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Quaderni di Quartucciu
Anno III - Numero 12 - Agosto 1999
 

 

Radio Kalaritana:
intervista al direttore.

di Giorgio Ledda

I lettori che ci hanno seguito in questi primi anni di vita del giornale si saranno certamente potuti rendere conto che il nostro lavoro si è sviluppato su due piani paralleli.

Il primo, e più immediatamente riconoscibile, è quello specificamente giornalistico del riportare ed approfondire gli eventi che interessano la nostra comunità.

Il secondo, appena sotto il primo, è l'attenzione al rapporto tra mezzi di comunicazione e società.

Già dal primo numero infatti io stesso davo un'indicazione di questo tipo quando rilevavo l'inadeguatezza dei mezzi d'informazione a carattere regionale a raccontare senza stereotipare la realtà di una piccola comunità come la nostra. Tutto il lavoro sinora svolto dalla redazione può essere letto come uno sforzo teso alla costruzione di uno strumento d'informazione a misura di una piccola comunità.

Risulta quindi normale per noi indirizzare la nostra attenzione verso quei fenomeni del mondo della comunicazione che, benché in modo diverso da noi, perseguono gli stessi fini. Per questo motivo sono andato a far visita a Don Antonio Serra, Direttore dell'emittente cattolica Radio Kalaritana, che rappresenta una delle proposte più originali ed innovative della radiofonia locale.

Dopo una breve ma interessantissima visita degli studi abbiamo realizzato l'intervista che segue.

D. Cominciamo con identificare i soggetti in gioco secondo lo schema classico della comunicazione: chi comunica?

R. Il soggetto primo che ha questa esigenza di comunicare, di rivolgersi a un pubblico è la Diocesi di Cagliari, che lo fa attraverso delle persone, in particolare servendosi di un responsabile che sono io, attraverso la collaborazione di parecchi giovani che per ora sono volontari, anche se il nostro intento è quello di creare un'impresa con una precisa veste giuridica e di dare occupazione.

D. In questo contesto, qual è il ruolo dell'Associazione Famiglia Radio di cui si fa espressa menzione nelle trasmissioni?

R. Lei sa che le radio hanno bisogno di una concessione; la concessione relativa a Radio Kalaritana è detenuta da questa associazione, che è formata da un gruppo di persone di area cattolica che appartengono alla realtà diocesana; io sono il Presidente di questa associazione.

Sebbene dal punto di vista giuridico l'associazione e la Diocesi sono due soggetti separati, tra le due realtà c'è una profonda condivisione di ideali ed una intensa comunicazione.

D. Da quanto tempo trasmettete?

R. Con la testata attuale trasmettiamo dal marzo 1996. Tuttavia bisogna dire che al momento del mio arrivo ho trovato già una radio a livello parrocchiale che abbiamo poi ampliato con l'acquisizione di altre frequenze.

Sono partito da li, dato che allora ero solo, ed ora siamo sessanta collaboratori, che non sono ragazzini che non sanno cosa fare; sono persone molto motivate, in maggioranza laureati, professionisti, attori, attrici, e una buona presenza di universitari, che traggono la loro motivazione dal vedere questo un momento di crescita.

La radio in questo momento, basandosi sul volontariato, non può retribuire nessuno ma può dare qualcosa che nessuno può togliere, cioè la formazione. La frase che io ripeto spesso ai ragazzi è questa: "il mio sogno è che un giorno, chiudendovi alle spalle la porta della radio, possiate dire: non ho perso tempo".

Io non mi sento sfruttatore di giovani, semmai mi sento formatore, educatore. Per noi è importante lavorare sulle persone, dare loro una competenza.

La nostra emittente ha già realizzato diversi corsi di dizione, corsi di giornalismo, corsi di informatica.

D. Quale ruolo recita attualmente la radio all'interno delle attività dell'associazione?

R. Devo dire innanzitutto che io sono subentrato ad un presidente precedente, portando quelle che sono le mie esperienze e la mia formazione. Avendo una specializzazione in Scienza della Comunicazione chiaramente ho degli stimoli molto forti in questa direzione.

La radio è a mio avviso uno strumento che associa ad una elevata potenza ad un caratteristico modo di comunicare che rifugge la violenza delle immagini e utilizza la voce, seguendo gli ascoltatori ovunque nei loro spostamenti.

Oggi viviamo nelle automobili, tra un ingorgo e una coda, e la radio diventa davvero compagna di viaggio; ma ci sono anche tanti giovani che con al radio studiano, disegnano, lavorano. La radio è un mezzo con una forte presenza nella vita delle persone e se ne sono accorte anche le aziende che sempre più stanno investendo su di essa piuttosto che sulla televisione (in parte anche per demerito della televisione che ormai sta abbassando il livello fino ad arrivare ad una comunicazione urlata, che spettacolarizza e banalizza tutto).

E allora si sente il bisogno di ritornare alla parola come portatrice di contenuto. L'esigenza diventa quindi farsi promotori della cultura.

Non so quanti tra i lettori di QdQ abbiano confidenza con la realtà ecclesiale di oggi; la sfida della chiesa di oggi è l'inculturazione, cioè entrare nella cultura, valorizzarla, scoprire i valori di cui è portatrice e valorizzarne gli aspetti positivi. Allora la sfida per noi è diventata guardarci intorno e capire come poter fare crescere la realtà, come possiamo servirla ma come possiamo anche provocarla.

La realtà che sta attorno a noi significa anche la realtà ecclesiale; il fatto che siamo una radio diocesana non significa che dobbiamo essere un amplificatore del vescovo, sarebbe banale ed irrispettoso nei confronti dello stesso vescovo e della realtà ecclesiale. Vogliamo anche punzecchiare, provocare e mettere anche il dito nella piaga se ci sembra che qualcosa non va bene e si può migliorare.

È una sfida e tutto campo, la radio in questo contesto è un aspetto, ma esiste anche la realtà culturale che è fatta anche di formazione, oggi si fa tanta comunicazione ma quanti tra i nostri concittadini sono formati alla comunicazione?
Noi siamo impegnati anche nella formazione alla comunicazione.

Poi c'è l'aspetto dei mass media a tutto campo, la televisione, la stampa, le discipline informatiche. La comunicazione si sta complessificando.

Noi vogliamo entrare nel mondo della comunicazione in modo che i mezzi di comunicazione non schiaccino l'uomo ma siano messi al suo servizio.

Certamente portare avanti oggi un progetto comunicativo è un lavoro molto impegnativo, soprattutto per la novità della strada seguita.

D. A questo proposito, a quale modello, se ne avete uno, vi ispirate?

R. La prima ispirazione deriva prima di tutto e principalmente dai miei studi specifici.

Ho studiato presso la Scuola Paolina della Comunicazione Sociale.

D. Non ci sono dei modelli veri e propri a cui vi siete ispirati?

R. no, è proprio una sfida del tutto nuova; non abbiamo voluto scimmiottare nessuna altra realtà.

La domanda che ci siamo posti è cosa vogliamo comunicare ma soprattutto a chi…

D. Passiamo ad analizzare il "cosa". Quale è il messaggio di fondo della vostra comunicazione?

R. Mi permetto di inserire in questo schema, prima ancora che il "cosa" il "come" vogliamo comunicare.

Intanto quello che noi vogliamo adottare e che stiamo adottando è uno stile diverso, una comunicazione che non vogliamo che sia urlata, ma che privilegi il rispetto della persona, e quindi, anche in riferimento alla programmazione musicale, implica la creazione di un sound che non sia aggressivo.

D. Mi ha parlato di una commissione. Quali sono le linee guida a cui la commissione si ispira nella scelta e nella successiva programmazione.
Sentendo la vostra radio si ha l'impressione che si siano voluti recuperare dei brani messi da parte dalle altre radio e rivalutarle per il loro alto valore artistico.

R. Questo è verissimo, anche e in questa fase di avvio, il recupero di un repertorio come questo è stato dettato da esigenze economiche; concentrati sull'allestimento della struttura, le risorse per l'acquisto dei dischi non erano disponibili.

È nostro intento cominciare a rinfrescare il nostro palinsesto con l'acquisto di dischi nuovi e tenerlo costantemente aggiornato.

Anche nell'acquisto di nuove edizioni manterremo la nostra specificità: a noi non interessa se un disco è nuovo, piuttosto ci interessa il tipo di brani che esso contiene. Se esce un CD di grido verrà ascoltato dalla nostra commissione musica che effettuerà al cernita dei brani che meritano di essere mandati in onda in base alla loro capacità di suscitare sensazioni positive in chi lo ascolta.

La radio è fatta molto di sensazioni, di ambiente. A volte recuperare dal dimenticatoio un brano degli anni passati fa piacere perché la musica fa parte del nostro patrimonio culturale di cui non dobbiamo cestinare nulla.

Non vedo perché se un brano è degli anni '60 non debba avere al dignità di essere accostato alle ultime produzioni.

D. La selezione dei brani è basata solo sul loro suono o anche sul messaggio in essi contenuto?

R. Entriamo anche nel merito del messaggio. È un classico che essendo una emittente cattolica si pensi che dobbiamo essere bacchettoni; il nostro obiettivo, in coerenza con la filosofia che ci anima, consiste nel rispetto dell'altro, in questo caso dell'ascoltatore.

Ci sono per esempio delle canzoni di diversi cantautori che contengono parolacce; noi facciamo la scelta di non metterle, non perché, come si potrebbe pensare, siamo una radio cattolica, ma per rispetto dell'ascoltatore che può essere un bambino, un giovane, un anziano, un sacerdote, una religiosa; allora quel bellissimo brano magari possiamo ascoltarlo noi in privato, ma essendo al radio un fatto di comunicazione ampio che raggiunge un target indifferenziato, credo sia giusto privilegiare il rispetto dell'ascoltatore più che il gusto di chi trasmette, e non si sbaglia mai.

D. Quali sono gli ingredienti che concorrono a formare la vostra offerta radiofonica?

Ci sono dei sogni che non si realizzano mai ma a cui si cerca sempre di tendere.

I Suk arabi sono dei mercatini affollatissimi, pieni di gente, di colori e di odori. Camminarci dentro provoca una sensazione particolare, rapiti dall'insieme degli stimoli fortissimi che trasmette, si perde la cognizione del tempo e si entra in una nuova dimensione. All'uscita ci si rende conto di aver fatto un'esperienza straordinaria tanto da sentirsi cambiati.

Un'immagine apparentemente strana ma che rappresenta quello che per me dovrebbe essere la comunicazione, non banale, non monolitica, ma data da un'insieme di elementi ben dosati che affascinano, che intrigano e che danno delle sensazioni positive. L'elemento di fondo della nostra comunicazione potrebbe essere individuato nella positività.

Oggi accendendo al televisione, radio e giornali insistono molto sui fatti negativi. È una scelta di campo quella che fanno i mass-media, sembra che il mondo venga condotto dagli eventi negativi, le stragi, le morti, le violenze.

Il vostro è un giornale di una piccola comunità; a Quartucciu c'è solo delinquenza? Direi proprio di no! Ci sono centinaia di famiglie che ogni giorno lottano per vivere, ci sono migliaia di persone che ogni giorno al mattino si alzano e amano i loro figli, li educano, fanno di tutto per farli crescere bene, ci sono associazioni di volontariato, ma di questa realtà si parla solo occasionalmente sui grossi media.

Io credo che si debba fare questa scelta di campo, cercare il filo conduttore del bene che cresce, valorizzare gli aspetti positivi della nostra realtà. E questo alla fine concretamente significa che cosa?

Parecchi mesi fa viaggiavo in macchina e sentivo il nostro radiogiornale; il nostro speaker diceva: "un giovane di Sant'Elia, Tal Dei Tali, è stato arrestato". A parte il fatto che essendo stato li Viceparroco amo in modo particolare quella realtà, mi sono adirato tantissimo. Perché quel giovane "di Sant'Elia"? dire così significa trascinare nella delinquenza, nella violenza, le migliaia di persone che ogni giorno in quel quartiere fanno il bene.

Un'altra notizia riguardava un tale di Iglesias, di cui si faceva cognome e nome, "presunto pedofilo". Allora se è presunto, fino a prova contraria non lo è ancora, però tu intanto hai detto il nome, hai detto il cognome, hai detto dove abita. Quello è bollato per sempre. Se domani la legge dovesse dimostrare che quella era un'accusa fasulla, e capita, quante volte capita di essere accusati ingiustamente, tu hai distrutto quella persona per sempre, perché, soprattutto i giornali, mettono la foto della persona, intervistano i familiari.

Questa secondo me è informazione distorta, è sciacallaggio informativo.

Se vogliamo parlare dei fatti di cronaca io credo anche se le regole del giornalismo che prevedono di raccontare il "chi", noi possiamo anche rispettare quel "chi" di una persona che comunque già paga con il carcere, che non essendo un carcere a vita e quindi correttivo, quella persona dovrebbe avere il diritto di rifarsi una vita. Ma se io ho fatto una grande pubblicità in tutti i giornali…

Di recente su "L'Unione Sarda" c'è stata la notizia di quel giovane che è stato ammazzato, definito "travestito", già facendo prevalere la categoria sulla persona, di cui è stata pubblicata quella foto del cadavere seminudo.

Chi si sta informando in questo modo?

Chi ha deciso di pubblicare quella foto si è reso conto che quella persona, intanto era morta, e poi comunque aveva una famiglia che viveva un dramma?

L'informazione è ormai sfuggita di mano e va per i fatti suoi, deve raccontare ma deve anche spettacolarizzare tutto e non esiste più il rispetto della persona umana.

Io raccolgo questa sfida e mi costa soprattutto quando sei piccolo e devi nuotare contro corrente in una realtà fatta di grosse concentrazioni di media, però io ci credo, e il "che cosa" di Radio Kalaritana è: non esiste solo il male, esiste anche il bene.

Questo deve diventare fenomeno culturale: rinunciare a qualcosa per essere propositivi.

D. Quale è il pubblico al quale RK intende rivolgersi?

R. è scontato pensare che una radio cattolica si rivolga a dei cattolici; per noi non è cosi. Non è neppure vero il contrario, non vogliamo escludere dalla nostra comunicazione i cattolici. Ma la nostra comunicazione è una comunicazione ampia, proprio perché la cultura non è un fatto cattolico, la cultura è dell'umanità.

La radio stessa non può essere limitata, non posso dire ai mie ponti: raggiungi solo determinate famiglie a seconda del loro credo o della loro ideologia.

La radio è un mezzo libero e va a lambire persone impensate, ci chiamano persone che non avremmo mai sospettato di avere tra i nostri ascoltatori.

A chi ci rivolgiamo?

Ci rivolgiamo all'uomo di oggi, il nostro target è indifferenziato. È chiaro che poi la scelta di fare molta informazione nei diversi segmenti, quelle ecclesiale, il radiogiornale, le rubriche informative sul lavoro, sugli appuntamenti settimanali, sull'università, e le scelte musicali danno alla radio un target che non è di giovanissimi, ma dai 25 anni in su.

Un comunicatore, quando confeziona il suo messaggio fa delle scelte. Certo a noi piacerebbe non trascurate quel target, ma il rischio sarebbe una comunicazione scomposta, che prevede il rock al pomeriggio, la dance alla sera e un po' di intrattenimento sul banale spinto, non perché i ragazzi siano banali ma perché è difficile bombardare d'informazione dei ragazzi che sono stati a scuola mattina e pomeriggio.

Dovremmo segmentare le nostre trasmissioni per fasce orarie e questo ci ha portato per ora a dover fare questa scelta. Noi siamo una radio giovanissima e stiamo confezionando la nostra comunicazione in questo modo; è chiaro che cammin facendo, anche grazie alle persone che ci chiamano per trasferirci le loro impressioni calibreremo meglio la nostra proposta radiofonica.

D. Per chiudere due cose: la difficoltà principale riscontrata sino ad oggi?

R. La difficoltà principale è la sensazione di essere un pesciolino in una vasca di pescecani. Nel mondo della radiofonia, vuoi per la legislazione, vuoi per le grosse concentrazioni di media, appena si tenta di inserirsi e fare qualcosa di diverso, già si è considerati elemento di disturbo. Di conseguenza abbiamo trovato e stiamo trovando notevoli difficoltà che puntualmente fronteggiamo, perché non abbiamo niente da vendere ma abbiamo delle forti motivazioni.

D. Domani cosa farà rispetto in più ad oggi la radio?

R. abbiamo parecchie cose in cantiere, anche immediate, che possono essere ricondotte alla determinazione e fare radio seriamente. Questo è il nostro obiettivo quotidiano, che mi porta a stare in radio sino a tarda notte quasi tutti giorni ormai da tre anni.

La radio non è fatta da me, ma è frutto del lavoro di diverse équipe che si incontrano settimanalmente per verificare il lavoro svolto e ogni mese abbiamo un'assemblea generale, perché la radio è fatta di un'insieme di persone che comunicano, ed è importante che ciascuno calibri la sua comunicazione in modo da produrre un lavoro stilisticamente unitario.

Giorgio Ledda


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