Morire
a 36 anni con iniezione letale per un presunto omicidio commesso diciannove
anni prima, su sentenza di morte stabilita quasi in contumacia, pur
proclamando sino all’ultimo innocenza può sembrare assurdo ma è tuttavia
realmente fattibile ed addirittura semplice.
E’ sufficiente essere
cittadino texano, magari povero da non potersi permettere il lusso di
avvocati di grido; magari di pelle nera; e magari diventare casualmente
lo strumento di propaganda di un uomo politico senza scrupoli che fa
della "macchina di morte" il proprio cavallo di battaglia per mostrare
rigore e coerenza della propria "giustizia".
Ciò è avvenuto il
23 Giugno a Gary Grahm che prima di morire ha rifiutato l’ultimo pasto
ed è stato accompagnato al lettino di morte da cinque agenti. E’ comparso
con addosso i segni di contusioni, prova di una probabile colluttazione
precedente. Ad aggravare il suo stato psicologico già seriamente compromesso
si è aggiunta l’attesa dell’esito di due ricorsi, alla Corte Suprema
e al tribunale di Austin, rivelatasi poi inutile e snervante perché
entrambi respinti.
Quando era in procinto
di morire ha urlato: "E’ un assassinio di stato"…Ha inoltre accusato
lo Stato di genocidio contro i neri. L’attuale governatore del Texas,
Bush jr, strenuo sostenitore della pena capitale, candidato dei repubblicani
nella corsa alla casa, ha preferito non deludere i suoi sostenitori,
diversi possibili elettori, nella sua intransigenza a che l’autorità
giudiziaria compisse il suo corso.
Si
è rivelata solo una primavera, dunque, l’episodio avvenuto poco tempo
prima a Ricky Mcginn al quale è stata concessa la sospensione dell’esecuzione
per effettuare maggiori verifiche sull’innocenza dell’imputato. Ad accordarla
è stato, stranamente, Bush jr, in qualche modo sollecitato da varie
pressioni della stampa internazionale che insinuava il serio sospetto
di frequenti errori giudiziari.
Secondo la legge
americana la condanna a morte è prevista solo quando il colpevole è
riconosciuto tale "al di la di ogni ragionevole dubbio". Eppure in soli
due Stati americani, New York ed Illinois, il test del DNA è iter obbligatorio
nei processi, negli altri è a carico dell’imputato che generalmente
non se lo può nemmeno pagare.
Amnesty International
un anno fa aveva proposto, come gesto simbolico del Giubileo del Duemila,
una moratoria delle esecuzioni capitali, almeno per l'Anno Santo, con
la speranza che sarebbe stato il primo in cui le Nazioni, che ancora
oggi sono segnate dal marchio oscuro di quest'orrenda pseudo-giustizia,
non avrebbero più praticato la condanna a morte.
La petizione non
è stata evidentemente accolta. Sinora è stata abolita in soli 99 Paesi,
contro 94, che ancora la adoperano, come metodo "educativo" per i cittadini.
Fanno parte dell’ultimo gruppo non solo Stati assolutistici come la
Cina, ma anche quelli che si definiscono e sono ritenuti, per opinione
comune, "democratici", come gli Stati Uniti.
Da qui, ci arrivano
le notizie più sconcertanti, e le storie di condannati a morte, per
i quali tutta la TV americana si mobilita per mostrare il macabro rito
dell'esecuzione. Per essi proiettano in diretta la loro lunga tortura,
nell'attesa degli istanti più estremi della loro vita.
Se si presentassero
degli intoppi per "difetti" tecnici dello strumento di morte, tanto
meglio per l'audience! Arrivano a tanta barbarie gli "evolutissimi"
Americani che si giustificano affermando che rendere partecipe il pubblico
(a cui fanno inevitabilmente parte anche bambini), serve come monito,
affinché chiunque, consapevole di ciò che gli spetterebbe, non commetta
delitti.
Ma i sondaggi parlano
chiaro: gli assassinii non diminuiscono. La forma barbara di fare "giustizia"
non attenua la violenza, anzi, la esacerba e l'esalta, mostrando l'oscena
liturgia di morte. Violenza chiama violenza, sangue chiama sangue; è
una catena inevitabile che agisce nell'inconscio umano.
Perciò l'uomo
ha sempre cercato di lottare contro questa legge ancestrale con degli
esempi come alcuni episodi riportati nella Bibbia, uno dei testi più
antichi e diffusi al mondo.
E' classica la storia
del fratello cattivo, Caino, che uccide il buono Abele. Dio, alla frase
del fratricida "Fuggirò ramingo per cui avverrà che chiunque mi troverà
mi ucciderà", dice "Non accadrà così! Chiunque ucciderà Caino, sarà...
punito sette volte" (Genesi 4).
La Scrittura
ritorna sullo stesso argomento (Giobbe 12): "Dio solo ha in mano l'anima
di ogni essere vivente ed il respiro di ogni carne umana".
Il concetto, che
credo sia riassuntivo in maniera emblematica, è racchiuso nel Quinto
Comandamento "Non uccidere" in cui si condanna l'omicidio fine a se
stesso e l'assassinio come forma di deterrente.
Molti, in merito,
fanno notare che nel Comandamento si fa uso di un termine che riguarda
l'omicidio in sé, tanto che lo stesso Antico Testamento riporta esempi
come il suo complesso legislativo prevedesse l'esecuzione capitale per
lapidazione, per rogo, o spada, in caso di delitti gravi contro la vita,
la religione, la famiglia.
Per contro, il Nuovo
Testamento andrà molto più avanti in un processo di "incivilimento"
tanto stupefacente, quanto attuale, nei concetti quali il perdono, come
via più efficace di ogni falsa giustizia, di gran lunga superiore ad
ogni vendetta, che non redime e non cancella la morte.
Di quale soddisfazione,
di quale riposo mentale potranno godere coloro che assistono all'uccisione
dell'autore del delitto di un loro parente o amico?
Si vedranno
forse restituire il proprio caro?
No! Sentiranno, davanti ad un ennesimo corpo freddo di un proprio simile,
l'inutilità dell'omicidio "giustificato". Non
sarà più dato loro di sapere se il condannato si fosse o si sarebbe
potuto ravvedere del gesto compiuto, magari in un momento di follia.
Sta proprio in quest’ultimo
punto l'incongruenza più grande della condanna a morte, come pena legale.
Il pentimento
di un assassino, poco può importare alla famiglia della vittima che
magari è più propensa ad infliggergli la condanna più grave.
Allo Stato spetta però il dovere di prendere atto della serietà del
fatto e cercare che non si verifichi più.
Non dovrebbe agire in maniera semplicistica nel tentare di migliorare
la società; dovrebbe trovare il modo di curare la "cellula" malata,
riabilitandola e rendendole la dignità di persona, anche se non la libertà.
L'ideale sarebbe
inserire i delinquenti in istituti particolari che consentano loro di
rendere dei servizi utili a se stessi ed alla società. L'assassino compie
omicidio per rabbia, passione, insania mentale, insomma, per ragioni
(non intendo certamente giustificarle!) che attestano la limitatezza
dell'agire umano.
Lo Stato, che dovrebbe
ergersi ad esempio per elevazione morale e superiorità razionale, compie,
a sua volta, ciò che il singolo ha fatto per debolezza.
Esso, paradossalmente, mostra la sua "forza" nel difendersi, agendo
nello stesso modo in cui aveva reagito un individuo malato.
Significativo è
il passo del testo di Dostoevskij, nel dialogo fra l'idiota e il principe
Myskin.
Il primo dice "E' detto: "Non uccidere". E allora perché se uno ha
ucciso, deve essere ucciso anche lui? Uccidere chi ha ucciso è un castigo
senza confronto, maggiore del delitto stesso. L'assassinio legale è
incomparabilmente più orrendo dell'assassinio brigantesco".
Già Cesare Beccaria
nel 1767 nel suo testo "Dei delitti e delle pene" scriveva "Quest'inutile
prodigalità dei supplizii non ha mai resi migliori gli uomini".
Ormai sull’argomento
si sono espresse le più autorevoli personalità del mondo della cultura,
dell'arte, della politica, tutti per rispecchiare il proprio sentimento
di disappunto su una pena che è sinonimo di inciviltà e che lede i diritti
fondamentali della dignità e del valore della persona umana.
Un segno tangibile
di come stiano cambiando i tempi è che stanno calando in America i sostenitori
della pena capitale, dall’ottanta per cento al settanta. Dal Gennaio
scorso l’Illinois, ha imposto una moratoria delle esecuzioni.
Offrono man forte
per debellare la pena capitale il Presidente della Commissione Russa
per le Grazie, costituita da Gorbaciov. Si sono uniti in coro unanime
il Rappresentante dell'ONU Staffan de Mistura, la Comunità di Sant’Egidio
e l’Associazione "Nessuno tocchi Caino".
Rimbocchiamoci le
maniche, dunque, affinché maturi la coscienza universale per abolire
il tasso di violenze vane.
Viviana
Ricci
sogabri@tiscalinet.it