Prima di descrivere Il Linguaggio Pubblicitario,
vogliamo dare una breve definizione del concetto di pubblicità. Un concetto
apparentemente semplice ma in realtà piuttosto complesso. Ognuno di noi
conosce la pubblicità e saprebbe darne, senza alcuna difficoltà, seppure in
modo superficiale, una propria definizione. La pubblicità è, tuttavia, una
forma di comunicazione complessa. Decantata e disprezzata, giustificata e
accusata nel corso degli anni, la pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte
integrante della nostra vita di tutti i giorni. È onnipresente e
onnipotente. È onnipresente in quanto è protagonista di qualsiasi
occasione, è come un'ombra che ci segue dappertutto e non ci si può liberare
di lei. È onnipotente in quanto usa ed abusa di qualunque mezzo e ha
assunto il ruolo di guida della comunicazione di massa diventando il motore
trainante e, a volte, inquinante dell'intero sistema dei mass media.
In seguito cercheremo di definire il "modo di parlare" della
pubblicità. Il fenomeno comunicativo pubblicitario è complesso e particolare,
sia per quello che riguarda la forma dei messaggi prodotti, sia per il
contenuto e le modalità di diffusione di tali messaggi (sempre in funzione
del suo obiettivo principale, ossia quello economico). È complesso in
quanto vario, multiforme ed eterogeneo: esso si basa prevalentemente
sull'applicazione di linguaggi differenti e, a loro volta, complessi. Vedremo
come Il Linguaggio Pubblicitario utilizzi diversi espedienti linguistici con
estrema libertà morfologica, sintattica, stilistica: ed è per questo stesso
motivo un linguaggio innovativo.
Sommario del capitolo 2º: "Il Linguaggio della Pubblicità"
2. IL LINGUAGGIO DELLA PUBBLICITÀ
Introduzione
2.1 Che cos'è la pubblicità
2.1.1 Definizione di pubblicità
2.1.2 Obiettivi e finalità della pubblicità
2.1.3 Vantaggi e svantaggi della pubblicità
2.2 Il Linguaggio Pubblicitario
2.2.1 Definizione di linguaggio pubblicitario
2.2.2 Il Linguaggio Pubblicitario e le sue funzioni
2.2.3 Il messaggio pubblicitario
2.2.4 Componente visiva e componente verbale
2.3 Rapporti fra linguaggio pubblicitario e lingua
comune
Tra le
diverse e più o meno discutibili definizioni di pubblicità, ce n'è una
adottata, in occasione della redazione di un testo degli usi accertati in
tema di pubblicità, dalla Camera di Commercio di Milano, su proposta di una
commissione di esperti. La pubblicità viene qui intesa come "qualsiasi forma
di comunicazione che sia diffusa nell'esercizio di un'attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda
di beni o servizi". Con tale definizione si è avuta la consacrazione
ufficiale (nel 1988) della pubblicità e della sua attività, considerata
finalmente in modo autonomo e indipendente da altri settori (come ad esempio
il marketing) cui spesso era stata, in passato, associata. Quattro anni dopo
l'art. 2 del Decreto legislativo 25.1.1992 n. 74 definisce pubblicità
"qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo,
nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili,
la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure
la prestazione di opere o di servizi". È la prima volta che un testo
legislativo ha dato una definizione di pubblicità.
La definizione di pubblicità incontra una serie di difficoltà.
È difficile dare una definizione unica, ufficiale, precisa e concisa
poiché la pubblicità può assumere aspetti sempre diversi e servire le cause
più impensate. Le definizioni ufficiali sopra menzionate hanno il difetto di
essere troppo generiche. Cercheremo di superare, per quanto è possibile, tale
genericità proponendo una nostra prima e più ampia definizione:
La pubblicità è una forma di comunicazione impersonale, diffusa, con qualsiasi mezzo, da soggetti economici che devono essere sempre identificabili, e tesa ad influenzare, regolarmente e intenzionalmente, il comportamento del singolo nei confronti dei prodotti, dove con questi ultimi si intende sia i beni e i servizi offerti, sia le imprese che li offrono.
Definendo
pubblicità come comunicazione che mira intenzionalmente a influenzare
atteggiamenti e comportamenti dei potenziali consumatori si evidenzia, in
particolare, il suo aspetto fondamentalmente persuasorio. Inoltre, in tale
definizione l'oggetto della pubblicità non è limitato soltanto ai beni e
servizi, ma esteso a qualsiasi comunicazione che riguarda l'azienda nella sua
totalità. La definizione che abbiamo dato è molto ampia e, includendo forme
di comunicazione come ad esempio le telepromozioni e le sponsorizzazioni,
praticamente viene a coincidere con quella di comunicazione d'impresa. Essa
riguarda tuttavia solo la pubblicità commerciale: non include cioè la
pubblicità non profit, svolta da soggetti non economici e con scopi
differenti.
Numerose sono state le metafore usate per definire la pubblicità. Una
di queste è quella di vederla come una vera e propria forma d'arte,
dal momento che fa un largo uso di linguaggi poetici e letterari. Spesso un
testo pubblicitario è scritto meglio di un romanzo, è filmato meglio di tanti
lungometraggi, le sue illustrazioni sembrano potersi paragonare, per capacità
tecnico–espressive, ai quadri di grandi artisti. Certo, definire la
pubblicità come una forma d'arte è, secondo me, un po' azzardato e non del
tutto appropriato. Essa, infatti, non è arte allo stato puro, perché viene
realizzata non per scopi artistici ma fondamentalmente commerciali: si può
dire che "sfrutta" l'arte per attrarre il pubblico e per convincerlo a
comprare i prodotti presentati.
È, secondo me, più appropriata la metafora dello
specchio che riflette i linguaggi e le tendenze artistiche
preesistenti e li sfrutta per raggiungere il suo scopo. La pubblicità è stata
spesso intesa come specchio che riproduce la società, a volte in modo
fedele, a volte distorcendola. Uno specchio nel quale noi ci riflettiamo (o
comunque riflettiamo i nostri desideri) e ci contempliamo. È "uno
specchio spudorato, rivelatore di tutto ciò che si è sedimentato nella
coscienza e nell'inconscio collettivo. Una gigantesca rete che, raccogliendo
e spettacolarizzando frammenti e detriti della cultura, del costume, degli
usi, delle buone e cattive abitudini del nostro tempo può realizzare
combinazioni spesso sorprendenti, e sintetizzare materiali nuovi e pronti per
essere adoperati dal pubblico, che si appropria di segnali e di modi di dire
pubblicitari e nuovamente li modifica" (Testa 1988, 23).
Fabris (1997, 22) definisce la pubblicità come "una forma di
comunicazione unilaterale, in cui è (o dovrebbe essere) sempre
individuabile chi la promuove, generalmente veicolata dai grandi mezzi
di comunicazione di massa, rivolta a stimolare la propensione al
consumo".
Riassumendo, potremmo affermare che per pubblicità si intende:
una comunicazione prevalentemente persuasoria, impersonale e unilaterale.
promossa da una fonte che deve essere sempre identificabile.
diffusa con qualsiasi mezzo (generalmente dai mass media).
tesa ad influenzare il comportamento del singolo nei confronti del prodotto, dove con questo si intende sia il bene e il servizio offerti, sia l'impresa che lo offre, sia una causa sociale (pubblicità sociale), sia lo Stato (pubblicità pubblica), un partito o un personaggio politico e così via.
Con tale definizione conclusiva si allarga la visione di pubblicità da un ambito strettamente economico (pubblicità commerciale) ad altri ambiti (sociale, politico, pubblico, ecc.) in cui la pubblicità di fatto opera.
Kotler e
Scott (1993, 856–857) delineano tre differenti obiettivi che la pubblicità
si propone di raggiungere e che corrispondono ad altrettanti tipi di
pubblicità.
La cosiddetta pubblicità informativa ha come principale
obiettivo quello di informare, soprattutto nella fase di introduzione
del prodotto sul mercato: il prodotto è nuovo e non ancora conosciuto e la
pubblicità informa sulle sue caratteristiche, sui suoi vantaggi, ecc. con il
preciso scopo di creare la domanda primaria.
La pubblicità persuasiva invece si propone di persuadere
il consumatore, di spingerlo effettivamente all'acquisto del prodotto.
L'obiettivo principale è quello di creare una domanda selettiva
durante la fase di crescita del prodotto, quando bisogna "combattere" la
concorrenza.
Nella fase di maturità del prodotto, ossia quando questo si è ben
affermato sul mercato, l'obiettivo principale della cosiddetta pubblicità
ricordo è semplicemente quello di ricordare al consumatore il
prodotto.
Come fa la pubblicità a raggiungere i suoi obiettivi?
Nel rivolgersi al consumatore, fa leva su diversi fattori: quello che
li contiene un po' tutti è il fatto che la gente ricerca nei prodotti
pubblicizzati la soddisfazione di bisogni che variano da individuo a
individuo (sicurezza, vanità, giovinezza, serietà, ostentazione, ecc.).
Per raggiungere i suoi obiettivi la pubblicità deve formulare una
efficace strategia di comunicazione. Nessuna pubblicità, infatti,
anche se eseguita in maniera brillante, può essere efficace se la strategia
adottata non è appropriata o del tutto sbagliata.
Una strategia di comunicazione parte sempre dagli obiettivi che
si vogliono raggiungere: gli obiettivi "pubblicitari" dipendono da quelli
della strategia di marketing (ad esempio il lancio di un nuovo prodotto).
Dopo aver definito gli obiettivi bisogna individuare il cosiddetto target
group, ossia il gruppo di consumatori che si vuol raggiungere con la
comunicazione. Un altro elemento fondamentale della strategia di
comunicazione, nonché la sua parte centrale, è la promessa al
consumatore di soddisfare un suo bisogno. A sostenere la promessa fatta è la
cosiddetta reason why, la ragione per cui quel determinato prodotto
può soddisfare il consumatore mantenendo la promessa fattagli (ad es.: il
dentifricio x protegge i denti dalla carie [promessa] perché contiene il
fluoro [reason why]). Il prodotto, inoltre, deve possedere una sua
immagine che deve essere proiettata nella mente dei consumatori.
Infine il tono di voce riguarda il modo di parlare della campagna, il
suo linguaggio (Tabella 2).
Obiettivi | Quali obiettivi raggiungere | che prodotto/servizio è |
---|---|---|
Target Group | A chi comunicare | A chi è rivolto |
Promessa | Cosa promettere | cosa fa |
Reason Why | Come convincere | come lo fa |
Immagine | Come rappresentarsi | come si presenta |
Tono di voce | Come comunicare | come lo dice |
Tabella 2: La strategia di comunicazione.
Gli
atteggiamenti e i giudizi espressi, nel corso degli anni, dal pubblico nei
confronti della pubblicità non sono stati mai neutrali ma dettati sempre da
un sentimento di amore/odio, legittimazione/disapprovazione, ecc. In generale
possiamo riscontrare due grandi categorie di opinioni sul fenomeno
pubblicitario: le opinioni in sua difesa (espresse soprattutto dal mondo
dell'impresa, dai professionisti che realizzano le campagne e dal mondo dei
mezzi che ne diffondono i messaggi) e le opinioni sfavorevoli (espresse da
preoccupazioni di tipo pedagogico, culturale, ideologico e sociale).
Vantaggi della pubblicità:
Svolge una funzione informativa. È uno strumento che permette di far conoscere al consumatore i prodotti esistenti sul mercato. Si mostra come una finestra sui prodotti, offrendo un ampio ventaglio di proposte che consente di confrontare, di valutare e quindi di scegliere.
Svolge una funzione ludica in quanto intrattiene lo spettatore, lo fa evadere dalla grigia realtà di tutti i giorni per entrare in un mondo fantastico, lo fa divertire e rilassare. Inoltre non richiede molto tempo né un grande sforzo o concentrazione ed è adatta a tutti e fruibile da tutti. La pubblicità diverte non solo perché fa ridere o sorridere ma anche perché riesce a "fornire momenti di evasione e processi identificativi considerati gratificanti" (Fabris 1997, 536).
Svolge una funzione educatrice dell'estetica e del gusto. Per essere "attraente" utilizza spesso le stesse tecniche delle maggiori forme artistiche ed espressive, tanto da essere considerata una vera e propria forma d'arte. Inoltre, educa alla cura della propria persona e dell'ambiente che ci circonda.
Svolge un'importante funzione educativa/formativa in quanto insegna, spiega, dimostra. È "una palestra di sperimentazione di linguaggi ed immagini, arricchisce il vocabolario" (Fabris 1997, 534), soprattutto per gli strati meno colti della popolazione. Nel suo insieme oggi la pubblicità è caratterizzata dalla sistematica proposta di stili di vita e di pensiero, di abitudini, di vari modelli di comportamento e di linguaggio, che rappresentano ciò che è giusto e "normale" in una data società, in un dato momento storico. Di qui deriva il suo, seppure involontario, potere pedagogico (sia in positivo che in negativo) che, inevitabilmente, le conferisce di fatto una importante responsabilità sociale, soprattutto verso i giovani, dal momento che si presenta solitamente in forme ludiche che nascondono i possibili lati negativi.
Svantaggi della pubblicità:
Alcune sue caratteristiche strutturali quali la sua ripetitività (che da una parte assicura la penetrazione dei messaggi, ma dall'altra provoca ridondanza e quindi annoia e infastidisce il pubblico che tende a rifiutarla); e la sua invadenza (per cui lo spettatore è esposto, anche contro la sua volontà, ai messaggi pubblicitari, che diventano addirittura irritanti).
Propone dei modelli cui ispirarsi che, a volte, sono troppo "lontani" dalla realtà. Vende sogni seducendo la gente e proponendogli mondi del tutto irreali. È considerata una vera e propria "fabbrica dei sogni" poiché falsifica la realtà e la sostituisce con dei modelli fittizi creando un continuum in cui si mescolano realtà e finzione. La pubblicità televisiva, in particolare, ha assunto sempre più il ruolo di rifugio per chi è alla ricerca disperata di evasione, di sicurezza, di consolazione. È come un'illusione, un miraggio nel deserto, un paradiso artificiale ed è forse la sola comunicazione che riesce a darci solo buone notizie, presentando solo il lato positivo del mondo. Il suo tono è quello della commedia o dell'operetta, mai quello del dramma. Insomma la pubblicità vuole creare un clima favorevole all'accettazione delle sue proposte rappresentando un mondo facile, spesso con effetti dannosi per i suoi spettatori.
È, in parte, responsabile del consumismo. Dà troppo valore alle cose facendole sembrare più belle e più importanti di quanto in realtà siano e facendole amare in modo spropositato. Sembra addirittura suggerire che in fondo gli oggetti di consumo sono i soli di cui vale la pena occuparsi e di cui necessitiamo veramente. In tal modo rende indispensabili dei bisogni che in realtà non lo sono, determinando acquisti superflui. Come dice Fabris (1997, 64) "la differenza tra bisogni primari e secondari, tra consumi necessari e voluttuari è apparsa sempre meno chiara".
È un potentissimo strumento di persuasione e manipolazione. È martellante, petulante, ti entra nel cervello e non ti rende più in grado di decidere autonomamente.
Per raggiungere il suo scopo, usa ed abusa, senza alcuno scrupolo, di qualsiasi mezzo: la tenerezza suscitata da un animale o da un bambino, il nudo femminile, fino al simpatico "modo di parlare" dei giovani.
Dunque, la
pubblicità ha aspetti positivi e negativi; può essere amata e criticata. Le
critiche rivolte alla pubblicità riguardano soprattutto i suoi effetti, che
oltrepassano i confini dell'economia sconfinando nella vita sociale e
politica. I messaggi pubblicitari interagiscono con altri tipi di messaggi
(politici, religiosi, morali, civili, ecc.), generando conseguenze che vanno
al di là della sfera economica. Essendo diffusa prevalentemente dai mezzi di
comunicazione di massa, i suoi effetti riguardano un pubblico molto
differenziato.
Bisogna quindi che i destinatari dei messaggi pubblicitari sviluppino
una maturazione critica che permetta loro di difendersi dai possibili effetti
negativi. In particolare ai più giovani dovrebbe essere insegnato ad
analizzare criticamente il messaggio pubblicitario, a conoscere i meccanismi
propri di tale messaggio, ad "individuare le trappole anche semantiche che
vengono messe in atto" (Baldini 1996, 15–16). È vero che la
pubblicità è una forma di comunicazione "di parte" e tendente a ingannare, ma
è più difficile che riesca in tale intento se il consumatore è
sufficientemente preparato e scaltro, o comunque consapevole della parzialità
di fondo della pubblicità.
Nel corso degli anni l'atteggiamento degli italiani nei confronti del
fenomeno pubblicitario ha subito un'evoluzione ed è diventato più favorevole.
Oggi il consumatore è meno diffidente di 40–50 anni fa. Egli è persuaso,
ma non passivamente. Sa che la pubblicità ha un suo scopo preciso (che è
quello di spingerlo ad acquistare quel determinato prodotto) e che può essere
utile e piacevole, ma anche arrogante, antipatica e sgradevole; di buona come
di cattiva qualità. In altre parole egli è, per così dire, "consapevolmente
persuaso".
Il
linguaggio pubblicitario è considerato da Bruno Migliorini (1963, 11–14)
come una "specie di lingua in margine alla lingua".
Tullio De Mauro (1967, 5–8) lo definisce invece un linguaggio
"subalterno" prima di tutto alle immagini, che dominano nettamente sulle
parole; in secondo luogo è "subalterno" alla lingua comune, dal momento che,
riprendendo usi linguistici già esistenti, non può considerarsi una fonte
indipendente di innovazioni linguistiche; infine è "subalterno" ai fenomeni
strutturali della società (ad es. al processo di industrializzazione).
Berruto (1973, 25) afferma che "non si dovrebbe parlare di "lingua
pubblicitaria", ma di "uso [manipolato] pubblicitario della lingua", ovvero,
ci si dovrà intendere che si usa il sintagma "lingua pubblicitaria" per
indicare l'uso pubblicitario della lingua".
Corti (1973, 120) lo definisce come una specie di "uso non naturale
della comunicazione linguistica".
Mario Medici (1973) parla di un "fantalinguaggio", ossia di composti o
conglomerati sintattici da lui chiamati "parole–macedonia" (ad es.:
"digestimola", "erbamaro", "gustolungo"). Il Linguaggio Pubblicitario gioca
con le parole, crea con la fantasia parole senza senso e quindi è un
linguaggio ludico.
Maria Luisa Altieri Biagi (1979, 311–318) parla invece di un
linguaggio "venduto". Tale linguaggio serve a "far abboccare" il consumatore
e riesce a farlo grazie a vari espedienti: usa come fonti i linguaggi della
tecnica e della scienza, la lingua letteraria, la lingua colloquiale. La
Altieri Biagi continua dicendo che tale linguaggio, sia quando attinge dai
linguaggi tecnici, sia quando attinge dalla lingua colloquiale, è chiaramente
un linguaggio "venduto", in quanto il prodotto da vendere diventa messaggio
stesso. Se la lingua dello sport è una lingua "giocata", la lingua della
pubblicità è una lingua "venduta", nel senso più preciso e materiale del
termine".
Secondo Bruni (1987, 118) la lingua della pubblicità non può essere
definita come "linguaggio settoriale": essa "va considerata come un uso
particolare della lingua".
Sobrero (1997, 239) lo considera una "lingua settoriale".
Infine Berruto (1997, 159) lo definisce come "modalità d'uso" (e non
come una varietà speciale, neanche in senso lato).
Possiamo dunque affermare che, in generale, la pubblicità utilizza un
linguaggio che è, o dovrebbe essere, compreso dalla maggior parte dei
consumatori. Per far ciò si rivolge ai diversi target utilizzando diversi
linguaggi e per questo va considerato, secondo me, come un particolare e, in
un certo senso, artificiale uso della lingua, caratterizzato principalmente
dall'aspetto ludico.
Abbiamo
già detto in precedenza (cfr. 2.1.3) quanto
sia importante, per chi voglia in qualche modo difendersi dagli effetti della
pubblicità, e in modo particolare per i più giovani, conoscere e comprendere
il percorso comunicativo che essa pone in essere e i meccanismi che
caratterizzano l'azione persuasoria da essa svolta per aggirare il controllo
razionale dei suoi destinatari.
Tale conoscenza trova un prezioso strumento di guida nel celebre
schema dello studioso americano Harold Lasswell (cfr. 1.1.2). Il
paradigma lasswelliano, che originariamente si riferisce all'analisi dei
mezzi di comunicazione di massa, come ci fa notare Fabris (1997, 223), si
adatta in modo particolare alla pubblicità.
Possiamo esemplificare così l'applicazione del paradigma lasswelliano
alla pubblicità:
Chi: chi comunica, chi produce materialmente la comunicazione pubblicitaria (ossia l'utente inserzionista).
dice cosa: il messaggio pubblicitario.
tramite quale canale: il mezzo attraverso il quale passa la pubblicità (prevalentemente i mass media).
a chi: l'audience, il destinatario della comunicazione pubblicitaria (il consumatore).
con quali effetti: gli effetti della comunicazione pubblicitaria (in termini di effettivo raggiungimento degli obiettivi preposti e, quindi, di efficacia della pubblicità).
Un
evidente limite di tale modello è legato al fatto che manca completamente il
concetto di feedback (il ritorno del messaggio alla fonte che lo ha
emesso). Ciò confermerebbe l'idea, ormai da tempo superata, che solo la fonte
emittente abbia un ruolo attivo nel processo di comunicazione e che il
destinatario sia un individuo inerte e passivo senza alcun potere
decisionale. In verità una forma di feedback può essere considerata
l'andamento delle vendite, che, anche se non è immediata come
nell'interazione verbale, consente tuttavia all'emittente di verificare
l'efficacia del messaggio. La revisione fatta da McQuail (1994) a questo
modello lo ha reso più circolare (cfr. 1.1.2).
Per l'analisi della comunicazione pubblicitaria risulta utile (tenendo
conto dei contributi forniti dalla psicologia, dalla psicologia sociale,
dall'antropologia e dalla sociologia) il ricorso alle funzioni del linguaggio
individuate da Roman Jakobson (1966, 186–191) (cfr. 1.1.3). Tale
classificazione può essere applicata alla pubblicità e, attraverso essa,
possono essere analizzati i meccanismi del discorso pubblicitario. Per
valutare i messaggi pubblicitari, infatti, è molto utile riferirsi alle sei
funzioni linguistiche in essi presenti. Naturalmente uno stesso messaggio può
rivestire più funzioni (cosa che accade generalmente nella comunicazione
pubblicitaria). Si tratta di capire quale, o quali, di queste funzioni svolge
il messaggio pubblicitario:
Anche se raramente, il messaggio pubblicitario può svolgere una funzione referenziale o informativa. Il messaggio mira a denotare cose reali e dà in qualche modo delle informazioni sul prodotto, anche solo con l'esporre il nome della marca o la sua immagine. C'è chi sostiene che molti degli effetti negativi della pubblicità sarebbero quantomeno limitati se i messaggi da essa inviati fossero di natura puramente informativa. Una pubblicità onesta dovrebbe informare sulle caratteristiche oggettive del prodotto. In realtà, tale funzione è assai rara in pubblicità ed è ritenuta da alcuni addirittura impossibile in quanto, purtroppo, è molto difficile che un messaggio si presenti totalmente come informazione.
Il messaggio pubblicitario privilegia invece una funzione emotiva della lingua, tendente a suscitare reazioni emozionali. Nata con funzioni informative, la pubblicità ha col tempo accentuato la sua natura persuasoria, ricorrendo, in maniera sempre maggiore, a fattori emozionali. Nei messaggi pubblicitari prevalgono gli elementi emozionali su quelli informativi, quelli irrazionali su quelli razionali. La pubblicità, infatti, propone spesso dei modelli di comportamento con messaggi che si caratterizzano per la presenza di elementi edonistici (giovinezza, bellezza, salute, successo, ecc.). Inoltre dà dei veri e propri consigli su come è meglio agire, sia in quanto individui, sia in quanto parti di una collettività.
Insieme a quella emotiva, prevale nei messaggi pubblicitari una funzione imperativa o conativa che, per indurre a un'azione o prescrivere un comportamento, usa in modo diretto l'imperativo (ad es.: "Bevete Coca Cola!", "brindate Gancia"). Tale funzione, tuttavia, può spesso risultare implicita. Molti messaggi pubblicitari, infatti, si presentano spesso sotto forma di messaggi informativi mentre, in realtà, sono messaggi imperativi, in quanto vogliono indurre a comprare un determinato prodotto.
A volte un messaggio pubblicitario sembra voler suscitare emozioni ma in realtà svolge una funzione fàtica o di contatto. Tale funzione è molto importante per la comunicazione commerciale per un evidente motivo: dal momento che non è generalmente richiesta o desiderata dai suoi destinatari, la comunicazione pubblicitaria ricorre ad elementi emotivi con lo scopo di attrarre le spettatore, coinvolgerlo emotivamente e suggestionarlo e, quindi, per creare un contatto.
Anche se raramente, il messaggio pubblicitario può svolgere una funzione metalinguistica. Si tratta di una funzione in genere assente dai messaggi pubblicitari anche se ci sono esempi di annunci pubblicitari in cui il messaggio si riferisce a se stesso o alla pubblicità (ad. es. "Basta pubblicità" o "Attenzione! La pubblicità può essere pericolosa per il vostro portafoglio e per il vostro cervello").
Altra funzione prevalente nei messaggi pubblicitari è quella estetica o poetica in cui l'attenzione del destinatario è soprattutto richiamata alla forma del messaggio (ad es. "I like Ike" per ricordare una famosa analisi di uno slogan politico fatta da Jakobson 1966, 190–191). Su questa funzione si è soffermato in modo particolare Sabatini (1968, 1055–6) che sottolinea come la pubblicità, per attirare l'attenzione di un pubblico distratto, utilizza spesso come modello la letteratura (dalla poesia alla narrativa). Sabatini afferma che la pubblicità ricalca i moduli espressivi e ritmici della poesia italiana contemporanea da autori precisi come Ungaretti o Quasimodo alle tecniche del futurismo (ad es.: sofffffice).
Risulta
evidente che il messaggio pubblicitario privilegia soprattutto le funzioni
imperativa ed emotiva. Tuttavia ognuno dà una sua
"interpretazione" su quali siano le funzioni prevalenti del messaggio
pubblicitario. Se per Eco (1968, 168–169) in pubblicità si verifica una
larga prevalenza della funzione emotiva seguita dalla funzione
poetica, per altri autori le funzioni predominanti del linguaggio
pubblicitario sono quella referenziale e quella conativa.
Alcuni, come ad esempio l'Altieri Biagi (1979), hanno deprecato che la
funzione prevalente dovrebbe essere quella referenziale, ma in realtà
è quella conativa. Grandi (1987) ha rilevato, invece, con una ricerca
di analisi del contenuto della pubblicità televisiva, una larga compresenza
delle sei categorie jakobsiane.
Come si vede, vi è tutt'altro che consenso sulle funzioni prevalenti
svolte dalla pubblicità. Funzioni che, abbiamo detto, sono spesso compresenti
nello stesso messaggio e si sovrappongono e si accavallano fra loro.
Un
messaggio pubblicitario è di solito la somma di un messaggio iconico, di un
messaggio linguistico, di un sistema ideologico e di uno connotativo.
Possiamo definire il messaggio pubblicitario, considerando soprattutto la sua
componente verbale, "come la ripresa, e la riformulazione di idee e messaggi
elaborati in altri àmbiti di discorso, che la persuasione pubblicitaria
adatta e piega ai propri scopi specifici" (Bruni 1987, 118).
Sul piano dei contenuti i messaggi pubblicitari, per raggiungere lo
scopo finale, fanno leva su diversi fattori. Si può sottolineare il fatto che
il prodotto pubblicizzato sia il più venduto e quindi quello cui fare
affidamento. In tal modo il messaggio fa leva sul conformismo. Altri messaggi
sono invece incentrati sul fatto che possedere proprio quel prodotto è segno
di distinzione sociale. In quest'ultimo caso il messaggio è rivolto al
singolo individuo per offrirgli un prodotto che è garanzia di originalità ed
esclusività. Altri messaggi fanno leva su altri bisogni: sicurezza, qualità,
voglia di evadere, di sognare, di sorridere. Il messaggio pubblicitario,
inoltre, può utilizzare parole d'uso comune che sono "di moda" per attirare
il suo pubblico. Una via molto battuta dalla pubblicità nella creazione dei
suoi messaggi è, come dice Bruni (1987, 119), "l'associazione del prodotto a
uno stile di vita (generalmente permissivo) esaltato come nuovo e moderno: la
giovinezza, o meglio il mito della giovinezza (l'immagine pubblicitaria della
giovinezza), fornisce una delle idee–forza principali". La bellezza va di
pari passo alla giovinezza e al benessere. Naturalmente tutto ciò che è
giovane, dinamico, moderno ha un grandissimo fascino sul pubblico (basti
pensare alle pubblicità delle automobili). Ma non mancano messaggi che si
basano invece non sul futuro ma sul passato e su valori tradizionali come il
contatto con la natura o la lavorazione artigianale.
Sul piano linguistico, Il Linguaggio Pubblicitario ricorre spesso
all'uso di esotismi che, come abbiamo detto (cfr. 1.2.1), godono
di un certo prestigio in quanto "fanno moderno". Talvolta sembra riprendere
il modo di parlare colloquiale o un italiano pseudoantico. Ricorre
frequentemente a frasi fatte e alle espressioni stereotipe; agli elativi
(super–, ultra–, extra–, arci–,
–issimo). Fondendo e riducendo la parte finale di una parola con
l'iniziale della successiva, si ottengono le "parole macedonia", molto
sfruttate: si pensi a digestimola (da "digestione" + "stimola"); o
ultimoda (da "ultima" + "moda"); o ancora cotecotto (un
cotechino precotto). Da notare, poi, l'uso avverbiale dell'aggettivo (il
fissa morbido) e del nome proprio (Brindate Gancia); le
comparazioni senza secondo termine di paragone (Ariel lava più pulito;
Hag ti tratta meglio).
Alle figure retoriche si ricorre abbondantemente: a rendere più
incisivo e memorabile lo slogan soccorrono rime e assonanze: esse sono
di rito negli slogan: (l'amarissimo / che fa benissimo; Il metano /
ti dà una mano; O così / o Pomì; Più lo mandi giù / e più ti
tira su). Anche le allitterazioni (ripetizioni di suoni uguali o
simili in una stessa parola o in una frase) possono risultare piacevoli,
orecchiabili, facilmente memorizzabili e ripetibili (Fiesta ti tenta tre
volte tanto). Ma la figura retorica più frequentemente usata nel
linguaggio pubblicitario è l'iperbole (l'amarissimo che fa
benissimo; la cucina più amata dagli italiani), a volte
sconfinante nell'ingannevolezza o nella denigrazione dei prodotti altrui.
Frequenti sono anche l'onomatopea ( Cin, cin… Cinzano) e la
similitudine per paragonare i prodotti, o i loro effetti, ad oggetti o
funzioni ricchi di prestigio, di successo, di riconosciuta validità (Con
Super Colgate il tuo alito è fresco come un fiore; Nuovo? No, lavato
con Perlana). Frequente è anche la metafora, figura retorica che
consiste nel trasferire ad un oggetto il nome o la qualità propria di un
altro (Una schiarita nel raffreddore: Deltarinolo; Metti un tigre
nel motore). Meno frequente della metafora e della similitudine è la
metonimia (o antonomasia), ovvero il trasferimento di
significati con la sostituzione di una parola ad un'altra (Non si dice
Sambuca… si dice Molinari, dove il nome della marca sostituisce quello
del prodotto).
Il Linguaggio Pubblicitario utilizza, dunque, molti espedienti
linguistici con estrema libertà morfologica, sintattica, stilistica ed è per
questo stesso motivo un linguaggio innovativo. I neologismi, le deformazioni
verbali, le libertà e le irregolarità sintattiche sono molto frequenti.
Sul piano della struttura, una caratteristica fondamentale dei
messaggi pubblicitari è la loro estrema brevità e ripetitività.
Tali messaggi, infatti, sono brevissimi, durano pochissimi istanti e vengono
ripetuti assiduamente per raggiungere i loro obiettivi persuasori. La
pubblicità, per essere efficace, deve dire in pochi istanti ciò che risulta
importante e davvero essenziale al raggiungimento del suo scopo finale. Non
può dilungarsi troppo perché rischia di annoiare o, come nel caso dello spot
televisivo, di far sì che lo spettatore sia inevitabilmente distratto da
qualcos'altro. La ripetitività, d'altra parte, assicura la copertura del
pubblico cui si rivolge e facilita il meccanismo di memorizzazione. Ogilvy
(1989, 133), spiegando come bisogna scrivere testi efficaci, afferma che un
buon copywriter deve elaborare periodi concisi, frasi semplici e brevi.
Spesso,
parlando di linguaggio pubblicitario, si pensa soprattutto a quello della
pubblicità televisiva (alla quale, in questa trattazione, è stata data una
maggiore attenzione) e si afferma quindi che tale linguaggio è
prevalentemente, o solamente, un linguaggio di immagini. L'immagine possiede,
infatti, una fortissima ed immediata efficacia comunicativa rispetto alla
parola, in quanto essa è simile all'oggetto cui si riferisce permettendo
quindi al recettore un riferimento immediato al referente stesso.
Negli spot, naturalmente, le immagini prevalgono spesso sulle parole.
Queste ultime intervengono spesso con funzione di ancorare il messaggio,
ossia di eliminare o diminuire le possibili ambiguità prodotte, per loro
stessa natura, dalle immagini. Mentre in altri mezzi (come stampa o
affissioni) le immagini sono statiche e ferme, nello spot si susseguono
rapidamente attraverso la tecnica del montaggio. Uno spot è fatto di parole,
suoni e immagini. Ma di questi elementi quello dominante è senza alcun dubbio
l'immagine. Durando in media 30 secondi, semplicità e brevità sono fattori
fondamentali per l'efficacia della comunicazione. Le immagini devono attirare
immediatamente l'attenzione, devono essere attraenti e, nella loro
successione temporale, devono raccontare una storia con un "inizio" e una
"fine".
Anche se la componente visiva, in pubblicità, prevale su quella
verbale, spesso la parola ha un ruolo essenziale anche in televisione o su
stampa e affissioni, in quanto serve a spiegare le immagini. L'importanza di
integrare immagini e parole è evidenziata anche da Ogilvy (1989, 148–149):
"la storia deve essere raccontata dalle immagini: in altre parole,
quel che mostrate è molto più importante di quel che dite. Le
parole e le immagini devono diventare un tutto unico, aiutandosi
reciprocamente. Alle parole spetta il compito di spiegare le immagini. […]
se nell'audio si dice qualcosa che non ha riscontro nel video, lo spettatore
se ne dimentica immediatamente. Ecco perché secondo me è inutile parlare di
quel che non si fa vedere. Provate a far scorrere le immagini dello spot con
l'audio spento; se così non vende il vostro spot non vale niente".
Dal
momento che ciò che qui si vuole analizzare è il rapporto fra linguaggi
giovanili e pubblicità, va affrontato il discorso dei rapporti fra lingua
pubblicitaria e lingua comune: ossia quanto la prima "attinga" dalla seconda
e quanto invece la influenzi. Come abbiamo visto, Il Linguaggio Pubblicitario
è un linguaggio particolarmente innovativo e attivo. Investe tutti gli
aspetti della vita quotidiana, influenza e a sua volta è influenzato dalla
lingua comune.
Abbiamo detto (cfr. 2.2.1) che tale
linguaggio può definirsi una modalità d'uso o un "uso [manipolato]
pubblicitario della lingua" (Berruto 1973, 25). Esso "rappresenta il massimo
sforzo possibile per ricavare da una data struttura linguistica, in questo
caso l'italiano, i migliori effetti di efficacia, sinteticità, facile
memorizzazione" (Cardona 1972, 54–56). Non va, dunque, considerato una
fonte autonoma di innovazioni linguistiche ma solo la sedimentazione e la
lente di ingrandimento di ciò che è stato largamente sperimentato in altri
linguaggi e nella lingua comune.
D'altra parte tale linguaggio possiede alcune caratteristiche
specifiche che lo distinguono non solo dalla lingua comune, ma anche dai
linguaggi settoriali. Non va considerato una degenerazione della lingua
italiana o di un'altra lingua naturale. Esso, infatti, è un linguaggio
artificiale, che nasce dalla lingua naturale ma poi si evolve con delle
proprie regole e una propria autonomia. Assorbe le tendenze della lingua
contemporanea comune strumentalizzandole e rendendole proprie. Il linguaggio
pubblicitario, nell'usufruire della lingua comune, crea delle proprie
codificazioni (Corti 1973). È come uno specchio che riflette i
materiali della lingua comune di cui si appropria per deformarli,
stravolgerli e sintetizzarli in modo che nuovi materiali siano adottati dai
parlanti che si impadroniscono di modi di dire pubblicitari e li modificano
nuovamente.
La lingua della pubblicità non solo attinge dalla lingua comune, ma
esercita anche una certa influenza su di essa o comunque sul consumatore. Per
effetto dei mass media e soprattutto della pubblicità, le strutture
della lingua subiscono dei cambiamenti. Ci si chiede quale sia l'influenza
che la pubblicità ha sulla competenza linguistica dei singoli parlanti. Molto
spesso infatti l'invenzione, la trovata pubblicitaria colpisce il
destinatario del messaggio (soprattutto i giovani) e cattura la sua
attenzione. La gente canticchia i jingle, ripete i "tormentoni" inventati
dalla pubblicità, gli slogan, i neologismi. Tali trovate, tali innovazioni e
invenzioni, che gli conferiscono una certa autonomia rispetto alla lingua
comune, hanno brevissima durata e devono spesso rinnovarsi (cfr. 4).
C'è chi vede in tale influenza esercitata dal linguaggio pubblicitario
sulla lingua comune degli aspetti negativi, chi dei meriti:
Il linguaggio pubblicitario gode di un grande prestigio presso molti parlanti, e non solo quelli che non fanno un uso corretto della lingua, ma anche quelli che hanno una sufficiente competenza linguistica. Ciò ha naturalmente preoccupato una larga schiera di storici della lingua e di linguisti. Il timore più grande riguarda la possibilità che tale linguaggio possa diventare per molti un cattivo modello di comportamento linguistico. Naturalmente questo timore aumenta laddove a seguire tale modello siano parlanti che possiedono un esile lessico e scarse nozioni grammaticali e sintattiche (ad esempio i più giovani). Il Linguaggio Pubblicitario viene accusato di essere un probabile motivo della anemia della lingua. La Corti (1973, 121) a tal proposito afferma il duplice rapporto esistente fra lingua della pubblicità e lingua italiana: "da una parte questo linguaggio sfrutta e accentua le possibilità espressive dell'italiano contemporaneo, d'altra parte, tendendo a creare la parola–merce, cioè l'assoluta corrispondenza fra il marchio e l'oggetto, favorisce quel fenomeno di anemia della lingua, che è oggi in uso chiamare reificazione o mercificazione linguistica". C'è, dunque, chi accusa il linguaggio della pubblicità di influenzare la lingua comune in modo negativo. Alcuni linguisti sono seriamente preoccupati che la lingua pubblicitaria, in quanto "lingua selvaggia, destrutturata" (Baldini, 1996, 33), può portare all'analfabetismo sintattico. La pubblicità viene accusata di demolire il tessuto linguistico generale e di essere la causa dell'impoverimento e dello svuotamento di molti significati che appartengono alla lingua comune (amore, fiducia, libertà) da cui tale linguaggio deriva.
C'è chi parla di meriti e aspetti positivi di tale linguaggio in rapporto alla lingua comune. Il Linguaggio Pubblicitario, essendo un linguaggio innovativo e dai ritmi veloci, mostra e stimola le potenzialità della lingua italiana come lingua efficiente, pratica e veloce: in altre parole come lingua moderna. Come dice Baldini (1996, 33), "tale linguaggio ha avuto un'influenza positiva nel favorire modi sintattici più agili e lineari (si pensi ad esempio, al contributo dato alla diffusione della costruzione diretta o della frase nominale) e, nel contempo, è stato per molti il primo gradino che ha consentito loro di muoversi dal dialetto alla conquista dell'italiano. Ha, cioè, contribuito a far nascere, o a rafforzare il senso di appartenenza alla comunità linguistica italiana".
Dunque, la lingua della pubblicità ha un'influenza positiva sulla lingua comune. Accanto a questa influenza positiva, Il Linguaggio Pubblicitario però può aver esercitato anche una influenza negativa che riguarda la povertà sintattica e il concetto di anemia linguistica di cui abbiamo parlato.
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