Due
o tre cose su ....
Gli
elementi dello spazio urbano - 4
di Gianni Manis
"Il futuro
non appartiene alla città ma alla periferia." Charles Zueblin, 1905
Credo che a più di qualcuno sia
capitato di rivisitare con la mente talune proprie frasi, idee, ma anche
gesti e comportamenti, e di non ritrovarcisi. È capitato anche a me
e, da quando un anno e mezzo fa abbiamo "inventato" questo giornale,
mi capita un po' più spesso.
Rileggendo quanto ho scritto sul numero precedente circa il principio
della lottizzazione, a parte il solito tono professorale (ma de' che?),
non mi è piaciuto quanto ho espresso circa le lottizzazioni. Ho fatto
qualche rifflessione e ora le metto a disposizione dei lettori.
Il diritto di edificazione è insito in quello di proprietà
(o di superficie) dell'area; è limitato dalle norme urbanistiche ed
edilizie; inoltre risente della vastità dell'intervento, ovvero, quando
un intervento edilizio è considerevole e può pensarsi come ampliamento
della città, il proprietario deve prospettare delle soluzioni per la
organizzazione delle aree che non verranno edificate.
Nel rispetto delle norme citate, certe aree in lottizzazione
vengono destinate alla circolazione, altre aree vengono destinate ai
servizi pubblici, altre ancora a verde urbano, .... Tutte queste aree
che il proprietario non può edificare e pensa di or-ganizzare in un
certo modo, divengono proprietà della amministrazione comunale, la quale
le prende in carico per realizzarci i servizi di cui chi andrà ad abitare
nel nuovo quartiere avrà bisogno.
Ora, è impensabile che su quelle poche aree si possa realizzare
un asilo, una scuola elementare, un ambulatorio, una palestra, una biblioteca,
un mercato civico, l'ufficio postale, l'anagrafe ...., insomma tutto
ciò che viene alla mente quando si pensa alla città.
E se questi servizi non sono stati previsti neanche in
aree contermini, perché magari non sono stati programmati o, se programmati,
non è là che devono essere localizzati?
E se il quartiere è sorto in piena campagna, là dove non
arrivano i mezzi pubblici e magari neanche le strade asfaltate, i collettori
delle fogne, l'illuminazione pubblica, ....?
Come si fa?
Molte città, non di rado, sono state ampliate proprio
nel modo descritto, in assenza o inadeguatezza del piano urbanistico
generale e con l'utilizzo dei soli piani di lottizzazione d'iniziativa
privata. Ma è chiaro che per il proprietario la lottizzazione è una
operazione finanziaria: non è beneficenza. E, una volta assolti gli
obblighi normativi e i limiti tecnici, egli ha solo il dovere -per niente
facile- di massimizzare le proprie risorse e dunque tendere all'ottenimento
del più alto rendimento, a proprio interesse ma di fatto anche nell'interesse
della comunità in cui opera.
I valori funzionali (e, se si vuole, estetici) del nuovo
quartiere e la vigilanza sul loro rispetto, le esigenze delle persone
che vi dovranno abitare e gli interessi della collettività tutta, in
democrazia, appartengono alla sfera della politica e, con gli strumenti
della politica, dai politici devono essere tutelati.
I pubblici amministratori hanno perciò il dovere
di tracciare le linee di sviluppo del territorio, e quindi di ampliamento
della città, dando mandato ai propri uffici tecnici o a professionisti
esterni alla amministrazione per la redazione dei piani urbanistici
ma facendo comunque valere le proprie prerogative di indirizzo e di
scelta.
Talvolta, anche solo per incuria, è stato "il caso" a
governare lo sviluppo del territorio. E in tali condizioni qualunque
strumento urbanistico, che di per se non è né buono né cattivo, può
servire "il caso"(noto anche come speculazione edilizia).
Allora, piaccia o non piaccia l'immagine offerta da certe
zone residenziali realizzate attraverso processi di lottizzazione, è
indispensabile che la loro localizzazione segua precisi programmi di
sviluppo, così che tutt'intorno alle abitazioni ci siano anche quelle
infrastrutture necessarie perché si abbia un effettivo ampliamento della
città oltre che del numero di alloggi.
Gianni Manis
(continua sul prossimo numero, forse!)