La critica ....
Tra
origini e modernità
di Davide Paolone
Non so se a voi sia mai capitato: ma io mi sono
sempre sentito dire che la Sardegna è una terra di pecore e pastori.
Questo anche oggi che, per cause indipendenti dalla mia volontà, sono
costretto ad oltrepassare il Tirreno almeno tre volte all'anno e che
c'è ancora qualcuno, proprio lì da quella parte, che si immagina di
sbarcare in un improbabile giorno di pioggia sulla banchina del porto
di Cagliari aspettandosi di vedere il traffico di via Roma intasata
da greggi iperboliche di pecore.
Ebbene:
per questo numero di QdQ ho voluto saperne di più leggendo un libro
scritto da Gian Giacomo Ortu dal titolo: "L'economia pastorale della
Sardegna moderna - Saggio di antropologia storica sulla soccida"
edito nel 1981 dalle Edizioni La Torre.
La
cosa non è stata facile in quanto il saggio sembra più rivolto agli
addetti ai lavori in materia economica e giuridica che non agli amanti
del genere letterario come me, ma la curiosità è stata tale che sono
riuscito ad andare avanti ugualmente. E non poteva essere altrimenti,
data la premessa dell'autore che così attacca: Non vi è alcuna attività
economica che abbia segnato la vicenda storica della Sardegna quanto
l'allevamento del bestiame. Nelle sue particolari modalità, estensivo
e transumante, esso ha conformato il paesaggio, condizionato gli insediamenti,
originato e costretto la vita delle comunità, è stato luogo e fattore
eminente delle dinamiche e dei conflitti sociali, ha prodotto cultura
e mentalità, ispirato e figurato le ideologie.
La
Sardegna stessa come coscienza ed immagine di un'individualità storica
ed etnica sembra essere la Sardegna dei pastori. Ho cercato quindi di
mantenere questa idea fondamentale durante la lettura, ponendo maggiore
attenzione a quegli spazi presenti tra un termine giuridico ed un altro
in cui si insinua l'elemento cultura e mentalità.
Mi
direte: niente di nuovo… Si: niente di nuovo se si rimane a parlare
di questioni generali sul popolo sardo; supporto per tesi stimolanti
se si cala nello specifico reale, come fa quest'autore descrivendo l'evolversi
storica della soccida dal 1300 fino ai tempi moderni.
E
per meglio capire è necessario sapere che cosa è questa soccida. Io
ho capito, perché l'autore non lo spiega, che la soccida era ed è tuttora
un contratto che viene stipulato tra il proprietario del bestiame (sia
esso ovino, suino, equino, etc.) ed il conduttore del bestiame, capace
dal 1300 ad oggi di innescare un conflitto tra classi sociali superiori
ed inferiori tale da incidere profondamente sulla cultura del popolo
sardo. Basti
pensare al fatto che fosse già normato dalla Carta de Logu, che sappiamo
essere riconosciuta una delle massime espressioni giuridiche nel mondo
civile del periodo rinascimentale.
E
adesso qualcuno dirà che si sta esagerando. Ma se si accetta l'analisi
che Gian Giacomo Ortu circostanzia meticolosamente, allora non si può
che far nostra la sua conclusione.
All'inizio
del suo saggio ci fa notare come questo tipo di contratto originariamente
assomigliasse più ad una sorta di atto di costituzione di una società
che ad un normale contratto di lavoro. Infatti, una parte metteva a
disposizione il capitale in termini di bestiame, l'altra i suoi servigi
in termini non solo di forza lavoro ma anche e soprattutto cognitivi
(perché un gregge di pecore va reso produttivo sapendone ricavare latte,
formaggio, lana e carne, e quindi bisogna anche saper dirigere questa
particolare azienda).
Poi,
via via, la forma di questo contratto si è evoluto, attraverso la presenza
di sempre maggiori clausole a favore del proprietario e di altre regole
di pagamento dei servigi del conduttore, in una sorta di atto di legittimazione
dello sfruttamento dell'opera prestata, portando alla conclusione di
sostenere che tale processo è stato un vero e proprio processo di proletarizzazione
del ceto meno abbiente del popolo.
Allora,
è proprio da questo presupposto che si possono capire alcuni aspetti
della cultura e della mentalità sarda come quello dell'intellettualizzazione
del banditismo sardo.
Lo
stesso autore riporta nella sua prima nota a piè pagina. La leggenda
dei banditi vendicatori - scriveva a suo tempo Renzo Laconi- dopo aver
alimentato per decenni la poesia popolare, cominciava ad esercitare
suggestioni profonde su tutta la nuova generazione intellettuale (quella
degli ultimi anni dell'Ottocento).
Si
esplorava per la prima volta la realtà etica, sociale e culturale da
cui queste figure erano emerse, si scopriva nella Barbagia il fondo
incontaminato delle più antiche e genuine tradizioni popolari. E di
lì traeva ispirazione non solo tutto quel movimento letterario che fa
capo a Sebastiano Satta e a Grazia Deledda, ma anche un movimento di
opinione politica intimamente intrecciato con esso, che andava assumendo
la fisionomia di un socialismo sardista non privo di sfumature radicali
tanto in senso anarchico quanto in senso separatista.
Da
qui il motivo del banditismo come resistenza nazionale, che sta ritornando
in auge attraverso la campagna editoriale che il Direttore attuale dell'Unione
Sarda sta portando avanti da quando si è insediato.
A
quale scopo?
E
alla fine di tutto ciò, un'altra domanda resta in sospeso: ma quanti
sono oggi i pastori in Sardegna? E chi sono?
D.P.
Domenica
20 settembre a Casa Angioni si è svolta, all'interno delle manifestazioni
legate alla Mostra del Pane e del Dolce, organizzata dalla Proloco,
la presentazione del libro di Salvatore Loi "Cultura popolare
in Sardegna tra '500 e '600", già conosciuto ai lettori di QdQ
grazie all'intervista all'autore pubblicata nello scorso numero
a cura di Davide Paolone.
Alla manifestazione, oltre all'autore ed alla Presidentessa della
Proloco (nella foto di Luca Piludu) hanno partecipato il Sindaco,
Salvatore Vargiu e Stefano Pira della casa editrice.
Il pubblico, numeroso ed interessato ha con i suoi interventi coivolto
l'autore ben oltre l'orario fissato. |