L’articolo
di Viviana Ricci, “QUNTO: NON UCCIDERE”, pubblicato sul numero di luglio,
ha dato vita a un dibattito che prosegue nel forum di discussione del
sito internet di QdiQ.
...STATO
LAICO:
LICENZA DI UCCIDERE?
Da: Anna Savona <annasavo@tin.it>
A: www.qdiqnews@tiscalinet.it <www.qdiqnews@tiscalinet.it>
Data: sabato 29 luglio 2000 2.48
Oggetto: Quinto:"non uccidere"
Gentile
redazione di Qdiq, ho già avuto il piacere di scrivere per voi in un
precedente numero e credo che approfitterò ancora della vostra disponibilità
(sempre che lo riteniate opportuno), per fare alcune osservazioni in
relazione alla questione sollevata dalla Signora(ina?) Viviana Ricci
nel numero di Luglio alla pagina 5: la pena di morte.
Devo ammettere che
molte delle argomentazioni svolte nell'articolo su indicato sonosicuramente
di peso e possono indurre moltissime persone ad essere decisamente contro
la pena di morte, tuttavia non mi sembrano decisive.
Devo inoltre constatare
che nel nostro ordinamento giuridico la pena di morte è, salvo la possibilità
di prevederla per delitti commessi in tempo di guerra , inammissibile
sulla scorta del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione (forse
peraltro tale comma è utile solo per quel che riguarda la previsione
dell'eccezione suddetta; infatti già dal secondo comma dello stesso
articolo 27 della Costituzione si può ricavare il divieto della pena
di morte:"le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato."
Quale rieducazione
del condannato nella morte?
Detto ciò però credo
di non sbagliare dicendo che certe norme furono il frutto della profonda
influenza della morale cristiana sul costituente, il che è decisamente
in contraddizione con la professione di laicità dello stato. Nell'ambito
di una morale laica (ed ammetto forse anche cinica) mi sembra possa
avere ingresso la pena di morte.
Sono dunque sicuramente
corrette tutte le osservazioni della Signora Ricci nel momento in cui
si appoggia al Vecchio ed al Nuovo Testamento; tuttavia sono giuste
dal punto di vista di un cristiano, dal punto di vista della Chiesa
di Roma; lo stato è laico. Inoltre, ci è dato di osservare che in molti
paesi in cui i testi sacri sono la legge e la legge sono i testi sacri
si ha uno scadimento terribile della civiltà giuridica; quindi combattere
la pena di morte sulla base di quanto scritto da testi sacri mi sembra
possa portare, a causa di eventuali confusioni fra leggi e stato, ad
un peggioramento della cultura giuridica e sociale.
Esistono inoltre
altre argomentazioni proposte contro la pena di morte che non mi hanno
convinto: viene citato il caso di Gary Grahm il quale ha dovuto aspettare
diciannove anni prima di essere giustiziato. Sinceramente la lunga attesa
mi sembra nascere dal fatto che vi sono stati vari gradi di giudizio,
i quali hanno sicuramente richiesto indagini approfondite, e tutto ciò
a favore di chi se non dell'imputato?
In altri tempi la
giustizia americana, ma non solo l'americana, era sommaria e sbrigativa:
condannato venivi portato al patibolo. Certo i tempi della giustizia
sono eccessivi, ma ci troviamo davanti ad una coperta corta: accorci
i tempi e diminuisci le garanzie per l'imputato, aumenti i gradi di
giudizio ed i tempi per le indagini e costringi l'imputato (con suo
dispiacere?) ad aspettare svariati lustri.
Per quanto poi riguarda
la colluttazione precedente all'esecuzione non si tratta forse di un
detenuto che si ribella con la violenza? Cosa avrebbero dovuto fare
le Guardie?
Ed ancora non mi sembra decisivo che la questione "pena di morte" venga
strumentalizzata dal governatore o dalle televisioni; quello è un difetto
del sistema politico e televisivo, non è un difetto della pena di morte
in se stessa.
Ed ancora, è vero che la pena di morte non ha fatto diminuire i reati
per i quali è prevista, ma nessuno ci assicura che senza di essa i delitti
non sarebbero aumentati, probabilmente la pena di morte ha evitato che
ci fosse un maggior numero di delitti.
Ed anche le motivazioni
del principe Myskin non mi sembrano convincenti, sulla base del suo
ragionamento chi rapisce non potrebbe essere a sua volta "rapito" dallo
stato e rinchiuso in carcere, ed al ladro non si potrebbe infliggere
un sanzione pecuniaria in quanto gli si starebbe "rubando": le azioni
dello stato poste in essere nel rispetto della legge non possono essere
considerate sullo stesso piano di quelle di chi agisce al di fuori della
legge.
Non vedo dunque
perchè nei casi di assoluta e comprovata colpevolezza, nell'ipotesi
di delitti particolarmente gravi che ledono direttamente la persona
fisica, non prevedere la pena di morte.
Credo che i cittadini
onesti si sentirebbero più tutelati, che i familiari delle vittime non
tenterebbero di farsi giustizia da loro e soprattutto credo che questa
sarebbe giustizia. Ai pedofili, voi, cosa fareste?
Cordiali saluti
Gaetano Savona
Risponde
Viviana Ricci
Non
vi è nulla di più gratificante per chi scrive una frase, un articolo
o un libro, spinto da ogni qualsivoglia motivazione, di avere la consapevolezza
che le proprie produzioni siano lette e con reale attenzione.
Non è necessariamente vero che chi fissa nella carta delle idee intenda
convincere l'ipotetico interlocutore della validità delle proprie opinioni;
ma, al contrario, potrebbe ricercare un confronto, avviare un dialogo
virtuale, proponendo un pensiero, nel rispetto di quello contrario,
pur rimanendo convinto di ciò in cui crede.
Nel mio scrivere,
fornisco spunti di riflessione (…so di non essere detentrice di alcuna
verità…), non ho mai la pretesa di addurre tematiche “decisive”,
né tanto meno di smuovere chi, per ragioni personali, politiche o altro,
mi sembra ben radicato nelle proprie convinzioni.
Ciò premesso, in
merito all'articolo “Quinto: non uccidere” tengo a chiarire che
il mio pensiero di fondo, quello che ha dato l'impronta al testo stesso,
è il rispetto che nutro per la vita in sé e per sé, in ogni sua forma:
umana o no, “buona” o “cattiva” che sia.
…E, per determinati
valori non si deve necessariamente essere cristiani o appartenere ad
una religione.
Potrei terminare
qui e rimandare al medesimo articolo, ma su altri punti mi preme richiamare
l'attenzione.
Il concetto di “laicità
dello Stato”, ad esempio, è giustissimo perché in uno stesso territorio
possono convivere più comunità di diverso credo, di cui bisogna tener
conto e rispettare.
Lo Stato, per quanto come istituzione sia qualcosa di astratto, è il
risultato di menti umane naturalmente dotate di una morale religiosa
o filantropica, sarebbe inconcepibile, dunque, pensare alle sue leggi
avulse da un senso umanitario.
Con l'idea di laicità
dello Stato non si può giustificare un comportamento disumano. Mi sembra
che non “possa avere ingresso la pena di morte”, (idea “inumana”
e, come anche detto, “cinica”), se concepissimo lo Stato, come
un buon padre di famiglia, che dovrebbe attivarsi responsabilmente in
opere di prevenzione, per aiutare gli individui a non sbagliare.
Per quanto concerne
il nostro, mi compiaccio che nell'ordinamento giuridico non sia prevista
la pena di morte e temo che dell'articolo n° 27 si sia data un'errata
interpretazione.
Tutte altre sfere
e competenze tocca invece l'argomento sullo “scadimento terribile
della civiltà giuridica” di un Paese, quando un testo sacro coincide
con la legge.
Si è riportato
un passo della Bibbia non solo e non tanto per il mero valore religioso,
quanto per citare un testo di sicura conoscenza (è il testo più diffuso
al mondo) e per sottolineare come l'uomo già da millenni, già dalle
primissime civiltà, abbia tentato di abolire, o almeno attenuare, l'ancestrale
pseudo-giustizia, la più istintiva, la vendetta, quella che per me rappresenta
reale “scadimento di civiltà giuridica”.
In merito al caso
della violenza su Gary Grahm, sono certa che esista un'altra soluzione
al di là del picchiare il condannato a morte: cinque guardie avrebbero
potuto immobilizzare un uomo, senza alcuna necessità di infierire (…ecco
cosa avrebbero potuto fare!).
E' chiaro che quell'episodio rappresenta un ennesimo esempio di violenza
nelle carceri.
Non pare credibile
che si possa pensare che i diciannove anni di carcere siano serviti
al detenuto per riaprire un caso già chiuso il primo anno di processi
e per un uomo povero, incapace di assoldare avvocati competenti affinché
lo difendessero.
E poi, quali “gradi
di giudizio”, se in stati d'America, come in Virginia, un imputato ha
solo 21 giorni di tempo per fornire prove della sua innocenza? E' giustizia
forse questa?
A me pare solo un
modo per accontentare sbrigativamente persone assetate di vendetta:
non importa che sia il reale colpevole o meno, l'importante è che vi
sia una vittima sacrificale da portare al più presto sull'ara.
Proprio i politici,
sono convinta, giocano in tutto ciò, un ruolo di estrema importanza.
Insomma, fra interessi di carriera e legami di partito, negli ingranaggi
della “macchina - pena di morte”, strumento della politica, rischia
di finire stritolato il diritto alla giustizia.
Ridicole e paradossali
mi sembrano le considerazioni sul ruolo dello Stato nel caso di rapimento
e furto. Quale differenza ci sarebbe se, anziché lo Stato, fossero i
parenti della vittima ad uccidere l'assassino (vero o presunto)?
A maggior ragione
se si considera il fatto che non si può definire giustizia quella portata
avanti da paesi americani in cui vi è una gravissima inaffidabilità
del sistema giudiziario, per l'elevatissimo tasso di errore ai processi
(oltre il 90% degli stati che emettono sentenze capitali presentano
un tasso di errore superiore al 52%), a causa di frequenti corruzioni
delle giurie e perché il più delle volte i giudici sono subordinati
al proprio elettorato…
Purtroppo lo Stato
è fatto di uomini! Se lo Stato è così imperfetto, come condannare in
maniera inappellabile un probabile innocente?
Pur tuttavia, la
ragione per cui ho ritenuto opportuno scrivere (come in principio ho
affermato), non è solo per andare in difesa dell'innocente, ma è soprattutto
per esprimere personalmente e per dare voce a quelli che sostengono
che il colpevole abbia comunque diritto di riscatto, di recupero e,
sopra ogni cosa, quello della vita.
Viviana
Ricci
sogabri@tiscalinet.it