclusione (non comunque abrogazione, data la permanenza in vigore per i rapporti a loro volta esclusi).

Ma forse più esattamente si può o si potrà, per la specialità, almeno quella normativa, prendere atto della realizzazione, anche come fase del già accennato ritorno al diritto comune, della sua funzione precipua, che secondo un alto insegnamento (CALASSO, F., [22]) è di categoria storica più che logica.

2.3. - La "contrattualizzazione". - I rapporti di lavoro (cfr. D'ANTONA, M., [38]) sono "regolati contrattualmente" (PICCININI, I., [91]), cioè attraverso contratti collettivi e individuali (art. 2, 3° co., la cui formulazione originaria echeggiava quella dell'art. 21 l. 11.5.1985, n. 210, sulla "privatizzazione" delle ferrovie, a sua volta derivante dall'art. 12 l. 6.12.1962, n. 1643, istitutiva dell'Enel).

In particolare l'assunzione "avviene con contratto individuale di lavoro" (art. 36, 1° co.), che però anche in questa funzione principale, come del resto in quella regolativa, o modificativa dell'oggetto (PALLADINI, A. in [46]), è fortemente compresso dal vincolo all'uso dello strumento concorsuale (art. 97, 3° co., Cost.: cfr. TULLINI, P., in [2]).

Devono infatti essere seguite procedure selettive, conformi ai princìpi di pubblicità, imparzialità, oggettività, trasparenza, pari opportunità (art. 36, cit., 1° co., lett. a, e 3° co., lett. a-c), mentre per le qualifiche e profili che richiedono solo la scuola dell'obbligo si procede all’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (1° co., cit., lett. b).

E nel rispetto di tali procedure sono ammesse le forme contrattuali flessibili previste per i rapporti di lavoro subordinato nell'impresa (art. 36, cit., 7° co., che rinvia in materia ai contratti collettivi nazionali; cfr. SANTORO-PASSARELLI, G., [114]; infra, n. 2.3, 6.2).

Ma mentre, come ancora si vedrà [n. 7.1, 7.5), "restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali" (art. 68, 4° co.), "le sentenze che riconoscono il diritto all'assunzione", "ovvero accertano che questa è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali", hanno "effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro" (art. 68, cit., 2° co.), come invero si potrebbe già desumere dall'art. 2126 c.c. (cfr. in generale SANTORO-PASSARELLI, F., [112]).

In parte superflua e in parte dissonante, allora, è la disposizione secondo cui "la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato", "ferma ogni responsabilità e sanzione", anzi con il diritto del lavoratore al "risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative" e l'obbligo per le amministrazioni di "recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave" (art. 36, cit., 8° co.).

2.4. - Altri principi. - Degli altri "principi generali" (artt. 3-10, che completano il tit. I come una sorta di preludio al tema dell'organizzazione (tit. II, artt. 11-44), coperto come già accennato da riserva di legge (art. 97 Cost.), a sua volta confermata in sede di delega (art. 2, 1° co., lett. c, n. 3, l. 421 del 1992), è rimasto ed anzi è stato sviluppato, dopo riduzioni e spostamenti di materie, soprattutto il riparto tra definizione, mediante atti organizzativi, delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, con individuazione di quelli di maggiore rilevanza e determinazione dei modi di conferimento e delle dotazioni organiche complessive, da un lato (artt. 2, 1° co., e 4, 1° co.), e dall’altro, ferma la "rispondenza al pubblico interesse", le "determinazioni per l'organizzazione degli uffici" e le "misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro", che invece sono assunte "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (art. 4, 1° e 2° co.).

Norme, queste, che segnano la specialità, di fattispecie più che di disciplina (FERRARI, P., in [46]), del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, e quindi ancora il limite d’applicabilità della disciplina comune e della contrattazione collettiva.

Anche la tradizionale soggezione di quest’ultima alla legge (art. 7 disp. prel. c.c.; cfr. art. 5 l. 14.7.1959, n. 741), infatti, è ancora vista (sul testo precedente cfr. PILEGGI, A., DE MARINIS, N., PICCININI, I., in [46]), in termini di riparto di "materie" con la stessa (cfr., art. 2, 1° co., lett. c, l. 421 del 1992 e per la difesa o il recupero dello "spazio" contrattuale il già citato art. 2, 2° co.).

Principi più direttamente incidenti sui rapporti di lavoro (flessibilità, pari opportunità, trattamenti accessori) o su quelli sindacali (partecipazione) sono poi appena enunciati (artt. 7, 1° e 5° co., 10, mentre è stato abrogato l’art. 5) per essere ripresi, pur se non sempre sviluppati, in sede materiae.

3. – L’ORGANIZZAZIONE

3.1. - La dirigenza.- Del titolo dedicato alla "organizzazione" (artt. 11-29), che si apre con un breve capo (cfr. già Arena G., in [25]) sulle relazioni con il pubblico (ora contenente, insieme a quella di un apposito ufficio, la previsione della "trasparenza" ed altresì di uffici per la gestione del contenzioso del lavoro: artt. 11, 12, 12 bis: cfr. SORDI, P, in [85]), interessano qui non tanto le funzioni quanto lo status dei dirigenti (già PROIETTI, F., in [46]), destinatari precipui, come si è accennato, della "seconda" privatizzazione.

Va comunque sottolineata (D’ORTA, C., [56]) la separazione, in termini di compiti e responsabilità, tra la "direzione politica", propria degli organi di governo (artt. 2, 1° co., lett. g, n. 1, l. 421 del 1992; 11, 4° co., l. 59 del 1997; 3, 1° co., e 14, 1° co., testo attuale, d. legisl. 29 del 1993, con elenco degli atti riservati), e quella "delle amministrazioni", inclusa la gestione finanziaria, tecnica, amministrativa, rimessa invece ai dirigenti (cfr. RUSCIANO, M.,[110], con autonomi poteri di spesa, organizzazione delle risorse umane, strumentali, di controllo.

In particolare ai dirigenti spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, anche impegnativi verso l'esterno (art. 3, cit., 2° co.), che anzi non sono suscettibili di revoca o avocazione ministeriale, bensì solo di annullamento per motivi di legittimità, mentre in caso di perdurante inerzia è ammessa la nomina di un commissario ad acta (art.14, 3° co., d. legisl. 29 del 1993).

Per i dirigenti (cfr. ZOPPOLI, L., [130]), nell’area della privatizzazione, è ora istituito (art. 23, 1° co., d. legisl. 29 del 1993), con accesso solo in base a concorso per esami (art. 28), un ruolo unico, articolato in due fasce, rilevanti ai fini economici e, limitatamente, per gli incarichi di dirigenza generale (cfr. art. 19).

Questi, come gli altri, sono conferiti a tempo determinato, per non meno di due anni e non più di sette, rinnovabili (art. 19, cit., 2° co.), seguendo "di norma il criterio della rotazione" (1° co.).

Ed è espressamente esclusa (1° co., cit.), in tema di conferimento e di passaggio ad incarichi diversi, l’applicabilità dell'art. 2103 c.c. (per un primo riscontro giurisprudenziale cfr. Trib. Roma, Giud. un. lav., 16.10.1999, in corso di pubblicazione in Giur. lav.)

Entro ristretti limiti tutti gl’incarichi possono essere conferiti con contratto a tempo determinato, al di fuori dei ruoli, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale (art. 19, cit., 2° co.), dandosi così luogo a un rapporto "più privato degli altri".

I dirigenti sono "responsabili del risultato" (RUSCIANO, M.,[110]; già D'ORTA, C. [55]; per la diversità dalla responsabilità disciplinare cfr. PICCININI, I., [91]), dell'attività svolta dai loro uffici (art. 20, 1° co., d. legisl. 29 del 1993), per la cui valutazione sono istituiti appositi nuclei (art. 20, cit., 2° co.).

I "risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione o il mancato raggiungimento degli obiettivi", valutati con sistemi e garanzie ancora in fase di determinazione (art. 21, 1° co., nel testo di cui al d. legisl. 387 del 1998, con rinvio ai decreti da emanare in base alla delega contenuta negli artt. 11 e 17 l. 59 del 1997), comportano la revoca dell'incarico e la destinazione a un altro, anche ispettivo o di consulenza, studio, ricerca (assolti in genere dai dirigenti cui non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali: art. 19, 10° co.), presso la stessa amministrazione o altra che vi abbia interesse.

In caso, poi, di "grave inosservanza delle direttive impartite dall'organo competente" o "ripetuta valutazione negativa", il dirigente, "previa contestazione e contraddittorio", "può essere escluso dal conferimento di ulteriori incarichi, di livello dirigenziale corrispondente a quello revocato, per un periodo non inferiore a due anni", mentre, nei casi di "maggiore gravità", "l'amministrazione può recedere dal rapporto di lavoro, secondo le disposizioni del codice civile e dei contratti collettivi" (art. 21, cit., 2° co.), che del resto escludono, per la dirigenza, le sanzioni disciplinari di tipo "conservativo" (così i contratti di comparto, ad es. quello per la dirigenza delle Università, art. 28, 5° co., nel testo del 1997).

3.2.La mobilità. - Il capo intitolato "Uffici, piante organiche, mobilità, accessi" (artt. 30-44) ma contenente, dopo il superamento o l’abrogazione di varie disposizioni, solo la disciplina degli ultimi due temi (cfr. già SORDI P., in [46]), prevede, intanto, il passaggio diretto di dipendenti, a domanda, tra amministrazioni dello stesso comparto, demandando ad accordi quello tra comparti diversi, secondo procedure e criteri che possono formare oggetto di contratti collettivi (art. 33).

Ammette inoltre, sulla base di accordi di reciprocità, il servizio temporaneo presso amministrazioni pubbliche degli stati membri o candidati dell'Unione europea, di altri con cui intercorrono rapporti di collaborazione, di organismi comunitari o internazionali (art. 33 bis).

Stabilisce poi (art. 34: cfr. nel precedente testo l’ora abrogato art. 62 e per la critica DELL’OLIO, M., in [46]), salve le disposizioni speciali, che nel caso di "trasferimento o conferimento di attività", svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici, loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, si applica l'art. 2112 c.c. al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti e si osservano le procedure di informazione e consultazione ex art. 47, 1°-4° co., l. 29.12.1990, n. 428 (cfr. GRANDI, M., [73]: ma l’art. 47, cit., al 3° co., contiene a sua volta il nuovo testo dell’art. 2112, 1°-3° co., c.c., e quindi la disposizione che prevede la prosecuzione del rapporto con l’acquirente, sicchè non è chiaro se il "passaggio" sia effetto o presupposto dell’applicazione della stessa)

Soprattutto dichiara applicabili (art. 35, 1° co.), ove si rilevino eccedenze di personale, le disposizioni della l. 23.7.1991, n. 223, salvo quanto poi espressamente previsto, e quindi in presenza di eccedenze di almeno dieci unità nell'arco di un anno (2° co.).

La procedura (3°-5° co.) mette capo o ad accordi di mobilità (6° co., che richiama l’art. 33, cit.) oppure, per il personale che non vi rientri o non li accetti, al collocamento in disponibilità (7° co.), caratterizzato dalla sospensione di tutte le obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro e dal diritto all'80% di stipendio e indennità integrativa speciale, oltre gli assegni per il nucleo familiare, al massimo per ventiquattro mesi (8° co.).

Trascorsi questi (art. 35 bis) il rapporto è definitivamente risolto (4° co.), mentre il personale resta iscritto in appositi elenchi (1° co.), in vista della riqualificazione e della ricollocazione in altre amministrazioni (2°-3° co.), alla verifica della cui impossibilità sono subordinate le nuove assunzioni nel comparto (6° co.).

3.3.Il reclutamento. - La disciplina del reclutamento (artt. 36 ss.), dopo l’abrogazione di varie disposizioni (artt. 38-41, 43, 44), si riduce a quella, già accennata (n. 2.3), delle "procedure selettive" e dell’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (art. 36, cit., 1° e 3° co.).

Va altresì menzionato il diritto d’accesso (art. 37) dei cittadini comunitari ai posti di lavoro non implicanti di per sé esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri e non attinenti alla tutela dell'interesse nazionale.

E va detto che per i disabili il sistema della chiamata numerica (art. 36, 2° co.) è ora confermato dalla nuova legge organica (l. 12.3.1999, n. 68), in cui è pure stabilita, per le procedure selettive, la riserva dei posti, nei limiti della complessiva quota d'obbligo e fino al 50 % di quelli a concorso (art. 7, 2° co.).

4. - Contrattazione collettiva, rappresentatività, diritti sindacali

4.1.La contrattazione collettiva. - Il titolo (già ALES, E., PILEGGI, A., DE MARINIS, N., GARILLI, A., in [46]) su contrattazione collettiva e rappresentatività sindacale (artt. 45-55) segna la realizzazione di quella che, capovolgendo una celebre definizione, o immagine (CARNELUTTI, F., [28]; ma per una risposta "d’epoca" cfr. fin d’ora SANTORO-PASSARELLI, F., [111]), si potrebbe chiamare l'"anima di contratto" di ogni disciplina, anche formalmente autoritativa, dei rapporti di lavoro.

E in questa linea non può certo far rimpiangere i già accennati regolamenti "recettivi" (supra, n. 1.1) degli accordi sindacali (art. 6, 9° co., cit., l. 93 del 1983, espressamente abrogato dall'art. 74).

Il "filtro", già ridimensionato in occasione della disciplina sullo sciopero (art. 18 l. 12.6.1990, n. 146, con il nuovo testo dell'art. 6, 8° e 9° co., l. 93 del 1083), consiste infatti adesso, più razionalmente (art. 51, 1° co.), nel parere del Comitato di settore, titolare già del potere di indirizzo (art. 46, 1° co.), previa certificazione di compatibilità, da parte della Corte dei conti, anche per silenzio-assenso (art. 51, 4° co. ss.), in ordine all'"ipotesi" raggiunta, in sede di trattative, dal "braccio" tecnico (ALES, E., in [7]).

L'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), disciplinata dal più volte modificato art. 50 (cfr. ora ROMAGNOLI, U., [99]) e diretta da un comitato di esperti (art. 50, cit., 6° co. ss.), non soltanto è espressa, in questo suo nucleo motore, dalle amministrazioni rappresentate (tre componenti del Comitato, tra cui il presidente, sono designati dal Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro del tesoro, uno dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e l'altro dall'Associazione dei comuni e l’Unione delle province: art. 50, 6° co., cit.) ma è soggetta agli indirizzi delle stesse attraverso ciascun Comitato di settore, che a sua volta si identifica, per le amministrazioni statali, nel Presidente del Consiglio, operante attraverso il Ministro per la funzione pubblica di concerto con quello del tesoro (ma per il parere sulle "ipotesi di accordo" occorre la previa deliberazione consiliare: art. 51, 3° co.) e per le altre è espresso dalla rispettiva Conferenza (art. 46, 2° e 3° co.).

La contrattazione collettiva (RUSCIANO, M., [107], [108]) "si svolge" su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (art. 45, 1° co.).

I comparti sono stabiliti con accordi tra l'Aran e le "confederazioni rappresentative", ma i dirigenti costituiscono un'"area contrattuale autonoma" (art. 45, cit., 2° co.), e "discipline distinte", nell'ambito dei contratti di comparto, sono stabilite per le figure professionali con "elevata responsabilità", cioè con compiti o "di direzione" o implicanti l’iscrizione ad albi o tecnico scientifici e di ricerca.

E’ la stessa contrattazione collettiva a regolare, "in coerenza con il settore privato", "la durata dei contratti nazionali e integrativi", "la struttura contrattuale", i "rapporti tra i diversi livelli" (4° co.).

E quella integrativa, a pena di nullità e inapplicabilità delle clausole difformi, deve rispettare i vincoli di bilancio posti dagli strumenti di programmazione e svolgersi esclusivamente "sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali", "tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono", anche in ambito territoriale e con riguardo a più amministrazioni (4° co. , cit.).

4.2.La rappresentatività sindacale. - Sulla "rappresentatività sindacale ai fini della contrattazione collettiva", dopo l’abrogazione, per referendum popolare, della precedente (SCARPONI S., in [6]), che oltre a forti sospetti di incostituzionalità aveva suscitato non lievi dubbi applicativi (ALES, E., in [46]), ne è intervenuta una nuova (art. 47 bis, aggiunto dal d. legisl. 396 del 1997, cit.), analoga e collegata a quella contestualmente adottata in tema di diritti sindacali (art. 47: cfr. gli scritti in [5]; ora CARUSO, B., [28]).

E’ infatti stabilito che l'Aran ammette alla contrattazione nazionale, insieme alle confederazioni cui siano affiliate, le organizzazioni che abbiano nel comparto o nell'area una rappresentatività non inferiore al 5%, quale media tra il "dato associativo", espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali, e quello "elettorale", cioè la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale (art. 47 bis, cit., 1° e 2° co.; cfr. infra, n. 4.3).

I contratti sono sottoscritti previa verifica che le organizzazioni aderenti rappresentino complessivamente, nel comparto o nell'area, almeno il 51% come media tra dato associativo ed elettorale o almeno il 60% di quest’ultimo (2° co.).

Alla stipulazione dei contratti o accordi che definiscono o modificano i comparti o le aree, o che regolano istituti comuni a tutte le pubbliche amministrazioni o riguardanti più comparti, sono ammesse le confederazioni cui, in almeno due comparti o aree, siano affiliate organizzazioni rappresentative nel senso indicato (4° co.; per le modalità delle rilevazioni e la risoluzione delle controversie, rimesse a un comitato paritetico e in caso di dissenso, o di proposizione da parte di organizzazioni non rappresentate, al parere del CNEL, cfr. 7°-12° co.).

Con il che problema di fondo dell'efficacia generale, del resto indispensabile per la contrattazione concernente il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, è ancora impostato e risolto attraverso un meccanismo maggioritario, cancellandosi anche quel residuo di proporzionalità che nel sistema precedente era costituito dalla facoltà, per le organizzazioni dissenzienti (art. 6, 7° co., l. 93 del 1983), e ancora prima per quelle non ammesse alla delegazione (art. 28, 3° e 4° co., l. 20.3.1975, n. 70), di presentare "osservazioni", in sede appunto di valutazione, ai fini della recezione, dell'"ipotesi" di accordo (DE MARINIS, N., in [46]).

Superfluo sottolineare che, mentre è singolare, e anzi si spiega solo come mezzo di perseguimento dell'efficacia generale (DE MARINIS, N., in [46], MARESCA, A., [79]), l'affermazione di un dovere, per le amministrazioni, di "adempiere gli obblighi assunti con i contratti collettivi" (art. 45, 7° co., che ora aggiunge la decorrenza "dalla data della sottoscrizione definitiva" e l’impegno ad "assicurarne" l'"osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti"), è esclusa in radice la pluralità di questi, con trattamenti differenziati per i dipendenti (LAUDO, C., in [46]), essendo anzi le amministrazioni espressamente vincolate alla parità (art. 49, 2° co., cui rinvia l'art. 2, 3° co.; cfr. infra, n. 5.3).

4.3. - Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro. – Sotto questa rubrica è adesso stabilito (art. 47), intanto, che nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dallo statuto dei lavoratori (1° co.).

La rappresentatività, in affermata "attuazione", demandata però alle amministrazioni, dei criteri stabiliti per l’esercizio della prima delega (2° co., che richiama l’art. 2, 1° co., lett. b, l. 421 del 1992, a sua volta contenente, però, solo il vincolo a prevedere "criteri di rappresentatività" per sé "compatibili con le norme costituzionali"), è la stessa già descritta.

Infatti le organizzazioni ammesse alle trattative contrattuali "in base ai criteri dell'art. 47 bis", cit., possono altresì "costituire rappresentanze sindacali aziendali", ex artt. 19 ss. st.l., in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti e nelle sedi o strutture periferiche considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva (2° e 8° co.).

Parimenti sono tali organizzazioni a fruire, "in proporzione alla rappresentatività", delle "garanzie previste dagli artt. 23, 24, 30" st.l., cioè in sostanza dei permessi ed anche dei "distacchi" (DELL’OLIO, M., [49]) stabiliti, e progressivamente ridotti, dalla precedente disciplina per le pubbliche amministrazioni (2° co., cit., che richiama "l'accordo recepito nel d.p.c.m. 27.10.1994, n. 770", ai sensi del precedente testo dell’art. 54, mentre l’attuale prevede, "ai fini del contenimento, della trasparenza e della razionalizzazione delle aspettative e dei permessi sindacali nel settore pubblico", la determinazione dei "limiti massimi" in un "apposito accordo").

Agli stessi livelli di amministrazione, ente, struttura, poi, e ad "iniziativa anche disgiunta" delle stesse organizzazioni, è "altresì" costituito, ma in prospettiva tende, come nel settore privato, a sostituirsi alle rappresentanze aziendali, "un organismo di rappresentanza unitaria del personale", alla cui elezione "è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori" (3° co.; su tutta la tematica DI STASI, A.,[54]).

E ad appositi accordi o contratti nazionali, tra l'Aran e le stesse "confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'art. 47 bis", sono poi demandate la composizione dell'organismo, le modalità delle elezioni, in ogni caso con voto segreto e metodo proporzionale, le cadenze del rinnovo, con esclusione di ogni proroga, la facoltà di presentare liste anche per le altre organizzazioni sindacali, purché costituite in associazione con un proprio statuto ed aderenti ai contratti collettivi sull'elezione e il funzionamento dell'organismo (4° co.).

Sempre per contratto può essere prevista la costituzione di rappresentanze unitarie comuni a più amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio e di organismi di coordinamento in presenza di pluralità di sedi o strutture (5° co.).

I componenti della rappresentanza unitaria sono equiparati ai dirigenti di quelle aziendali, ma, nella prospettiva già indicata, la contrattazione collettiva deve stabilire i criteri e le modalità per il trasferimento agli uni delle garanzie previste per gli altri e può disciplinare le modalità per l’esercizio in via esclusiva dei diritti di informazione e partecipazione (7° co.).

La rappresentanza dei dirigenti è regolata dai contratti della rispettiva area (9° co.), mentre alle figure professionali con disciplina distinta, ex art. 45, 3° co., cit. (supra, n. 4.1), "deve essere garantita un’adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria", "anche con l'istituzione di specifici collegi elettorali" (10° co.; l’11° riguarda i diritti e le prerogative delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche).

4.4.La spesa e i controlli. – Le "disponibilità destinate alla contrattazione collettiva" (art. 52) devono essere predeterminate, con norma da inserire nella legge finanziaria (1° co.), e gli andamenti della spesa devono essere costantemente verificati, anche dalla Corte dei conti (6° co.: cfr. già D’AURIA G., [42]).

I contratti devono anzi recare in appositi prospetti la quantificazione degli oneri, con l'indicazione della copertura complessiva, e prevedere (DE MARINIS, N., PILEGGI, A., GARILLI, A., in [46]), la proroga dell'efficacia temporale, ovvero la sospensione totale o parziale dell'esecuzione, in caso di accertata esorbitanza dai limiti di spesa (2° co.).

Questi ultimi condizionano, quindi, sia la stipulazione di nuovi contratti sia l’operatività di quelli vigenti, pur se deve aggiungersi che restano salvi, in quanto costituzionalmente garantiti, e quindi oggetto se mai di rivendicazioni individuali, i livelli retributivi di proporzionalità e sufficienza, peraltro non identificabili tautologicamente con tutte le "voci", e misure, previste dagli stessi contratti (DELL’OLIO, M., [47]).

Del titolo sul controllo della spesa (artt. 63-67), che qui va ricordato per connessione, non interessano tanto le norme sulla rilevazione ed il riscontro (artt. 64 e 65), quanto la previsione (GARILLI, A., in [46]) di "interventi correttivi", consistenti nel "promuovere con procedura d'urgenza una nuova disciplina legislativa", anzi nell'"impegnare" governo e parlamento a "ripristinare i limiti della spesa globale", in caso di decisioni, anche costituzionali, che comportino nuovi o maggiori oneri (art. 66, 2° e 3° co.): cioè, si potrebbe pensare, anche per ribellarsi ad esse o eluderle, mentre per un certo tempo (l’anno 1995) è stata altresì vietata (GARILLI, A., in [46]) l'estensione di giudicati (art. 22, 34° co., l. 724 del 1994, cit.; cfr. PIVETTI, M., [94]).

4.5. - Interpretazione autentica dei contratti collettivi. – Di grande interesse, tanto più dopo l’abolizione del condizionamento al "consenso delle parti interessate" (art. 53, 2° co., introdotto dal d. legisl. 546 del 1993 ed abrogato dal d. legisl. 80 del 1998: cfr. sul primo DELL’OLIO, M., in [46]), e per contro l’introduzione di un apposito procedimento giudiziale (art. 68 bis; cfr. infra, n. 7.8 e 7.9), deve dirsi la previsione (art. 53, 1° co.) di un procedimento, ed espressamente di un accordo (con le "stesse procedure" previste per la contrattazione, inclusa dunque la soggezione ai controlli), di "interpretazione autentica" (MARESCA, A., [80]), per ciò stesso retroattivo e avente, può già postularsi, efficacia generale al pari del contratto.

5 - IL RAPPORTO DI LAVORO

5.1. - Lavoro pubblico e statuto dei lavoratori. La stabilità - Sul rapporto di lavoro (tit. IV, artt. 55-62) non deve sopravvalutarsi o sovraestendersi neppure adesso, salvo quanto già notato in tema di diritti sindacali (n. 4.3), il richiamo allo statuto dei lavoratori (GARILLI, A., in [46]): che in realtà mira a rimuovere solo i limiti numerici (art. 55, 2° co.), data anche l'abrogazione (art. 74) della disposizione (art. 23 l. 93 del 1983) che ne richiamava alcuni articoli e rimetteva alla contrattazione collettiva l'applicazione dei "principi" di altri.

Comunque deve prendersi atto che a questa disposizione, in collegamento se mai con l’art. 1 l. 15.7.1966, n. 604, contenente già la menzione del rapporto con enti pubblici, una volta venute meno, con il meccanismo già ricordato (n. 2.2 sull’art. 72), tutte quelle già vigenti, resterà e anzi già resta affidata la stabilità dei lavoratori pubblici nel posto.

5.2. - La retribuzione e la parità di trattamento. - Il "trattamento economico" (art. 49: cfr. GHEZZI, G., [65]) è, davvero ovviamente, demandato alla contrattazione collettiva (1° co.), con l’indicazione se mai della distinzione in "principale" ed "accessorio" e con un essenziale vincolo alla parità o meglio proporzionalità.

La già accennata (n. 4.2) parità (LAUDO, C., in [46]; BATTINI, S., [15]), infatti, è regola espressa per la contrattazione individuale (art. 2, 3° co., cit., che richiama appunto l’art. 49, 3° co.), ma può dirsi postulata, secondo il senso più profondo della notissima pronunzia della Corte costituzionale, in quella collettiva.

E si atteggia, in e attraverso quest'ultima, chiamata a "definire" i trattamenti accessori secondo "criteri obiettivi di misurazione", come proportio sia alla produttività individuale e collettiva, a sua volta riproporzionata all'apporto di ciascuno (3° co., cit., lett. a e b: la valutazione concreta, come in genere la responsabilità dell'attribuzione, compete ai dirigenti.), sia ancora ad elementi che da decenni le organizzazioni sindacali dicono "non negoziabili" economicamente, cioè il pericolo per l'incolumità personale e il danno per la salute (art. 49, 3° co., lett. c).

5.3. - Mansioni dei lavoratori. – Il tema delle mansioni è stato ed è il più tormentato, in tutta la vicenda (e già prima) della privatizzazione, segnata dai differimenti dell’entrata a regime, nella continua ricerca di formule appaganti.

L’attuale (art. 56; sulle precedenti DELL’OLIO, M., in [46]), a sua volta di applicazione parzialmente differita (cfr. già il 6° co.), in esordio riproduce e se mai esplica, con adattamenti e precisazioni, quella del lavoro privato (art. 2103 c.c.), giacchè stabilisce che "il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive" (1° co.).

In parte dissonante, e del resto contraddetta o rimessa in discussione dall’ultima innovazione (art. 15 d. legisl. 387 del 1998, con il nuovo testo del 6° co.: cfr. MATTEINI, P., e TALAMO, V.,[81]), è però già l’aggiunta secondo cui "l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione" (ancora 1° co., cit.).

Segue l’ammissione (2° co.), per "obiettive esigenze di servizio", dell’adibizione a "mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore" nei soli casi di "vacanza di posto in organico" (lett. a), con la limitazione a sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti (come deve avvenire entro novanta giorni: 4° co.), e di sostituzione di dipendente con diritto alla conservazione del posto, esclusa l'assenza per ferie (lett. b).

Ed è altresì precisato che a tali fini si considera svolgimento di mansioni superiori solo l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni (3° co.): onde può dirsi per un verso che compiti "non prevalenti", sotto qualcuno di quei profili, sono irrilevanti ma anche non ricusabili, per un altro che occorre, come del resto nel lavoro privato (DELL’OLIO, M [45]), un’"attribuzione", riferibile all’amministrazione, anzi più esattamente al dirigente competente (cfr. il 5°), e non un mero comportamento

In tali casi è sancito il diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore (4° co.), mentre in tutti gli altri gli atti sono nulli, salva però la corresponsione della differenza di trattamento, con responsabilità, per il maggior onere, del dirigente che abbia disposto l’assegnazione agendo con dolo o colpa grave (5° co.; sull’analoga disciplina dell’art. 36, 8° co., in tema di assunzioni, cfr. supra, n. 3.3).

L’entrata a regime di questa disciplina, dopo i rinvii subiti dalle precedenti, è tuttavia legato all’attuazione di quella "nuova" degli "ordinamenti professionali" (a sua volta demandata ai contratti collettivi), limitatamente però alle rivendicazioni di "avanzamenti automatici" (6° co.) e non più del "diritto a differenze retributive" (art. 15 d. legisl. 387 del 1998, cit., che ha tolto tale riferimento dal testo introdotto con il d. legisl. 80 del 1998, addirittura "lasciando alla giurisprudenza", come dice la Relazione governativa, "la valutazione se vi sia o meno il diritto" suaccennato).

Il che testimonia, oltre alla "debolezza" delle amministrazioni sul "fronte interno", l’inadeguatezza dello stesso sistema di inquadramento, basato sulla a sua tempo innovativa qualifica funzionale (RUSCIANO, M., [102]), che ora appare ristretta e statica, con correlativi problemi di utilizzazione della prestazione e di ampliamento ed elevazione della professionalità.

Di qui le prospettive (ARAN [4]), che rispondono anche ad esperienze di settori avanzati del lavoro privato, di passaggio a un sistema di qualifica "professionale", come area, appunto di professionalità, cui si accede solo per concorso e in cui rientrano vari profili, con possibilità di assegnazione di una gamma di mansioni e con progressioni retributive basate sulle competenze e capacità dimostrate.

5.4. - Incompatibilità, cumuli, incarichi. – Sono state tenute "ferme" (art. 58, 1° co.), in principio, le incompatibilità stabilite da norme generali (artt. 60 ss. t.u. 10.1.1957, n. 3: cfr. MANTERO, A., [78]; per i rapporti a tempo parziale, art. 6, 2° co., d.p.c.m. 17.3.1989, n. 117, ma cfr. infra, n 6.3 e 6.4) o di settore (per l’elenco art. 58, 1° co., cit.; GARILLI, A., in [46]).

Ed è stato poi stabilito che le amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati dalla legge o da altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati (art. 58, cit., 2° co ).

Ad appositi regolamenti è stata rimessa la determinare degli incarichi consentiti e di quelli vietati ai magistrati e agli avvocati dello stato, per i quali occorre ora un’espressa previsione (3° e 4°co. ).

In ogni caso il conferimento, come l'autorizzazione a incarichi provenienti da altre amministrazioni o da imprese, deve obbedire a criteri oggettivi e predeterminati, che tengano conto della specifica professionalità ed escludano incompatibilità, "di diritto o di fatto", nell'interesse del "buon andamento" (5°co.).

Soprattutto una disciplina rigoristica (7°-13°co.) ora vige, entro e fuori dell’area della privatizzazione, per gl’incarichi retribuiti, anche occasionali, salve solo la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie, la utilizzazione economica di invenzioni e opere dell'ingegno, la partecipazione a convegni e seminari.

Sono esenti solo i dipendenti a tempo parziale, alcune figure a tempo definito, gli appartenenti a categorie cui è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali, quelli a tal fine posti in aspettativa, comando (ALESSE, R. [9]), fuori ruolo (ATELLI M., [11]), distacco sindacale (6° co.).

Infatti tali incarichi devono essere conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, cui in difetto è avocato il compenso, da destinare ai fondi di produttività (7° e 8° co.).

Restano inoltre "salve le più gravi sanzioni" e "ferma la responsabilità disciplinare" (7° co.), cui va incontro anche il responsabile del procedimento in caso di conferimento da parte di altra amministrazione (8° co.).

E i provvedimenti sono nulli di diritto, mentre per gli enti pubblici economici e i soggetti privati è stabilita una sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti (9° co., che richiama l’art. 6 d.l. 28.3.1997, n. 79, conv. in l. 28.5.1997, n. 140).

Anzi ogni attività di lavoro subordinato o autonomo, al di fuori dei casi consentiti, è ora oggetto di un divieto (art. 1, 60° co., l. 23.12.1996, n. 662), la cui violazione, come stabilito nel corpo della nuova disciplina del lavoro a tempo parziale (art. 1, cit., 61° co.), costituisce giusta causa di recesso nell’area della privatizzazione e di decadenza dall'impiego per l’altro personale.

5.5. - Sanzioni disciplinari e codice di comportamento. – Sul tema della responsabilità disciplinare, e in genere del comportamento del dipendente, qui basta dire (cfr. per gli sviluppi PICCININI, I., [90], [91]) che il contenuto e il ruolo del "codice di comportamento" (su cui cfr. Facchini, C., in [88]) sono ora meglio precisati, anche nei rapporti con quello che, per il lavoro privato, comunemente si chiama a sua volta "codice" disciplinare (Vardaro G., Gaeta., L. [126]).

Infatti è previsto (art. 58 bis, 1° co.) che il primo sia "definito" dal Dipartimento della funzione pubblica (in vista dell'adozione, poi, di uno specifico codice per ogni amministrazione: 5° co.), anche in relazione alle misure organizzative da adottare per la qualità dei servizi, e che, attraverso indirizzi all’Aran, sia "recepito nei contratti", pur se "in allegato", e i suoi princìpi siano coordinati con le previsioni contrattuali in materia di responsabilità disciplinare (3° co.).

A questa (mentre restano ferme le disposizioni su quella civile, amministrativa, penale, contabile: art. 59, 1° co.), si applicano (2° co.), nell’area della privatizzazione, gli artt. 2106 c.c. e 7, 1°, co. (oltrechè 5° e 8°), st.l., cioè i principi di proporzionalità e di rispondenza alla violazione di doveri del dipendente, oltreché di predeterminazione delle sanzioni ed infrazioni, nel rispetto dei contratti collettivi.

Perciò a questi ultimi è rimessa "la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni" (Levi A., in [88]), "ferma restando la definizione dei doveri del dipendente ad opera dei codici di comportamento" (3° co.), che dunque contengono o esprimono, pur se non esauriscono, i precetti alla cui violazione il contratto può collegare la sanzione

Anche il procedimento è esemplato su quello dell’art. 7 st.l., con aggiunte e adattamenti concernenti la "tempestività" della contestazione ed anche dell’applicazione (5° co., che la prevede nei quindici giorni successivi all’inutile decorso di altri quindici dalla convocazione per la difesa).

E per l’impugnativa, cui si può sostituire una sorta di "patteggiamento", comportante la riduzione della sanzione (6° co.), è ora prevista, in sede arbitrale, la competenza del collegio istituito (infra, n. 7.11) per il tentativo obbligatorio di conciliazione delle altre controversie (art. 59 bis, che dopo il primo contratto successivo al d. legisl. 80 del 1998 si sostituisce all’art. 59, cit., 7°-9° co.)

5.6. - L’orario di lavoro. - Sull'orario la disciplina della "prima" privatizzazione (art. 60), di dubbia rispondenza alla delega (MORGERA, P., in [46]: cfr. se mai l’art. 2, 1° co., lett. ii, l. 421 del 1992), è stata sostituita e poi modificata in sede di razionalizzazione (art. 22, 1°-5° co., l. 23.12.1994, n. 724) o riequilibrio della finanza pubblica (art. 6, 5° co., d.l. 79 conv. in l. 140 del 1997).

Ora è prescritta l’adozione di regimi articolati su cinque giorni lavorativi, di regola con riposo anche il sabato, salva individuazione, con regolamento o secondo i rispettivi ordinamenti, degli uffici e servizi da escludere, in ragione della necessità di assicurare prestazioni continuative (art. 6, 5° co., cit.).

Restano come principi la funzionalità dell'orario di lavoro a quello di servizio, la rispondenza alle esigenze dell'utenza, l’accertamento mediante controlli obiettivi e automatizzati (art. 22, 2° e 3° co., l. 724 del 1994), essendo venute meno le procedure precedentemente richiamate (art. 16, lett. d, e 17, 2° co., testo originario, d.legisl. 29 del 1993), mentre l’intervento della contrattazione collettiva, pur non espressamente previsto, sembra a sua volta possibile alla stregua dei principi e per l'assenza comunque di una riserva di legge.

5.7. - Pari opportunità. - Può apparire singolare la riserva, salva comunque motivata impossibilità, di un terzo dei posti nelle commissioni di concorso (art. 61, 1° co., lett. a), alcune delle quali, soprattutto però in aree escluse dalla privatizzazione (così la docenza universitaria), come si sa sono formate per elezione, e addirittura sorteggio, in ambiti limitati.

Le altre disposizioni sulla pari opportunità, pur modificate per renderle più incisive, sono ancora di richiamo o rinvio, anche a direttive e atti regolamentari (1° co., lett. b, e 2° co.), o essenzialmente programmatiche, come l’impegno a garantire la partecipazione proporzionale ai corsi di formazione e aggiornamento, con modalità organizzative atte a favorire la presenza delle lavoratrici, e più al fondo a consentire la conciliazione fra vita professionale e familiare (1° co., lett. c).

6. - LA FLESSIBILITA’

6.1 - I dati normativi. – Alla menzione, nella prima delega, della flessibilità come criterio con il quale ammettere, "occasionalmente", lo "svolgimento di mansioni relative a profili professionali di qualifica funzionale immediatamente inferiore" (Art. 2, 1° co., lett. v, l. 421 del 1992), hanno fatto seguito, nell’esercizio e nelle successive integrazioni e correzioni, quelle della "flessibilità nell'organizzazione degli uffici e nella gestione delle risorse umane", come criterio ordinatore delle amministrazioni pubbliche, "anche mediante processi di riconversione professionale e di mobilità del personale all'interno di ciascuna amministrazione, nonché tra amministrazioni ed enti diversi" (art. 5, lett. f, d. legisl. 29 del 1993, abrogato dall’art. 43 d. legisl. 80 del 1998), e dell’"ampia flessibilità", quale criterio cui le amministrazione devono "ispirare la loro organizzazione", "garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali" (art. 2, 1° co. , lett. b, d. legisl. 29 del 1993, come modificato dall’art. 2 d. legisl. 80 del 1998), da assumere "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (art. 4, 2° co., d. legisl. 29 del 1993, come modificato dall’art. 4 d. legisl. 80 del 1998 e richiamato dall’art. 2, 1° co., lett. b, cit.).

In quest’ottica è stato stabilito che le pubbliche amministrazioni, "nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale", si avvalgano delle "forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego", "previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa" (art. 36, 7° co., d. legisl. 29 del 1993, come modificato dal d. legisl. 80 del 1998).

E’ però demandato ai contratti collettivi nazionali disciplinare le "materie" dei contratti a tempo determinato, di quelli di formazione e lavoro e degli "altri rapporti formativi", della fornitura di lavoro temporaneo, "in applicazione" di quanto stabilito dalle rispettive leggi (art. 36, 7° co., cit., che richiama la l. 18.4.1962, n. 230, l’art. 23 l. 28.2.1987, n. 56, l’art. 3, ma non 5, d.l. 30.10. 1984, n. 726, conv. in l. 19.12.1984, n. 863, l’art. 16 d.l. 16.5.1994, n. 299, conv. in l. 19.7.1984, n. 451, la l. 24.6.1997, n. 196).

Ai contratti a tempo parziale, con prestazione non superiore al 50 %, e a quelli di formazione e lavoro, poi, è stato riservato almeno il 25 % delle assunzioni comunque effettuate, con verifica al termine del 1999 in riferimento al totale degli anni 1998 e 1999 (art. 39, 18° co., l. 449 del 1997, aggiunto dall’art. 22, 1° co. , lett. c, l. 448 del 1998).

A parte resta la previsione dell’individuazione di "criteri certi di priorità nell'impiego flessibile del personale", "purché compatibile con l'organizzazione degli uffici e del lavoro", "a favore dei dipendenti in situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare e dei dipendenti impegnati in attività di volontariato" (art. 7, 3° co., d. legisl. 29 del 1993, cit., che però prevede non una flessibilità, nel senso di cui appresso, bensì un’elasticità di orario per i singoli, pur a volte detta flexi-time: cfr. PICCININI, I. e FERRARI, P., [92])

Oggetto dell’intesa sul lavoro pubblico, compresa in quella generale sul lavoro, è stata intanto "la revisione degli ordinamenti professionali", "secondo criteri che valorizzino e rendano più flessibile l'impiego della prestazione lavorativa a tutti i livelli", "nella direzione del superamento delle rigidità dell'attuale modello di inquadramento" (cfr. il citato "protocollo", D, 5).

Sulla base della stessa intesa (B, 2) è stato previsto, "allo scopo di nazionalizzare l'organizzazione dei lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane", la possibilità per le amministrazioni pubbliche di "avvalersi di forme di lavoro a distanza" (art. 4 l. 191 del 1998, cit.), con modalità organizzative demandate a un regolamento, poi emanato nei termini (d.p.r. 8.3.1999, n. 70), spettando alla contrattazione collettiva adeguare la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro.

Un atto di indirizzo ministeriale (consultabile nell’apposito "sito") all’Aran ha allora indicato il telelavoro, il lavoro interinale e il contratto di fomazione e lavoro come tipi di flessibilità da definire in un accordo quadro e sviluppare nei contratti di comparto, i quali ora sotto la rubrica della "flessibilità", oltre al lavoro a tempo parziale, regolano a volte l’esercizio di mansioni superiori, lo stesso orario di lavoro e la sua riduzione, l’attività formativa, la mobilità.

6.2. - Nozione e rilevanza della flessibilità. – Una flessibilità, o serie di accezioni di questa (sulla relativa rarità dell’espressione, nel linguaggio della contrattazione, rispetto al dibattito scientifico, cfr. PICCININI, I. e FERRARI, P., [92]), dunque, che anche dopo l’apertura a tutte le forme privatistiche, identificate però dalla attinenza all’assunzione e all’impiego del personale, resta prevalentemente "materiale" o operativa, cioè incentrata sulla prestazione, pur nei suoi contenuti, modi, luoghi, canali, coinvolgenti profili del rapporto.

Per contro la nozione di flessibilità, nelle accezioni più familiari al mondo del lavoro privato, esprime, secondo un’acuta definizione, la riduzione o attenuazione delle rigidità del "codice protettivo" previsto per il lavoro subordinato (SANTORO PASSARELLI, G., [114]).

E più al fondo può dirsi che, se reciproco della flessibilità è la rigidità, a sua volta posta a tutela di certi interessi o valori, e caratterizzante certi tipi di disciplina, o modelli di rapporti (cfr. CATAUDELLA, A., [32]), la flessibilizzazione evoca non tanto la riduzione quanto un diverso assetto ed equilibrio dei vari interessi e profili di tutela, per evitare che la rigidità di alcuni si traduca in fattore di fragilità e inaccessibilità.

Ma deve aggiungersi che, nei settori pubblici, gli interessi comportanti rigidità, tradizionalmente, non appartengono solo ai lavoratori, bensì sono soprattutto quelli propri della stessa amministrazione, o direttamente considerati generali.

E quindi la flessibilità assume più direzioni o dimensioni, a seconda degli interessi la cui tutela viene, rispettivamente, a comprimere e ad espandere.

Per contro, allora, non può chiamarsi flessibilità ma mera elasticità quella concernente, ad esempio, il momento d’inizio, e corrispondentemente di fine, oppure la collocazione, giornaliera o settimanale, di una prestazione che per sé rimane uguale, come la corrispondente retribuzione, e se mai tende ad adattarsi meglio agli interessi delle parti, anzi essenzialmente a quello di ciascun lavoratore.

Parimenti non possono dirsi forme di flessibilità, in sé, il telelavoro, per il quale si prevede un trattamento equivalente a quello di chi lavora in sede (art. 8, 1° co., del regolamento), anzi una vera "parità di salario" (art. 4, 1° co. , l. 191 del 1998, cit., che tuttavia ipotizza in tal modo "economie di gestione"), e lo stesso contratto di formazione, se non l’uno ove assuma anche dimensioni parziali e variabili, come non è previsto ma nemmeno escluso dalla disciplina legale e regolamentare finora emanata, e l’altro in quanto sia inteso non nelle sue finalità formative ma come mezzo di utilizzazione precaria di risorse.

6.3. - La nuova disciplina del lavoro a tempo parziale. – L’accennato senso della flessibilità può dirsi particolarmente pregnante per la disciplina, finora la più sviluppata, del lavoro a tempo parziale (art. 1, 56°-64° co., l. 662 del 1996, cit.; per tutti i precedenti cfr. MORGERA, P., [82]): che adesso può essere tale sia fin dall’origine (art. 39, 18° co., l. 449 del 1997, cit.) sia a seguito della "trasformazione" di un rapporto a tempo pieno (art. 1, 58° co., l. 662 del 1996, cit.).

L’interesse o valore "compresso", o diversamente concepito, infatti, è innegabilmente quello all’esclusività del servizio alla Nazione, oggetto della già ricordata affermazione costituzionale (n. 1.1: cfr. PINELLI, C. [93]), intesa ora come esclusione non di qualsiasi altra attività, salvo che per il personale militare, di polizia, dei vigili del fuoco (art. 1, 57° co., l. 662 del 1996), bensì solo di quelle in conflitto di interessi con il servizio cui è addetto il dipendente (art. 1, cit., 58° co.).

E a prevalere sono, con spartizione dei "risparmi di spesa", le "economie di bilancio", la "mobilità del personale", le "nuove assunzioni", "il miglioramento della produttività individuale e collettiva" (59° co.).

Invece la "funzionalità dell'amministrazione" può giustificare solo un differimento non superiore a sei mesi, mentre ulteriore dimostrazione dell’interesse essenzialmente riduttivo, e quasi di esodo parziale, è l’esclusione, dal pur ammesso "secondo lavoro", di quello alle dipendenze di altre pubbliche amministrazioni (58° co.).

Inoltre il passaggio al tempo parziale può essere incentivato dalla contrattazione collettiva, cui è rimosso (art. 39, 25° co., l. 449 del 1997) il vincolo alla parità (cfr. ancora LAUDO, C., in [46]), anche intesa come proporzionalità (cfr. DELL’OLIO, M., in [46]), con la conservazione o attribuzione in misura intera, anziché appunto proporzionata alla parziarietà dell’impegno, di "trattamenti accessori" per sè "collegati al raggiungimento di obiettivi o alla realizzazione di progetti", e comunque non alla "durata della prestazione".

La misura della metà dell'orario pieno, che segna e rende "naturale" la legittimazione al secondo lavoro (art. 1, 56° co., l. 662 del 1996), ed altresì, come già visto, al conferimento, senza autorizzazione, di incarichi retribuiti da parte di altri soggetti pubblici o privati (art. 58, 6°-16° co., d. legisl. 29 del 1993, come modificato dall’art. 26 d. legisl. 80 del 1998: cfr. n. 5.4), è il principale retaggio della disciplina precedente (d.p.c.m. 17.3.1989, n. 117, ancora richiamato, quanto alle incompatibilità, dall’art. 58, 1° co., d. legisl. 29 del 1993, non modificato sul punto), per sé non abrogata ma svuotata di contenuto, sia per i rapporti "trasformati" sia anche per i lavoratori assunti fin dall’inizio a tempo parziale o già passati a tale condizione.

Sono state abrogate, ma forse più esattamente rese inapplicabili (art. 1, co. 56 bis, l. 662 del 1996, aggiunto dall’art. 6 d.l. 79 conv. in l. 140 del 1997), per i dipendenti pubblici a tempo parziale non superiore al 50%, le disposizioni contenenti divieti di iscrizione ad albi e di esercizio di attività professionali, "ferme" tuttavia le "altre disposizioni in materia di requisiti" (onde la resistenza di alcuni Ordini, soprattutto forensi).

Ed è escluso sia il conferimento di incarichi professionali da parte della stessa amministrazione di appartenenza sia il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione

Invece non sembrano più trovare luogo, se non per il personale espressamente indicato, cioè quello "che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, difesa e sicurezza, ordine e sicurezza pubblica" (art. 1, 58° co., l. 662 del 1996) "contingenti massimi" di accesso al lavoro a tempo parziale, costituendo questo, ormai, un vero diritto, riconosciuto ai dipendenti senza spazi di discrezionalità né altre tutele per l’amministrazione.

Per contro è stata prevista la determinazione di "attività" che, in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali, non sono consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale (co. 58 bis, aggiunto anch’esso dall’art. 6, cit., 33° co., d.l. 79 conv. in l. 140 del 1997): in caso di mancata emanazione, entro novanta giorni, dei decreti determinativi, la "trasformazione" può essere negata, con provvedimento motivato, solo in caso di palese contrasto o concorrenza con l'attività svolta presso l'amministrazione (art. 39, 25° co., l. 449 del 1997).

Corrispondentemente mancano criteri di scelta, e i contratti di comparto prevedono l’utilizzazione dei contingenti "fino alla capienza" e "indipendentemente dalla motivazione della richiesta": il che a sua volta limita all’ipotesi di incapienza nei contingenti, a questo fine elevabili di un ulteriore 10 %, la "precedenza" accordata a chi assiste familiari in situazioni di svantaggio o figli minori (art. 1, 64° co., l. 662 del 1996).

E le stesse modalità o "tipologie" del lavoro a tempo parziale, nell’ambito di quelle ammesse dalla disciplina precedente, che così può ritenersi non abrogata, sembrano costituire oggetto di una scelta lasciata al dipendente, non essendovi spazio, anche secondo la Corte costituzionale (sent. 11.3.1992, n. 210, in Foro it., 1992, I, 3232), a imposizioni dell’amministrazione, né più ad accordi con questa.

6.4. - Le attività incompatibili e il conflitto di interessi. – Il già accennato "conflitto di interessi con la specifica attività di servizio" (art. 1, 58° co., l. 662 del 1996) è il non facile criterio distintivo, che si aggiunge, senza sostituirsi interamente (cfr. infatti art. 39, 25° co., cit., l. 449 del 1997), a quello dell’"incompatibilità con le attività d’istituto dell’amministrazione" (art. 6, 2° co., d.p.c.m 117 del 1989), sotto pena immediata, e quindi "a rischio", però, come pure accennato (n. 5.4), di licenziamento o decadenza (art. 1, 61° co., l. 662 del 1996), non occorrendo più la diffida prevista dalla normativa tradizionale (art. 63 t.u. n. 3 del 1957), e con la garanzia solo procedurale del "contraddittorio" nell’accertamento (art. 1, 61° co., cit.).

La difficoltà è soprattutto logica, giacché il conflitto d’interessi è per sé valutazione meglio operabile con riguardo a singoli atti o affari che non ad attività (sulla nozione cfr. AULETTA, G. [12], GIANNINI, M.S., [67]; per applicazioni DELL’OLIO, M. [44]), tanto meno rivolte alla generalità, come quelle professionali.

Né serve a superare i problemi l’obbligo di comunicazione dell'"eventuale successivo inizio" o "variazione dell'attività lavorativa" (art. 1, 58° co., cit., l. 662 del 1996), non sembrando poterne derivare né la legittimazione di attività in conflitto né la caducazione della "trasformazione" a tempo parziale, cui la stessa amministrazione non ha interesse né possibilità di addivenire, avendo dovuto devolvere altrimenti, come già detto, il "risparmio di spesa" (art. 1, cit., 59° co.).

Infatti la ritrasformazione a tempo pieno è a sua volta un diritto del dipendente, esercitabile alla scadenza di un biennio e a quelle successive previste dai contratti collettivi (art. 6, 4° co., d.l. 79 conv. in l. 140 del 1997), con collocazione "anche in sovrannumero" e riassorbimento attraverso le successive vacanze di posti.

In sede di concessione o diniego della trasformazione il conflitto costituisce oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione, che a sua volta può considerarsi cautelativa per il dipendente, anche se per silenzio-assenso (art. 1, 58° co.), salva dimostrazione della non conformità dell’attività poi svolta (61° co., che menziona insieme la comunicazione "mancata" e quelle "risultate non veritiere").

E per le attività in quanto tali è il presupposto, come già detto, di un vero divieto, concernente qualsiasi lavoro subordinato o autonomo svolto dai dipendenti a tempo pieno o a tempo parziale superiore alla metà, salvo autorizzazione nei casi consentiti (60° co., che prevede anche a tal fine una procedura di silenzio-assenso ma è ora da coordinare con l’art. 58, 10° co., testo attuale, d. legisl. 29 del 1993, secondo cui l’autorizzazione, decorso il termine per provvedere, "si intende accordata" se "richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche" mentre "in ogni altro caso s’intende definitivamente negata").

La sanzione consiste nel licenziamento o nella decadenza, salve solo le prestazioni gratuite in associazioni di volontariato o cooperative socio-assistenziali (sulle organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali, che qui sembrano evocate in senso proprio, cfr. SCARTOZZI, G., [116]), oltrechè nelle già ricordate misure a carico di chi si vale delle prestazioni (art. 6, cit., 1° co. d.l. 79 conv. in l. 140 del 1997; art. 58, 7°-9° co., d. legisl. 29 del 1993: cfr. n. 5.4).

Il contenuto, o almeno il genus proximum, della nozione di conflitto d’interessi, poi, sembra da ravvisare nell’obbligo di fedeltà, che come è noto si traduce anche in divieto di trattazione d’affari (art. 2105 c.c.: cfr. SANTORO-PASSARELLI, F. [112]) ed ha come sanzione pressochè naturale il recesso per giusta causa (Cass., 6.3.1990, n. 1747, in Foro it., 1991, I, 2186, con nota di MARIMPIETRI, I.), pur se non si può parlare, poi, di "concorrenza", non attagliandosi questa nozione all’attività dell’amministrazione, bensì appunto di contrasto o conflitto con l’assolvimento della funzione pubblica.

E più in concreto gl’interessi da considerare in conflitto sono quelli delle "controparti" dell’amministrazione, a sua volta riguardata nell’esercizio della "specifica attività" cui è addetto il dipendente, anzi di soggetti comunque coinvolti nell’interesse pubblico alla cui valutazione e realizzazione lo stesso concorre.

In tema di tutela, anticipandosi quanto di dirà in generale, va notato che al giudice ordinario spettano le controversie sugli eventuali provvedimenti disciplinari o comunque sanzionatori, quand’anche implicanti la cognizione incidentale della legittimità di atti amministrativi presupposti (art. 68, 1° co. , testo attuale, d. legisl. 29 del 1993).

Tali sembrano tuttavia i dinieghi di trasformazione (art. 1, 58° co., l. 662 del 1996) e di autorizzazione (art. 58, 10° co., d. legisl. 29 del 1993), oltreché i differimenti (art. 1, 58° co., cit.), che dunque appaiono ancora soggetti a impugnativa dinanzi a quello amministrativo (arg. ex art. 68, 1° co., ultima parte, d. legisl. 29 del 1993) e insuscettibili di surrogazione con sentenze costitutive (cfr. invece art. 68, cit., 2° co.).

Qualche dubbio, sul piano sostanziale, suscita se mai la previsione, tra le materie soggette a riserva di legge, pur se non più a giurisdizione amministrativa, della "disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività" e dei "casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici" (art. 2, 1° co. , lett. c, n. 7, l. 421 del 1992), che dunque non sembrano rimessi solo a "determinazioni operative e gestionali" privatistiche.

6.5. - I rapporti a termine. - Parimenti superata, con l’abrogazione (art. 43, 4° co., d. legisl. 80 del 1998) del divieto espresso, ed indiscriminato, di costituire rapporti di lavoro a tempo determinato per prestazioni superiori a tre mesi (art. 3, 23° co., l. 24.12. 1993, n. 537, ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale, in riferimento all’autonomia regionale, con sentenza 27.7.1995, n. 406, in Giur. cost., 1995, I, 500), sembra la crisi aperta dalla giurisprudenza di controllo (Corte dei conti, Sez. controllo, 1° Coll., 29.8.1996, n. 123) nei rapporti tra legge e contratto collettivo in tema di rapporti a termine.

Deve infatti ritenersi ora lasciata alla contrattazione collettiva, come nel lavoro privato, l’"individuazione" delle "ipotesi" di ammissione, anche con fissazione di percentuali massime (art. 23 l. 56 del 1987), salva però la necessità di procedure selettive rispettose del principio costituzionale del concorso (art. 36 d. legisl. 29 del 1993, solitamente richiamato nei contratti collettivi).

Perciò è esclusa la conversione a tempo indeterminato, secondo il costante orientamento della giurisprudenza anteriore (Cons. St., A.p., 29.2.1992, n. 1 e 2, in Foro it., 1993, III, 31 ss., con nota di CASSESE, S.), confermato anche dalla disciplina del lavoro "interinale" (art. 11, 2° co., l. 196 del 1997), che del resto ha ridimensionato lo stesso istituto della conversione (art. 12, con nuovo testo dell’art. 2 l. 230 del 1962).

Ma sussiste il diritto del lavoratore al risarcimento del danno derivante dalla prestazione, con obbligo per le amministrazioni di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave (cfr. n. 2.3).

6.6. - Flessibilità e mansioni. Flessibilità e mobilità. Flessibilità retributiva (richiami). – Per materie come le mansioni, la mobilità, la retribuzione, basta qui dire che la flessibilità costituisce se mai una chiave di lettura, nella già indicata dialettica con la rigidità, di discipline e vicende già descritte

In tema di mansioni e di inquadramento, infatti, il tipo di rigidità caratteristico del lavoro privato GIUGNI, G. [66]) ha funzione accentuatamente garantistica, e anche lì è sentito ora come un limite, suscettibile di indurre fragilità e inaccessibilità (cfr. GIAMMARIA, G. [71]).

Per le amministrazioni pubbliche, dove pure alcune rigidità sono nate (PALLADINI, A., in [46]), invece, esso riduce, con la sua componente "statica", la fruibilità della prestazione, e d’altra parte appare, in quella "dinamica", come già detto, troppo pericoloso per l’amministrazione e suscettibile di consentire aggiramenti della garanzia del concorso e della riserva di legge sull’accesso agli uffici.

Invece le "forme flessibili di gestione del tempo di lavoro" sono suggerite (art. 35, 4° co., testo attuale, d. legisl. 29 del 1993; su flessibilità e orario cfr. PICCININI I. e FERRARI, P. [92]) come oggetto di accordi volti alla ricollocazione del personale eccedente, in alternativa a vere flessibilità della forza lavoro di ciascuna amministrazione, con mobilità verso altre (art. 35, cit., 4° e 6° co.: cfr. n. 3.2), salvo scelta dei singoli per la disponibilità (art. 35, 7° co.), che a sua volta equivale o somiglia, come già detto, alla mobilità privatistica e si distingue dall’accennata mobilità volontaria, destinata soprattutto alla copertura di vuoti d’organico e suscettibile di disciplina collettiva (art. 33, 1°-3° co.).

La "flessibilità" retributiva, infine, quando non è il riflesso di altri profili, soprattutto l’orario, consiste solo nella variabilità di trattamenti accessori (art. 49 d. legisl. 29 del 1993, tra i pochi non toccati dal d. legisl. 80 del 1998), in funzione migliorativa per la produttività individuale o collettiva, oppure, con i già accennati arretramenti ideali, risarcitoria di particolari disagi, pericoli, danni art. (49, cit, 3° co., lett. a-c: cfr. supra, n. 5.3).

6.7. - Telelavoro. - Per il telelavoro esistono, come già detto, la previsione legale e la disciplina organizzativa, o meglio amministrativa, ma non c’è ancora quella collettiva, della quale possono solo ipotizzarsi, attraverso l’atto di indirizzo ministeriale (supra, n. 6.1), i contenuti e quindi proprio le funzioni di flessibilizzazione, nel senso accennato, attinenti tra l’altro alla scelta dei dipendenti, anche per loro situazioni familiari o disabilità (e con possibilità di riassegnazione in sede), al tipo di mansioni, a eventuali articolazioni dell’orario, anche con individuazione di fasce di reperibilità e ripartizione tra lavoro a distanza e in sede (atto d’indirizzo, cit., 1).

6.8. - Lavoro temporaneo e contratto di formazione. - Anche per le altre "forme di flessibilità" possono solo ipotizzarsi, attraverso l’accennato atto d’indirizzo e le stesse norme di legge, i contenuti, indispensabili nella sostanza, anche per cautela delle amministrazioni (DELFINO, M. e LUCIANI, V., [43]), benchè non costituenti presupposto indispensabile.

Tali, per il lavoro temporaneo, o interinale (cfr. SCARTOZZI, G., [117]), pur già consentito anche alle pubbliche amministrazioni dalla legge apposita (art. 11, 2° co., l. 196 del 1997), la stessa identificazione delle ipotesi ammesse (atto d’indirizzo, cit., 2, a, con ampia esemplificazione), al di là o a specificazione di quelle previste per legge, soprattutto la temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti organizzativi (DELFINO, M. e LUCIANI, V. [43]), l’individuazione delle qualifiche di esiguo contenuto professionale, per le quali il ricorso a questa forma è vietato (art. 1, 4° co., l. 196 del 1997, cit.; l’atto di indirizzo, cit., 2, b, le identifica, anche alla stregua dell’art. 16 l. 56 del 1987, nelle qualifiche per le quali non è previsto un titolo superiore alla scuola dell’obbligo), salvo che per i lavoratori già impegnati in progetti socialmente utili (atto d’indirizzo, cit., 2, c, che richiama il d.m. 21.5.1998), la percentuale massima di lavoratori temporanei rispetto al totale degli occupati (art. 1, 2° co., lett. a, l. 196 del 1997; l’atto d’indirizzo, cit 2, c, prevede la determinazione di una media da osservare in ciascun trimestre).

Per il contratto di formazione, invece, come per il tempo parziale, che però si è visto essere oggetto di una per sé "autosufficiente" disciplina di legge, ogni "attesa" sembra in principio esclusa, dato l’obbligo di coprire subito la percentuale stabilita (art. 39, 18° co., l. 449 del 1997, aggiunto dall’art. 22, 1° co. , lett. c, l. 448 del 1998, cit., e in proposito DELFINO, M. e LUCIANI, V. [43]), mentre del resto esistono norme settoriali che lo ammettono senza postulare la contrattazione collettiva (artt. 18 l. 9.3.1989, n. 88, per l’Inps e l’Inail, 5 l. 7.8.1997, n. 266 per l’Enea: cfr. DELFINO, M. e LUCIANI, V. [43]), richiamata solo per certi profili, in sé non infungibili, dalla disciplina del lavoro privato (art. 3, 3° co., d.l. 726 convertito in l. 863 del 1984, cit., per l’esclusione della necessità di autorizzazione in caso di conformità dei progetti ai modelli approvati con decreti ministeriali sulla base di accordi sindacali, e art. 8, 5° co., l. 407 del 1990, cit., per l’individuazione delle "professionalità elementari" escluse, che in mancanza sembrano poter coincidere con la qualifica più bassa del sistema: DELFINO, M., e V. LUCIANI, [43]).

Tuttavia le amministrazioni non sembrano potersi agevolmente muovere senza contrattazione collettiva, che infatti l’atto d’indirizzo postula sia per le finalità suindicate (3, prima parte, a, d) sia anche la determinazione dei criteri di conversione a tempo indeterminato (3, b), l’ammissione di un inquadramento iniziale in livelli inferiori a quello d’arrivo (3, seconda parte, b, con richiamo all’art. 16, 3° co., l. 451 del 1994), la previsione di ipotesi di proroga e sospensione (3, seconda parte, c, con richiamo agli orientamenti giurisprudenziali: cfr. Cass., 28.3.1997, n. 2822, in Dir. lav., 1997, II, con nota di VALENTINI, V.; DELL’OLIO, M. [49]).

7.- La tutela DEI DIRITTI

7.1. - Il riparto di giurisdizione e i suoi criteri. - In tema di giurisdizione (cfr. Caianiello, V.,[20], PATRONI GRIFFI, F., [87]) la "seconda privatizzazione", nell’attuare la devoluzione al giudice ordinario, è tornata a quelli che, per le controversie di lavoro, possono considerarsi i criteri e sistemi tradizionali

Si è basata ancora, infatti, essenzialmente sulla natura e la titolarità del rapporto, abbandonando o ridimensionando nel settore, se non per alcuni risvolti, il proposito di fare riferimento, invece o inoltre, alla "materia" della controversia, assunta anche (ROMAGNOLI, U., [98]; SASSANI, B., in [46]) a criterio d’individuazione della fonte regolatrice (art. 2, 1° co., lett. c, l. 421 del 1992), con il singolare postulato che il giudice ordinario conoscesse solo la disciplina collettiva e quello amministrativo solo la legge e le altre fonti autoritative, e con alterne vicende "confinarie": prima la ritenzione di sette materie all’uno (art. 2, 1° co., lett. c, n. 1-7, l. 421 del 1992, richiamato dall’art. 68, 1° co., testo originario, d. legisl. 29 del 1993), poi la devoluzione di tredici all’altro (art. 68, d. legisl. 29 del 1993, come sostituito dall’art. 33 d. legisl. 546 del 1993).

Ora invece, pur se in connessione o parallelo con la soggezione alle disposizioni sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e alla disciplina contrattuale (art. 2, 2° e 3° co., d. legisl. 29 del 1993, testo attuale), tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, incluse le denunzie di comportamenti antisindacali (SASSANI, B., in [88]), sono devolute al giudice ordinario (art. 68, 1° co.), mentre a quello amministrativo restano, oltre ai rapporti non privatizzati (art. 2, 4° e 5° co., richiamato dall’art. 68, 4° co.), le procedure concorsuali per l'assunzione (art. 68, 4° co.).

7.2. - Ambito e senso di ciascuna giurisdizione. - La giurisdizione di ciascun ordine (SORDI, P., [118]; TENORE, V., in [85]) è sviluppata e resa, più che "esclusiva" (sulla nozione Barbieri, E.M., [13]), completa e indipendente, con la rimozione di condizionamenti e limiti rispetto all’altra.

Quella ordinaria, infatti, è ribadita "ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti": che ove rilevanti per la decisione devono essere disapplicati se illegittimi (art. 68, 1° co., seconda parte), senza possibilità di sospensione del processo in caso di ricorso al giudice amministrativo (1° co., terza parte).

Ed è commisurata alla "natura dei diritti tutelati", con ammissione perciò di "tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna", dalla stessa "richiesti" (2° co., prima parte).

A quella amministrativa, dove ancora esclusiva, e quindi collegata a rapporti, è invece attratto il tema dei diritti patrimoniali ora detti "connessi" (4° co., ultima parte ).

Sola "materia" ritenuta come tale alla giurisdizione amministrativa (TENORE, V., in [85]), anche per i rapporti privatizzati, è come già accennato (n. 3.3) quella delle "procedure concorsuali per l'assunzione" (4° co., prima parte), con inevitabile riemergere di problemi di confine, e perciò con la devoluzione espressa a quella ordinaria delle "controversie concernenti l'assunzione al lavoro" (1° co., prima parte), oltreché ora "il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali" e "le responsabilità dirigenziali" (art. 18 d. legisl. 387 del 1998), anzi con l’affermazione altresì, per la sentenza, dell’effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro (art. 68, cit., 2° co., seconda parte ).

Per contro le "indennità di fine rapporto", "comunque denominate e corrisposte" (1° co., prima parte), materia parimenti devoluta al giudice ordinario, sembrano da intendere in senso stretto e proprio, quali corresponsioni in capitale, con salvezza, dove c’è, della giurisdizione pensionistica (per la sopravvivenza di quella contabile TENORE, V., in [85]).

Ugualmente completa è la devoluzione al giudice ordinario, espressamente identificato in quello del lavoro, per le controversie relative a comportamenti antisindacali (3° co., prima parte, che richiama l’art. 28 st.l.) e per quelle promosse da organizzazioni sindacali, così come dall'Aran o dalle amministrazioni (SASSANI, B., in [88]), relativamente alle procedure di contrattazione collettiva (art. 68, 3° co., seconda parte, che richiama gli artt. 45 ss.), così evocate quale materia giustiziabile.

7.3. - La disapplicazione degli atti presupposti.- A commento di queste disposizioni (TENORE, V., in [85], SASSANI, B., in [88]), deve dirsi, intanto, che se la disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi evidentemente non è in sé una novità (Cassarino, S., [29]), la stessa individuazione di quelli "presupposti" sembra dover coincidere, nell’ambito e nel linguaggio della disciplina in esame, con gli "atti organizzativi", anzi concernenti le "linee fondamentali di organizzazione" e le " dotazioni organiche complessive" (art. 2, 1° co.; cfr. n. 2.4), e non con le "determinazioni per l'organizzazione degli uffici" e le "misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro", che invece sono assunte, "nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi" suindicati, "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (art. 4, 2° co.), e quindi non con atti amministrativi, pur se "al fine di assicurare l'attuazione dei princìpi" così fissati e la "rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa" (art. 4, 1° co.).

E deve ricordarsi altresì che la disapplicazione, proprio per gli atti rilevanti in via pregiudiziale, secondo la giurisprudenza amministrativa, consiste nel considerare l'atto pregiudiziale tamquam non esset, senza trasmissione di vizi all’atto successivo, come invece è caratteristico dell’invalidazione dell'atto presupposto (Cons. St., IV, 29-2-1996, 222, Foro amm., 1996, 488).

Tanto meno, allora, la disapplicazione e la stessa invalidazione, la cui eventualità anche perciò non costituisce causa di sospensione del processo ordinario, come espressamente si dice (art. 68, 1° co., terza parte) ma del resto si tende in generale a escludere sulla via dell’indipendenza delle giurisdizioni (artt. 651 ss. c.p.p. 1988 in confronto all’art. 3 c.p.p. 1930), sembrano poter implicare la comunicazione di vizi ad atti privatistici.

Se mai devono tradursi, come non è agevole ipotizzare data la loro portata negativa, in vizi a loro volta di diritto privato (come, a parte lo schema della presupposizione, quelli della capacità, legittimazione, volontà, peraltro deducibili solo dal soggetto cui l’atto è riferito: Cass., 8.8.1987, 6828), semprechè non superati con strumenti propri di questo, quali la convalida o ratifica.

Tra i vizi che possono comportare la disapplicazione deve certamente comprendersi, senza con ciò aprire un sindacato di opportunità o di merito, l’eccesso di potere (ex multis Cass., 1.8.1997, 7147).

E può aggiungersi che appare non tanto derogato, con l’espressa ammissione, quanto ininvocabile, dato il tipo di atti che possono venire in questione, il principio (Cass., 29.5.1995, 6001) secondo cui la disapplicazione non può operare nei confronti di chi, per essere parte del rapporto oggetto del provvedimento e destinatario di questo, può reagire all'affievolimento del diritto con l’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.

Per contro le "determinazioni" suaccennate, come già detto, benché "assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro", devono pur sempre avere il fine di "assicurare l'attuazione dei princìpi" fissati (art. 4, 1° e 2° co.), a loro volta forse da non identificare con i "criteri" ispiratori imposti dalla stessa fonte (art. 2, 1° co., lett. a-e), e soprattutto la "rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa" (art. 4, 1° co., cit.).

E quindi sembrano valutabili dal giudice ordinario sotto questo profilo, che comunque non può tradursi in sindacato di merito bensì tiene luogo di quello di legittimità precedentemente rimesso alla giurisdizione esclusiva.

7.4. - La materia dei concorsi. - Il caso più caratteristico di atto o meglio procedimento presupposto, quello del concorso rispetto all’assunzione, è peraltro trattato e risolto direttamente dalla legge (art. 68, 4° co., prima parte), in termini antitetici alla logica fin qui ricostruita, ma che ne confermano la correttezza.

Infatti, come già notato, le "procedure concorsuali per l’assunzione", a loro volta imposte da una norma costituzionale, sono la sola materia le cui controversie "restano" alla giurisdizione amministrativa, mentre la costituzione del rapporto è oggetto ed effetto di un contratto (art. 36, 1° co.: supra, n. 2.3) fortemente vincolato sia nell’identificazione dei soggetti sia nella determinazione dei contenuti, per il quale già la contrattazione aveva previsto, quale causa risolutiva, l'annullamento della procedura di reclutamento, espressamente definita "presupposto" (così l’art. 14 del primo contratto per i ministeri e le clausole corrispondenti degli altri, che sono forse la radice semidotta della successiva previsione legale).

E ora la legge aggiunge la sentenza costitutiva, necessariamente demandandola, come quella risolutiva contestualmente postulata, al giudice ordinario (art. 68, 2° co., seconda parte).

Quest’ultimo però non sembra poter solo disapplicare l’atto conclusivo della procedura, a sua volta non costituente "determinazione per l’organizzazione degli uffici" né "misura inerente alla gestione dei rapporti di lavoro" (art. 4, 1° e 2° co, cit.), bensì deve in realtà, quando non si tratti di vizi propri dell’atto di assunzione, o comunque successivi all’esaurimento della procedura concorsuale (come ad esempio la mancata presentazione della documentazione di rito o l’emergere attraverso questa di cause di incapacità o incompatibilità), attendere la proposizione e anzi l’accoglimento dei ricorsi amministrativi, in mancanza del quale ogni domanda, più che improcedibile o soggetta a sospensione, è del tutto improponibile.

7.5. - I tipi di pronunzia e i mezzi di attuazione. - Risvolto passivo della "capacità del privato datore di lavoro" è la soggezione, in sede cognitiva, a tutti i tipi di pronunzia emanabili nei confronti di questo, ma anche la limitazione, in sede esecutiva ordinaria, a sua volta alle procedure esperibili e alle misure adottabili, in particolare l’esclusione della coactio, pur se, come si è visto, non della condanna, ad factum (Cass., 13.10.1997, 9957, e in tema di reintegrazione 13.4.1985, 2458, Mass. giur. lav., 1985, 437).

C’è peraltro da chiedersi, e in prima approssimazione la risposta sembra dover essere positiva, se sia ancora esperibile la procedura di ottemperanza, che come si sa è nata proprio per l'adempimento dell'obbligo di "conformarsi al giudicato dei tribunali" ordinari (art. 27, n. 4, t.u. 10542 del 1924: cfr. Calabro’ , C., [21]) ed è tuttora ammessa, in alternativa al processo di esecuzione, perfino con riguardo a sentenze di condanna pecuniaria (Cons. St., VI, 16.4.1994, 527), o comunque all’adempimento di obblighi puntuali (Cons. St., VI, 31-10-1991, 785), anche comportanti lo svolgimento di attività a carattere discrezionale ( Cons. St., IV, 30.1.1984, 33).

7.6. Risvolti sostanziali. - Per contro deve dirsi che se la limitazione dei poteri a quelli del privato datore di lavoro esclude che l’amministrazione possa affievolire diritti del dipendente, questi sono tuttavia talora esclusi o limitati, in confronto a quelli del lavoratore privato, dallo stesso ordinamento, con correlativi limiti, o vincoli e indirizzi, ai poteri di disposizione, anche indiretti, dell’amministrazione, come si può riscontrare nelle già riferite norme in tema di instaurazione del rapporto, mansioni, trattamento economico (supra, n. 2.3, 5.2, 5.3)

7.7. - Tempi e modi del passaggio. - La devoluzione al giudice ordinario, che è sempre identificato in quello del lavoro, concerne le controversie "relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998" (art. 45, 17° co., d. legisl. 80 del 1998: cfr. Apicella E. A., in [88]).

Formula, questa, che sembra indicare la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere, con inevitabile frattura in caso di formazione "progressiva", e non qualunque tipo di effetti, anche perchè allora tutte le domande, dovendo riguardare la tutela di diritti soggettivi esistenti (artt. 2907 c.c., 99 e 100 c.p.c., 24 Cost.), rientrerebbero nella giurisdizione ordinaria, con vanificazione della permanenza, contestualmente stabilita, di quella amministrativa per le controversie attinenti al "periodo anteriore".

La proposizione di queste ultime, la cui possibile "attinenza" non solo a diritti soggettivi ma anche a interessi legittimi ha forse suggerito l’uso della surriportata vox media (e atecnica), è peraltro soggetta a un termine fisso di decadenza (il 15 settembre 2000), che ovviamente si aggiunge a quelli di decadenza e prescrizione stabiliti da altre norme.

7.8. – La deducibilità in cassazione. Problemi in tema di natura e interpretazione dei contratti collettivi. - Importanti innovazioni, che anzi il legislatore e in difetto il suo giudice non sembrano poter lasciare limitate al lavoro pubblico (DELL’OLIO, M., [48]), la "seconda" privatizzazione ha apportato in tema di cognizione e anzi di governo, in o attraverso il giudizio, dei contratti collettivi.

Infatti ha intanto ammesso, come motivo di ricorso per cassazione, la violazione o falsa applicazione di quelli nazionali (art. 68, 5° co.: cfr. PILEGGI A., in [88]; Moscarini, L.V., [83]).

Il che richiama i problemi, cui la deducibilità in cassazione è stata connessa anche in periodo corporativo (cfr. per vedute opposte CESARINI SFORZA, W., [34], e JAEGER, N., [75], [76]) della stessa natura del contratto collettivo e delle regole da applicare alla sua interpretazione, con innegabile attrazione a vedute normativistiche (già CARNELUTTI, F., [27]), ma con validità ancora dell’insegnamento che il contratto, pur se efficace per tutti gli appartenenti alla categoria, è di per sè "la risultante, la composizione di interessi contrastanti", mentre solo la legge "proviene da un’autorità superiore" (SANTORO-PASSARELLI, F., [111]).

7.9.La "pregiudiziale" collettiva. - Sempre con riferimento ai contratti nazionali è poi stabilito (Briguglio, A., in [88]) che quando "per la definizione di una controversia individuale" è "necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o l'interpretazione" di loro clausole, "il giudice fissa una nuova udienza di discussione non prima di centoventi giorni" (art. 68 bis, 1° co.: non è più prevista la sospensione del giudizio, ma il termine minimo è pari a quello massimo stabilito dall’art. 296 c.p.c.) e dispone la comunicazione degli atti all’Aran, la quale sua volta promuove la verifica delle possibilità di interpretazione autentica o modifica della clausola controversa (2° co.).

Ove queste intervengano sembrano vincolare il giudice e le parti, come emerge dal richiamo alla già accennata disposizione sull’interpretazione autentica (art. 53; supra, n. 4.5), che a sua volta richiama le procedure per la sottoscrizione e l’efficacia (art. 51; cfr. n. 4.1) e fa decorrere questa dall’inizio della vigenza del contratto interpretato.

In mancanza di accordo il giudice decide la sola questione proposta (art. 68 bis, cit., 3° co., prima parte), con sentenza soggetta, entro sessanta giorni dalla comunicazione, a ricorso in cassazione, a sua volta comportante la sospensione del processo a quo (3° co., 3^ parte).

Il rinvio, secondo una disposizione formulata in termini che potrebbero perfino essere riferiti a tutti i casi (4° co.), deve essere disposto allo stesso giudice, e la riassunzione deve avvenire entro un termine (sessanta giorni dalla comunicazione) più breve di quello ordinario (4° co.).

L’Aran e le organizzazioni firmatarie possono intervenire anche oltre i termini, forse addirittura in qualsiasi processo coinvolgente questioni del tipo indicato, e in tal caso impugnare le sentenze, oltreché presentare memorie anche senza intervenire (5° co.).

In pendenza del giudizi in cassazione possono essere sospesi i processi che dipendono dalla soluzione della stessa questione (6° co.), mentre ove intenda discostarsi da pronunzie di cassazione il giudice deve seguire la stessa procedura (7° co.).

Problema di fondo della disciplina è l’ambito di applicazione, data la generalità, forse irriflessa, delle espressioni e previsioni.

Così nel parlare di interpretazione si trascura l’immanenza di tale processo, come attribuzione di significato a qualunque proposizione, di cui è solo un espediente semplificatorio la teoria comunitaria dell’"atto chiaro" (Corte Comunità europee, 6.10.1982, 283/81/1982, Foro it., 1983, IV, 63), eco della regola per sé fallace in claris non fit interpretatio (BETTI, E., [18]), a sua volta diversa dal monito a non far oscura glosa (CALASSO, F., [22]).

Un correttivo, che però può comportare l’esclusione di ogni fortuna dell’istituto, è la carenza di conseguenze per la mancata attivazione.

Infatti la sentenza, in tale caso, risulta se mai viziata da violazione o falsa applicazione del contratto collettivo, o viceversa inattaccabile per la conformità a questo, salvo in sede di gravame l’esperimento (o ancora la non censurabilità come tale del mancato esperimento) di quest’incidente, per sé non prescritto a pena di nullità del procedimento.

E ciò vale anche per la "ribellione" o innovazione rispetto ai precedenti (7° co., cit.), che i giudici di gravame, incluso quello supremo, potranno se mai censurare o condividere nei contenuti ma non respingere solo per la forma, che del resto è ben poco praticabile in quanto costringe il giudice ad anticipare la pronunzia che intende adottare.

Dubbi si devono dire anche gli effetti acceleratori sul singolo processo, in cui a ben vedere si rimette al giudice l’adozione, negletta tra le parti, della procedura per saltum (art. 360, 2° co., c.p.c.).

E sul contenzioso in genere la funzione deflattiva non va oltre l’"invito" alla negoziazione, avente di per sé, come si è visto, effetto erga omnes, e se mai la ricerca della formazione di precedenti, che però hanno autorità solo come tali, data la possibilità per ogni giudice di discostarsene, salvo forse il caso di intervento di tutte le organizzazioni, con formazione allora di un giudicato avente la stessa estensione del contratto.

7.10. – Conciliazione e arbitrato (cenni). – Sulla conciliazione basta qui dire (cfr. per gli sviluppi Flammia, R., [58]) che il tentativo è stato reso obbligatorio (art. 69) in termini che hanno ricalcato, anche nelle successive correzioni (art. 19, 3°-6° co., d. legisl. 387 del 1998), se mai con qualche maggior larghezza verso le amministrazioni, l’analogo istituto del lavoro privato (artt. 410 ss. c.p.c., come sostituiti dagli artt. 36 ss. d. legisl. 80 del 1998 e modificati dall’art. 19, 8° co. ss., d. legisl. 387 del 1998: cfr. Tiscini, R., in [88]).

E’ stato infatti stabilito non solo che la domanda diventa procedibile decorsi novanta giorni dalla promozione del tentativo di conciliazione (art. 69, cit., 2° co.) ma altresì che il giudizio va sospeso ove risulti instaurato senza previo tentativo di conciliazione o prima che siano decorsi novanta giorni dalla sua promozione (3° co.).

In entrambi tali casi, e dunque con una sorta di penalizzazione aggiuntiva nel secondo, il tentativo deve essere promosso entro sessanta giorni dalla sospensione del giudizio, che a sua volta deve essere riassunto, a pena di estinzione da dichiararsi (anche) d’ufficio, entro centottanta dall’espletamento o dall’inutile decorso di novanta dalla promozione (2-3°co.).

Con il che l’istituto tradisce profili non tanto di favore per la conciliazione quanto dilatori del processo, che possono suscitare dubbi di costituzionalità, altra volta superati proprio sul presupposto, tra l’altro, che a rendere procedibile la domanda bastasse la mera richiesta del tentativo di conciliazione (Corte cost., 4.3.1992, n. 82, Foro it., 1992, I, 1023, in riferimento all’art. 5 l. 11.5.1990, n. 108).

Il collegio (ALES, E., in [88]) è costituito di volta in volta e deve formulare una proposta, valutabile ai fini delle spese nel giudizio che si instaura in caso di non accettazione (art. 69 bis).

Non è ripetuta, ma forse si può recuperare attraverso un sia pur generico richiamo (l’art. 69, 1° co., che menziona "il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 410 c.p.c."), la norma sull’interruzione della prescrizione e la sospensione della decadenza (art. 410, cit., 2° co., sostituito dall’art. 36 d. legisl. 80 del 1998), mentre l’accennata indulgenza verso le amministrazioni si traduce nell’ammissione della parte convenuta, dopo l’espletamento del tentativo, a "modificare o integrare le proprie difese" e "proporre nuove eccezioni processuali e di merito" (art. 69, 3° co., cit.).

Alla salvezza, già stabilita in generale, della richiesta di "provvedimenti speciali d’urgenza" e "cautelari" (art. 412 bis, 5° co., c.p.c., introdotto dall’art. 39 d. legisl. 80 del 1998, ma divenuto il 6° dopo l’intervento dell’art. 19, 11° co., d. legisl. 387 del 1998, e richiamato dall’art. 69, 3° co.) è aggiunta la precisazione che il termine per l’inizio del giudizio di merito decorre o "dal momento in cui la domanda è divenuta procedibile", evidentemente con l’esperimento del tentativo di conciliazione, o, "in caso di mancata richiesta" di questo, "decorsi trenta giorni" (art. 669 octies, 4° co., c.p.c., aggiunto dall’art. 31 d. legisl. 80 del 1998 e modificato dall’art. 19, 18° co., d. legisl. 387 del 1998).

Questi ultimi, nel mosaico e quasi labirinto normativo, sembrano aggiungersi al termine di legge, a sua volta di trenta giorni (art. 669 octies, cit., 1° e 2° co., c.p.c.), sempre ai fini dell’instaurazione di quel giudizio, se mai destinato poi ad essere sospeso, appunto per il mancato esperimento del tentativo, che invece non sembra determinare di per sé la perdita di efficacia del provvedimento cautelare (ma cfr. in contrario la Relazione governativa ).

Non è peraltro affrontata né illuminata in alcun modo la problematica, già fortemente controversa nella prassi, dell’esperibilità dei procedimenti monitori, definiti come si sa "speciali" ma "sommari" e non già "cautelari" (libro IV c.p.c., titolo I, rispettivamente capi I e III), e del regime di quello di opposizione.

Ed al riguardo sembra doversi dire impraticabile la via di un’interpretazione estensiva della "specialità", giacché l’art. 412 bis, 6° co., c.p.c., cit., menziona sia i "provvedimenti speciali d’urgenza", che dunque sembrano poter essere solo quelli appunto "d’urgenza" ex art. 700 c.p.c., compresi tra gli "speciali", sia i "provvedimenti cautelari previsti nel capo III del titolo I, libro IV", e quindi non può aver "voluto", plus quam dixit, tutti indistintamente i provvedimenti e anzi procedimenti speciali, cioè l’intero libro IV.

Forse però, posto che in sede monitoria è solo il giudice a poter rilevare il mancato esperimento del tentativo di conciliazione, allo stesso è dato astenersene ove ravvisi "pericolo di grave pregiudizio nel ritardo" e quindi conceda la provvisoria esecuzione, ex art. 642, 2° co., c.p.c., in funzione lato sensu cautelare ed anzi in una situazione del tipo di quelle che hanno indotto la giurisprudenza ad ammettere procedimenti d’urgenza anche a tutela anticipatoria di diritti patrimoniali.

In tali casi il tentativo dovrebbe essere riferito alla sede di opposizione, come a quella di merito in presenza di provvedimenti cautelari, con ancor maggiore stridore, in entrambi, dell’indicato effetto o addirittura intento dilatorio.

Anche per l’arbitrato (Flammia, R., [58]) basta dire che non ci sono, salvo quella che assegna tale funzione al collegio in tema di provvedimenti disciplinari (art. 59 bis: cfr. supra, 5.5), norme particolari, sicchè valgono in principio quelle, prudentemente promotive, stabilite per il lavoro privato (art. 412 ter e quater c.p.c., introdotti dall’art. 39 d. legisl. 80 del 1998 e poi modificati dall’art. 19, 12° co., d. legisl. 387 del 1998, il primo nella sola rubrica ma con la fondamentale definizione come "irrituale" dell’arbitrato previsto dai contratti collettivi: cfr. Cecchella, C., in [88]).

Per quello rituale resta invece il divieto di compromesso, ex art. 806, 1° co., c.p.c. (che peraltro richiama testualmente ancora gli artt. 429 e 459 del testo originario), mentre la clausola compromissoria può essere stabilita solo da contratti collettivi e senza pregiudizio della facoltà di adire l’autorità giudiziaria né autorizzazione, anche attraverso clausole individuali, a pronunzie di equità o esclusioni dell’impugnabilità del lodo (art. 808, 2° co., c.p.c., nel testo di cui all’art. 3 l. 5.1.1994, n. 25).

A precludere l’arbitrato non sembra per contro poter valere l’inidoneità a "innescare" il procedimento sulla pregiudizialità (n. 5.9: cfr. VACCARELLA, R., [123]).

Per l’arbitrato irrituale è quindi necessario, intanto (art. 412 ter, cit., 1° co.), che sia stato espletato il tentativo di conciliazione o sia decorso il termine dalla promozione, con un rallentamento che ripudia o duplica la tradizionale funzione anche conciliativa dei collegi, recuperata invece in materia disciplinare.

Inoltre occorre, in quel momento, uno specifico accordo delle parti per deferire ad arbitri la controversia (1° co., cit.), ma "a monte" un contratto collettivo nazionale che preveda tale facoltà e stabilisca modalità della richiesta e termine per aderirvi, composizione del collegio e procedura per la nomina dei componenti, forme e modi di espletamento dell'eventuale istruttoria, termine per l’emissione del lodo con comunicazione alle parti, criteri per la liquidazione dei compensi (1° co., cit., lett. a-e; il 2° ammette l’istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, con criteri per la distribuzione sul territorio; il 3° e il 4° richiamano la disciplina dell’art. 429, 3° co., su rivalutazione ed interessi, e, salvo diversa previsione collettiva, quella degli artt. 91-92 per la liquidazione delle spese della procedura.).

La previsione collettiva non può pregiudicare la facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria (art. 5, 1° co., l. 11.8.1973, n. 533, mentre il 2° e il 3°, sull’invalidità ex art. 2113 c.c., sono stati abrogati dall’art. 43, 7° co., d. legisl. 80 del 1998).

Il lodo è impugnabile (art. 412 quater, 1° co., c.p.c.: cfr. Cecchella, C., in [88]) entro trenta giorni dalla notifica, per ogni motivo attinente alla validità (anche il riferimento alla violazione di disposizioni inderogabili di legge e al difetto assoluto di motivazione, introdotto dall’art. 39 d. legisl. 80 del 1998, è stato soppresso dall’art. 19 d. legisl. 387), dinanzi al tribunale della sede dell’arbitrato, che decide in unico grado (e quindi con sentenza soggetta a ricorso per cassazione ex art. 360, 1° co., c.p.c.), a quanto sembra in composizione monocratica (cfr. VACCARELLA, R., [123]).

In mancanza, o in caso di accettazione scritta, oltrechè di rigetto dell’impugnativa, è dichiarato esecutivo dal giudice con decreto, su istanza di parte, previo accertamento della regolarità formale (art. 412 quater, cit., 2° co.: cfr., anche per il richiamo analogico al procedimento ex art. 825, VACCARELLA, R., [123], e per la critica alla mancata assegnazione di esecutività ex se al lodo Cecchella, C., in [88)

7.11. - La difesa dell’amministrazione. – Fattore di efficienza e puntualità dovrebbe essere, oltre all’istituzione di appositi uffici (art. 12 bis d. legisl. 29 del 1993, aggiunto dall’art. 7 d. legisl. 80 del 1998: cfr. TENORE, V., in [85]), l’ammissione della difesa, in primo grado, da parte di dipendenti dell’amministrazione (art. 417 bis c.p.c., introdotto dall’art. 42 d. legisl. 80 del 1998 e poi modificato dall’art. 19, 17° co., d. legisl. 387 del 1998, cit., che ha così sostituito la menzione dei "funzionari" e soppresso la necessità di "mandato generale o speciale"), salva avocazione da parte dell’avvocatura erariale, cui perciò gli atti devono ancora essere notificati (art. 415, 8° co., c.p.c.), mentre è escluso il privilegio di foro territoriale (art. 413, 4° e 5° co., che deroga all’art. 25).

Ma forse più significativa, per la gestione del contenzioso (Della Rocca G., in [88]), è l’esclusione, in caso di conciliazione raggiunta nell’apposito tentativo oppure in giudizio, di responsabilità per i rappresentanti delle amministrazioni (art. 69 bis, cit., 8° co.): che dovrebbe indurre a non preferire pesanti e reiterate condanne a ragionevoli transazioni (cfr. NOVIELLO, G., in [85]).

8. - FONTI NORMATIVE

Si rinvia alle fonti citate nel testo.

9. - BIBLIOGRAFIA

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  118. SORDI, P., I confini della giurisdizione ordinaria nelle controversie di pubblico impiego, in Arg. dir. lav., 1999, 1, 169;
  119. TREU, T., Rinnovi nel pubblico impiego, in Dir. prat. lav., 1995/10, 153;
  120. TURSI A., Autonomia contrattuale e contratto collettivo di lavoro, Torino, 1996;
  121. VACCARO, M.J., Note a margine dei codici di comportamento nel pubblico impiego, in Dir. lav., 1998, 420;
  122. VACCARELLA, R., Controversie (in materia di lavoro) II) profili processuali, in questa Enciclopedia, IX, 1988;
  123. VACCARELLA, R., Appunti sul contenzioso del lavoro dopo la privatizzazione del pubblico impiego e sull’arbitrato in materia di lavoro, in Arg. dir. lav., 1998, 3,
  124. VALLEBONA, A., Il codice di condotta dei dipendenti pubblici ed i pericoli di una incontrollata ansia di moralizzazione, in Dir. lav., 1994, I, 211;
  125. VALLEBONA, A., Alchimie del legislatore e occhiali del giurista nella riforma della contrattazione collettiva con le pubbliche amministrazioni, in Riv. it. dir. lav., 1998, II, 51;
  126. Vardaro G., Gaeta., L. Sanzioni disciplinari, I) Rapporto di lavoro privato, in questa Enciclopedia, XXVIII, 1992;
  127. VIRGA, P., Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 1993;
  128. ZOLI, C., Subordinazione e poteri del datore di lavoro: privato e pubblico a confronto, in Scritti in onore di G.F. Mancini, I, Milano, 1998, 673 ss.;
  129. ZOPPOLI, L., Contrattazione e delegificazione nel pubblico impiego. Dalla legge quadro alle politiche di "privatizzazione", Napoli, 1990;
  130. ZOPPOLI, L., Il contratto collettivo del dirigente pubblico dopo il d. lgs. 80/1998, in Lav. pubbl. amm., 1998, 1069;
  131. ZOPPOLI L., Il lavoro pubblico negli anni ’90, Torino, 1998

 

MATTEO DELL’OLIO