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STILI E STRATEGIE NELLA DINAMICA APPRENDIMENTO/INSEGNAMENTO DELLA LINGUA

 

Luciano Mariani

Lingua e Nuova Didattica, Anno XXV, Numero speciale, Settembre 1996

 

1. Introduzione

"Perché gli studenti non imparano ciò che gli insegnanti insegnano?"

Chi potesse rispondere in modo esauriente a questa domanda, originariamente posta da Allwright (1984), avrebbe probabilmente risolto i problemi fondamentali del fare scuola. Nella sua brevità quasi brutale, essa sembra riassumere i termini fondamentali di qualunque discorso sull'apprendimento e sull'insegnamento:

  • sono infatti citati innanzitutto i protagonisti principali, e cioè gli studenti e gli insegnanti;
  • viene menzionato il contenuto oggetto dell'azione didattica, indicato da quel "ciò che";
  • c'è un riferimento ai processi coinvolti, sintetizzato dai due verbi "imparano" e "insegnano";
  • viene infine sottolineata, attraverso la negazione ("non imparano") la problematicità di questi processi, con una esplicita richiesta di spiegazioni (perché?).

Mi sembra però soprattutto di cogliere in questa domanda, al di là di come è formulata, un senso più profondo, la constatazione dolorosa e forse anche un po' amara di un conflitto tra aspettative e interventi di chi insegna e percezioni e risultati di chi impara - o almeno dovrebbe imparare.

 

2. Verso l'autonomia: dalle abilità di studio alle strategie di apprendimento

Che cosa ha fatto la glottodidattica, o meglio, che cosa hanno fatto gli insegnanti, in questi ultimi decenni per risolvere, o almeno per affrontare con coraggio, ogni giorno in classe, questa contraddizione di fondo? Mi sembra che tutti gli sforzi fatti abbiano un comune denominatore: il tentativo di venire incontro allo studente - in termini più tecnici, lo sforzo di realizzare degli approcci centrati sul discente. A questo tendevano, già dai primi anni settanta, le analisi dei bisogni linguistici, cioè il tentativo di definire i contenuti di un corso di lingua (contenuti linguistici, ma anche abilità linguistiche e socioculturali) in base alle esigenze reali o presunte degli studenti. A questo ancora tendevano gli sforzi compiuti per aggiornare le tecniche di insegnamento, gli strumenti, le risorse, in modo da renderli congruenti con il rinnovamento dei contenuti. E, in anni più recenti, ancora nel tentativo di dare più corpo e spessore a questi approcci centrati sul discente, si è cominciato a parlare di abilità di studio, di strategie di apprendimento, ed anche, in modo più globale, del concetto di autonomia (Mariani 1994).

Vorrei fare brevemente riferimento alla mia esperienza personale. Molti anni fa, sulla scia di una tradizione anglosassone consolidata, ero partito con molto entusiasmo con lo sviluppo e la pratica di abilità di studio. Mi sembrava che un addestramento sistematico al prendere appunti, all'uso del dizionario, alla rielaborazione e sintesi dei testi potesse fornire ai miei studenti strumenti concreti e immediatamente utilizzabili (cfr. ad esempio Yorkey 1982). Ciò è in larga misura avvenuto, ma ben presto mi sono reso conto che il fornire strumenti di studio, per quanto importante, spesso non incideva a fondo sui processi implicati dall'uso di questi strumenti. Rimanevano sullo sfondo le operazioni mentali coinvolte, insieme agli atteggiamenti e alle convinzioni profonde degli studenti.

Mi è venuto allora presto in aiuto il concetto di strategia di apprendimento, che mi ha interessato subito perché mi sembrava mantenere l'aspetto operativo delle abilità di studio, ossia l'idea di operazioni concrete che servono a rendere più efficace e produttivo il proprio studio, e nello stesso tempo mi sembrava offrire una prospettiva pedagogica più ampia, cioè un'attenzione più spiccata ai processi cognitivi e socio-affettivi che comporta l'uso di una strategia (cfr. Oxford 1990, Wenden e Rubin 1987). Così, ad esempio, l'uso dell'inferenza, o meglio delle strategie per sfruttare a fondo la nostra capacità di fare inferenze, si concretizza da una parte in operazioni molto pratiche come, ad esempio, l'uso del titolo di un testo per anticiparne i contenuti, o l'utilizzo del contesto per dedurre il significato di una parola sconosciuta; nello stesso tempo, però, l'uso di queste strategie offre un'opportunità importante, allo studente come all'insegnante, di scoprire qualcosa di più su come funziona o non funziona l'inferenza, su quando e quanto serve questo meccanismo mentale.

Parallelamente, occorre ricordare anche che la ricerca teorica e applicata ha fatto uno sforzo consistente per fornire a questi approcci, per così dire "strategici", un supporto e una giustificazione più rigorosi, nel senso di legarli più strettamente a un modello generale di apprendimento della lingua (cfr. in particolare O'Malley e Chamot 1990, Wenden 1991).

Più recentemente ho cominciato a pensare che anche questa idea di fornire agli studenti, e particolarmente a quelli con maggiori difficoltà, una serie di strategie di apprendimento, cominciasse a mostrare qualche limite. Mi sembra infatti che ci siano almeno tre fattori che condizionano l'applicazione e l'utilità di una strategia:

  • la variabilità individuale, cioè la misura in cui le strategie possono essere recepite e utilizzate dai singoli individui in base alle loro preferenze;
  • la variabilità dei compiti, cioè la misura in cui le strategie possono essere utili, inutili o addirittura dannose a seconda delle caratteristiche dell'esercizio o dell'attività;
  • la variabilità del contesto in cui gli studenti affrontano i compiti, e in primo luogo la dinamica che lega studenti e insegnanti, apprendimento e insegnamento.

In altre parole ciò significa che l'uso e l'efficacia delle strategie dipendono, da un lato, dalle differenze individuali, da un altro lato, dalle caratteristiche dei compiti, e da un terzo lato, dalle strategie dell'insegnante, e dall'impatto tra strategie dello studente e strategie dell'insegnante.

Certamente questa prospettiva complica molto le cose, nel senso che tiene conto di molti più fattori, e soprattutto delle relazioni che intercorrono tra di essi, ma d'altro canto la realtà di cui stiamo parlando è di per sè estremamente complessa, e non è riducibile a semplificazioni frettolose.

 

3. Stili, strategie e compiti: il quadro di riferimento

Vorrei a questo punto fornire un quadro sintetico di questa problematica, per poi passare ad analizzare più a fondo gli elementi essenziali.

  • Partiamo dall'idea che lo stile di apprendimento dello studente, il suo approccio generale al modo di elaborare le informazioni, sia alla base delle sue scelte strategiche - detto in altre parole, la scelta delle strategie dipende anche (ma non solo) dal proprio personale stile di apprendimento.
  • Parallelamente, prendiamo in considerazione l'idea che lo stile di apprendimento dell'insegnante sia uno dei fattori (sia pure non il solo) che contribuiscono a determinare il suo stile di insegnamento. E' un'idea certo non nuova, perché si è sempre riconosciuto che il modo in cui si impara, insieme agli atteggiamenti e alle convinzioni che si sviluppano nel tempo in base alle proprie esperienze, condizionano il proprio modo di insegnare.
  • Questo stile di insegnamento è ovviamente alla base delle strategie di insegnamento con cui l'insegnante cerca di facilitare e ottimizzare il lavoro dello studente. Detto in altre parole, lo stile di insegnamento è un filtro attraverso cui l'insegnante seleziona e gestisce in classe i compiti, i materiali, le attività.
  • Sul compito, sul materiale, sull'attività, convergono dunque, da un lato, gli sforzi strategici dell'insegnante, e dall'altro, gli sforzi strategici dello studente. Le caratteristiche del compito - cioè il suo scopo, le sue richieste e procedure, il suo grado di difficoltà - condizionano a loro volta, da un parte, la scelta delle strategie di apprendimento più opportune, e dall'altra parte, la scelta delle strategie di insegnamento più opportune.
  • Ora, io credo che il lato meno indagato di tutta questa problematica sia proprio la relazione tra strategie di apprendimento (dello studente) e strategie di insegnamento. Eppure è proprio in questo punto delicato che si gioca, non solo il rapporto tra studente e insegnante, ma anche il risultato concreto di tutto questo processo, e cioè la realizzazione del compito e con essa il risultato degli interventi didattici. Indagare e riflettere su questo rapporto significa chiedersi: che cosa fanno gli studenti delle strategie messe in atto dagli insegnanti? Significa anche chiedersi se tra gli sforzi strategici dell'una e dell'altra parte ci sia integrazione o piuttosto conflitto.

Esaminiamo allora brevemente le componenti fondamentali di questo quadro di riferimento e cerchiamo di vedere soprattutto le relazioni, la dinamica che si crea tra di essi.

 

4. Stili di apprendimento

Gli stili di apprendimento, e in questo contesto non importa se sono quelli dello studente o dell'insegnante, diciamo gli stili di apprendimento di un individuo in quanto persona, sono solo una delle differenze individuali. Ricordiamo solo per inciso l'importanza di altre differenze come l'età, l'attitudine, l'intelligenza generale, le modalità sensoriali preferite, la motivazione, lo sfondo socio-culturale (Skehan 1989). Intendiamo qui per stile di apprendimento l'approccio complessivo di una persona all'apprendimento, il suo modo preferito di percepire e reagire ai compiti di apprendimento, un modo che si manifesta in maniera piuttosto costante, in una varietà di contesti, e che condiziona poi la scelta e l'uso delle strategie.

Nell'apprendimento linguistico, ad esempio, la persona analitica, sistematica e sequenziale tenderà a mettere a fuoco la forma e l'accuratezza; cercherà di trovare regole e modelli nelle informazioni che riceve; preferirà pianificare ciò che ha da dire o da scrivere; e preferirà materiali astratti e impersonali. Al contrario, la persona sintetica e intuitiva tenderà a mettere a fuoco il significato e la scioltezza; cercherà di raccogliere esempi di uso linguistico piuttosto che formulare regole; preferirà produrre un testo orale o scritto in modo diretto, correggendolo in un secondo tempo se necessario; e preferirà materiali di tipo più concreto, che abbiano un interesse umano, sociale o artistico.

Ma gli stili di apprendimento non si riducono solo a stili cognitivi, cioè a modi preferenziali di elaborare le informazioni. Correlati a questi aspetti cognitivi ci sono aspetti socio-affettivi, ossia quegli aspetti della nostra personalità di base che più chiaramente sembrano influenzare il nostro approccio all'apprendimento. Ad esempio, nell'apprendimento linguistico è possibile distinguere persone che sono più riflessive e caute, e che tendono così a rimanere entro i limiti del compito che viene loro assegnato, e persone che sono più impulsive e più disposte a correre rischi e a sperimentare con la lingua, e che quindi con più facilità possono andare oltre i limiti del compito assegnato. Allo stesso modo è possibile identificare persone che sono, o tendono ad essere, piuttosto ansiose, e quindi meno tolleranti dell'ambiguità e persone che tendono ad essere più rilassate, il che permette loro di tollerare meglio l'ambiguità E ancora, da un lato troviamo persone con una tendenza all'inibizione e all'introversione, e magari ad una certa rigidità e dall'altro persone con una tendenza alla disinibizione, all'estroversione, e ad una certa maggiore flessibilità.

Ovviamente, questi termini che abbiamo usato come descrittori degli stili sono appunto termini descrittivi e non prescrittivi. In altre parole, dire che una persona è analitica o sintetica, cauta o aperta al rischio, non significa assolutamente dare dei giudizi di valore, sia perché i compiti di apprendimento richiedono spesso la messa in atto di approcci diversi e complementari, sia perché questi termini descrittivi indicano tendenze più che valori assoluti.

Tuttavia, esiste anche una tendenza di molte persone a situarsi in una posizione intermedia tra, ad esempio, il sistematico e l'intuitivo. Ciò significa che molte persone sono in realtà versatili, hanno cioè uno stile bilanciato, e che quindi le differenze individuali sono spesso una questione di gradi piuttosto che di contrasti radicali. Purtroppo il fatto di avere uno stile bilanciato non significa che si sappiano usare più stili in maniera efficiente a seconda del compito, del contenuto che si sta studiando, e, in generale, del contesto in cui si lavora. Anche gli studenti versatili, insomma, hanno bisogno di essere indirizzati ad utilizzare le loro risorse nel modo più adeguato.

 

5. Stili di apprendimento e stili di insegnamento

Indagare sugli stili di apprendimento degli studenti è sicuramente un'occasione importante per avviare una riflessione e una discussione sui modi di imparare degli studenti stessi (per suggerimenti operativi, cfr. ad esempio Ellis e Sinclair 1989, Willing 1989, Cornoldi 1993, Davis et al. 1994). Tuttavia, la stessa riflessione fatta tra insegnanti può essere altrettanto produttiva. Con diversi colleghi ho provato ad utlizzare un questionario introduttivo agli stili di apprendimento (da me rielaborato sulla base di Davis et al 1994), e abbiamo poi cercato di correlare i risultati ottenuti con la nostra personale esperienza, prima come studenti, poi come insegnanti. Abbiamo cioè cercato di riflettere su come il proprio stile di apprendimento, su cui si sono sedimentate nel tempo anche le nostre convinzioni e i nostri atteggiamenti, influenzi poi le nostre scelte didattiche, cioè il nostro stile di insegnamento. In altre parole, ci siamo chiesti: tra le attività che normalmente svolgiamo in classe, quali ci piacciono di più, in quali ci sentiamo di più a nostro agio? E poi ancora, quali attività che potremmo svolgere in classe, per esempio perché proposte dal libro di testo, non svolgiamo, oppure, pur svolgendole, non ci piacciono o non ci fanno sentire del tutto a nostro agio? Ciò ci ha portato a toccare con mano come i nostri stili di apprendimento agiscano veramente da filtro rispetto a come scegliamo e gestiamo in classe le attività di tutti i giorni.

Per fare un esempio, diversi tra noi hanno scoperto, o meglio hanno avuto la riconferma, di preferire attività strutturate di pratica linguistica e di riflessione sulla lingua, focalizzate sulla forma e sull'accuratezza, e sulla rielaborazione sequenziale delle informazioni. Questo è certamente in sintonia con uno stile di apprendimento analitico-sistematico, ma è anche il risultato di esperienze di apprendimento, fatte a suo tempo come studenti, a scuola e all'università, che privilegiavano appunto questo tipo di attività.

Ovviamente, la domanda successiva che ci siamo posti è stata: quali particolari stili di apprendimento dei nostri studenti sono sollecitati dalle nostre attività preferite in quanto insegnanti? E di conseguenza, c'è un'integrazione oppure un conflitto tra questi nostri stili di insegnamento e gli stili di apprendimento dei nostri studenti? Se percepiamo un conflitto, reale o potenziale, facciamo di solito qualcosa per controbilanciare le nostre tendenze? Come si vede, si ha qui un esempio di come, partendo da noi stessi in quanto persone, prima ancora che in quanto insegnanti, si possa mettere a fuoco la rete di relazioni che si stabilisce sempre tra chi impara, chi insegna e le attività di classe in cui si concretizza questo rapporto.

 

6. Strategie di apprendimento e strategie di insegnamento

E' a questo punto che le strategie di apprendimento entrano in gioco con grande rilevanza. Il ruolo delle strategie, infatti, è essenzialmente quello di favorire l'esecuzione di compiti specialmente là dove sorgono problemi. Questa è in effetti l'essenza del comportamento strategico: ottimizzare le risorse, raggiungere lo scopo voluto in situazioni non facili. Dunque le strategie di apprendimento e le strategie di insegnamento hanno questo scopo in comune: fornire un supporto concreto, operativo, alla soluzione di problemi che emergono nello svolgimento di un compito.

Tuttavia, ciò che noi come insegnanti troviamo spesso difficile fare è distinguere le nostre strategie di insegnamento, le operazioni concrete che noi facciamo per facilitare il lavoro dei nostri studenti, dalle strategie di apprendimento che, come dice il nome, sono proprie di chi impara, sono cioè comportamenti messi in atto dallo studente, e solo da lui/da lei. Perché troviamo così difficile distinguere ciò che noi facciamo da ciò che fa, o dovrebbe fare, lo studente? In parte io credo che questo sia dovuto al fatto che tramite le nostre strategie di insegnamento noi cerchiamo di attivare strategie di apprendimento, e per fare ciò incorporiamo le strategie così strettamente in ciò che noi facciamo che allo studente riesce difficile riconoscerle come strategie potenzialmente sue, e non esclusivamente nostre. In altre parole, le strategie di apprendimento sono spesso così implicite nei materiali didattici e nei nostri comportamenti come insegnanti che in molti casi lo studente non riesce ad identificarle e attivarle se non stimolato dall'insegnante o dal libro di testo.

Facciamo un esempio. E' prassi abbastanza comune sollecitare gli studenti, prima della lettura di un testo, ad esprimere ciò che già sanno di quel certo argomento e ciò che possono aspettare di trovare nel testo. Tramite opportune domande-stimolo, o tramite un questionario o una mappa mentale da completare, noi cerchiamo di fare emergere dai nostri studenti le loro preconoscenze e le loro aspettative. Ma quanti dei nostri studenti metterebbero in pratica simili strategie in modo autonomo, cioè senza lo stimolo delle nostre strategie di insegnamento? Siamo tutti abituati a vedere studenti che si gettano a capofitto nello studio di un testo senza ricorrere minimamente a strategie di anticipazione e di pianificazione della lettura.

Il problema fondamentale allora è quello di come fare in modo che le strategie di apprendimento incorporate nelle strategie di insegnamento siano rese un po' più esplicite per lo studente, così che lui o lei possa riconoscerle, mantenerle nel tempo, trasferirle ad altri compiti, e soprattutto metterle in moto in modo autonomo, senza che necessariamente ci sia l'insegnante o il libro di testo a ricordargliele, suggerirgliele, stimolarne l'uso.

Occorre a questo punto evitare un possibile malinteso. Non si tratta certo di rendere lo studente uno specialista di linguistica o di didattica, nè di pretendere da lui o da lei una consapevolezza e un controllo delle strategie simile a quelli che noi abbiamo come professionisti dell'educazione. Però se vogliamo facilitare il trasferimento delle strategie dai compiti che noi proponiamo come modelli o esempi dimostrativi ai comportamenti più generali degli studenti, occorre passare da ciò che si potrebbe definire un "addestramento alla cieca", ad un'attivazione di strategie che faccia leva, oltre che sulla pratica e sul fare, anche sulla consapevolezza e sul riflettere.

 

7. Stili, strategie e compiti di apprendimento

Siamo così giunti alla fase finale e cruciale del nostro discorso. Abbiamo detto all'inizio che è sul compito, cioè su un'attività o un'esercitazione in classe che si concentrano, da una parte, gli sforzi strategici dello studente e, dall'altra, gli sforzi strategici dell'insegnante. E' dunque dall'analisi di un compito che possiamo partire per chiarire cosa succede alle strategie dello studente e come queste si incontrano o si scontrano con le strategie dell'insegnante. Vorrei proporre un itinerario di indagine. Partiamo da un compito specifico che normalmente svolgiamo in classe, per esempio, un gioco didattico, una simulazione, o un gioco di ruoli svolto a coppie o in piccoli gruppi, come quelli spesso proposti dai nostri libri di testo, ed analizziamolo con una griglia che potrebbe comprendere queste domande:

a. quale stile di apprendimento è favorito dal compito?

Un gioco didattico, una simulazione o un gioco di ruoli sono attività di pratica linguistica relativamente libere e "creative", dunque è probabile che favoriscano chi è intuitivo e flessibile, chi dà più valore ai significati che alle forme con cui esprimerli, chi è portato per la scioltezza piuttosto che per l'accuratezza, chi è meno ansioso e più disponibile al rischio, chi lavora volentieri con gli altri;

b. mi sento a mio agio come insegnante rispetto allo stile di apprendimento favorito dal compito?

Io personalmente, per esempio, ho un po' di difficoltà a "lasciarmi andare", a buttarmi a parlare senza prepararmi prima - in altre parole, il mio stile di apprendimento tende più verso il sistematico e il pianificatore, verso l'accuratezza e la cautela.

Dato che a questo punto abbiamo già intuito una serie di potenziali problemi, almeno per me e per quegli studenti più vicini al mio stile, ecco arrivato il momento di parlare di strategie, che, ricordiamolo ancora una volta, sono particolarmente utili nelle situazioni problematiche. Allora possiamo chiederci:

c. quali strategie di apprendimento possono favorire l'esecuzione del compito?

E' ovvio che gli scopi, le richieste e le procedure del compito diventano qui cruciali. Trattandosi di un compito di interazione orale in tempo reale, saranno particolarmente utili strategie di comunicazione come i modi per chiedere aiuto, per guadagnare tempo nella conversazione, per verificare se si è capito ciò che gli altri hanno detto e se gli altri hanno capito ciò che io ho detto; e saranno anche importanti strategie socio-affettive come adottare comportamenti, verbali e non verbali, per cooperare e negoziare con gli altri. La successiva domanda sarà:

d. in che misura le mie strategie di insegnamento (mediate, ricordiamolo sempre, dal mio personale stile di apprendimento) favoriscono o magari invece ostacolano l'attivazione di strategie di apprendimento da parte degli studenti?

Mi sembra evidente che è qui che il gioco delle relazioni tra studente, insegnante e compito diventa delicatissimo. Continuiamo con il nostro esempio. Dato che io non mi trovo completamente a mio agio con questo compito, condivido questo mio senso di insicurezza con i miei studenti più sistematici, ansiosi, magari un po' rigidi; e forse proprio per questo tenderò, diciamo così quasi "per compensazione", a scegliere delle strategie di insegnamento che forniscano innanzitutto supporti che diano sicurezza, che aumentino l'autostima, che abbassino il livello di ansia. Magari deciderò di cominciare la gestione del compito con una fase preliminare di presentazione e pratica di strategie di comunicazione molto concrete come quelle che ho già citato, strategie che diano la sensazione, a me e ai miei studenti più ansiosi, di essere più in controllo dell'interazione.

E se io fossi invece una persona più intuitiva, impulsiva e più disponibile al rischio? In questo caso il mio stile di apprendimento potrebbe riflettersi in strategie di insegnamento che favoriscono di più chi condivide con me queste caratteristiche: potrei perciò decidere, per esempio, di preparare molto i contenuti e l'argomento dell'attività ma non preoccuparmi più di tanto dei problemi che potrebbe comportare un'interazione in tempo reale e un lavoro a coppie o a gruppi. Potrei decidere di strutturare meno l'attività di lasciarla più libera e casuale.

Un'analisi di un compito condotta secondo questa griglia di osservazione riserva a volte più di una sorpresa. Vorrei anche sottolineare il fatto che un'indagine di questo tipo può essere compiuta su qualunque tipo di compito: un esercizio di grammatica, un'attività di ascolto, la stesura di un riassunto, una riflessione sulla lingua sono tutti compiti che implicano una o più strategie di apprendimento, e relazioni inevitabili con le strategie di insegnamento.

Ma a una fase di analisi, cioè di indagine, deve anche seguire una fase di intervento. L'ultima, decisiva domanda che dobbiamo allora porci sarà:

e. quali cambiamenti o aggiustamenti nelle mie strategie di insegnamento possono migliorare l'attivazione delle strategie di apprendimento, specialmente nei confronti di quegli studenti il cui stile di apprendimento non è in sintonia con le richieste del compito o con le strategie di apprendimento implicate?

So che si tratta di una domanda complessa, ma abbiamo già molti elementi per rispondere. Ritorniamo al nostro esempio di prima, il compito che consisteva in un gioco didattico, una simulazione o un gioco di ruoli. Se sono consapevole del mio stile di apprendimento, e quindi di insegnamento, posso cercare di controbilanciare, almeno in parte, le mie naturali preferenze personali. Così, se sono più portato verso l'intuizione, la flessibilità la scioltezza, il rischio, riconoscerò che potrei sottovalutare l'importanza di un'attivazione esplicita di strategie di comunicazione, proprio perché il mio stile di apprendimento e di comunicazione mi rende più facile usare queste strategie in modo casuale, senza trattarle in modo esplicito e sistematico. Ma potrò comunque temperare queste mie preferenze, a beneficio dei miei studenti meno flessibili e intuitivi, dando un po' più di spazio proprio a questo tipo di strategie. Al contrario, se sono più portato verso la sistematicità, l'analisi, la pianificazione, dovrò stare attento a "non esagerare", si fa per dire, in questo senso, perché potrei sì andare incontro agli studenti più simili a me, ma potrei anche togliere agli studenti più intuitivi e disponibili al rischio l'opportunità e il piacere di esprimersi con libertà e scioltezza. Senza contare, ovviamente, che lo scopo del compito in questione - un gioco didattico, una simulazione, un gioco di ruoli - è principalmente quello di stimolare proprio la scioltezza e l'interazione libera.

Vorrei fare un'ultima importante considerazione. Abbiamo detto che i cambiamenti o gli aggiustamenti che dovrò fare nelle mie strategie di insegnamento dovranno fare in modo da venire incontro agli stili di apprendimento degli studenti, particolarmente di quelli che meno si trovano a proprio agio con il compito in questione. Ma il nostro intervento dovrebbe tendere, non solo a sfruttare i punti di forza dei nostri studenti, ma anche a attenuare i loro punti di debolezza. A volte sono gli stessi studenti a richiedere, quasi sempre in modo non esplicito, un intervento del genere da parte nostra. Voglio dire che, se è giusto fornire ai nostri studenti sistematici, riflessivi e pianificatori occasioni per dare fondo a queste loro qualità, è anche importante non fossilizzarli e irrigidirli in queste loro caratteristiche - da cui la necessità di stimolarli anche con attività che gradualmente e in modo guidato possano permettere loro di sperimentare con la lingua e le strategie e li rendano un po' meno cauti e ansiosi. E' vero naturalmente anche il contrario: i nostri studenti più impulsivi e disponibili al rischio avranno anche bisogno di occasioni per riflettere, e quindi per pianificare, controllare e valutare la loro produzione linguistica.

 

8. Conclusione

Vorrei concludere tornando alla mia domanda iniziale:

"Perché gli studenti non imparano ciò che gli insegnanti insegnano?"

Vogliamo essere così coraggiosi da abbozzare una risposta? Perché le strade verso l'apprendimento sono tante quante sono le persone, e il nostro modesto compito può essere innanzitutto quello di indicare queste strade, rendendole più sicure per chi deve percorrerle. Si tratta di un lento cammino verso l'autonomia, dello studente e dell'insegnante, così ben sintetizzato in questa bella poesia cinese:

Vai verso la gente

Vivi in mezzo a loro

Comincia da ciò che sanno

Costruisci su ciò che hanno

Quando il loro compito sarà svolto

E il loro lavoro sarà finito

Tutti diranno

"L'abbiamo fatto noi"

 

Bibliografia

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Nota

La prima versione di questa relazione è stata presentata al Convegno Internazionale "Integrazione Culturale Europea", Trento, 4-7 Dicembre 1995 (Atti in corso di pubblicazione a cura dell'Istituto Provinciale Ricerca Aggiornamento Sperimentazione Educativi di Trento)

 

 

 

 

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