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A.G.E.S.C.I. Saronno 2     -----------------------------------------------------------------------------------------------

 

    La Catechesi di Co.Ca. di questo anno 1999/2000 vuole mettere al centro della nostra riflessione la COMUNITA'. Per fare questo partiremo da alcuni testi tratti da un autore molto conosciuto: Jean Vanier (del quale qui di seguito c'è una piccola "scheda"). Seguiranno poi  delle meditazioni che partiranno da brani della Parola di Dio che ci possono aiutare a vivere i diversi aspetti della vita comune.

 

Chi è Jean Vanier?

Nato nel 1928, ha lasciato la marina canadese nel 1950 per studiare filosofia e vivere in una comunità cristiana vicino a Parigi.

Dopo aver ottenuto un dottorato in filosofia ha insegnato all'Università di Toronto.

Poi, nel 1964, ha iniziato la comunità dell'"Arca" accogliendo due handicappati mentali adulti in una casa di Trosly-Breuil (Oise).

Questa comunità è cresciuta e da essa ne sono nate altre in differenti paesi: Canada, Stati Uniti, Belgio, Danimarca, Norvegia, Scozia, Irlanda, India, Italia, Haiti, Honduras, Alto Volta, Costa d'Avorio... Oltre a continuare la sua esperienza a Trosly e nelle altre comunità dell'Arca, Jean Vanier ha visitato numerose comunità nel mondo e animato un certo numero di incontri sulla vita comunitaria.

Numerose la sue pubblicazioni tra le quali ricordiamo in particolare "La comunità, luogo del perdono e della festa".

Introduzione

[Un tempo gli uomini vivevano in gruppi omogenei, nati tutti più o meno dalla medesima famiglia, aventi le medesime radici. In questi gruppi, nella tribù, nel villaggio, essi parlavano la stessa lingua, vivevano gli stessi riti e le stesse tradizioni, avevano lo stesso modo di vita e accettavano la stessa autorità. Erano solidali tra di loro. Questa solidarietà veniva sia dalla loro carne e dal loro sangue, che dalla necessità di una collaborazione per procurarsi i beni della vita e per difendersi dagli attacchi dei nemici vicini e dai nemici naturali. Tra la gente dei medesimo gruppo c'era un'unità che prendeva radice nelle profondità dell'inconscio.

I tempi sono cambiati. La società moderna è nata dal disintegrarsi di questi raggruppamenti più o meno naturali o familiari. Quelli che vivono adesso nella medesima località non fanno più parte di un gruppo omogeneo. Le città, e presto anche le campagne, sono fatte di vicini che s'ignorano. Ognuno si rinchiude, per paura, tra i muri della sua casa. La comunità umana non è più al livello della strada, del quartiere o del villaggio. C'è una mescolanza di popoli, di religioni e di filosofie, dovuta alla mobilità.

Questo stato di cose genera una solitudine più o meno ben sopportata. La famiglia, ridotta a volte alla coppia e ai suoi figli, non arriva più a bastare a se stessa. Si parte allora alla ricerca di amici. La persona umana non può vivere come su un'isola deserta; ha bisogno di compagni, di amici che partecipino a una stessa visione, uno stesso ideale, da poter condividere. ]

E’ così che certe persone si raggruppano, non per quartiere e nemmeno per famiglie (fratelli e sorelle, zii e zie), ma per simpatie o intorno a delle idee, intorno a una visione dell'uomo e della società o a centri d'interesse. Alcune di esse si ritrovano occasionalmente, altre vivono sotto il medesimo tetto. Lasciano i loro luoghi naturali, i loro parenti, forse il loro lavoro, per vivere con altre, in comunità, secondo questi nuovi criteri e questa nuova visione.

Nel medesimo tempo, esse vogliono testimoniare questi valori di fronte alla società; considerano di avere una buona novella da annunciare al mondo, che porta una felicità, una verità, e una pienezza di vita più grandi. Esse desiderano diventare il lievito nella pasta della società umana. Vogliono operare per la pace e la giustizia fra tutti gli uomini e tutte le nazioni.

Alcuni di questi gruppi sono più orientati verso l'azione, un lavoro o una lotta. Si vive con l'altro non come con un fratello, ma come con un camerata, un compagno di lavoro e di lotta. Si mettono insieme delle capacità di azione. Altri gruppi insistono maggiormente sul modo di vivere, sulla qualità delle relazioni tra i membri e sull'accoglienza, che sulle cose da fare. La loro azione, se si può dire così, è la loro testimonianza di vita e la loro capacità di accoglienza.

Abbiamo unito qui i due poli della comunità: lo scopo che attira e unifica, il centro d'interesse, il perché di questa vita insieme; e l'amicizia che lega tra di loro le persone, il sentimento di appartenere a un gruppo, la solidarietà, le relazioni interpersonali.

Di fatto, in ogni raggruppamento c'è una molteplicità di scopi, come sono multipli i modi di considerare la solidarietà. il senso di appartenenza.

[In questo libro il termine "comunità" è riservato essenzialmente a quei raggruppamenti di persone che hanno lasciato i loro luoghi abituali per vivere con altri sotto il medesimo tetto, per creare tra di loro delle relazioni interpersonali, vivere e lavorare secondo una nuova visione della persona umana e delle sue relazioni con i suoi simili e con Dio. E’ un senso molto restrittivo. Altri potranno dare alla parola "comunità" un senso più largo. Questo libro si rivolge soprattutto a coloro che vivono o vogliono vivere in comunità, ma molte cose si applicano ugualmente alla vita familiare. I due elementi essenziali della vita comunitaria si ritrovano in effetti nella vita familiare: le relazioni interpersonali, un senso di appartenenza, e il fatto di essere orientati insieme verso uno scopo e una testimonianza di vita.

Nello stesso modo, alcune di queste pagine possono applicarsi a delle persone che, pur non vivendo insieme, si ritrovano regolarmente per condividere il loro ideale, pregare o agire, e tra le quali si formano dei profondi legami.

E’ ben evidente che quasi tutto quello che dico qui è nato dalla mia esperienza quotidiana nell'Arca, la comunità in cui vivo da quattordici anni. Ma ho anche imparato enormemente visitando le comunità dell'Arca in giro per il mondo, e ascoltando altre persone che vivono in comunità.

Le comunità dell'Arca sono particolari, nel senso in cui noi ci sforziamo di vivere con delle persone minorate mentalmente. Certo vogliamo aiutarle a crescere e a divenire più autonome possibile, ma prima di "fare per", si vorrebbe "essere con". La sofferenza particolare del minorato mentale, come di ogni persona emarginata, è di sentirsi escluso. senza valore, non amato. E’ attraverso il quotidiano della vita comunitaria e nell'amore che vi si deve incarnare che egli comincia a scoprire a poco a poco di avere un valore, di essere amato e quindi amabile.]

Ho cominciato l'Arca nel 1964, col desiderio di vivere il Vangelo e di seguire meglio Gesù Cristo. Ogni giorno mi fa scoprire maggiormente quanto la vita cristiana deve crescere nell'impegno di una vita comunitaria, e quanto la vita comunitaria ha bisogno della fede, dell'amore di Gesù e della presenza dello Spirito Santo per potersi approfondire. Tutto quello che dico della vita comunitaria in queste pagine è ispirato dalla mia fede in Gesù.

Questo non vuol dire che non ci sia vita comunitaria al di fuori del cristianesimo. Anzi! Sarebbe contro ogni esperienza umana e anche contro ogni buon senso. Dal momento in cui gli uomini si raggruppano, per una causa o per l'altra, si crea una forma di comunità. Ma il messaggio di Gesù invita i suoi discepoli ad amarsi e a vivere in qualche modo la comunità.

Trovandomi vicino a molte persone attirate dalla comunità, da nuovi modi di vita, mi rendo conto della grande ignoranza esistente a riguardo della vita comunitaria. Molti sembrano credere che si tratti di mettere sotto lo stesso tetto delle persone che s'intendano "più o meno" o che siano impegnate nei confronti di uno stesso ideale, perché ci sia comunità. Il risultato, a volte, è disastroso! La vita comunitaria non è fatta semplicemente di spontaneità né di leggi. Ci sono delle condizioni precise, necessarie, perché questa vita comunitaria possa farsi profonda e crescere attraverso le crisi, le tensioni e i "momenti buoni". Se non ci sono queste condizioni, sono possibili tutte le deviazioni che porteranno progressivamente alla morte della comunità o alla sua morte spirituale, alla "schiavitù" dei suoi membri.

[Queste pagine vorrebbero mettere in chiaro le condizioni necessarie a una vita comunitaria. Sono state scritte non come una tesi, o un trattato di vita comunitaria, ma sotto la forma di flashes. Sono piste di riflessione, che ho scoperto non nei libri ma nel quotidiano, attraverso i miei errori, i miei insuccessi, anche le mie colpe, attraverso le ispirazioni di Dio e quelle dei miei fratelli e sorelle, attraverso dei momenti di unità fra di noi e anche attraverso delle tensioni e delle sofferenze. La vita comunitaria è una meravigliosa avventura. Mi auguro che molte persone possano vivere questa avventura, che è poi quella della liberazione interiore: la libertà di amare e di essere amati.]

 

(Da: Jean Vanier, La comunità luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 1980, pp. 11-14)


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