Oramai da tempo ci troviamo in una situazione
in cui l'economia americana scandisce i tempi dell'economia mondiale
e quindi di quella italiana. Questa regola non è venuta meno neppure
con l'inizio del nuovo millennio e difficilmente s'intravede la possibilità
di un mutamento di siffatta situazione che caratterizza nel bene e nel
male l'economia dell'era della globalizzazione. Molti si chiedono il
perché.
Il motivo principale è sicuramente dovuto allo strapotere del dollaro
che si dimostra sempre più "moneta mondiale". La forza del dollaro deriva
essenzialmente dalla forza dell'economia americana che è in continua
crescita da oltre dieci anni. All'orizzonte appaiono però evidenti segnali
di una ripresa inflativa che la Federal Reserve (banca centrale americana)
dimostra comunque di saper gestire al meglio, sgonfiando l'eccesso di
consumo e moderando la forza degli investimenti attraverso adeguate
politiche monetarie restrittive (rialzo dei tassi d'interesse). Il prossimo
rialzo sarà probabilmente l'ultimo, anche se qualche tensione sul fronte
dei prezzi sarà possibile fino a quando il mercato del lavoro non inizierà
a perdere qualche colpo, moderando la crescita dei salari.
Dall'altra parte del mondo il Giappone continua a riservare sorprese
positive, ma convince poco sulle basi della ripresa, che non è stabile
e sana.
In
Europa, è lo scenario di finanza pubblica quello cruciale per la determinazione
della crescita della capacità di spesa dei consumatori e quindi dell'economia.
La ripresa economica si sta lentamente concretizzando. Esistono ancora
differenze tra il grado di crescita delle economie più virtuose (Spagna
e Francia) e di quelle in ritardo (Italia e Germania). Tuttavia anche
il nostro paese mostra segnali abbastanza confortanti. Stanno aumentando
i consumi privati e le spese per investimento. Il settore manifatturiero
segnala un incremento della produzione mentre crescono anche le esportazioni.
Il tasso tendenziale di crescita del PIL che si registrerà nell'anno
in corso sarà vicino al 2-2,5% con un rapporto deficit/pil intorno all'1,4%.
Nonostante le recenti tensioni inflative causate dall'aumento del prezzo
del petrolio, il pericolo inflazione non sembra preoccupare né il Governo
Italiano né la BCE (Banca Centrale Europea). L'idea di accompagnare
l'eventuale surriscaldamento delle economie europee con un aumento dei
tassi è stata implementata dalla BCE più come segnale di credibilità
che come risposta ad un reale pericolo di tensioni inflative.
Che dire poi dell'euro? Quali sono le principali ragioni che hanno
portato ad un così forte indebolimento della valuta europea dopo la
ripresa che aveva avuto contro il dollaro? Mentre all'inizio del 1999
la debolezza dell'euro contro il dollaro era dovuto chiaramente alle
differenti performance delle rispettive economie (con sorprese positive
negli USA e delusione nel Vecchio Continente) e alla simultanea inversione
nelle aspettative dell'andamento dei tassi d'interesse, queste spiegazioni
ora non bastano più. Le attese sull'economia americana sono migliorate,
ma lo stesso vale per quelle sull'economia europea: di conseguenza,
le attese sulla politica monetaria della BCE sono state riviste anche
notevolmente. Ma allora da dove proviene questa debolezza?
I fondamentali economici, che tradizionalmente influenzano i mercati
delle valute sono chiaramente più favorevoli in Europa che non negli
Stati Uniti. Il deficit USA è circa il 4% del PIL, mentre i membri dell'UEM
hanno un surplus dello 0,5% del PIL. Inoltre i rischi d'inflazione sono
più forti negli Stati Uniti che non nella zona Euro in questa fase iniziale
del ciclo economico.
Lo sfasamento temporale della crescita economica della Germania rispetto
agli altri paesi dell'Unione non può essere il solo a dare la spiegazione
degli attuali tassi di cambio euro/dollaro.
I timori nati in Germania sulla difficoltà di gestire la politica
monetaria in modo coerente per tutti i paesi membri. Il "fascino" del
mercato statunitense. Tutti questi fattori hanno concorso a portare
il tasso di cambio euro/dollaro ai livelli attuali.
Da non trascurare l'impatto di internet sull'economia Europea. Oggi
gli Europei che utilizzano internet sono circa il 12% della popolazione
contro un 26% degli Americani; entro il 2003 si prevede una penetrazione
in Europa del 40% contro un 62% degli USA. I settori che beneficeranno
maggiormente di questa trasformazione saranno sicuramente quello delle
telecomunicazioni e dei fornitori dei sistemi di rete fissa e mobile
e dei protocolli internet. I titoli maggiormente posizionati nel settore
delle telecomunicazioni sono sicuramente Deutsche Telekom, France Telecom,
Vodafone-Mannesmann e Telecom Italia. Fra le società attive nella produzione
di apparecchiature per telecomunicazioni si evidenziano maggiormente
Nokia ed Alcatel. Il potenziale di queste società sta nel continuo aumento
degli abbonati ad internet e degli utenti GSM, e nel fatto che i diversi
operatori stanno continuando ad espandere e potenziare la capacità delle
loro reti per offrire servizi sempre più innovativi ai loro clienti.
Della ripresa economica Europea potrà beneficiarne anche il settore
auto, fra cui segnaliamo Daimler Chrysler. Oggi le quotazioni del titolo
scontano l'insuccesso commerciale di Smart. Un eventuale accordo con
una casa automobilistica Europea (v. FIAT) per la produzione di una
macchina di bassa cilindrata (anello debole della catena Daimler) darebbe
forza alle quotazioni.
Per quanto riguarda più da vicino i titoli della borsa nostrana, fino
ad ora i temi principali che hanno guidato i recenti rialzi sono stati
le telecomunicazioni, internet e l'editoria e così continuerà ad essere
ancora per alcuni mesi. Un altro settore da privilegiare è prima di
tutti quello assicurativo che beneficerà della nuova normativa fiscale
in tema di fondi pensione.
Marco Fadda