Linguaggi Giovanili e Pubblicità
2   Il Linguaggio della Pubblicità


  Introduzione


Prima di descrivere Il Linguaggio Pubblicitario, vogliamo dare una breve definizione del concetto di pubblicità. Un concetto apparentemente semplice ma in realtà piuttosto complesso. Ognuno di noi conosce la pubblicità e saprebbe darne, senza alcuna difficoltà, seppure in modo superficiale, una propria definizione. La pubblicità è, tuttavia, una forma di comunicazione complessa. Decantata e disprezzata, giustificata e accusata nel corso degli anni, la pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte integrante della nostra vita di tutti i giorni. È onnipresente e onnipotente. È onnipresente in quanto è protagonista di qualsiasi occasione, è come un'ombra che ci segue dappertutto e non ci si può liberare di lei. È onnipotente in quanto usa ed abusa di qualunque mezzo e ha assunto il ruolo di guida della comunicazione di massa diventando il motore trainante e, a volte, inquinante dell'intero sistema dei mass media.
  In seguito cercheremo di definire il "modo di parlare" della pubblicità. Il fenomeno comunicativo pubblicitario è complesso e particolare, sia per quello che riguarda la forma dei messaggi prodotti, sia per il contenuto e le modalità di diffusione di tali messaggi (sempre in funzione del suo obiettivo principale, ossia quello economico). È complesso in quanto vario, multiforme ed eterogeneo: esso si basa prevalentemente sull'applicazione di linguaggi differenti e, a loro volta, complessi. Vedremo come Il Linguaggio Pubblicitario utilizzi diversi espedienti linguistici con estrema libertà morfologica, sintattica, stilistica: ed è per questo stesso motivo un linguaggio innovativo.


II.i   Sommario del capitolo 2º: "Il Linguaggio della Pubblicità"


  Sommario del capitolo 2º: "Il Linguaggio della Pubblicità"

2. IL LINGUAGGIO DELLA PUBBLICITÀ
Introduzione
2.1 Che cos'è la pubblicità
2.1.1 Definizione di pubblicità
2.1.2 Obiettivi e finalità della pubblicità
2.1.3 Vantaggi e svantaggi della pubblicità
2.2 Il Linguaggio Pubblicitario
2.2.1 Definizione di linguaggio pubblicitario
2.2.2 Il Linguaggio Pubblicitario e le sue funzioni
2.2.3 Il messaggio pubblicitario
2.2.4 Componente visiva e componente verbale
2.3 Rapporti fra linguaggio pubblicitario e lingua comune



2.1 Che cos'è la pubblicità


2.1.1 Definizione di pubblicità


  Tra le diverse e più o meno discutibili definizioni di pubblicità, ce n'è una adottata, in occasione della redazione di un testo degli usi accertati in tema di pubblicità, dalla Camera di Commercio di Milano, su proposta di una commissione di esperti. La pubblicità viene qui intesa come "qualsiasi forma di comunicazione che sia diffusa nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi". Con tale definizione si è avuta la consacrazione ufficiale (nel 1988) della pubblicità e della sua attività, considerata finalmente in modo autonomo e indipendente da altri settori (come ad esempio il marketing) cui spesso era stata, in passato, associata. Quattro anni dopo l'art. 2 del Decreto legislativo 25.1.1992 n. 74 definisce pubblicità "qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di opere o di servizi". È la prima volta che un testo legislativo ha dato una definizione di pubblicità.
  La definizione di pubblicità incontra una serie di difficoltà. È difficile dare una definizione unica, ufficiale, precisa e concisa poiché la pubblicità può assumere aspetti sempre diversi e servire le cause più impensate. Le definizioni ufficiali sopra menzionate hanno il difetto di essere troppo generiche. Cercheremo di superare, per quanto è possibile, tale genericità proponendo una nostra prima e più ampia definizione:

  Definendo pubblicità come comunicazione che mira intenzionalmente a influenzare atteggiamenti e comportamenti dei potenziali consumatori si evidenzia, in particolare, il suo aspetto fondamentalmente persuasorio. Inoltre, in tale definizione l'oggetto della pubblicità non è limitato soltanto ai beni e servizi, ma esteso a qualsiasi comunicazione che riguarda l'azienda nella sua totalità. La definizione che abbiamo dato è molto ampia e, includendo forme di comunicazione come ad esempio le telepromozioni e le sponsorizzazioni, praticamente viene a coincidere con quella di comunicazione d'impresa. Essa riguarda tuttavia solo la pubblicità commerciale: non include cioè la pubblicità non profit, svolta da soggetti non economici e con scopi differenti.
  Numerose sono state le metafore usate per definire la pubblicità. Una di queste è quella di vederla come una vera e propria forma d'arte, dal momento che fa un largo uso di linguaggi poetici e letterari. Spesso un testo pubblicitario è scritto meglio di un romanzo, è filmato meglio di tanti lungometraggi, le sue illustrazioni sembrano potersi paragonare, per capacità tecnico–espressive, ai quadri di grandi artisti. Certo, definire la pubblicità come una forma d'arte è, secondo me, un po' azzardato e non del tutto appropriato. Essa, infatti, non è arte allo stato puro, perché viene realizzata non per scopi artistici ma fondamentalmente commerciali: si può dire che "sfrutta" l'arte per attrarre il pubblico e per convincerlo a comprare i prodotti presentati.
  È, secondo me, più appropriata la metafora dello specchio che riflette i linguaggi e le tendenze artistiche preesistenti e li sfrutta per raggiungere il suo scopo. La pubblicità è stata spesso intesa come specchio che riproduce la società, a volte in modo fedele, a volte distorcendola. Uno specchio nel quale noi ci riflettiamo (o comunque riflettiamo i nostri desideri) e ci contempliamo. È "uno specchio spudorato, rivelatore di tutto ciò che si è sedimentato nella coscienza e nell'inconscio collettivo. Una gigantesca rete che, raccogliendo e spettacolarizzando frammenti e detriti della cultura, del costume, degli usi, delle buone e cattive abitudini del nostro tempo può realizzare combinazioni spesso sorprendenti, e sintetizzare materiali nuovi e pronti per essere adoperati dal pubblico, che si appropria di segnali e di modi di dire pubblicitari e nuovamente li modifica" (Testa 1988, 23).
  Fabris (1997, 22) definisce la pubblicità come "una forma di comunicazione unilaterale, in cui è (o dovrebbe essere) sempre individuabile chi la promuove, generalmente veicolata dai grandi mezzi di comunicazione di massa, rivolta a stimolare la propensione al consumo".

  Riassumendo, potremmo affermare che per pubblicità si intende:

  Con tale definizione conclusiva si allarga la visione di pubblicità da un ambito strettamente economico (pubblicità commerciale) ad altri ambiti (sociale, politico, pubblico, ecc.) in cui la pubblicità di fatto opera.


2.1.2 Obiettivi e finalità della pubblicità


  Kotler e Scott (1993, 856–857) delineano tre differenti obiettivi che la pubblicità si propone di raggiungere e che corrispondono ad altrettanti tipi di pubblicità.
  La cosiddetta pubblicità informativa ha come principale obiettivo quello di informare, soprattutto nella fase di introduzione del prodotto sul mercato: il prodotto è nuovo e non ancora conosciuto e la pubblicità informa sulle sue caratteristiche, sui suoi vantaggi, ecc. con il preciso scopo di creare la domanda primaria.
  La pubblicità persuasiva invece si propone di persuadere il consumatore, di spingerlo effettivamente all'acquisto del prodotto. L'obiettivo principale è quello di creare una domanda selettiva durante la fase di crescita del prodotto, quando bisogna "combattere" la concorrenza.
  Nella fase di maturità del prodotto, ossia quando questo si è ben affermato sul mercato, l'obiettivo principale della cosiddetta pubblicità ricordo è semplicemente quello di ricordare al consumatore il prodotto.
  Come fa la pubblicità a raggiungere i suoi obiettivi?
  Nel rivolgersi al consumatore, fa leva su diversi fattori: quello che li contiene un po' tutti è il fatto che la gente ricerca nei prodotti pubblicizzati la soddisfazione di bisogni che variano da individuo a individuo (sicurezza, vanità, giovinezza, serietà, ostentazione, ecc.).
  Per raggiungere i suoi obiettivi la pubblicità deve formulare una efficace strategia di comunicazione. Nessuna pubblicità, infatti, anche se eseguita in maniera brillante, può essere efficace se la strategia adottata non è appropriata o del tutto sbagliata.
  Una strategia di comunicazione parte sempre dagli obiettivi che si vogliono raggiungere: gli obiettivi "pubblicitari" dipendono da quelli della strategia di marketing (ad esempio il lancio di un nuovo prodotto). Dopo aver definito gli obiettivi bisogna individuare il cosiddetto target group, ossia il gruppo di consumatori che si vuol raggiungere con la comunicazione. Un altro elemento fondamentale della strategia di comunicazione, nonché la sua parte centrale, è la promessa al consumatore di soddisfare un suo bisogno. A sostenere la promessa fatta è la cosiddetta reason why, la ragione per cui quel determinato prodotto può soddisfare il consumatore mantenendo la promessa fattagli (ad es.: il dentifricio x protegge i denti dalla carie [promessa] perché contiene il fluoro [reason why]). Il prodotto, inoltre, deve possedere una sua immagine che deve essere proiettata nella mente dei consumatori. Infine il tono di voce riguarda il modo di parlare della campagna, il suo linguaggio (Tabella 2).

Tabella 2: La strategia di comunicazione.
Obiettivi Quali obiettivi raggiungere che prodotto/servizio è
Target Group A chi comunicare A chi è rivolto
Promessa Cosa promettere cosa fa
Reason Why Come convincere come lo fa
Immagine Come rappresentarsi come si presenta
Tono di voce Come comunicare come lo dice

  Tabella 2: La strategia di comunicazione.


2.1.3 Vantaggi e svantaggi della pubblicità


  Gli atteggiamenti e i giudizi espressi, nel corso degli anni, dal pubblico nei confronti della pubblicità non sono stati mai neutrali ma dettati sempre da un sentimento di amore/odio, legittimazione/disapprovazione, ecc. In generale possiamo riscontrare due grandi categorie di opinioni sul fenomeno pubblicitario: le opinioni in sua difesa (espresse soprattutto dal mondo dell'impresa, dai professionisti che realizzano le campagne e dal mondo dei mezzi che ne diffondono i messaggi) e le opinioni sfavorevoli (espresse da preoccupazioni di tipo pedagogico, culturale, ideologico e sociale).

  Vantaggi della pubblicità:

  Svantaggi della pubblicità:

  Dunque, la pubblicità ha aspetti positivi e negativi; può essere amata e criticata. Le critiche rivolte alla pubblicità riguardano soprattutto i suoi effetti, che oltrepassano i confini dell'economia sconfinando nella vita sociale e politica. I messaggi pubblicitari interagiscono con altri tipi di messaggi (politici, religiosi, morali, civili, ecc.), generando conseguenze che vanno al di là della sfera economica. Essendo diffusa prevalentemente dai mezzi di comunicazione di massa, i suoi effetti riguardano un pubblico molto differenziato.
  Bisogna quindi che i destinatari dei messaggi pubblicitari sviluppino una maturazione critica che permetta loro di difendersi dai possibili effetti negativi. In particolare ai più giovani dovrebbe essere insegnato ad analizzare criticamente il messaggio pubblicitario, a conoscere i meccanismi propri di tale messaggio, ad "individuare le trappole anche semantiche che vengono messe in atto" (Baldini 1996, 15–16). È vero che la pubblicità è una forma di comunicazione "di parte" e tendente a ingannare, ma è più difficile che riesca in tale intento se il consumatore è sufficientemente preparato e scaltro, o comunque consapevole della parzialità di fondo della pubblicità.
  Nel corso degli anni l'atteggiamento degli italiani nei confronti del fenomeno pubblicitario ha subito un'evoluzione ed è diventato più favorevole. Oggi il consumatore è meno diffidente di 40–50 anni fa. Egli è persuaso, ma non passivamente. Sa che la pubblicità ha un suo scopo preciso (che è quello di spingerlo ad acquistare quel determinato prodotto) e che può essere utile e piacevole, ma anche arrogante, antipatica e sgradevole; di buona come di cattiva qualità. In altre parole egli è, per così dire, "consapevolmente persuaso".


2.2 Il Linguaggio Pubblicitario


2.2.1 Definizione di linguaggio pubblicitario


  Il linguaggio pubblicitario è considerato da Bruno Migliorini (1963, 11–14) come una "specie di lingua in margine alla lingua".
  Tullio De Mauro (1967, 5–8) lo definisce invece un linguaggio "subalterno" prima di tutto alle immagini, che dominano nettamente sulle parole; in secondo luogo è "subalterno" alla lingua comune, dal momento che, riprendendo usi linguistici già esistenti, non può considerarsi una fonte indipendente di innovazioni linguistiche; infine è "subalterno" ai fenomeni strutturali della società (ad es. al processo di industrializzazione).
  Berruto (1973, 25) afferma che "non si dovrebbe parlare di "lingua pubblicitaria", ma di "uso [manipolato] pubblicitario della lingua", ovvero, ci si dovrà intendere che si usa il sintagma "lingua pubblicitaria" per indicare l'uso pubblicitario della lingua".
  Corti (1973, 120) lo definisce come una specie di "uso non naturale della comunicazione linguistica".
  Mario Medici (1973) parla di un "fantalinguaggio", ossia di composti o conglomerati sintattici da lui chiamati "parole–macedonia" (ad es.: "digestimola", "erbamaro", "gustolungo"). Il Linguaggio Pubblicitario gioca con le parole, crea con la fantasia parole senza senso e quindi è un linguaggio ludico.
  Maria Luisa Altieri Biagi (1979, 311–318) parla invece di un linguaggio "venduto". Tale linguaggio serve a "far abboccare" il consumatore e riesce a farlo grazie a vari espedienti: usa come fonti i linguaggi della tecnica e della scienza, la lingua letteraria, la lingua colloquiale. La Altieri Biagi continua dicendo che tale linguaggio, sia quando attinge dai linguaggi tecnici, sia quando attinge dalla lingua colloquiale, è chiaramente un linguaggio "venduto", in quanto il prodotto da vendere diventa messaggio stesso. Se la lingua dello sport è una lingua "giocata", la lingua della pubblicità è una lingua "venduta", nel senso più preciso e materiale del termine".
  Secondo Bruni (1987, 118) la lingua della pubblicità non può essere definita come "linguaggio settoriale": essa "va considerata come un uso particolare della lingua".
  Sobrero (1997, 239) lo considera una "lingua settoriale".
  Infine Berruto (1997, 159) lo definisce come "modalità d'uso" (e non come una varietà speciale, neanche in senso lato).
  Possiamo dunque affermare che, in generale, la pubblicità utilizza un linguaggio che è, o dovrebbe essere, compreso dalla maggior parte dei consumatori. Per far ciò si rivolge ai diversi target utilizzando diversi linguaggi e per questo va considerato, secondo me, come un particolare e, in un certo senso, artificiale uso della lingua, caratterizzato principalmente dall'aspetto ludico.


2.2.2 Il Linguaggio Pubblicitario e le sue funzioni


  Abbiamo già detto in precedenza (cfr. 2.1.3) quanto sia importante, per chi voglia in qualche modo difendersi dagli effetti della pubblicità, e in modo particolare per i più giovani, conoscere e comprendere il percorso comunicativo che essa pone in essere e i meccanismi che caratterizzano l'azione persuasoria da essa svolta per aggirare il controllo razionale dei suoi destinatari.
  Tale conoscenza trova un prezioso strumento di guida nel celebre schema dello studioso americano Harold Lasswell (cfr. 1.1.2). Il paradigma lasswelliano, che originariamente si riferisce all'analisi dei mezzi di comunicazione di massa, come ci fa notare Fabris (1997, 223), si adatta in modo particolare alla pubblicità.
  Possiamo esemplificare così l'applicazione del paradigma lasswelliano alla pubblicità:

  Un evidente limite di tale modello è legato al fatto che manca completamente il concetto di feedback (il ritorno del messaggio alla fonte che lo ha emesso). Ciò confermerebbe l'idea, ormai da tempo superata, che solo la fonte emittente abbia un ruolo attivo nel processo di comunicazione e che il destinatario sia un individuo inerte e passivo senza alcun potere decisionale. In verità una forma di feedback può essere considerata l'andamento delle vendite, che, anche se non è immediata come nell'interazione verbale, consente tuttavia all'emittente di verificare l'efficacia del messaggio. La revisione fatta da McQuail (1994) a questo modello lo ha reso più circolare (cfr. 1.1.2).
  Per l'analisi della comunicazione pubblicitaria risulta utile (tenendo conto dei contributi forniti dalla psicologia, dalla psicologia sociale, dall'antropologia e dalla sociologia) il ricorso alle funzioni del linguaggio individuate da Roman Jakobson (1966, 186–191) (cfr. 1.1.3). Tale classificazione può essere applicata alla pubblicità e, attraverso essa, possono essere analizzati i meccanismi del discorso pubblicitario. Per valutare i messaggi pubblicitari, infatti, è molto utile riferirsi alle sei funzioni linguistiche in essi presenti. Naturalmente uno stesso messaggio può rivestire più funzioni (cosa che accade generalmente nella comunicazione pubblicitaria). Si tratta di capire quale, o quali, di queste funzioni svolge il messaggio pubblicitario:

  1. Anche se raramente, il messaggio pubblicitario può svolgere una funzione referenziale o informativa. Il messaggio mira a denotare cose reali e dà in qualche modo delle informazioni sul prodotto, anche solo con l'esporre il nome della marca o la sua immagine. C'è chi sostiene che molti degli effetti negativi della pubblicità sarebbero quantomeno limitati se i messaggi da essa inviati fossero di natura puramente informativa. Una pubblicità onesta dovrebbe informare sulle caratteristiche oggettive del prodotto. In realtà, tale funzione è assai rara in pubblicità ed è ritenuta da alcuni addirittura impossibile in quanto, purtroppo, è molto difficile che un messaggio si presenti totalmente come informazione.

  2. Il messaggio pubblicitario privilegia invece una funzione emotiva della lingua, tendente a suscitare reazioni emozionali. Nata con funzioni informative, la pubblicità ha col tempo accentuato la sua natura persuasoria, ricorrendo, in maniera sempre maggiore, a fattori emozionali. Nei messaggi pubblicitari prevalgono gli elementi emozionali su quelli informativi, quelli irrazionali su quelli razionali. La pubblicità, infatti, propone spesso dei modelli di comportamento con messaggi che si caratterizzano per la presenza di elementi edonistici (giovinezza, bellezza, salute, successo, ecc.). Inoltre dà dei veri e propri consigli su come è meglio agire, sia in quanto individui, sia in quanto parti di una collettività.

  3. Insieme a quella emotiva, prevale nei messaggi pubblicitari una funzione imperativa o conativa che, per indurre a un'azione o prescrivere un comportamento, usa in modo diretto l'imperativo (ad es.: "Bevete Coca Cola!", "brindate Gancia"). Tale funzione, tuttavia, può spesso risultare implicita. Molti messaggi pubblicitari, infatti, si presentano spesso sotto forma di messaggi informativi mentre, in realtà, sono messaggi imperativi, in quanto vogliono indurre a comprare un determinato prodotto.

  4. A volte un messaggio pubblicitario sembra voler suscitare emozioni ma in realtà svolge una funzione fàtica o di contatto. Tale funzione è molto importante per la comunicazione commerciale per un evidente motivo: dal momento che non è generalmente richiesta o desiderata dai suoi destinatari, la comunicazione pubblicitaria ricorre ad elementi emotivi con lo scopo di attrarre le spettatore, coinvolgerlo emotivamente e suggestionarlo e, quindi, per creare un contatto.

  5. Anche se raramente, il messaggio pubblicitario può svolgere una funzione metalinguistica. Si tratta di una funzione in genere assente dai messaggi pubblicitari anche se ci sono esempi di annunci pubblicitari in cui il messaggio si riferisce a se stesso o alla pubblicità (ad. es. "Basta pubblicità" o "Attenzione! La pubblicità può essere pericolosa per il vostro portafoglio e per il vostro cervello").

  6. Altra funzione prevalente nei messaggi pubblicitari è quella estetica o poetica in cui l'attenzione del destinatario è soprattutto richiamata alla forma del messaggio (ad es. "I like Ike" per ricordare una famosa analisi di uno slogan politico fatta da Jakobson 1966, 190–191). Su questa funzione si è soffermato in modo particolare Sabatini (1968, 1055–6) che sottolinea come la pubblicità, per attirare l'attenzione di un pubblico distratto, utilizza spesso come modello la letteratura (dalla poesia alla narrativa). Sabatini afferma che la pubblicità ricalca i moduli espressivi e ritmici della poesia italiana contemporanea da autori precisi come Ungaretti o Quasimodo alle tecniche del futurismo (ad es.: sofffffice).

  Risulta evidente che il messaggio pubblicitario privilegia soprattutto le funzioni imperativa ed emotiva. Tuttavia ognuno dà una sua "interpretazione" su quali siano le funzioni prevalenti del messaggio pubblicitario. Se per Eco (1968, 168–169) in pubblicità si verifica una larga prevalenza della funzione emotiva seguita dalla funzione poetica, per altri autori le funzioni predominanti del linguaggio pubblicitario sono quella referenziale e quella conativa. Alcuni, come ad esempio l'Altieri Biagi (1979), hanno deprecato che la funzione prevalente dovrebbe essere quella referenziale, ma in realtà è quella conativa. Grandi (1987) ha rilevato, invece, con una ricerca di analisi del contenuto della pubblicità televisiva, una larga compresenza delle sei categorie jakobsiane.
  Come si vede, vi è tutt'altro che consenso sulle funzioni prevalenti svolte dalla pubblicità. Funzioni che, abbiamo detto, sono spesso compresenti nello stesso messaggio e si sovrappongono e si accavallano fra loro.


2.2.3 Il messaggio pubblicitario


  Un messaggio pubblicitario è di solito la somma di un messaggio iconico, di un messaggio linguistico, di un sistema ideologico e di uno connotativo. Possiamo definire il messaggio pubblicitario, considerando soprattutto la sua componente verbale, "come la ripresa, e la riformulazione di idee e messaggi elaborati in altri àmbiti di discorso, che la persuasione pubblicitaria adatta e piega ai propri scopi specifici" (Bruni 1987, 118).
  Sul piano dei contenuti i messaggi pubblicitari, per raggiungere lo scopo finale, fanno leva su diversi fattori. Si può sottolineare il fatto che il prodotto pubblicizzato sia il più venduto e quindi quello cui fare affidamento. In tal modo il messaggio fa leva sul conformismo. Altri messaggi sono invece incentrati sul fatto che possedere proprio quel prodotto è segno di distinzione sociale. In quest'ultimo caso il messaggio è rivolto al singolo individuo per offrirgli un prodotto che è garanzia di originalità ed esclusività. Altri messaggi fanno leva su altri bisogni: sicurezza, qualità, voglia di evadere, di sognare, di sorridere. Il messaggio pubblicitario, inoltre, può utilizzare parole d'uso comune che sono "di moda" per attirare il suo pubblico. Una via molto battuta dalla pubblicità nella creazione dei suoi messaggi è, come dice Bruni (1987, 119), "l'associazione del prodotto a uno stile di vita (generalmente permissivo) esaltato come nuovo e moderno: la giovinezza, o meglio il mito della giovinezza (l'immagine pubblicitaria della giovinezza), fornisce una delle idee–forza principali". La bellezza va di pari passo alla giovinezza e al benessere. Naturalmente tutto ciò che è giovane, dinamico, moderno ha un grandissimo fascino sul pubblico (basti pensare alle pubblicità delle automobili). Ma non mancano messaggi che si basano invece non sul futuro ma sul passato e su valori tradizionali come il contatto con la natura o la lavorazione artigianale.
  Sul piano linguistico, Il Linguaggio Pubblicitario ricorre spesso all'uso di esotismi che, come abbiamo detto (cfr. 1.2.1), godono di un certo prestigio in quanto "fanno moderno". Talvolta sembra riprendere il modo di parlare colloquiale o un italiano pseudoantico. Ricorre frequentemente a frasi fatte e alle espressioni stereotipe; agli elativi (super–, ultra–, extra–, arci–, –issimo). Fondendo e riducendo la parte finale di una parola con l'iniziale della successiva, si ottengono le "parole macedonia", molto sfruttate: si pensi a digestimola (da "digestione" + "stimola"); o ultimoda (da "ultima" + "moda"); o ancora cotecotto (un cotechino precotto). Da notare, poi, l'uso avverbiale dell'aggettivo (il fissa morbido) e del nome proprio (Brindate Gancia); le comparazioni senza secondo termine di paragone (Ariel lava più pulito; Hag ti tratta meglio).
  Alle figure retoriche si ricorre abbondantemente: a rendere più incisivo e memorabile lo slogan soccorrono rime e assonanze: esse sono di rito negli slogan: (l'amarissimo / che fa benissimo; Il metano / ti dà una mano; O così / o Pomì; Più lo mandi giù / e più ti tira su). Anche le allitterazioni (ripetizioni di suoni uguali o simili in una stessa parola o in una frase) possono risultare piacevoli, orecchiabili, facilmente memorizzabili e ripetibili (Fiesta ti tenta tre volte tanto). Ma la figura retorica più frequentemente usata nel linguaggio pubblicitario è l'iperbole (l'amarissimo che fa benissimo; la cucina più amata dagli italiani), a volte sconfinante nell'ingannevolezza o nella denigrazione dei prodotti altrui. Frequenti sono anche l'onomatopea ( Cin, cin… Cinzano) e la similitudine per paragonare i prodotti, o i loro effetti, ad oggetti o funzioni ricchi di prestigio, di successo, di riconosciuta validità (Con Super Colgate il tuo alito è fresco come un fiore; Nuovo? No, lavato con Perlana). Frequente è anche la metafora, figura retorica che consiste nel trasferire ad un oggetto il nome o la qualità propria di un altro (Una schiarita nel raffreddore: Deltarinolo; Metti un tigre nel motore). Meno frequente della metafora e della similitudine è la metonimia (o antonomasia), ovvero il trasferimento di significati con la sostituzione di una parola ad un'altra (Non si dice Sambuca… si dice Molinari, dove il nome della marca sostituisce quello del prodotto).
  Il Linguaggio Pubblicitario utilizza, dunque, molti espedienti linguistici con estrema libertà morfologica, sintattica, stilistica ed è per questo stesso motivo un linguaggio innovativo. I neologismi, le deformazioni verbali, le libertà e le irregolarità sintattiche sono molto frequenti.
  Sul piano della struttura, una caratteristica fondamentale dei messaggi pubblicitari è la loro estrema brevità e ripetitività. Tali messaggi, infatti, sono brevissimi, durano pochissimi istanti e vengono ripetuti assiduamente per raggiungere i loro obiettivi persuasori. La pubblicità, per essere efficace, deve dire in pochi istanti ciò che risulta importante e davvero essenziale al raggiungimento del suo scopo finale. Non può dilungarsi troppo perché rischia di annoiare o, come nel caso dello spot televisivo, di far sì che lo spettatore sia inevitabilmente distratto da qualcos'altro. La ripetitività, d'altra parte, assicura la copertura del pubblico cui si rivolge e facilita il meccanismo di memorizzazione. Ogilvy (1989, 133), spiegando come bisogna scrivere testi efficaci, afferma che un buon copywriter deve elaborare periodi concisi, frasi semplici e brevi.


2.2.4 Componente visiva e componente verbale


  Spesso, parlando di linguaggio pubblicitario, si pensa soprattutto a quello della pubblicità televisiva (alla quale, in questa trattazione, è stata data una maggiore attenzione) e si afferma quindi che tale linguaggio è prevalentemente, o solamente, un linguaggio di immagini. L'immagine possiede, infatti, una fortissima ed immediata efficacia comunicativa rispetto alla parola, in quanto essa è simile all'oggetto cui si riferisce permettendo quindi al recettore un riferimento immediato al referente stesso.
  Negli spot, naturalmente, le immagini prevalgono spesso sulle parole. Queste ultime intervengono spesso con funzione di ancorare il messaggio, ossia di eliminare o diminuire le possibili ambiguità prodotte, per loro stessa natura, dalle immagini. Mentre in altri mezzi (come stampa o affissioni) le immagini sono statiche e ferme, nello spot si susseguono rapidamente attraverso la tecnica del montaggio. Uno spot è fatto di parole, suoni e immagini. Ma di questi elementi quello dominante è senza alcun dubbio l'immagine. Durando in media 30 secondi, semplicità e brevità sono fattori fondamentali per l'efficacia della comunicazione. Le immagini devono attirare immediatamente l'attenzione, devono essere attraenti e, nella loro successione temporale, devono raccontare una storia con un "inizio" e una "fine".
  Anche se la componente visiva, in pubblicità, prevale su quella verbale, spesso la parola ha un ruolo essenziale anche in televisione o su stampa e affissioni, in quanto serve a spiegare le immagini. L'importanza di integrare immagini e parole è evidenziata anche da Ogilvy (1989, 148–149): "la storia deve essere raccontata dalle immagini: in altre parole, quel che mostrate è molto più importante di quel che dite. Le parole e le immagini devono diventare un tutto unico, aiutandosi reciprocamente. Alle parole spetta il compito di spiegare le immagini. […] se nell'audio si dice qualcosa che non ha riscontro nel video, lo spettatore se ne dimentica immediatamente. Ecco perché secondo me è inutile parlare di quel che non si fa vedere. Provate a far scorrere le immagini dello spot con l'audio spento; se così non vende il vostro spot non vale niente".


2.3 Rapporti fra linguaggio pubblicitario e lingua comune


  Dal momento che ciò che qui si vuole analizzare è il rapporto fra linguaggi giovanili e pubblicità, va affrontato il discorso dei rapporti fra lingua pubblicitaria e lingua comune: ossia quanto la prima "attinga" dalla seconda e quanto invece la influenzi. Come abbiamo visto, Il Linguaggio Pubblicitario è un linguaggio particolarmente innovativo e attivo. Investe tutti gli aspetti della vita quotidiana, influenza e a sua volta è influenzato dalla lingua comune.
  Abbiamo detto (cfr. 2.2.1) che tale linguaggio può definirsi una modalità d'uso o un "uso [manipolato] pubblicitario della lingua" (Berruto 1973, 25). Esso "rappresenta il massimo sforzo possibile per ricavare da una data struttura linguistica, in questo caso l'italiano, i migliori effetti di efficacia, sinteticità, facile memorizzazione" (Cardona 1972, 54–56). Non va, dunque, considerato una fonte autonoma di innovazioni linguistiche ma solo la sedimentazione e la lente di ingrandimento di ciò che è stato largamente sperimentato in altri linguaggi e nella lingua comune.
  D'altra parte tale linguaggio possiede alcune caratteristiche specifiche che lo distinguono non solo dalla lingua comune, ma anche dai linguaggi settoriali. Non va considerato una degenerazione della lingua italiana o di un'altra lingua naturale. Esso, infatti, è un linguaggio artificiale, che nasce dalla lingua naturale ma poi si evolve con delle proprie regole e una propria autonomia. Assorbe le tendenze della lingua contemporanea comune strumentalizzandole e rendendole proprie. Il linguaggio pubblicitario, nell'usufruire della lingua comune, crea delle proprie codificazioni (Corti 1973). È come uno specchio che riflette i materiali della lingua comune di cui si appropria per deformarli, stravolgerli e sintetizzarli in modo che nuovi materiali siano adottati dai parlanti che si impadroniscono di modi di dire pubblicitari e li modificano nuovamente.
  La lingua della pubblicità non solo attinge dalla lingua comune, ma esercita anche una certa influenza su di essa o comunque sul consumatore. Per effetto dei mass media e soprattutto della pubblicità, le strutture della lingua subiscono dei cambiamenti. Ci si chiede quale sia l'influenza che la pubblicità ha sulla competenza linguistica dei singoli parlanti. Molto spesso infatti l'invenzione, la trovata pubblicitaria colpisce il destinatario del messaggio (soprattutto i giovani) e cattura la sua attenzione. La gente canticchia i jingle, ripete i "tormentoni" inventati dalla pubblicità, gli slogan, i neologismi. Tali trovate, tali innovazioni e invenzioni, che gli conferiscono una certa autonomia rispetto alla lingua comune, hanno brevissima durata e devono spesso rinnovarsi (cfr. 4).
  C'è chi vede in tale influenza esercitata dal linguaggio pubblicitario sulla lingua comune degli aspetti negativi, chi dei meriti:

  Dunque, la lingua della pubblicità ha un'influenza positiva sulla lingua comune. Accanto a questa influenza positiva, Il Linguaggio Pubblicitario però può aver esercitato anche una influenza negativa che riguarda la povertà sintattica e il concetto di anemia linguistica di cui abbiamo parlato.