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Quaderni di Quartucciu
Anno II - Numero 6 - Luglio 1998
 

 

Due o tre cose su ....

Gli elementi dello spazio urbano - 3
di Gianni Manis

"Il futuro non appartiene alla città ma alla periferia." Charles Zueblin, 1905

Su Quaderni di Quartucciu n.4 - dicembre '97 - si è analizzato, quale primo elemento dello spazio urbano, il centro storico. È stata evidenziata la discrasia tra sviluppo della città e tutela dei valori culturali, artistici e di memoria comune, esistente nella legislazione e nella pratica urbanistica italiana, allo scopo di dimostrare il seguente concetto: non tutto ciò che ci rimane del passato è cultura, arte o memoria comune, ma senz'altro possono essere cultura, arte e memoria comune le opere future, purché si facciano.

Nella città romana, medioevale e rinascimentale gli uomini e le donne risiedevano, lavoravano e passavano i momenti di riposo nello stesso spazio urbano. L'artigiano aveva il laboratorio al piano terra dello stesso edificio dove abitava; gli operatori di uno stesso settore vivevano lungo le stesse strade: via del burro, via dei macelli, via dei calzolai, dei cappellai, dei tintori, dei sediari, degli argentieri.... Nelle diverse zone della città c'era una continuità di vita che non si interrompeva col giorno e la notte, cioè non si aveva il trasferimento della popolazione da un quartiere all'altro a seconda che, in un certo periodo del giorno, si dovesse lavorare o riposarsi: le diverse funzioni territoriali si sovrapponevano nello stesso spazio urbano.

Nel secolo XIX, la rivoluzione industriale e la comparsa nella storia dell'uomo del proletariato urbano imprimono alla storia della città un punto di rottura col passato. La città assume in questa fase un ruolo fondamentale e ambivalente nella dinamica del capitalismo e della industrializzazione: il processo di industrializzazione la trasforma, ma essa stessa incide come determinante strutturale su tale processo. Risulta chiara la convergenza tra una azione di controllo riguardante lo sviluppo economico e una azione di controllo riguardante lo sviluppo della città.

In questo quadro storico nasce l'esigenza di imprimere alla città chiare linee di sviluppo, attraverso la distribuzione nello spazio da essa occupato delle molteplici funzioni. Il primo passo verso la pianificazione urbanistica moderna è proprio il riconoscimento delle quattro funzioni fondamentali che il territorio deve poter esprimere (CIAM.- La Sarraz, 1928): residenza, lavoro, ricreazione e circolazione. La zonizzazione e la disciplina del traffico sono i mezzi attraverso i quali ad esse si può adempiere.

Lo spazio occupato dalle diverse funzioni è il risultato di complesse valutazioni riguardo la morfologia e il microclima dei luoghi, la localizzazione delle infrastrutture esistenti e da realizzarsi, il riconoscimento delle zone omogenee già presenti nel territorio. Questo viene fatto in sede di redazione degli strumenti urbanistici, mezzo di cui dispone la pubblica amministrazione per il governo del territorio, definibili come "punto d'incontro tra i fattori economici correlati allo sviluppo del territorio e all'ampliamento della città, e il pubblico interesse, fattore guida della politica di sviluppo".

Le zone residenziali
Nelle città italiane non vi è alcuna zona dalla quale sia preclusa la residenza; mentre le zone destinate alla residenza possono escludere certe altre funzioni.
I quartieri residenziali formatisi lentamente negli anni hanno permesso, col trascorrere del tempo, l'inserimento di altre funzioni oltre a quella abitativa. Alcuni edifici o appartamenti sono stati destinati ad uffici oppure in una zona sono stati aperti dei negozi, creando così dei piccoli centri commerciali.

I quartieri residenziali che invece hanno avuto un rapido sviluppo, magari in seguito ad un intervento di emergenza per la mancanza di abitazioni, sorgono spesso in zone decentrate e sono stati realizzati per essere destinati esclusivamente alla abitazione. La freddezza della immagine di taluni quartieri è insita nella loro stessa origine: la lottizzazione, processo edilizio col quale l'amministrazione comunale autorizza il proprietario a dividere il terreno in lotti, a progettare gli edifici e la loro disposizione nel terreno. Attraverso processi di lottizzazione sono state realizzate zone residenziali che, nonostante siano perfettamente organizzate e funzionanti, non corrispondono alla idea comune di città. Non hanno la vitalità e la varietà di funzioni tipiche della città e perciò di essa non possono rifletterne l'immagine.

La localizzazione delle zone residenziali risente fortemente dell'influenza di determinati fattori economici. Consideriamo, ad esempio, un quartiere sorto più o meno spontaneamente in qualche località amena del territorio, per diventare una zona residenziale "elegante". Dopo le prime ville con ampi spazi verdi attorno, solitamente viene invaso prima da villini e poi da palazzine. Cioè, man mano che si afferma il carattere signorile ed esclusivo del quartiere il prezzo del terreno cresce e le nuove palazzine si addensano l'una all'altra, con una distanza che tende alla minima ammessa dal regolamento edilizio. In tal modo il quartiere perde il carattere esclusivo e, essendosi centuplicato il prezzo delle aree edificabili, può risultare conveniente abbattere le prime ville edificate. Questo non è solo segno del mutamento di immagine del quartiere.

Una riflessione sottovoce
Il diritto di edificazione è insito in quello di proprietà (o di superficie) dell'area; è limitato dalle norme urbanistiche ed edilizie, ed inoltre risente della vastità dell'intervento. Infatti, quando un intervento edilizio è considerevole e può pensarsi come ampliamento della città, il proprietario deve prospettare delle soluzioni per la organizzazione delle aree che non verranno edificate. Nel rispetto delle norme citate, certe aree in lottizzazione vengono destinate alla circolazione, altre aree vengono destinate ai servizi pubblici, altre ancora a verde urbano, ....

Tutte queste aree che il proprietario non può edificare e pensa di organizzare in un certo modo, divengono proprietà della amministrazione comunale. Questa le prende in carico per realizzarci i servizi di cui chi andrà ad abitare nel nuovo quartiere avrà bisogno. Ma è impensabile che su quelle poche aree si possa realizzare un asilo, una scuola elementare, un ambulatorio, una palestra, una biblioteca, un mercato civico, ...., insomma tutto ciò che viene alla mente quando si pensa alla città.

E se questi servizi non sono stati previsti neanche in aree contermini, perché magari non sono stati programmati o, se programmati, non è là che devono essere localizzati?

E se il quartiere è sorto in piena campagna, là dove non arrivano i mezzi pubblici e magari neanche le strade asfaltate, i collettori delle fogne, l'illuminazione pubblica, ....?

Come si fa?

Molte città, non di rado, sono state ampliate proprio nel modo descritto, in assenza o inadeguatezza del piano urbanistico generale. E ogni volta che ciò è avvenuto le amministrazioni comunali sono state spogliate delle loro prerogative di indirizzo e programmazione dello sviluppo del territorio, non hanno fatto politica, si sono limitate ad attestare lo sviluppo che "il caso" ha voluto che avvenisse. Per il proprietario la lottizzazione è una operazione finanziaria che deve tendere al più alto rendimento: non è beneficenza. E chi intraprende una attività economica non ha altro obbligo se non quello -per niente facile- di massimizzare le proprie risorse, certo a proprio interesse ma facendo, di rimando, anche l'interesse della comunità in cui opera.

Il rispetto dei valori funzionali e -volendo- estetici del nuovo quartiere, le esigenze delle persone che vi dovranno abitare, gli interessi della collettività tutta, non devono essere sostenuti dal proprietario lottizzante. Sono i pubblici amministratori ad avere l'obbligo di curare gli interessi di tutti i cittadini, l'obbligo di trovare, dandone mandato ai propri uffici tecnici o a professionisti esterni alla amministrazione, la soluzione migliore per tracciare le linee di sviluppo del territorio e quindi di ampliamento della città.

Talvolta, anche solo per incuria, sono state create le condizioni affinché fosse "il caso" (noto anche come speculazione edilizia) a governare lo sviluppo del territorio. E in tali condizioni qualunque strumento urbanistico, che di per se non è né buono né cattivo, serve "il caso".

Piaccia o non piaccia l'immagine offerta dagli enormi fabbricati messi in fila tutti uguali, dalle onnipresenti caserme d'affitto spacciate per futuribili residence (con annessa piscina!), è indispensabile che la loro localizzazione segua precisi programmi di sviluppo, così che tutt'intorno alle abitazioni ci siano anche quelle infrastrutture necessarie perché si abbia un effettivo ampliamento della città oltre che del numero di alloggi.

Gianni Manis

(continua sul prossimo numero, forse!)


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