Ogni volta mi dico:" È
l’ultimo!" Invece. So di mentire a me stessa. Ma è più
forte di me. Guardo quel musetto, gli occhioni che implorano aiuto.
Non può parlare ma quante cose ci direbbe, se potesse! O forse
solo una parola, dolorosa. "Perché ? Perché dopo avermi
coccolato, nutrito, dopo aver giocato con me, dopo averti fatto sorridere,
alla fine … un calcio e via! Fuori di casa, lontano dalla mia cuccia
calda, dalla mia ciotola di buon cibo". Questo nelle migliori delle
ipotesi. Perché ci sono anche le botte, le sevizie, i maltrattamenti,
la denutrizione il non amore. "Perché?" mi chiedo spesso anch’io
con il cuore gonfio e triste per l’amarezza di fronte a tanta crudeltà.
Eppure, può sembrare strano, siamo noi che spesso abbiamo bisogno
di loro, della loro presenza, del loro affetto incondizionato, delle
loro "moine", della loro felicità ogni qual volta ci vedono rientrare
a casa stanchi, affamati, stressati da una vita che è diventata
sempre più "non a misura d’uomo". Non so perché ho questo
magone ogni qual volta vedo quegli occhioni disperati, quell’aria smarrita,
la disperazione dell’essere stato abbandonato, la speranza (forse) di
ritrovare chi non lo ha più voluto.
Tutto cominciò quando, bambina di 7-8 anni, vivace
ma sensibile mi trovavo a casa dei miei nonni. Lei, la nonna, non sopportava
più il miagolio disperato e insistente di una gattina bianca
di pochi. Innervosita e stanca non trovo di meglio che sbarazzarsene
e la butto giù dal primo piano. Io corsi disperata giù
per le scale (la casa dei nonni era enorme) nella speranza di ritrovarla
ancora viva. E , miracolo!, la gattina era caduta sopra un mucchio di
sabbia che il nonno utilizzava per fare le piastrelle (aveva la fabbrica).
Be’, io a quel punto io decisi che Bianchina (la chiamai così)
doveva venire con me a casa e, determinata, mi avviai. Durante il percorso
a piedi, la micina mi si aggrappò disperata perché non
era abituata al rumore del traffico e mi lasciò sulle spalle
e sulle braccia i segni della sua disperazione. Mia madre dovette disinfettarmi
tutti quei graffi e dovette anche rassegnarsi al nuovo ospite che, appena
giunta a casa, stette buono e zitto. In sette anni sfornò cuccioli
2 volte l’anno e ci fu una dinastia di "Bubu", finché mio padre
si decise a darla via perché lei non sopportava i cani e in modo
particolare il suo. Per me fu un trauma, ma allora le decisioni dei
genitori erano fuori discussione.
Poi
c’è stato "Micio" morto a 22 anni di vecchiaia, piovuto chissà
da dove, Bianchino un altro persiano bianco trovato vicino alle immondizie
con una ferita sul fianco. Dopo 8 anni, memore della sua vita randagia,
non ha ancora smesso di frugare nelle buste della immondizia. E poi
ancora "Piccolino" di 9 anni dagli occhi blu cielo. Quando lo trovai
in mezzo al fango con il nasino tappato e gli occhi socchiusi, aveva
una brutta rino-laringite perché quel giorno di febbraio pioveva.
Ricordo che per scaldarlo avevo escogitato il sistema del "mattone riscaldato"
e lui, che aveva sangue freddo, non se ne staccava mai. "Niña"
invece è una bella gattina striata di 2 anni trovata anch’essa
in mezzo alla strada come i Niños delle favelas brasiliane. Infine
"Nerina", priva della zampa posteriore, che qualcuno voleva avvelenare,
chissà tra quali atroci sofferenze, se non l’avessi sottratta
a quel triste destino. E potrei ancora continuare, ma ci sono anche
i cani abbandonati o persi chissà come. Per esempio i 3 cuccioli
trovati sul sagrato della chiesa di Bonaria che ancora non avavano gli
occhi aperti, "Maggiolino" (lo avrei chiamato così se fosse sopravvissuto),
trovato sul ciglio della 554 il 1° maggio di due anni fa mentre
facevo una passeggiata in bicicletta. L’avevano impallinato e riempito
di botte tanto da spezzargli la schiena. La corsa verso l’ospedale "San
Giuseppe" non servì a salvarlo. Non emetteva neppure un piccolo
lamento, povera bestiola! Si limitava a leccarmi la mano. La cosa che
più mi sconcerta e mi ferisce profondamente è proprio
questa. Non emettono un solo grido di dolore, la loro sofferenza è
muta. Ti guardano e basta. Il loro sguardo ti buca il cuore e lo stomaco!
E tu sei impotente davanti a tanta sofferenza. Qualcuno, a ragione,
dice: "Ma chi sono le Bestie? Loro o noi?" Perché non c’è
più posto per questi nostri "Compagni di viaggio"? li abbiamo
costretti ad adattarsi a noi e poi? Dapprima sono batuffoli di cotone,
morbidi al tatto; ci fanno divertire, sorridere, ci inteneriscono. Quando
poi ci si accorge che hanno bisogno di cibo, di coccole, di attenzioni,
del veterinario, della lettiera e della cuccia pulita, allora un calcio
e via! Qualche alunno, alla mia proposta di adozione ha risposto: "
Mia madre dice che se porto a casa qualche bestiola esco io, fuori di
casa!
Ora, da qualche giorno c’è "Shu-Shu". Non so
perché l’ho chiamato così, forse perché mi da l’idea
di un cagnolino cinese. Musetto nero, occhioni neri grandi da pechinese,
la coda arruffata e girata all’insù, il manto bianco e nero a
tratti corto, a tratti lungo. Andava da un marciapiede all’altro, sotto
casa, sempre con quell’aria smarrita, in cerca forse del suo padrone.
Sporco, affamato, spaventato. Ora, Shu-Shu sembra (?) felice. Mangia,
gioca, si è già affezionato alla nuova padrona. Ma quando
finirà questa storia infinita di abbandoni, di sevizie, di maltrattamenti?
Eppure si dice (ed io ci credo) che le bestiole abbiano un effetto terapeutico
sulla psiche umana. Perché allora non scaricare le nostre tensioni
quotidiane accarezzando il nostro amico domestico o giocando con lui?
Pare che possano essere d’aiuto anche ai bambini con problemi vario
genere (solitudine, depressione, malattie psichiche) e alle persone
sole e anziane. Gli animali adorano i bambini e loro adorano gli animali
in una sorta di reciproca complicità che solo loro conoscono.
Talvolta i bambini sono crudeli con gli animali, ma forse sono solo
disperati perché a loro volta poco amati dagli adulti; ma sono
felici quando possono occuparsi di essi. Talvolta, a scuola, qualche
cucciolo di cane accompagna gli scolari; è felice, forse spera
di essere adottato; si lascia accarezzare e magari ritorna il giorno
dopo alla stessa ora finché qualcuno lo scaccia insensibile e
sordo ai suoi richiami. Spera di farsi capire ma inutilmente!
Può sembrare strano ma sono loro a capire noi
e non viceversa. Qualcuno ha pensato di introdurli persino negli ospedali
perché pare accelerino la guarigione degli ammalati. Ma allora
perché tanta insensibilità in un paese così ricco
di animi sensibili, di pittori, di artisti, di scrittori, di poeti,
come il nostro?