Due
o tre cose su ....
Gli
elementi dello spazio urbano - 3
di Gianni Manis
"Il futuro
non appartiene alla città ma alla periferia." Charles Zueblin, 1905
Su Quaderni di Quartucciu n.4 - dicembre '97 - si è analizzato,
quale primo elemento dello spazio urbano, il centro storico. È stata
evidenziata la discrasia tra sviluppo della città e tutela dei valori
culturali, artistici e di memoria comune, esistente nella legislazione
e nella pratica urbanistica italiana, allo scopo di dimostrare il seguente
concetto: non tutto ciò che ci rimane del passato è cultura, arte o
memoria comune, ma senz'altro possono essere cultura, arte e memoria
comune le opere future, purché si facciano.
Nella città
romana, medioevale e rinascimentale gli uomini e le donne risiedevano,
lavoravano e passavano i momenti di riposo nello stesso spazio urbano.
L'artigiano aveva il laboratorio al piano terra dello stesso edificio
dove abitava; gli operatori di uno stesso settore vivevano lungo le
stesse strade: via del burro, via dei macelli, via dei calzolai, dei
cappellai, dei tintori, dei sediari, degli argentieri.... Nelle diverse
zone della città c'era una continuità di vita che non si interrompeva
col giorno e la notte, cioè non si aveva il trasferimento della popolazione
da un quartiere all'altro a seconda che, in un certo periodo del giorno,
si dovesse lavorare o riposarsi: le diverse funzioni territoriali si
sovrapponevano nello stesso spazio urbano.
Nel secolo
XIX, la rivoluzione industriale e la comparsa nella storia dell'uomo
del proletariato urbano imprimono alla storia della città un punto di
rottura col passato. La città assume in questa fase un ruolo fondamentale
e ambivalente nella dinamica del capitalismo e della industrializzazione:
il processo di industrializzazione la trasforma, ma essa stessa incide
come determinante strutturale su tale processo. Risulta chiara la convergenza
tra una azione di controllo riguardante lo sviluppo economico e una
azione di controllo riguardante lo sviluppo della città.
In questo quadro
storico nasce l'esigenza di imprimere alla città chiare linee di sviluppo,
attraverso la distribuzione nello spazio da essa occupato delle molteplici
funzioni. Il primo passo verso la pianificazione urbanistica moderna
è proprio il riconoscimento delle quattro funzioni fondamentali che
il territorio deve poter esprimere (CIAM.- La Sarraz, 1928): residenza,
lavoro, ricreazione e circolazione. La zonizzazione e la disciplina
del traffico sono i mezzi attraverso i quali ad esse si può adempiere.
Lo spazio occupato
dalle diverse funzioni è il risultato di complesse valutazioni riguardo
la morfologia e il microclima dei luoghi, la localizzazione delle infrastrutture
esistenti e da realizzarsi, il riconoscimento delle zone omogenee già
presenti nel territorio. Questo viene fatto in sede di redazione degli
strumenti urbanistici, mezzo di cui dispone la pubblica amministrazione
per il governo del territorio, definibili come "punto d'incontro tra
i fattori economici correlati allo sviluppo del territorio e all'ampliamento
della città, e il pubblico interesse, fattore guida della politica di
sviluppo".
Le zone
residenziali
Nelle città italiane non vi è alcuna zona dalla
quale sia preclusa la residenza; mentre le zone destinate alla residenza
possono escludere certe altre funzioni. I
quartieri residenziali formatisi lentamente negli anni hanno permesso,
col trascorrere del tempo, l'inserimento di altre funzioni oltre a quella
abitativa. Alcuni edifici o appartamenti sono stati destinati ad uffici
oppure in una zona sono stati aperti dei negozi, creando così dei piccoli
centri commerciali.
I quartieri
residenziali che invece hanno avuto un rapido sviluppo, magari in seguito
ad un intervento di emergenza per la mancanza di abitazioni, sorgono
spesso in zone decentrate e sono stati realizzati per essere destinati
esclusivamente alla abitazione. La freddezza della immagine di taluni
quartieri è insita nella loro stessa origine: la lottizzazione, processo
edilizio col quale l'amministrazione comunale autorizza il proprietario
a dividere il terreno in lotti, a progettare gli edifici e la loro disposizione
nel terreno. Attraverso processi di lottizzazione sono state realizzate
zone residenziali che, nonostante siano perfettamente organizzate e
funzionanti, non corrispondono alla idea comune di città. Non hanno
la vitalità e la varietà di funzioni tipiche della città e perciò di
essa non possono rifletterne l'immagine.
La localizzazione
delle zone residenziali risente fortemente dell'influenza di determinati
fattori economici. Consideriamo, ad esempio, un quartiere sorto più
o meno spontaneamente in qualche località amena del territorio, per
diventare una zona residenziale "elegante". Dopo le prime ville con
ampi spazi verdi attorno, solitamente viene invaso prima da villini
e poi da palazzine. Cioè, man mano che si afferma il carattere signorile
ed esclusivo del quartiere il prezzo del terreno cresce e le nuove palazzine
si addensano l'una all'altra, con una distanza che tende alla minima
ammessa dal regolamento edilizio. In tal modo il quartiere perde il
carattere esclusivo e, essendosi centuplicato il prezzo delle aree edificabili,
può risultare conveniente abbattere le prime ville edificate. Questo
non è solo segno del mutamento di immagine del quartiere.
Una riflessione
sottovoce
Il diritto di edificazione è insito in quello
di proprietà (o di superficie) dell'area; è limitato dalle norme urbanistiche
ed edilizie, ed inoltre risente della vastità dell'intervento. Infatti,
quando un intervento edilizio è considerevole e può pensarsi come ampliamento
della città, il proprietario deve prospettare delle soluzioni per la
organizzazione delle aree che non verranno edificate. Nel rispetto delle
norme citate, certe aree in lottizzazione vengono destinate alla circolazione,
altre aree vengono destinate ai servizi pubblici, altre ancora a verde
urbano, ....
Tutte queste
aree che il proprietario non può edificare e pensa di organizzare in
un certo modo, divengono proprietà della amministrazione comunale. Questa
le prende in carico per realizzarci i servizi di cui chi andrà ad abitare
nel nuovo quartiere avrà bisogno. Ma è impensabile che su quelle poche
aree si possa realizzare un asilo, una scuola elementare, un ambulatorio,
una palestra, una biblioteca, un mercato civico, ...., insomma tutto
ciò che viene alla mente quando si pensa alla città.
E se questi
servizi non sono stati previsti neanche in aree contermini, perché magari
non sono stati programmati o, se programmati, non è là che devono essere
localizzati?
E se il quartiere
è sorto in piena campagna, là dove non arrivano i mezzi pubblici e magari
neanche le strade asfaltate, i collettori delle fogne, l'illuminazione
pubblica, ....?
Come si fa?
Molte città,
non di rado, sono state ampliate proprio nel modo descritto, in assenza
o inadeguatezza del piano urbanistico generale. E ogni volta che ciò
è avvenuto le amministrazioni comunali sono state spogliate delle loro
prerogative di indirizzo e programmazione dello sviluppo del territorio,
non hanno fatto politica, si sono limitate ad attestare lo sviluppo
che "il caso" ha voluto che avvenisse. Per il proprietario la lottizzazione
è una operazione finanziaria che deve tendere al più alto rendimento:
non è beneficenza. E chi intraprende una attività economica non ha altro
obbligo se non quello -per niente facile- di massimizzare le proprie
risorse, certo a proprio interesse ma facendo, di rimando, anche l'interesse
della comunità in cui opera.
Il rispetto
dei valori funzionali e -volendo- estetici del nuovo quartiere, le esigenze
delle persone che vi dovranno abitare, gli interessi della collettività
tutta, non devono essere sostenuti dal proprietario lottizzante. Sono
i pubblici amministratori ad avere l'obbligo di curare gli interessi
di tutti i cittadini, l'obbligo di trovare, dandone mandato ai propri
uffici tecnici o a professionisti esterni alla amministrazione, la soluzione
migliore per tracciare le linee di sviluppo del territorio e quindi
di ampliamento della città.
Talvolta, anche
solo per incuria, sono state create le condizioni affinché fosse "il
caso" (noto anche come speculazione edilizia) a governare lo
sviluppo del territorio. E in tali condizioni qualunque strumento urbanistico,
che di per se non è né buono né cattivo, serve "il caso".
Piaccia o non
piaccia l'immagine offerta dagli enormi fabbricati messi in fila tutti
uguali, dalle onnipresenti caserme d'affitto spacciate per futuribili
residence (con annessa piscina!), è indispensabile che la loro localizzazione
segua precisi programmi di sviluppo, così che tutt'intorno alle abitazioni
ci siano anche quelle infrastrutture necessarie perché si abbia un effettivo
ampliamento della città oltre che del numero di alloggi.
Gianni Manis
(continua sul prossimo numero, forse!)