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A.G.E.S.C.I. Saronno 2     -----------------------------------------------------------------------------------------------

Simpatie e antipatie

 

I due grandi pericoli di una comunità sono gli "amici" e i "nemici". Molto presto la gente che si somiglia si mette insieme; fa molto piacere stare accanto a qualcuno che ci piace, che ha le nostre stesse idee, lo stesso modo di concepire la vita, lo stesso tipo di umorismo. Ci si nutre l'uno dell'altro; ci si lusinga: "sei meraviglioso", "anche tu sei meraviglioso", "noi siamo meravigliosi perché siamo i furbi, gli intelligenti." Le amicizie umane possono cadere molto in fretta in un club di mediocri in cui ci si chiude gli uni sugli altri; ci si lusinga a vicenda e ci si fa credere di essere gli intelligenti. Allora l'amicizia non è più un incoraggiamento ad andare oltre, a servire meglio i nostri fratelli e sorelle, a essere più fedeli al dono che ci è stato dato, più attenti allo Spirito, e a continuare a camminare attraverso il deserto verso la terra promessa della liberazione. L'amicizia diventa soffocante e costituisce un ostacolo che impedisce di andare verso gli altri, attenti ai loro bisogni. Alla lunga, certe amicizie si trasformano in una dipendenza affettiva che è una forma di schiavitù.

In una comunità ci sono anche delle "antipatie". Ci sono sempre delle persone con le quali non m'intendo, che mi bloccano, che mi contraddicono e soffocano lo slancio della mia vita e della mia libertà. La loro presenza sembra minacciarmi, e provoca in me delle aggressivita', o una forma di regressione servile. In loro presenza sono incapace di esprimermi e di vivere. Altri fanno nascere in me dei sentimenti d'invidia e di gelosia: sono tutto quello che io vorrei essere, e la loro presenza mi ricorda che io non lo sono. La loro radiosità e intelligenza mi rimanda alla mia indigenza. Altri mi chiedono troppo. Non posso rispondere alla loro incessante richiesta affettiva. Sono obbligato a respingerli. Queste persone sono mie "nemiche"; mi mettono in pericolo; e anche se non oso ammetterlo, le odio. Certo, quest'odio è solo psicologico, non è ancora morale, cioè voluto. Ma lo stesso avrei preferito che queste persone non esistessero! La loro scomparsa, la loro morte, mi apparirebbero come una liberazione.

È naturale che in una comunità ci siano queste vicinanze di sensibilità come questi blocchi fra sensibilità diverse. Queste cose vengono dall'immaturità della vita affettiva e da una quantità di elementi della nostra prima infanzia sui quali non abbiamo nessun controllo. Non si tratta di negarli.

Se ci lasciamo guidare dalle nostre emozioni, si costituiranno certo dei clan all'interno della comunità. Allora non ci sarà più una comunità, ma dei gruppi di persone più o meno chiusi su se stessi e bloccati nei confronti degli altri. Quando si entra in certe comunità, si sentono subito queste tensioni e queste guerre sotterranee. Le persone non si guardano in faccia. Quando s'incrociano nei corridoi, sono come navi nella notte. Una comunità non è tale che quando la maggioranza dei suoi membri ha deciso coscientemente di spezzare queste barriere e di uscire dal bozzolo delle "amicizie" per tendere la mano al "nemico",

Ma è un lungo cammino. Una comunità non si fa in un giorno. In realtà, non è mai fatta! Sta sempre progredendo verso un amore più grande, oppure regredendo.

Il nemico mi fa paura. Sono incapace di ascoltare il suo grido, di rispondere ai suoi bisogni: i suoi atteggiamenti aggressivi e dominatori mi soffocano. Lo fuggo o vorrei che scomparisse.

In realtà, egli mi fa prendere coscienza di una debolezza, di una mancanza di maturità, di una povertà nel mio intimo. Ed è forse questo che rifiuto di guardare. I difetti che critico negli altri sono spesso i miei propri difetti che rifiuto dì guardare in faccia. Coloro che criticano gli altri e la comunità, e cercano una comunità ideale, stanno spesso fuggendo i loro propri difetti e debolezze. Essi rifiutano il loro senso d'insoddisfazione, la loro ferita.

Il messaggio di Gesù è chiaro: "E io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi maltrattano. A chi ti colpisce su una guancia, porgi anche l'altra... Se non amate che coloro che vi amano, come potrà Dio essere contento di voi? Perché anche i peccatori amano coloro che li amano." (Lc 6, 27 ss.).

[Il "falso amico" è colui nel quale non vedo che delle "sedicenti" qualità. Egli suscita in me una certa vitalità, un benessere. Mi rivela a me stesso e mi stimola. È per questo che l'amo.

Il "nemico" al contrario stimola in me delle emozioni che non desidero guardare in faccia: aggressività, gelosia, paura, falsa dipendenza, odio, tutto questo mondo di tenebre che esiste in me.

Finché non accetto di essere un miscuglio di luce e di tenebre, di qualità e di difetti, d'amore e di odio, di altruismo e di egocentrismo, di maturità e d'immarurità, io continuo a dividere il mondo in "nemici" (i "cattivi") e "amici" (i "buoni"); continuo ad erigere barriere in me e all'esterno di me, a spandere dei pregiudizi.]

Quando accetto di avere debolezze e difetti ma anche di poter progredire verso la libertà interiore e un amore più vero, allora posso accettare difetti e debolezze degli altri; anche loro possono progredire verso la libertà dell'amore. Noi siamo tutti persone mortali e fragili, ma abbiamo una speranza, perché è possibile crescere.

 

(Da: Jean Vanier, La comunità luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 1980, pp. 19-21)


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