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Quaderni di Quartucciu
Anno III - Numero 10 - Marzo 1999
 

 

Viaggio nel tempo di Pasqua
La festa della Primavera
di Marco Melis

Mi piace riscoprire in una bella giornata di primavera un ponte tra il presente e la nostra storia, tra noi e i protagonisti del nostro passato.

Mi piace immaginare quali emozioni, in tempi molto lontani, quella stessa primavera, con il suo germinare dei grani e il rifiorire degli alberi, potesse suscitare nell'animo del contadino "impaurito" dalla morte apparente e transitoria dell'inverno. Emozioni che, nella lunga catena degli eventi, anello dopo anello, giungono fino a noi permeando il nostro pensare e il nostro agire.

È fino all'epoca precristiana, infatti, che dobbiamo volare col pensiero per scoprire quelle storie che influenzarono, direttamente o indirettamente, i riti della settimana santa. Quei riti -così come oggi li conosciamo- che nei secoli si sono tramandati fino a noi acquisendo nuovi significati e nuove funzioni.

Il ciclo pasquale, infatti, coincide con la grande festa d'inizio dell'annata agraria che, in tempi remoti, aveva una forte valenza sociale e una rilevante funzione integrativa dell'individuo.

Con l'avvento del cristianesimo -come sottolineato da Maria Margherita Satta in "Riso e pianto nella cultura popolare"- "gli elementi della religiosità precristiana assunsero una nuova funzione, fondendosi con quelli della nuova religione e mantenendo una certa vitalità soprattutto nel settore riservato al magico religioso".

La stessa rinascita annuale della natura veniva rifunzionalizzata nella concezione di risurrezione dello "spirito". Ancora oggi, girando per le varie località della nostra Isola, è possibile scorgere riti e usanze che ci riconducono a quel lontano passato. E se ciò è possibile lo dobbiamo principalmente alle confraternite che fin dai primi secoli del millennio ebbero un ruolo preminente nell'organizzare molte cerimonie religiose e, in particolare, quelle relative alla settimana santa. Associazioni laiche che, soprattutto a Cagliari, rappresentarono -e rappresentano ancora oggi- l'elemento portante dell'intera struttura organizzativa del ciclo pasquale e la cui storia -a differenza di altre località, quali la Francia, in cui esse furono soppresse- non presenta soluzioni di continuità fino ai nostri giorni.

Si conservano solo nel ricordo dei più anziani tutte le cerimonie che, anche a Quartucciu, le varie confraternite organizzavano annualmente con profonda devozione e senso religioso. La confraternita della Vergine Addolorata aveva sede nell'antico oratorio omonimo, al posto del quale, nel 1926, venne eretta la nuova Casa Canonica.

La confraternita di S.Croce, invece, secondo il "libro storico -cronologico della parrocchia di Quartucciu", operava nella chiesa di San Biagio, e il 18 agosto 1620 venne aggregata all'Arciconfraternita del SS.Crocifisso, istituita nella chiesa di S.Marcello in Roma.

La confraternita di S.Luigi, infine, aveva sede nella chiesetta omonima di fronte al campanile.

Poche sono, ormai, le testimonianze nel nostro paese dei vecchi riti e delle antiche usanze del ciclo pasquale. Alcuni di questi sono simili ai riti della vicina Cagliari che ancora oggi rivivono, con forti elementi di suggestione, nel quartiere di Villanova. Altri si vanno perdendo per sempre nel vuoto tra due generazioni. Frammenti di storia che, ormai, sopravvivono solo nel ricordo di pochi anziani e che, talvolta, fugacemente, riemergono nei discorsi familiari tra un colpo di tosse e il crepitio del caminetto.

Suggestioni antiche intrise di passione popolare, in cui era possibile rappresentare tutta la precarietà della propria esistenza, identificando nella passione del Cristo, le proprie pene e le proprie sofferenze. Ancora oggi, il giovedì santo, la chiesa viene addobbata con "su nenniri".

Questo fiore, fiore dei poveri, veniva fatto germogliare al buio -spesso sotto le tinozze- così da preservarne con cura il colore giallo-bianco. Le prioresse delle confraternite disponevano della bambagia umidificata in un grande piatto bianco e, venti giorni prima della pasqua, vi seminavano del grano o altri legumi.

Il giovedì le piantine, ornate con nastri di carta traforata e "indoru" erano pronte per adornare il Sepolcro: la cappella del Sacro Cuore di Gesù; cappella che era orgoglio del popolo di Quartucciu in quanto abbellita con un altare in marmo realizzato grazie alle offerte pubbliche dei fedeli, nel 1902. All'interno del sepolcro, l'immagine della primavera che rinasce dal buio dell'inverno, riviveva nei germogli di "nenniri".

Ad essi, secondo una lunga serie di studiosi dal Frazer al Baumgarten, è ricollegabile il culto pagano di Adone. Così come, secondo l'Alziator, è possibile ritrovare avanzi di antichi riti purificatori connessi al risveglio vegetativo, anche nei cosiddetti "allichirongius de Pasca". In un contesto popolare i "nenniris" servivano per preparare "is affumentos" ritenuti efficaci contro il raffreddore e il mal di testa.

Ma, il momento di massima tensione, quello in cui la devozione religiosa si esprimeva con tutta la sua carica drammatica, lo si viveva nel Venerdì di Passione. Il più anziano tra i confratelli, ma anche il più robusto, veniva prescelto per rappresentare il Cristo che porta sulle spalle la pesante croce in legno. Col volto nascosto da un bianco cappuccio e, a piedi scalzi, egli si dirigeva verso il Calvario, seguito dalle confraternite e dai fedeli che intonavano i salmi quaresimali, nella commozione generale.

Espressioni popolari derivanti da vere e proprie rappresentazioni sacre, la cui origine deve essere ricercata nella tradizione catalano-barcellonese. Drammatica religiosa che, attraverso una rielaborazione provinciale, si inserisce nei modelli originali della cultura spagnola per la quale le manifestazioni della settimana santa rappresentano un momento sociale importante anche oltre l'aspetto puramente religioso.

Una importante testimonianza delle processioni del venerdì santo e delle sacre rappresentazioni che, a Cagliari, si svolgevano all'inizio del secolo scorso, la si trova nel "Dizionario geografico storico statistico commerciale degli Stati di S.M. Re di Sardegna", compilato da Goffredo Casalis, diviso in 31 volumi, e pubblicato a Torino tra il 1883 e il 1856.

La stesura degli articoli inerenti la nostra Isola fu affidata a benemerito cagliaritano Padre Vittorio Angius. Tra l'altro si trova scritto: "Nel pomeriggio, è nei quartieri un concorso prodigioso alle chiese, dove si rappresenta la deposizione del Cristo" quello che i più anziani ricordano come il rito de "su scravamentu".

"Una grossa croce è inalberata su un palco presso il pulpito, sotto, un simulacro della Vergine e, presso la Maddalena e il Giovanni, molti bimbi in funzione di angioletti. Il predicatore, nell'istante in cui spiega il desiderio di riavere il corpo del Figlio, vede tosto appressarsi due uomini mascherati da ebrei -il Nicodemo e il Giuseppe- che metton giù il Cristo dalla croce e, postolo in una bara, lo portano in processione per la città".

Vi si registra anche un esempio di veglia sacra nel quale, ancora una volta, domina il sincretismo tra religiosità ufficiale e religiosità popolare: "In Cabras è in uso che gli organizzatori delle feste religiose siano obbligati a vegliare nella notte dal giovedì al venerdì santo per curare i lumi che, in numero notevolissimo, ardono nel sepolcro. All'alba le famiglie offerenti le lampade riprendono le medesime e considerano l'olio o la cera residuati come sacri e, pertanto, dotati di particolari virtù".

Espressioni di una religiosità popolare di cui ancora oggi si conserva memoria.

A Quartucciu, nei giorni di lutto per la morte del Redentore -tra il giovedì e il sabato- si legavano le campane. Il silenzio del paese veniva trafitto dal solo canto del Miserere e dallo strepitio rauco e continuo delle "matraccas" (is zaccarreddas): strumenti costituiti da tabelle lignee sulle quali venivano incernierati degli anelli di ferro. In tutto il periodo di "vuoto divino" -forse anche per esorcizzare la situazione di abbandono di cui, il "maligno" avrebbe potuto approfittare- un ragazzo girava per le vie polverose del paese e suonava ripetutamente questo semplice strumento.

La paura dei demoni dominava la scena: la messa del venerdì veniva interrotta prima della Comunione perché, secondo la credenza popolare, in quel giorno "sa Comunioni da faidi su dimoniu". Paure recondite che venivano fugate solo al momento della Resurrezione, il sabato mattina, quando le campane ricominciavano a suonare a festa, dopo la benedizione del fuoco e dell'acqua, e la gente picchiettava negli angoli e nelle porte delle case con un ramo di vite (una "pettia de sramentu") pronunciando frasi liberatorie: "Bessi, bessi, cani malvagiu, da Gesusu arresuscitau".

In occasione della riconsacrazione del fuoco, dell'acqua, dell'olio e del sale, all'interno della chiesa i fedeli attingevano l'acqua benedetta da una vasca in marmo, appositamente preparata, che poteva essere, poi, impiegata per riti propiziatori: versata all'interno di una canna inserita nel terreno, al centro del campo, assicurava un buon raccolto; versata nei pozzi e nelle fonti serviva a scongiurare i rischi della siccità nella stagione estiva.

Il giorno di Pasqua, l'ultimo rito popolare: "s'incontru". La mamma passava da via Raffaele Piras mentre il corteo con il Cristo Redentore proveniva dalla via Quartu, per incontrarsi con la Vergine nei pressi di via Michele Valle.

Il sabato sera, durante la benedizione delle case, si pronunciava una strofetta che ancora per poco resterà impressa nella memoria della gente di Quartucciu, se non attraverso quella catena culturale che ci rende, nel presente, attori del nostro passato e che ci lega ad esso attraverso un filo impercettibile, nascosto com'è nel profondo della nostra anima: "cancarrò, cancarrò, chini tenid'ou, chini teni pudda, chini teni dinai po mindi donai".

Marco Melis


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