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Quaderni di Quartucciu
Anno II - Numero 5 - Maggio 1998
 

 

Unità, ma nella chiarezza


Il bipolarismo che non va
di Claudio Martelli

Senza un orizzonte di natura bipartitica il bipolarismo è destinato a ristagnare prima e, probabilmente, a regredire poi. D'altra parte un'evoluzione di tipo bipartitica dovrebbe presupporre che in entrambi gli schieramenti, prima nell'uno poi nell'altro o simultaneamente, si superassero le appartenenze legate a storie e culture politiche che nel concreto sono poi partiti politici.

Vi è qualche segno in questa direzione?

Francamente l'unico segno che appare, sul fronte di centro-destra è il tentativo, su cui si sta' cimentando il presidente Cossiga, di offrire un'evoluzione possibile nei termini di un partito democratico alla crisi di leadership, di consenso elettorale e anche, mi pare, un certo collasso del sistema di alleanze, attorno a Forza Italia.

Sull'altro versante, quello del centro-sinistra, si direbbe che il tentativo più consistente dovrebbe essere quello di trasformare l'Ulivo in un soggetto politico, non accettando o non ritenendo la soluzione della "Cosa 2" capace di inaugurare una stagione più avanzata del bipolarismo della seconda repubblica. In realtà la "Cosa 2" non chiude neanche i conti con la prima repubblica.

Se non interpretiamo male le dichiarazioni di Giuliano Amato e l'annuncio della "costituente Socialista" della prossima settimana (N.d.T.: settimana del 26 gennaio), ho l'impressione che non serva neppure a quello scopo, la "Cosa 2". Anzi mi pare destinata a coercitare il superstite orgoglio della tradizione Socialista, che si ritiene non cespuglio ma radice della storia di sinistra e del movimento operaio.

Dovrebbe essere dunque una risposta diversa, in termini di partito democratico anche sul versante del centro-sinistra, quella che consente di parlare di bipolarismo del futuro. Questo mi pare il tema vero: ricerca della capacità di superare attraverso nuove categorie politiche quelle cui ci siamo tutti molto affezionati e in termini delle quali siamo abituati a ragionare.

Nessuno pensa che si possano annullare le distinzioni, i confini, tra liberalismo e socialismo o annebbiare i contorni della tradizione cattolica, nella tradizione democratica. Quello che appare però un po' stantio è il fissare queste tradizioni, cristallizzarle, perché esse servono all'identità delle forze politiche che, fra l'altro, si vanno moltiplicando e non riducendo.

Siamo passati da un sistema a 15 partiti ad uno a 40 e, dal nord-est di Cacciari e Carraro all'annunciato centro-democratico di Cossiga alla rinascita di una formazione Socialista - nel centro sinistra ma autonoma - tutto lascia ritenere che si vada ad aumentare queste formazioni.

È evidente che la grande semplificazione dovrebbe nascere dall'ingegneria costituzionale, da una legge elettorale che dovrebbe abolire la quota proporzionale e quindi forzare in modo definitivo entro ingessature, dei contenitori elettorali più che partitici tutto questo fibrillare e tutto questo moltiplicarsi di tentazioni e di tendenze.

È possibile questo?

È possibile che gli attuali soggetti politici, arbitri - come è evidente - della situazione, siano in condizione, abbiano la volontà, l'ispirazione, di produrre un secondo tempo della transizione italiana verso un esito non solo bipolare ma, appunto, bipartitico?

Io francamente non lo credo. Mi pare al di là delle volontà e delle possibilità attuali.

Non mi pare che ci sia quella "temperatura" di tipo trasversale e innovativa che c'è stata in un determinato momento, in una congiuntura drammatica della nostra storia repubblicana.

E dunque temo che la grande occasione si sia persa con la bicamerale, che probabilmente era già in premessa una ipotesi sbagliata, perché si è sempre ragionato - lo hanno detto D'Alema ed esponenti della cultura Popolare - che le riforme sono cose di tutti e quindi devono essere fatte da tutti.

Ma questa è un'impostazione molto ipocrita e poco avveduta.

Che siano di tutti non c'è dubbio, ma non vuol dire che la proposta, in partenza, debba essere di tutti. Ed è questo che ha paralizzato sin dall'inizio ogni tentativo. Diverso sarebbe stato se la maggioranza parlamentare si fosse fatta carico di una proposta da proporre al parlamento e poi da sottoporre a referendum, più di uno, confermativi. Altra cosa era l'Assemblea Costituente [....]

Se sul fronte dell'ulivo, del centro-sinistra, il punto centrale era l'alleanza tra PDS e PPI - che tende ad assomigliare sempre più a quel genere di alleanza competitiva che è esistita negli anni '80 tra DC e PSI, con ruoli, almeno in termini numerici, invertiti - e se sul fronte del centro destra anziché una capacità di dispiegare una nuova sintesi si arriverà ad una ulteriore affermazione di un nuovo soggetto politico - la sintesi del CCD, del CDU, di nuovi apporti democristiani - l'orizzonte è destinato a oscurarsi ancora di più. La verità è che non si è voluto accettare o capire che il bipolarismo, questo bipolarismo, è finito nel 1994, nel momento in cui la Lega ha rotto, ha rotto .... Da quel momento ci sono tre poli nella realtà politica; e la stessa concorrenzialità irrisolta a sinistra, sino almeno al mese di ottobre 1997 - adesso vedo che Rifondazione ha un atteggiamento più prudente - porta Rifondazione ad autodefinirsi quarto polo, cioè come sinistra antagonista.

Parlare, in queste condizioni, di bipolarismo che non va, probabilmente, è un eufemismo. Siamo in piena risorgenza di pluralità di soggetti politici e in assenza di un disegno costituzionale e di strategie politiche in grado d'incanalarci verso un percorso che ci avvicini a qualche modello straniero.

Nessuno dei modelli stranieri che abbiamo intorno è eccezionale, né quello inglese, né quello francese, né quello tedesco, però tutti hanno una caratteristica: tutti divengono pessimi se si pensa di prenderne un loro pezzetto per inserirlo in un contesto incoerente.

Claudio Martelli*


* Direttore della storica rivista socialista "Mondo Operaio", è stato vice segretario del PSI negli anni della segreteria Craxi e ministro di Grazia e Giustizia nel VII governo Andreotti.
Intervento al dibattito "Il bipolarismo che non c'è" organizzato dalla rivista "Liberal", tenutasi a Gargonza il 24-25 gennaio 1998 e radiotrasmesso da Radio Radicale (107.000 MHz).

Trascrizione a cura di Gianni Manis e Davide Paolone.


 

 

Unità, ma nella chiarezza

Speranza e delusione traspaiono da questo raro documento, dai più definito "testamento politico"

QUALE UNITÀ
QUALE CHIAREZZA

di Giuliano Amato

Ma come si fa' a ricostruire il filo, a ridare il senso?

Certo io lo so che non basta PCI più PSI. Questo io lo so assolutamente e non mi dite che io parlo troppo di PCI più PSI. Ne parlo troppo perché è la mia vita, ma se parlo della politica italiana io lo so che c'è molto di più.

Non Basta PCI più PSI, ma permettete a me Socialista di dire: "che però ci siano i Socialisti!" Ecco, che almeno ci siano, perché rappresentano una cultura o una componente culturale essenziale della storia passata e futura, perché c'è un problema aperto sulla loro legittima esistenza.

D'Alema disse, a me e ad altri, quest'estate: "Lasciamo perdere il passato, perché se parliamo del passato finisce che rinizia il duello a sinistra e, per di più, ad armi dispari" Ed io dissi: "Va bene, non ne parliamo del passato" anche se reagii subito dicendo "almeno alcuni puntini sulle i deve essere chiaro che vengono messi, altrimenti è difficile ignorarlo il passato. Ma non ne parliamo."

Poi, capite, mi sono accorto che i miei interlocutori non mi parlano del passato perché se cominciano a parlarne si ritengono questi poco educati, perché il mio passato è una vergogna, perché sono Socialista. Quindi la ragione perché non si deve parlare del mio passato è perché è un passato vergognoso. E allora questo crea un problema. È difficile ignorare il passato se la ragione per la quale lo s'ignora è perché è educato ignorarlo.

E no, allora no. E allora bisogna parlarne perché ho sempre cercato, anche nei miei rapporti interpersonali, di essere educato e di rimettermi all'educazione e all'intelligenza dell'altro.

Avendo capito questo, del passato ho cominciato a parlarne nei seguenti termini. Ho ammesso gli errori del PSI, sia gli errori che singoli esponenti che quelli che tutti assieme, con le nostre responsabilità - anche collettive - abbiamo commesso in ordine a finanziamenti o non finanziamenti e quant'altro, e sia le responsabilità politiche nell'aver mancato l'occasione dell'89 - qui siamo in tanti d'accordo che il PSI l'ha distrutto l'aver perso la sua missione storica nell'89.

Ho riconosciuto la diversità del Partito Comunista, quando ancora era Comunista, rispetto agli altri partiti Comunisti e ho dato atto al PDS di oggi dei cambiamenti significativi che ha fatto - basta vedere la presenza del PDS al governo di oggi rispetto a quello che io mi ricordo nel momento in cui ero Ministro del Tesoro e anche Presidente del Consiglio. E io penso: "Se io faccio così è probabile che il mio interlocutore faccia così dalla parte sua. Tra gentiluomini e gentildonne ci si comporta così" Invece l'interlocutore incassa la presa d'atto mia degli errori del PSI, i riconoscimenti che io ho fatto e, salvo qualche efficace e pertinente presa di posizione di D'Alema e le posizioni di alcuni amici del PDS, nell'insieme la sostanza è rimasta quella che del passato c'è chi l'ha nobile e c'è chi l'ha ignobile. E io dico: "Se si dà ragione a Berlinguer (N.d.T.: Luigi) che ha affermato che i finanziamenti illeciti li hanno presi tutti, allora siamo accomunati nella vergogna e c'è vergogna in più per chi i finanziamenti li ha utilizzati per fini privati" Queste cose è giusto che vengano chiarite.

C'è da vergognarsi a chiamarsi Socialisti? Perché ci si chiama Socialisti in Europa e non in Italia? Qual è la ragione? È una ragione tradizionale oppure è "sconveniente" in Italia chiamarsi Socialisti?

Io ho bisogno - anche in privato - di avere una risposta su questo argomento. E se c'è ancora un filo di vergogna a chiamarsi Socialisti in una Cosa: io non sono di quella Cosa! Perché io non mi vergogno di chiamarmi Socialista.

Io devo ammettere che, personalmente, continuo a sentire lo struggente bisogno che questa operazione politica arrivi al suo approdo ma continuo a sentirmi nella falsa posizione di quello al quale non si vuol dire esattamente quello che si pensa perché lo si ritiene "sconveniente".

Questo mi mette in una condizione di disagio personale e politico che supera la mia possibilità, già ridotta, di interessarmi direttamente di politica.

Giuliano Amato*


* Stralcio dell'intervento al dibattito tenutosi a Roma, presso la sede dell'Associazione Italiana della Stampa Estera la settimana del 19 gennaio 1998, in occasione della presentazione del libro dell'on. Emanuele Maccaluso, Da Cosa non nasce Cosa, Ed. Rizzoli, 1998; masterizzato, mixato e trasmesso da "Radio anch'Io", supplemento del Giornaleradio di Radiouno a cura di Giancarlo Santalmassi (Rai - 90.700 Mhz).

 

 

Unità, ma nella chiarezza

 

Ricostruita, tra Roma e Firenze, la casa comune dei socialisti italiani.

CESPUGLI E RADICI
di Gianni Manis

Chiude qua il breve capitolo "unità, ma nella chiarezza", dedicato da Quaderni di Quartucciu al tema "diaspora Socialista e dintorni", sviluppatosi sul 4° numero del giornale ma che già sul 3° era presente in almeno 3 domande dell'intervista al Sindaco di Quartucciu.
Un sentito ringraziamento giunga ai Signori Beppe Pisu, Gesuino Murru e Tonino Meloni per aver contribuito con grande disponibilità al tentativo di avvio del dibattito, rispondendo con chiarezza, garbo, comprensione, ma anche con sapiente ironia, agli spunti proposti loro; ai signori Franco Pilia, Raffaele Felce, Giovanni Secci, Davide Paolone, Giorgio Ledda e Giuseppe Fanti per aver in qualche modo collaborato.
La conclusione, neanche a dirlo, è scritta nei due avvenimenti che, a livello nazionale, hanno vivacizzato la cultura politica e la politica in quest'inizio d'anno: Costituente Socialista, tenutasi a Roma nei giorni 7-8 febbraio 1998; Stati Generali della sinistra, riunitisi a Firenze nei giorni 13-14 febbraio.
Ma le righe che seguono daranno il resoconto di uno soltanto di questi avvenimenti, e cioè di quello che, a giudizio opinabile ma esclusivo del redattore - così come avvenuto per ogni altro articolo pubblicato da Quaderni di Quartucciu -, è apparso maggiormente dotato di valenza politica (spicciola), spendibile nell'immediato futuro in molte realtà locali; per di più, i suoi sviluppi interesseranno notevolmente il processo di unione politica, tra le diverse componenti culturali della sinistra, iniziato con l'altro avvenimento, influenzandone la sua collocazione nella storia o nella cronaca politica di questa fine millennio.

Costituito a Roma il partito "Socialisti Democratici Italiani". Al sodalizio che pone fine alle lotte interne al movimento socialista (da quelle che hanno portato alla "scissione di Palazzo Barberini" e alla nascita del PSDI di Saragat nel '47 a quelle più recenti, affiorate nei lavori del congresso di Bari del '94, in piena Tangentopoli, che hanno portato allo scioglimento del PSI e alla cosiddetta "diaspora socialista") partecipano: "Socialisti Italiani", "Partito Socialista di Intini", "Partito Social Democratico Italiano", alcuni quadri e dirigenti "Laburisti" e personalità che hanno avuto un ruolo di primo piano nel PSI. Non hanno aderito al nuovo partito: Margherita Boniver e Gianni De Michelis con Fabrizio Cicchito e gli altri fedelissimi, già entrati nell'orbita dell'UDR di Cossiga; i "Laburisti" di Spini, anima socialista della Cosa2; i socialisti sardi di "Federazione Democratica". Niente sa il redattore - e per questo si scusa - sulla sorte partitica di Gino Giugni, padre dello Statuto dei Lavoratori, e di Giorgio Ruffolo, ideatore e padre morale degli Stati Generali della sinistra. Dai lavori della Costituente socialista è emersa la chiara volontà dei partecipanti di far risentire la voce socialista a tutti i livelli della politica, ma non dall'interno di un partito unico della sinistra democratica.

Tanti e orgogliosi sono stati richiami ai valori storici, politici e morali del socialismo italiano, "valori fondanti" - nelle parole di Enrico Boselli - "del nuovo partito e valori discriminanti nelle recenti scelte dei socialisti": primogenitura socialista sulla storia della sinistra italiana, solidarietà e crescita sociale, giustizia e libertà, riformismo e anti-totalitarismo, resistenza e lotta di liberazione dalla dittatura fascista; difesa del quadro di alleanze fatte dai socialisti nel contesto storico che vedeva il mondo diviso tra paesi dove c'era libertà e paesi dove non c'era libertà.

Giuliano Amato, ponte ideale tra l'assise romana e quella fiorentina, ha invitato i costituenti a non isolarsi e a voler intraprendere quel "dialogo interrotto che, con qualche puntino sulle ii, è il solo dialogo che può portare all'unità delle forze del movimento socialista in Italia, ad un vero bipolarismo e ad una grande stagione riformista".

Ottaviano Del Turco, invece, ha da subito messo i puntini non detti (e, probabilmente, non pensati) da Amato: "a noi socialisti bruciano di più le ferite, gli sgarri e i tradimenti fatti dai post-comunisti su tangentopoli che non gli 80.000 morti, ammazzati dai comunisti nei gulag sovietici".

Claudio Martelli, leader ritrovato, ha tracciato il "chiaro orizzonte strategico sul quale dare ai socialisti una nuova unità e l'idea di un partito che nella sua storia non ha nulla di cui vergognarsi, se non quello di avere vissuto, in Italia - e non in un altro Paese o su un altro pianeta, come dice qualcuno di se o del suo partito - gli anni in cui in Italia gli affari si facevano solo per finanziare la politica e i partiti, tutti i partiti".

Poi, a metà del suo lungo discorso, Martelli ha smentito Del Turco - assicurandogli che gli 80.000 morti nei gulag hanno un peso più rilevante dei tradimenti di tangentopoli - e ha risposto all'invito di Amato esprimendo da par suo concetti già espressi, in parte, dallo stesso Amato: "Non c'è stato da parte di D'Alema l'indicazione di una meta, di un traguardo comune. Non c'è stato nemmeno quel riconoscimento minimo che merita la storia e la sua evidenza, e cioè che socialisti, comunisti, socialdemocratici, laburisti, tutte le denominazioni che la sinistra si è via via data nel corso del secolo, non possono cancellare questo dato di fatto: siamo tutti figli dei socialisti! Su questo non c'è dubbio".

"Questa nostra radice" - continua Martelli - "è la radice della storia della sinistra italiana ed è per questo che noi non possiamo diventare un cespuglio: perché noi siamo una radice e non un cespuglio. Dipenderà da noi farla fiorire questa radice, o ricomporre i fiori e i rami dell'albero, ma è difficile costruire se si negano le evidenze fondamentali".

Circa la collocazione ideale del partito, lo stesso Martelli - citando l'ex leader di Lotta Continua, Adriano Sofri - ha detto: "Uno è di sinistra perché la sinistra è la parte più gentile, più sensibile, più vera, della cultura e della cultura politica. E c'è tanta differenza tra destra e sinistra: c'è tanta differenza tra destra e sinistra quanta ce n'è tra una sinistra delle libertà e una sinistra delle non libertà, una sinistra che tutto assimila e tutto omologa a se stessa".

La sostanza della Costituente socialista potrebbe dirsi questa: deciso rifiuto dei socialisti alla proposta di adesione al progetto "Democratici di Sinistra", nella formula presentata loro dal segretario del PDS D'Alema, vista da molti di loro - nelle parole di Ugo Intini - come un "tentativo di intruppamento - e a ranghi ridotti - di chi ancora incarna la tradizione socialista in Italia"; poi, il superstite orgoglio dei socialisti ha fatto il resto, sospingendoli verso una direzione comune, un nuovo partito socialista. Ricomincerà il duello a sinistra e "per di più" - usando la stessa forma usata da D'Alema - "ad armi dispari"?

Il nuovo partito darà ai socialisti la forza dei numeri, da mettere sul tavolo accanto ai valori storici o ai giudizi sul passato recente, nel dialogo con le altre forze politiche?

Nell'assetto bipolare, o addirittura bipartitico, del quadro politico avranno ancora senso i valori e la coerenza con essi?

Ci sarà un assetto bipolare del quadro politico o ci sarà un ritorno al proporzionale?

Il nuovo partito riuscirà a chiamare a raccolta il popolo ex-PSI, strappandolo alle nuove e più luccicanti posizioni?

Il nuovo partito riuscirà a non contornarsi di quelli che il comico genovese Beppe Grillo chiamava "nani, gobbi e ballerine"?

Il nuovo partito riuscirà ad essere attraente per le nuove generazioni?

Oltre alle strategie, quali politiche concrete porterà avanti?

E in base a queste politiche, quali strategie disegnerà?

I lavori della Costituente socialista non potevano dare altro che quello che hanno dato: una casa, un punto di riferimento ai socialisti che non sono andati a Firenze o magari sono di rientro dal polo. Il resto è pensiero di domani.

I "Socialisti Democratici Italiani" si riuniranno in congresso, per l'elezione degli organi esecutivi, nei giorni 8-9-10 maggio 1998. Auguri di buon lavoro a costituenti, leaders ritrovati e sostenitori prossimi del nuovo partito.

Gianni Manis*


* Realizzato grazie a Radio Radicale (107 Mhz).

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