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Quaderni di Quartucciu
Anno IV - Numero 19 - Ottobre 2000
 

 

Duemila... e oltre

a cura di Marco Melis

Paracelso e l'origine della biochimica
di Francesca Loi

Teofrasto Bombast Von Hohenhein si faceva chiamare con lo pseudonimo di Paracelso, facendo capire d'essere, almeno nella sua stima, qualcosa più di Celso, famoso scrittore romano di medicina e naturalista vissuto nella prima metà del primo secolo dell'era volgare.

Paracelso nacque a Naria-Einsielden presso Zurigo il 17 dicembre 1493 da un medico del luogo, Guglielmo di Hohenheim, che fu il suo primo maestro; la madre morì nel darlo alla luce.

Apprese dal padre i suoi primi studi di medicina e d'alchimia. Nel 1514 lavorò nelle miniere e nelle officine metallurgiche di Sigismondo Fugger nel Tirolo, dove poté approfondire la sua preparazione tecnica intorno ai metalli preziosi ed ampliare le sue conoscenze alchimistiche.

Prese parte a diverse campagne militari - comprese le guerre di Venezia del 1521-25 - in qualità di chirurgo militare e rimase in Italia a lungo per laurearsi in medicina.

Il particolare ambiente politico-religioso dell'epoca influì non poco per la formazione del suo pensiero. Le lotte causate, da un lato, dalla Riforma e dall'altro, dal diritto usato da alcuni popoli per rovesciare i loro Principi non più ritenuti d'origine divina, avevano indotto nel pensiero umano un forte senso di ribellione e di critica.
Molti Principi tedeschi si occupavano con zelo della trasformazione dei metalli servendosi d'alchimisti di corte, ma il loro fine era quello di ottenere oro ed argento e, al tempo della Riforma, tutta la produzione chimica era limitata all'alchimia tecnica e filosofica.

Fin dal secolo XIV, la farmacia, pur essendosi notevolmente perfezionata, seguiva la prassi tracciata da Claudio Galeno.
La farmacia galenica, come l'antica pratica terapeutica etrusca, traeva i propri farmaci dai tre regni della natura e, prevalentemente, da quello vegetale, facendoli assumere dall'organismo malato solo previo semplice manipolazione, senza estrazione o separazione alcuna di principi attivi e senza trattamenti chimici eccessivamente spinti.

Durante tutto il Medioevo, l'alchimia si era sviluppata per proprio conto senza interferire con la farmacia galenica e non si era mai curata di portare a lei il frutto delle proprie ricerche.

L'alchimista che nel secolo XIII godeva di una gran fama era Arnaud De Bachuone, detto Arnaldo Da Villanova che richiamò l'attenzione dei medici sull'impiego curativo dell'acquavite e prescrisse medicamenti alcolici.

Si devono ad Alberico Benedicendi i maggiori studi sulla chimica medica di queste epoche. Egli rintracciò e prescrisse ricette della fine del 1400 e provenienti presumibilmente da un convento delle Marche; tra queste ricordiamo la tutia (ossido di zinco) per le malattie degli occhi e per la cura delle fungosità, il lume de rocho (l'allume), il sale armeniaco (ammoniaco) per curare varie infermità.

Entrate timorosamente in medicina esse erano però ancora temute dalla maggiore parte dei medici; i casi di collaborazione verso la medicina da parte degli alchimisti erano un fatto saltuario o sporadico e non si aveva per niente una scuola, una teoria.

In Germania, le idee innovatrici di Paracelso, il suo metodo sperimentale, il suo atteggiamento ostile alla medicina ed all'alchimia dell'epoca trovarono i più feroci ed intransigenti oppositori. In questo ambiente, Teofrasto Paracelso utilizzò un linguaggio rude e sprezzante contro Aristotele e Galeno e contro i professori che ne insegnavano le teorie dalle cattedre universitarie.

Nell'anno 1526 ottenne la cattedra di medicina fisica; salì sulla cattedra universitaria brandendo materialmente una spada e, seguito da una moltitudine schiamazzante di studenti, impose in tutta Europa in pochi anni una nuova scuola che, sebbene ricca di ridicolezze e d'esagerazioni, rappresenta una delle più grandi conquiste della scienza.

Il merito di Paracelso non fu proprio quello di essere stato il primo ad applicare la chimica alla farmacia, fu però quello grandissimo di avere creato, con la biochimica, la teoria chimica dei farmaci.

Gli alchimisti, secondo lui, dovevano cercare di estrarre l'arcano (ossia quello che oggi si direbbe il principio attivo) cui la terapia deve la sua efficacia. I medici alchimisti venuti prima di lui erano privi di qualsiasi mentalità chimica; nessuno di loro perciò pensò mai di collegare i tanti fatti osservati per desumere una relazione costante tra medicamento ed azione fisiologica, tanto meno aveva cercato di costruire una qualsiasi teoria su basi sperimentali.

Dalle sue convinzioni filosofiche era condotto ad ammettere qualcuna delle idee averroistiche sulla natura dell'essere umano che considerava un'emanazione del creatore e, trasportandole nel campo naturalistico, affermo che il corpo umano contiene, sia pure in piccola misura, tutti gli stessi metalli, o terre, o spiriti, o qualità elementari che si trovano nel creato ossia, nell'universo. Sostenne che tali componenti si trovano disposti in perfetto equilibrio ed integrati fra di loro e che lo scopo dello iatrochimico è quello di ricercare, in caso di turbato equilibrio fisiologico, quali siano le carenze ed, in corrispondenza astrologica col macrocosmo, somministrare quei fattori da quest'ultimo prelevati, per ripristinare, dopo lunga sperimentazione, il turbato equilibrio dell'organismo stesso.

Paracelso ammetteva come base della costituzione di tutto il mondo materiale, i " tria prima " lo zolfo cioè, il mercurio ed il sale e affermava che tali qualità elementari, erano messe in moto, anzi in ciclo vitale, da un principio divino e trascendentale che chiamò archaeus od archeo, vera essenza di vita sempre presente in tutto il creato, e in maggiore intensità nell'organismo umano vivente.

Interessantissima è la concezione della trasmutazione degli alimenti operata nell'organismo mediante processi chimici. Gli alimenti che fuori dell'organismo sono cose perfette, come perfetto è tutto ciò che è creato, introdotti nell'organismo stesso subiscono alterazioni varie che possono essere addirittura letali per colui che se ne nutre. Ma l'archeo alchimista che sta nello stomaco è vigile a separare il buono dal cattivo, servendosi dei mezzi fornitogli dal corpo stesso; in tal modo egli difende l'organismo dall'"ens venendi" che sarebbe d'origine alimentare.

 

Sulla stessa base è la terapia paracelsiana atta a fornire all'organismo quelle sostanze minerali che reputava deficienti nell'organismo malato. Usò le composizioni metalliche ritenute velenose come la pietra infernale (solfato di rame), il sale di saturno (acetato neutro di piombo) e diversi composti d'antimonio. Impiegò in terapia ferro, rame, piombo, oro, argento, stagno; fece conoscere il cobalto e lo zinco e consigliò l'uso del mercurio aggiunto al legno guaiaco ed ai sudoriferi nella cura della sifilide. Per le sue terapie usò inoltre l'acido solforico in una soluzione alcolica (chiamato in seguito acido di Haller), le tinture di ferro e di zafferano; creò numerose preparazioni mercuriali.

Tuttavia non si può affermare che Paracelso diede una spiegazione prettamente chimica dei processi vitali; i suoi elementi mercurio, zolfo e sale non erano da lui concepiti come veri elementi chimici, bensì come qualità. Questo non toglie che introducendo il concetto d'equilibrio chimico negli organismi viventi, Paracelso abbia dato la prima interpretazione chimica della vita e della malattia e la prima base della farmacologia.

Durante la sua vita Paracelso si era procurato l'inimicizia di tutti gli speziali, gli erboristi e i medici dell'epoca. Erano stati fatti numerosi tentativi per liberarsi di lui e le sue lezioni erano spesso molestate ma le autorità cittadine lo avevano sostenuto e non avevano ceduto al malcontento popolare; le cose giunsero ad una situazione critica quando un eminente cittadino di Basilea, il canonico Lichterfels, essendosi ammalato pensò di offrire un premio di cento gulden a chi lo avesse guarito. Paracelso guarì il paziente che rifiutò di pagare la somma promessa e i problemi giudiziari che ne seguirono lo portarono a lasciare Basilea in tutta fretta.

Dopo un periodo di vagabondaggio morì a Salisburgo il 24 Settembre del 1541.

Francesca Loi
loifrancesca@hotmail.com


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