Banner Pubblicitario
Quaderni di Quartucciu
Anno IV - Numero 19 - Ottobre 2000
 

 

L'altra faccia della medaglia... ...olimpionica.

"Corri Cathy, corri!"
di Viviana Ricci

Australia, anno 2000: 27a Olimpiade. Cathy Freeman, la straordinaria campionessa nei 400 metri, durante la pirotecnica cerimonia di apertura, impugna la fiaccola che accenderà la fiamma dei giochi olimpici. Ma per lei, aborigena, quella fiaccola ha rappresentato probabilmente la luce della speranza per sé e per il suo popolo.

Ha corso per l’Australia l’atleta ventisettenne, ma nella mente, nel cuore ha voluto farcela per la sua gente e per le loro battaglie per i diritti negati da duecento anni.

Alla sua gente ha dedicato la vittoria nella sua disciplina, del 25 Settembre…Ed in mano sventolava le due bandiere della sua duplice identità: quella australiana e quella gialla (come il sole), rossa (come la terra), nera (come la pelle), delle sue origini che non ha mai voluto nascondere. Anzi, ha fatto della propria eccezionale capacità nella corsa, che ha richiamato su di sé l’attenzione di tutto il mondo per aver trionfato ad Atene, a Siviglia ed in altre numerose occasioni, uno strumento per far conoscere la sua realtà oltre la pista dei quattrocento.

Di riflesso, attraverso la sua fama, noi veniamo finalmente a scoprire le attuali condizioni dei “nativi” australiani. Forse è anche troppo tardi per conoscere i dettagli di soprusi secolari, che anche oggi, in modo sapientemente mascherato, continuano.

Nella “terra dei canguri”, per lungo tempo ritenuta disabitata dai colonizzatori bianchi, abitavano già da 30 mila anni tribù di uomini “scuri”, come venivano soprannominati, con disprezzo. Vivevano di caccia e dei prodotti offerti spontaneamente dalla terra priva di alcun tipo di recinzioni di proprietà. Ma, con l’avvento dei bianchi, ecco comparire le prime palizzate, ecco le prime occupazioni violente.

Allontanati dai loro territori, decimati, furono costretti all’emarginazione in tribù appartate, o, altra amara scelta, a tentare l’integrazione con i conquistatori “civilizzati”.

La prima soluzione significava scarsa possibilità di sopravvivenza; la seconda, insaccare sequele di soprusi per uomini considerati alla stregua di canguri.

Il primo censimento degli aborigeni risale, solo, al 1967: recentissimo. Ancora più tardi, nel 1992, è stata restituita una piccola parte della terra strappata loro. La situazione attuale, però, non è certo migliorata. Persistono i preconcetti, resistono gli antichi abusi di potere dei “bianchi”, poliziotti, sugli aborigeni “neri”, (occupano il 40% delle carceri australiane), che avevano manifestato per una maggiore giustizia.

Il premier australiano John Howard, che si è rifiutato di chiedere ufficialmente scusa agli aborigeni, come se non riconoscesse alcun diritto mancato, sostiene che il governo si stia prodigando per la loro integrazione. Ma non è l’integrazione col popolo dei “bianchi” ciò che chiedono.

Il loro sogno è il riconoscimento di un’identità autonoma, indipendente da quella invadente dei conquistatori; il recupero dell’autodeterminazione di due secoli fa, la costituzione di un governo a sé stante, con una propria bandiera, con le loro antiche usanze, nel rispetto reciproco.

Un sogno per il quale Cathy corre, affinché il mondo del 2000 ne abbia coscienza, affinché il mondo del nuovo millennio sappia che, ancora, non si riconosce il diritto della propria identità ad un popolo che di ingiustizie ne ha già ricevute abbastanza.

Viviana Ricci
sogabri@tiscalinet.it

 


 

Quanto segue è un testo comparso in un autorevole giornale nazionale. Attesta la quotidiana violenza sugli animali e si commenta da sé.
Ho pensato che chi non avesse avuto modo di acquistare il settimanale avrebbe potuto, con la nostra pubblicazione, apprezzare la “denuncia” estremamente forte e, senza dubbio, efficace.
Credo che gli autori non me ne vorranno, ma anzi, ritengo che sappiano che la miglior sorte per il loro originale scritto sia proprio la sua maggior diffusione.

Viviana Ricci
sogabri@tiscalinet.it


Parliamo a nome di un gatto

<< Io sono il gatto ucciso a calci da tre minorenni di Guidonia (Roma), spinti dalla noia.

Mi ritengo il simbolo di una società, definita civile, che maschera le sue violenze con una breve indignazione, e poi archivia ogni tremendo episodio nella memoria collettiva, che dimentica. Io no.

Ricordo bene cosa significa fidarsi dell'uomo; peggio: di tre ragazzi. Coloro che dovrebbero rappresentare il futuro, che così appare piuttosto miserabile.

Mi hanno attirato con un sadico inganno e poi mi hanno colpito ripetutamente colpito ripetutamente con i loro piedi.

Mi rotolavo e gridavo il mio dolore, e i loro occhi esprimevano divertimento mentre io sentivo la paura e la sofferenza: io vedevo e sentivo, loro no.

Avevano dimenticato ciò che c'è di più umano: la pietà.

Dopo avermi ucciso, sono passati su di me con le loro biciclette.

Non ho avuto dalla vita null'altro che la vita stessa, e tre giovani me l'hanno rubata solo perché si annoiavano.

In una società volta alla produzione, i più deboli, gli indifesi (anche noi animali) non sono utili: danno solo amore.

Ma l'amore è degli stolti, una perdita di tempo: terribilmente non produce.

E cosi è giusto che ci si alleni per sopraffare l'indifeso e si assassini il debole.

Nessuno ha denunciato il delitto perpetrato contro di me: io chiedo che se c'è un uomo degno di questo nome, si operi d'ufficio, dato che una legge - sebbene ancora inadeguata c'è.

Concludo dicendo che se questo è l'uomo, che vede ma tace, sono felice di essere nato gatto>>.

Vi preghiamo di dare rilievo a questa lettera, perché riteniamo che sia giusto e civile che episodi simili abbiano almeno lo di poche righe di cronaca.

Asteria Casario Teramo
(seguono altre 13 firme)


Pagina Precedente ... Pagina Successiva