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Quaderni di Quartucciu
Anno II - Numero 7 - Ottobre 1998
 

 

La critica ....

Tra origini e modernità
di Davide Paolone


Non so se a voi sia mai capitato: ma io mi sono sempre sentito dire che la Sardegna è una terra di pecore e pastori. Questo anche oggi che, per cause indipendenti dalla mia volontà, sono costretto ad oltrepassare il Tirreno almeno tre volte all'anno e che c'è ancora qualcuno, proprio lì da quella parte, che si immagina di sbarcare in un improbabile giorno di pioggia sulla banchina del porto di Cagliari aspettandosi di vedere il traffico di via Roma intasata da greggi iperboliche di pecore.

Ebbene: per questo numero di QdQ ho voluto saperne di più leggendo un libro scritto da Gian Giacomo Ortu dal titolo: "L'economia pastorale della Sardegna moderna - Saggio di antropologia storica sulla soccida" edito nel 1981 dalle Edizioni La Torre.

La cosa non è stata facile in quanto il saggio sembra più rivolto agli addetti ai lavori in materia economica e giuridica che non agli amanti del genere letterario come me, ma la curiosità è stata tale che sono riuscito ad andare avanti ugualmente. E non poteva essere altrimenti, data la premessa dell'autore che così attacca: Non vi è alcuna attività economica che abbia segnato la vicenda storica della Sardegna quanto l'allevamento del bestiame. Nelle sue particolari modalità, estensivo e transumante, esso ha conformato il paesaggio, condizionato gli insediamenti, originato e costretto la vita delle comunità, è stato luogo e fattore eminente delle dinamiche e dei conflitti sociali, ha prodotto cultura e mentalità, ispirato e figurato le ideologie.

La Sardegna stessa come coscienza ed immagine di un'individualità storica ed etnica sembra essere la Sardegna dei pastori. Ho cercato quindi di mantenere questa idea fondamentale durante la lettura, ponendo maggiore attenzione a quegli spazi presenti tra un termine giuridico ed un altro in cui si insinua l'elemento cultura e mentalità.

Mi direte: niente di nuovo… Si: niente di nuovo se si rimane a parlare di questioni generali sul popolo sardo; supporto per tesi stimolanti se si cala nello specifico reale, come fa quest'autore descrivendo l'evolversi storica della soccida dal 1300 fino ai tempi moderni.

E per meglio capire è necessario sapere che cosa è questa soccida. Io ho capito, perché l'autore non lo spiega, che la soccida era ed è tuttora un contratto che viene stipulato tra il proprietario del bestiame (sia esso ovino, suino, equino, etc.) ed il conduttore del bestiame, capace dal 1300 ad oggi di innescare un conflitto tra classi sociali superiori ed inferiori tale da incidere profondamente sulla cultura del popolo sardo. Basti pensare al fatto che fosse già normato dalla Carta de Logu, che sappiamo essere riconosciuta una delle massime espressioni giuridiche nel mondo civile del periodo rinascimentale.

E adesso qualcuno dirà che si sta esagerando. Ma se si accetta l'analisi che Gian Giacomo Ortu circostanzia meticolosamente, allora non si può che far nostra la sua conclusione.

All'inizio del suo saggio ci fa notare come questo tipo di contratto originariamente assomigliasse più ad una sorta di atto di costituzione di una società che ad un normale contratto di lavoro. Infatti, una parte metteva a disposizione il capitale in termini di bestiame, l'altra i suoi servigi in termini non solo di forza lavoro ma anche e soprattutto cognitivi (perché un gregge di pecore va reso produttivo sapendone ricavare latte, formaggio, lana e carne, e quindi bisogna anche saper dirigere questa particolare azienda).

Poi, via via, la forma di questo contratto si è evoluto, attraverso la presenza di sempre maggiori clausole a favore del proprietario e di altre regole di pagamento dei servigi del conduttore, in una sorta di atto di legittimazione dello sfruttamento dell'opera prestata, portando alla conclusione di sostenere che tale processo è stato un vero e proprio processo di proletarizzazione del ceto meno abbiente del popolo.

Allora, è proprio da questo presupposto che si possono capire alcuni aspetti della cultura e della mentalità sarda come quello dell'intellettualizzazione del banditismo sardo.

Lo stesso autore riporta nella sua prima nota a piè pagina. La leggenda dei banditi vendicatori - scriveva a suo tempo Renzo Laconi- dopo aver alimentato per decenni la poesia popolare, cominciava ad esercitare suggestioni profonde su tutta la nuova generazione intellettuale (quella degli ultimi anni dell'Ottocento).

Si esplorava per la prima volta la realtà etica, sociale e culturale da cui queste figure erano emerse, si scopriva nella Barbagia il fondo incontaminato delle più antiche e genuine tradizioni popolari. E di lì traeva ispirazione non solo tutto quel movimento letterario che fa capo a Sebastiano Satta e a Grazia Deledda, ma anche un movimento di opinione politica intimamente intrecciato con esso, che andava assumendo la fisionomia di un socialismo sardista non privo di sfumature radicali tanto in senso anarchico quanto in senso separatista.

Da qui il motivo del banditismo come resistenza nazionale, che sta ritornando in auge attraverso la campagna editoriale che il Direttore attuale dell'Unione Sarda sta portando avanti da quando si è insediato.

A quale scopo?

E alla fine di tutto ciò, un'altra domanda resta in sospeso: ma quanti sono oggi i pastori in Sardegna? E chi sono?

D.P.

Domenica 20 settembre a Casa Angioni si è svolta, all'interno delle manifestazioni legate alla Mostra del Pane e del Dolce, organizzata dalla Proloco, la presentazione del libro di Salvatore Loi "Cultura popolare in Sardegna tra '500 e '600", già conosciuto ai lettori di QdQ grazie all'intervista all'autore pubblicata nello scorso numero a cura di Davide Paolone.
Alla manifestazione, oltre all'autore ed alla Presidentessa della Proloco (nella foto di Luca Piludu) hanno partecipato il Sindaco, Salvatore Vargiu e Stefano Pira della casa editrice.
Il pubblico, numeroso ed interessato ha con i suoi interventi coivolto l'autore ben oltre l'orario fissato.

 


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