Due o tre cose su ....
Gli elementi dello spazio urbano -
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di Gianni Manis
"Il futuro
non appartiene alla città ma alla periferia." Charles Zueblin, 1905
Con la speranza di poter cambiare idea almeno
una volta in più delle volte che testardamente rimarrò della mia, dedico
questa parte a Franco Caruso.
Gianni Manis
Materialmente una
città può penarsi composta da spazio costruito e spazio non costruito,
cioè da edifici, strade, piazze, zone verdi. Ma la città è soprattutto
fatta dai suoi attuali abitanti, dei segni che chi l'ha abitata precedentemente
ha lasciato nei suoi edifici, nelle strade, nelle piazze. Ed ancora
è fatta di canali di comunicazione, di flussi di persone, merci, denaro,
informazioni, di infrastrutture.
Dal raggruppamento
primordiale di edifici, consolidato lungo le vie di comunicazione naturali
o realizzate dall'uomo, inizia la storia della città. Una storia tangibile
nella forma degli edifici e della loro composizione in isolati, anche
se spesso confusa nelle aggiunte posteriori, demolizioni e ricostruzioni.
L'origine di molte
delle nostre città risale all'epoca romana. Nella loro opera di colonizzazione,
i Romani hanno tracciato tutta una serie di accampamenti militari (detti
Castrum) lungo le principali vie di comunicazione che da Roma, si dipartivano
lungo la penisola e oltre. Da questi accampamenti, spesso si sono sviluppate
le città che conosciamo, mantenendo in molti casi anche nel loro ampliamento
il tracciato originario.
E' così possibile
riconoscere, soprattutto dalla analisi delle planimetrie, l'antico impianto,
approssimativamente quadrato, con strade parallele e perpendicolari
tra loro. Emblematico è il caso di Aosta, dove è identificabile l'antico
Castrum romano, con la chiara evidenza del cardo e del decumano (strade
perpendicolari tra loro che attraversavano, secondo le direzioni nord-sud
ed est-ovest, l'intero impianto del castro; il decumano andava dalla
porta decumana alla porta pretoria, allacciandosi poco fuori le mura
alla strada principale).
Nei centri storici
di molte città, oltre al tracciato stradale, è possibile ritrovare anche
le piante degli edifici romani. Così a Roma, Piazza Navona ha mantenuto
la forma dello stadio di Domiziano (che veniva allagato per lo svolgimento
di battaglie navali e altri giochi d'acqua) e evidente è anche l'edificazione
del Palazzo dei principi Orsini sopra il Teatro di Marcello.
Dopo il Mille,
le condizioni storiche e politiche permisero una nuova espansione delle
città (fenomeno dell'urbanesimo ovvero inurbamento, inserimento di vaste
porzioni di popolazione nelle città). Tra le caratteristiche fondamentali
della città medioevale la più importante è che essa è racchiusa entro
una cinta muraria, spesso completata da torri.
L'ampliamento,
nei centri di origine romana, avviene spesso lungo gli assi dell'antico
castro cosi che le nuove mura si dispongono a forma di rombo intorno
al primitivo perimetro quadrato. La pianta della città medioevale è
varia e si adatta al luogo in cui sorge. Non di rado i centri sorti
ex novo in questa epoca si trovano spesso, per ragioni difensive, su
alture, colline o comunque in posizioni elevate. Si sviluppano intorno
al castello del signore o, partendo da questo, lungo la strada principale,
seguendo forme svariate, talvolta, di difficile accesso, e che male
si adattano all'ulteriore ampliamento.
Le strade della
città medioevale, che oggi appaiono anguste, non dovevano assolvere
funzioni di areazione ed illuminazione delle abitazioni poiché queste
disponevano di spazi aperti nella parte posteriore. Solo nei secoli
successivi questi spazi sono stati riempiti da costruzioni, in ampliamento
o in completa sostituzione di quelle esistenti; così le strade hanno
dovuto assolvere anche alle funzioni suddette. Spesso questo non ci
appare evidente perché la forma definitiva, quella che conosciamo, delle
città medioevali è quella che risulta dalle modifiche apportate nei
secoli successivi.
L'abitazione unifamiliare
era l'elemento fondamentale della città medioevale; essa svolgeva, oltre
che la funzione residenziale anche quella di luogo di lavoro, con la
sua bottega o il suo laboratorio al piano terra. In
epoca rinascimentale, più che ad un ampliamento assistiamo al loro abbellimento.
Mentre il periodo barocco vede di nuovo l'espandersi di alcune città
ma sempre sull'antico impianto romano o medioevale.
Il centro storico
Solo negli ultimi anni ci si è posti il problema
della salvaguardia dei centri storici. Nel corso dei secoli i centri
storici delle città più importanti sono stati profondamente modificati:
si sono riempiti gli spazi ancora liberi, le piccole case sono state
sostituite da edifici a molti piani, si sono aperte larghe strade.
In molte città,
per ragioni di prestigio e di moda, la parte della società più agiata
è tornata nel nucleo antico, restaurando le abitazioni, adattandole
alle mutate condizioni di vita e, talvolta, snaturandole nei loro caratteri
costruttivi e funzionali.
Nelle città minori,
dove spesso mancano i soldi per il restauro, i centri storici sono stati
abbandonati e rischiano di cadere completamente in rovina. Nel primo
caso si ha una sostituzione completa del tipo di comunità: i vecchi
abitanti si trasferiscono nelle periferie e le antiche case restano
solo un paravento, completamente svuotate e trasformate all'interno.
Nel secondo caso si arriva lentamente alla distruzione fisica di questo
patrimonio edilizio, che talvolta è storico ed artistico.
Allo stato attuale,
la perimetrazione dei centri storici avviene secondo parametri temporali,
del tipo: "è centro storico un ambito continuo ed omogeneo nei caratteri
architettonici [...], i cui edifici risultino preesistenti al ...."
Stando a questi parametri ci sono delle città che non hanno centro storico,
come sono quelle sorte sotto il regime fascista: Carbonia, Latina, Aprilia,
Lido di Roma (Ostialido), e altre.
Ma il non avere
centro storico non significa non avere una memoria, una espressione
della cultura degna di tutela. Ne è un chiaro esempio Ostialido, nello
ambito del lungomare.
Di contro esistono
città, soprattutto minori, che hanno buona parte del proprio tessuto
urbano vincolato all'inedificabilità, alla non trasformazione, all'inservibilità
e, se il loro territorio non permette l'espansione, alla scomparsa.
Proviamo ad immaginare:
come sarebbe Parigi se i quartieri attorno l'Arco di Trionfo, all'epoca
dell'assolutismo monarchico, non fossero stati sventrati per cedere
il loro posto ai Boulevards?; o se la Torre Eiffel fosse stata abbattuta
per inquinamento ambientale?
Come sarebbe Roma
se, sotto Papa Sisto V, non fosse stata sacrificata la zona del Campo
Marzio per poter realizzare il tridente di via del Babbuino - via del
Corso - via di Ripetta, con vertice nelle "Chiese gemelle" di Piazza
del Popolo e che unisce in un unico respiro Piazza di Spagna, Piazza
Venezia e la Piazza del-l'Augusteo, davanti al Ponte di Ripetta ?
Sarebbero altre
città!
E sarebbero altre
città anche quelle che sono state descritte in precedenza, quelle che
su un impianto preesistente si sono sviluppate riutilizzando gli spazi
in modo armonico col nuovo: Aosta sarebbe ancora un accampamento militare!
La cultura nella
quale si inseriscono gli attuali criteri per la perimetrazione dei centri
storici è quella della monumentalizzazione, della conservazione di tutto
ciò che è datato (ma da una certa data in poi!).
Questa è certamente
fi-lia della consapevolezza che in Italia abbiamo oltre i due terzi
del patrimonio artistico mondiale. Però non deve confondersi lo storico
col monumentale.
Esistono infatti
apposite disposizioni, autonome da quelle in base alle quali avviene
la perimetrazione dei centri storici, che però vengono rese vane dal
non utilizzo degli strumenti coercitivi sul patrimonio edilizio privato.
Il prevalere di
questa cultura della monumentalizzazione su quella del riutilizzo del
costruito e degli spazi di risulta, genera immobilismo nella dinamica
di trasformazione della città ed è segno di disinteresse per quelli
che realmente sono i valori artistici, culturali o di memoria collettiva
da tutelare.
In una sola frase:
la tutela del tutto è una contraddizione in termini.
Gianni
Manis
(continua
sul prossimo numero, forse!)