Le forme di comunicazione giovanile sono numerose
(musica, fumetti, piercing, tatuaggi, messaggi telematici e dei telefoni
cellulari, scritte e graffiti) e difficilmente si possono racchiudere in
categorie rigide. I giovani sperimentano continuamente nuovi canali
espressivi.
Tra il linguaggio pubblicitario, che abbiamo appena visto, e quello
dei giovani, che qui ci apprestiamo ad analizzare, esistono delle somiglianze
e delle interferenze. I prossimi capitoli saranno dedicati proprio al
rapporto fra questi due linguaggi. La pubblicità, a volte, per rivolgersi ai
giovani (ma non solo), infarcisce i suoi messaggi di "modi di dire" usati
dagli stessi. Al contrario alcune espressioni presenti nei messaggi
pubblicitari vengono spesso adottate dai ragazzi. Come vedremo, questi due
linguaggi interferiscono l'uno con l'altro in maniera da rendere molto
difficile stabilire quale dei due influenzi veramente l'altro. Infatti,
possiamo riscontrare una certa influenza della lingua della pubblicità sui
linguaggi giovanili, ma nello stesso tempo possiamo dire che la pubblicità
attinge, volontariamente e consapevolmente, parte della terminologia
giovanile, per raggiungere i suoi scopi.
Prima di addentrarci in tale riflessione dobbiamo definire, come
abbiamo fatto per il linguaggio pubblicitario, che cosa si intende per
"linguaggio giovanile", quali sono le sue caratteristiche, le fonti da cui
attinge, il prestito da altri linguaggi (fra cui quello della pubblicità), le
funzioni e le finalità di tale linguaggio, le nuove forme di comunicazione
dei ragazzi di oggi. Infine, si parlerà dei rapporti fra linguaggio giovanile
e lingua comune.
Sommario del capitolo 3º: "Linguaggi Giovanili"
3. LINGUAGGI
GIOVANILI
3.1 Gli studi in Italia
3.2 Problemi di definizione del linguaggio
giovanile
3.2.1 Definizione di "linguaggio giovanile"
3.2.2 Caratteristiche linguistiche ed extralinguistiche del
linguaggio giovanile
3.2.3 Le fonti del linguaggio giovanile
3.2.4 Internazionalismi nel linguaggio giovanile
3.3 Funzioni e finalità del linguaggio
giovanile
3.4 Rapporti fra linguaggio giovanile e lingua
comune
3.4.1 Le nuove forme di comunicazione giovanile e i
linguaggi dei giovani d'oggi
3.4.2 Influenza del linguaggio giovanile sulla lingua
comune
In Italia
gli studi sull'argomento seriamente fondati sono ancora molto pochi. Del
resto bisogna dire che la tradizione di studi sui linguaggi giovanili, al
contrario di altri paesi quali ad esempio la Germania, è alquanto recente.
Fino a una ventina di anni fa erano pochi, insufficienti, frammentari e
inadeguati. Ricordiamo due raccolte di termini giovanili: Lanza (1977) e
Manzoni–Dalmonte (1980). Tuttavia, tali studi appaiono ancora
insufficienti a definire il linguaggio giovanile, soprattutto da un punto di
vista nazionale. Il primo importante lavoro in materia è quello di Coveri
(1983), cui sono seguiti altri lavori di Mastrangelo Latini (1989) su Roma,
di Banfi (1992) su Trento e, ancora, di Coveri (1992) su Genova e Liguria.
Fra i diversi lessici: Forconi (1988), Giacomelli (1988) e quello più recente
di Manzoni (1997). Altri importanti interventi provengono da Mosca (1978),
Danesi (1989), Coveri (1991c), Cortelazzo (1992), Finessi (1992),
Livolsi–Bison (1992), Sobrero (1992), Mininni (1993), Titone (1995), Banfi
(1997). Ricordiamo due convegni sul linguaggio giovanile (Menaggio–Villa
Vigoni 1990 e Trento 1991) e un recente seminario organizzato dalla
Enciclopedia Treccani. Inoltre di rilevante importanza l'idea del primo
dizionario on–line dello slang under 18, venuta al professore Michele
Cortelazzo, che ha coordinato recentemente una ricerca condotta dagli
studenti dell'Università di Trieste sul lessico di 1200 ragazzi, con
l'intenzione di raccogliere le parole della lingua degli adolescenti
apprendendole "alla fonte", dai diretti interessati.
Il linguaggio dei teen ager è una istruttiva bussola per sociologi,
osservatori del costume, linguisti, ed oggi pare più che mai al centro
dell'interesse generale per la sua creatività e innovazione. Gli studi sui
linguaggi giovanili, in passato, utilizzavano delle fonti di tipo indiretto,
quali ad esempio, come afferma Coveri (1992, 61), le fonti letterarie. Fra le
fonti dirette, che sono, invece, più "nuove", riscontriamo quelle dei media e
dei nuovi media che riguardano ad esempio il cinema (da Verdone all'ultimo
film del Piotta, Il segreto del giaguaro); i DJ; i gruppi musicali (da
Vasco Rossi a Jovanotti, dagli Articolo 31 al Piotta); la stampa giovanile;
le scritte sui muri, sugli zaini, sulle T–shirt, sulle banconote; le
agende–diario (Smemoranda); la messaggistica telematica (e–mail)
e dei telefonini (SMS).
Oggi è in qualche modo aumentata l'attenzione nei confronti dei
giovani e, come dice Coveri (1992, 59), "nessuno mette più in dubbio la
centralità del fenomeno giovanile nella società, nella cultura, nel mondo dei
consumi, nei media: al contrario, i giovani sono scrutati, interrogati,
vezzeggiati, spesso manipolati, più raramente ascoltati".
Prima di
definire cosa sia il "linguaggio giovanile" dobbiamo in qualche modo avere
chiaro cosa si intende con la categoria "giovane".
Se consideriamo il bruto dato anagrafico, possiamo considerare
"giovani" i cosiddetti teen agers, ossia coloro che hanno un'età
compresa fra gli 11 e i 19 anni circa e che vanno dalla scuola media alla
scuola media superiore. Tuttavia, l'etichetta "giovane" risulta molto
ambigua: se rientrano nella categoria i soggetti che si trovano nella fase di
passaggio dalla adolescenza all'età adulta, come si fa a definire tale fase
di passaggio?
Il dato anagrafico risulta insufficiente a chiarire una realtà
socio–culturale estremamente complessa. Con "giovani" non si deve
intendere un'entità omogenea. Risulta più utile parlare di segmenti di età
difficilmente affini, di "segmenti di realtà giovanile" (Livolsi–Bison
1992, 149). Non esiste, cioè, un livello omogeneo comune a undicenni e
ventenni. Esiste certamente un problema di definizione in quanto quella dei
giovani non è da considerarsi una categoria sociale ma un periodo
transitorio. Infatti, "le ricerche sui giovani concordano almeno su un punto:
e cioè che ‘i giovani' non esistono; o, per meglio dire, che ci sono molte
tipologie di giovani, spesso difficili da accomunare le une alle altre. Così,
quando si parla di ‘giovani', si intendono realtà molto diverse; sotto
l'etichetta ‘giovani' si collocano, ad esempio, sia i pre–adolescenti
che gli adolescenti o i post–adolescenti" (Livolsi–Bison 1992,
149).
Chi dobbiamo dunque far entrare in tale etichetta? Oggi essere giovani
è una condizione diversa da quella pre–sessantottesca. Prima del '68,
infatti, il "livello di omogeneizzazione tra i modelli linguistici degli
adulti e quelli dei giovani era assai alto" e i giovani, "anche
linguisticamente, erano "entro" le regole del sistema: la "trasgressione" era
un fatto piuttosto marginale, limitato a poche eccentriche "schegge"
giovanili" (Banfi 1997, 153). La realtà di oggi è assai diversa. Dopo lo
scossone del '68, che ha posto per la prima volta nella storia sociale il
"problema giovani", con tutti i bisogni ad essi legati (indipendenza,
autonomia, identificazione), e con la perdita della capacità di controllo e
di orientamento delle centrali educatrici tradizionali (famiglia, scuola,
istituzioni), si assiste alla cosiddetta "Sindrome di Peter Pan". Il cammino
verso l'età adulta è più lento rispetto al passato ed oggi si rimane nella
"dimensione giovani" anche quando anagraficamente giovani non si è più (Banfi
1997, 153).
Parlando di linguaggi giovanili, sorge un problema di definizione.
Bisogna parlare di "linguaggio dei giovani" o di "linguaggio giovanile"? Si
tratta di due diverse categorie che possono, anche se non necessariamente,
coincidere. Come dice Banfi (1997, 155), con il termine "linguaggio dei
giovani (o, meglio "italiano dei giovani")" va inteso "un continuum di
varietà che coincide, in buona misura, col continuum delle varietà
dell'italiano di tutti". Invece, per "linguaggio giovanile in senso stretto"
si intende "quella varietà di lingua utilizzata, in modo più o meno ampio e
costante – ma quasi sempre nelle relazioni del gruppo dei pari – da
adolescenti e postadolescenti; varietà che appare individuata soprattutto da
specifiche peculiarità lessicali, fraseologiche (in misura minore
morfosintattiche)".
Il linguaggio giovanile non va però considerato come un vero e proprio
linguaggio, ma un "modo di parlare", di comunicare soprattutto a livello
conversazionale. È quella varietà di lingua usata in maniera più o
meno continuativa dai ragazzi quando parlano tra loro.
Considerando la funzione criptica, il linguaggio giovanile può essere
inserito nella tipologia dei gerghi. Nello schema delle nove varietà
dell'italiano contemporaneo di Berruto (1997, 21) il linguaggio giovanile fa
parte di quello che l'autore chiama "italiano gergale" che racchiude "varietà
colloquiali–espressive proprie di categorie o gruppi particolari di
utenti, che ai tratti dell'informale trascurato aggiungono tipicamente un
lessico peculiare, valido sia per affermare e rinforzare il senso di
appartenenza al gruppo; sia per manifestare una sorta di contro–cultura o
anti–cultura polemica, contestatrice o dissacratrice nei confronti della
cultura standard; sia, nei casi più forti, per impedire la partecipazione
alla comunicazione ai membri estranei al gruppo o alla categoria. Si tratta
di un polo di varietà molto poco stabili, transeunti, mutevoli col mutare del
gruppo e dei valori attorno a cui esso si consolida" (Berruto 1997, 25). Il
gergo ha una funzione criptica, ossia tende ad escludere gli altri dalla
comunicazione. Tale funzione è evidente se facciamo riferimento ai gerghi
storici (il gergo della malavita, i gerghi di mestiere con cui venivano
trasmessi i segreti del mestiere di generazione in generazione). Tra i gerghi
moderni ricordiamo il gergo di caserma, che però differisce dai linguaggi
giovanili in quanto il primo rimane sostanzialmente lo stesso, i secondi
cambiano. Parlare di "gergo giovanile" è, secondo me, improprio dal momento
che la funzione prevalente del linguaggio giovanile è, come vedremo (cfr. 3.3), quella
ludica e non quella criptica.
Consideriamo adesso le caratteristiche di tale linguaggio. Parlando di
caratteristiche generali ci si riferisce a quei tratti tipologici che
ritroviamo in tutti i linguaggi giovanili (non solo quello italiano). Edgar
Radtke (1992) si è occupato della dimensione internazionale del linguaggio
giovanile e quindi delle convergenze e dei parallelismi a livello europeo.
Egli individua diverse caratteristiche a livello internazionale (cioè
presenti anche nei linguaggi giovanili di altri paesi). Sono caratteristiche
linguistiche ed extralinguistiche.
Prendendo in considerazione gli aspetti linguistici
troviamo:
Uso frequente della metafora: il linguaggio giovanile è un contro–linguaggio basato su un forte distacco dalla lingua comune per garantire la marcatezza linguistica e quindi per costruirsi un lessico che si distingua da quello della lingua comune. Un modo con cui i giovani perseguono tale fine è il ricorso alla metafora. Questo avviene non solo in Italia ma anche in altri paesi europei. Come dice Radtke (1992, 6), "anche se le persone anziane vengono denominate in italiano i semifreddi, in francese P.P.H. (passera pas l'hiver) o in tedesco Mumien, identica rimane, nelle diverse lingue, la continuità semantica delle metafore, siano esse di carattere eufemistico o disfemistico".
Poche varianti semantiche (è un linguaggio parassitario) e tendenza all'uso effimero di alcuni lessemi (è una realtà effimera): Radtke (1992, 6–7) continua definendo tale linguaggio come parassitario ed effimero: "i modelli retorici che presiedono alla formazione di nuove parole del linguaggio giovanile sembrano essere tendenzialmente gli stessi, basati su scelte antinormative. Inoltre, le dinamiche che caratterizzano la formazione delle nuove parole paiono essere molto ‘veloci', transeunti, sì che il lessico giovanile è, in gran parte, una realtà effimera".
Il linguaggio giovanile è costituito anche da aspetti extralinguistici:
L'andamento cronologico: riguarda la totale mancanza a livello internazionale di una storia linguistica dei linguaggi giovanili. In Italia, come abbiamo già detto, non esiste una tradizione storica del linguaggio giovanile. Questa caratteristica è presente anche in altri paesi quali la Francia, la Spagna, un po' meno la Germania, dove, come abbiamo detto, tale tradizione risale almeno al Settecento.
Fattori psicologici e sociali: il linguaggio giovanile va considerato da un punto di vista extralinguistico anche per il fatto che dipende in larga misura da fattori psicologici e sociali. Infatti, il modo di parlare (aspetto linguistico) è sempre influenzato da un contesto psico–sociale (aspetto extralinguistico). Per quanto riguarda i fattori psicologici, bisogna dire che tutti gli usi linguistici giovanili nascondono delle motivazioni psicologiche: i giovani, in un momento di passaggio dal mondo dell'infanzia a quello adulto, un momento che li vede salire per la prima volta sul palcoscenico della vita come protagonisti assoluti, tendono a cercare una propria personalità, o meglio una propria identità. Questo aspetto psicologico è strettamente collegato ad uno linguistico che a sua volta si collega ad un altro di natura sociologica. Infatti, per crearsi questa identità, i giovani tendono a distinguersi linguisticamente dagli altri rafforzando il proprio gruppo rispetto all'esterno. I fattori extralinguistici (psicologici e sociali) sono strettamente collegati fra loro e aiutano a spiegare meglio i fattori di natura strettamente linguistica.
Riguardo a queste ultime osservazioni, è importante individuare quali sono le caratteristiche che distinguono i linguaggi giovanili da un punto di vista sociolinguistico.
Caratteristiche Linguistiche | Uso frequente della metafora |
---|---|
Poche varianti semantiche | |
Tendenza all'uso effimero di alcuni lessemi | |
Caratteristiche Extralinguistiche | Mancanza di storia linguistica dei linguaggi giovanili |
Fattori psicologici (ricerca di identità) | |
Fattori sociologici (appartenenza a un gruppo) |
Secondo Sobrero (1992, 45–46), ci sono cinque parametri che distinguono i linguaggi giovanili dalle altre varietà della lingua comune:
Bacino d'utenza: può essere suddiviso in due parti, i giovani in generale e i singoli gruppi in particolare. Il linguaggio giovanile si costituisce sulla osmosi fra singoli parlanti, piccoli gruppi di giovani e determinati ambienti da essi frequentati quali la scuola (ambiente più frequentato), la musica (che crea aggregazione), la caserma (rito di passaggio dall'adolescenza all'età adulta), i movimenti politici (non tanto per la loro funzione ideologica quanto per quella aggregante), lo sport, il peer group, che "ha la funzione di consentire l'affermazione dell'Io all'interno di un gruppo (essenziale nella pre–adolescenza)" (Sobrero 1992, 46). Di solito ogni gruppo di giovani ha un luogo preciso in cui incontrarsi. Tale luogo è il simbolo della coesione del gruppo: il bar, il muretto, le scale della parrocchia.
Intenzioni: quali sono le funzioni che contraddistinguono il linguaggio giovanile? Secondo Sobrero, rispetto a quella criptica, per cui vale l'etichetta di "gergo", e che nel linguaggio giovanile è "solo apparente", la funzione prevalente è quella ludica: l'impenetrabilità di tale linguaggio non è fine a sé stessa ma "fa parte del gioco" (Sobrero 1992, 47).
Finalità: all'interno del gruppo dei giovani ci sono due finalità precise, una di tipo sociale e l'altra di tipo personale. La prima è orientata sia all'interno che all'esterno del gruppo. All'interno per rafforzarlo, per aumentare l'unità, la coesione; all'esterno per contrapporsi a chi è estraneo al gruppo (che possono essere sia gli adulti, sia altri gruppi di giovani, insomma gli "intrusi"). La finalità personale riguarda, invece, l'affermarsi a livello individuale di una propria identità all'interno del gruppo "di delimitazione del proprio territorio all'interno di quello del ‘branco'" (Sobrero 1992, 47). In ogni gruppo di giovani ognuno si crea un proprio personaggio (il "gaggio", il "coatto", il "pariolo" o "preciso", il "buffone–pagliaccio", il "mollicone" o "provolone", ecc.).
Variabilità: è un'altra caratteristica distintiva del linguaggio giovanile. I linguaggi giovanili sono variabili nel tempo, nello spazio, nella società e nel tipo di aggregazione. Nel tempo in quanto in ogni periodo abbiamo linguaggi giovanili diversi. La periodizzazione proposta da Sobrero (1992, 47) è: "1) la goliardia pre–'68; 2) il sinistrese; 3) il riflusso (dalla fine degli anni Settanta); 4) il post–moderno (paninari, punk, dark, ecc.): ad ogni cambiamento di periodo corrisponde una ‘sterzata' del giovanilese, in armonia con le mutazioni esterne (ideologia, costume, ecc.)". I linguaggi giovanili sono, poi, variabili nello spazio in quanto essi cambiano non soltanto da una nazione all'altra, ma anche, considerando il nostro paese, da Nord a Sud, da città a campagna. Sono più diffusi al Nord rispetto al Sud, nelle città rispetto alla campagna. Sono variabili nella società in quanto un giovane che appartiene ad un ceto medio, con un medio grado di scolarizzazione, è sicuramente diverso per cultura, modo di pensare, modelli di riferimento. Ciò, naturalmente, influisce sul loro modo di parlare. Infine, i linguaggi giovanili sono variabili nel tipo di aggregazione che influisce sulle strutture della lingua dei giovani.
Vitalità: i linguaggi giovanili differiscono da altre varietà della lingua comune anche per la loro vitalità. In confronto alla lingua comune, il lessico di tali linguaggi ha una dinamica linguistica molto più veloce. I termini "giovanili" hanno un ciclo di vita molto breve. Come dice Sobrero (1992, 49) "termini come matusa ‘anziano, genitore' o nisba ‘niente', che erano termini–chiave del giovanilese negli anni Sessanta ed erano ancora usati negli anni Settanta ora sono pressoché sconosciuti".
Come
abbiamo visto, questi cinque criteri distinguono i linguaggi giovanili da
altre varietà della lingua comune: mentre l'ultimo che abbiamo analizzato (la
vitalità) è di tipo strettamente linguistico, i primi quattro (bacino
d'utenza, intenzioni, finalità e variabilità) sono di tipo sociale.
Considerando le caratteristiche strettamente linguistiche dei
linguaggi giovanili, possiamo dire che sul piano lessicale troviamo
gergalismi (sballo); dialettalismi (accannare); forestierismi
(down); eufemismi (casino); latinismi e cultismi (ad es.
sodomizzo); alcuni giochi lessicali nel processo di formazione delle
parole fra cui le affissazioni in –oso, –aro,
–ata, mega– (ad es. palloso, metallaro,
cavolata o megagalattico) finalizzate all'esagerazione
semantica; sincopi (inascoltable invece di "inascoltabile"); apocopi e
abbreviazioni (para invece di "paranoia", prof invece di
"professore"); deformazioni giocose (iao, arrapescion,
cucadòr); iperboli (allucinante, mega, bestiale,
pazzesco, mostruoso).
Sul piano semantico frequenti sono le estensioni di significato (ad
es. godo "sono contento"), le esagerazioni (spacco tutto,
bestiale), le metafore e i cambiamenti semantici (il significato viene
cambiato; ad es. in parole come gasarsi "esaltarsi", o
tagliarsi "morire dal ridere").
Sempre dal punto di vista linguistico, oltre al livello lessicale
risulta interessante il livello fonematico del linguaggio giovanile.
Tuttavia, bisogna dire che la dimensione lessicale e di semantica lessicale
ha finora predominato su quella fonematica. Sarebbe invece utile e
interessante considerare anche i fatti di pronuncia e di intonazione. Ad
esempio il modo di pronunciare l'affermazione "si" e la negazione "no" che
subiscono degli allungamenti vocalici (seeee…, naaaa…).
Pronuncia e intonazione costituiscono dei fattori molto importanti del modo
di parlare dei giovani.
Un
quesito
ricorrente fra gli studiosi del linguaggio giovanile riguarda le fonti di
tale linguaggio. Ogni linguaggio giovanile, come dice Sobrero (1992, 49),
"riceve apporti sia dalle varietà sincroniche della lingua e del dialetto,
sia da varietà diacroniche giovanili". Tutto ciò avviene senza un preciso
rapporto gerarchico, anzi i materiali che confluiscono nei linguaggi
giovanili "si fondono e si confondono, come le acque di più immissari in
quelle del lago" (Sobrero 1992, 49).
Come abbiamo visto, i linguaggi giovanili si distinguono da altre
varietà della lingua italiana, ma molti materiali di quest'ultima
costituiscono la base comune di ogni linguaggio giovanile. Fra le varietà
della lingua italiana usate come fonti ricordiamo:
Le varietà colloquiali: si tratta di espressioni molto informali cui i giovani attingono e che vengono usate in maniera scherzosa. Sobrero (1992, 49) porta alcuni esempi fra cui è nel pallone, di brutto, alè, alla grande!.
Le varietà regionali: alcune espressioni informali che si sono originate in particolari regioni a volte si estendono ad altre regioni d'Italia, perdendo i tratti regionali originari. Ad esempio l'espressione togo (troppo) + aggettivo (che ha la funzione di superlativo: troppo bello "bellissimo") si è originata in varietà regionali e dialettali dell'italiano ma è ormai usata in tutta Italia.
Le varietà settoriali: i giovani attingono largamente dai linguaggi settoriali. Come ricorda Cortelazzo (1992, 71–72) i settori cui il linguaggio dei giovani si ispira e da cui è influenzato sono vari: medico (farsi una flebo "tirarsi su il morale"), informatico (un bit "un attimo"), scientifico (galattico "fantastico"), sportivo (marcare "stare dietro ad una ragazza/o"). Il termine sclerare, che nel linguaggio usato dai ragazzi vuol dire "perdere la testa per una ragazza/o", evoca "sclerosi" dal linguaggio scientifico "irrigidimento dei tessuti" (Marchesini 1995).
Altre
fonti provengono dai gerghi. I giovani utilizzano spesso nella loro
parlata espressioni gergali (ad esempio dal gergo dei drogati
sballo).
Oltre ai gergalismi, una componente importante del lessico giovanile
sono i dialettalismi. Nel vocabolario on–line curato da Cortelazzo
emergono molte parole dialettali. Fra queste ricordiamo brevemente:
accannare, aggiustarsi, ammuccare. I giovani fanno un
uso gergale
dei dialetti, ossia, riprendono voci dialettali e le gergalizzano. Molto
spesso tale procedimento di gergalizzazione avviene per effetto dei mass
media, che mediano tali parole. Per fare un esempio il "Gabibbo" ha
introdotto termini che appartengono ai dialetti tradizionali delle vecchie
generazioni (besuga). Come dice Sobrero (1992, 50), il "termine
dialettale, inserito all'interno di un contesto non dialettale, acquista una
connotazione ‘giovanilese' fra lo scherzoso, l'espressivo e il
gergale".
I ragazzi di oggi sembrano proprio dei prestigiatori. Mescolano con
ironia e spontaneità termini appartenenti alle costellazioni più diverse. Dai
fumetti alla musica, dal cabaret televisivo alla pubblicità. L'influsso più
prepotente sembra derivare dal mondo della musica e dei fumetti ma non va
sottovalutata l'influenza da parte dei media, in modo particolare la
televisione. Riguardo all'importanza di quest'ultima ricordiamo programmi
come "Striscia la notizia" di Antonio Ricci. Il linguaggio usato dai comici
di queste trasmissioni ha una grandissima influenza e un grande carisma sui
ragazzi. Si pensi inoltre alla fortuna che sta avendo il trio di "Aldo
Giovanni e Giacomo" i cui modi di dire sono molto usati dai giovani. Di
questo si è accorta la pubblicità che sfrutta tali espressioni per catturare
l'attenzione dei giovani e per divertirli (ad es. lo spot di "Yomo", cfr. Appendice I).
Molte espressioni entrano rapidamente in circolazione ma, altrettanto
rapidamente spariscono per la loro natura effimera. I giovani hanno bisogno
di usare termini e modi di dire da ripetere, che gli vengono offerti da
programmi di questo genere ma soprattutto dalla pubblicità, la quale,
soprattutto quando è rivolta proprio ai ragazzi, può offrire un importante
modello. I media, all'interno dei quali la pubblicità occupa ampio spazio,
costituiscono dunque un modello importante cui i giovani attingono.
Parlando di mass media e di pubblicità, viene naturale chiedersi dove
arriva il modello e dove lo specchio. Ossia, i massa media sono modello cui i
giovani attingono o semplice specchio che ne riflette gli usi linguistici?
Sicuramente sono entrambe le cose e vedremo come la pubblicità offra un
modello ai ragazzi (cfr. 4) ma, al tempo
stesso, rifletta gli usi linguistici giovanili (cfr. 5).
L'uso di
prestiti da parte dei giovani è un fenomeno che, come ha rilevato Radtke
(1992), ritroviamo a livello internazionale.
Si può dire che esista prestito nel linguaggio giovanile in quanto in
esso ritroviamo dei forestierismi. L'influenza più forte sui ragazzi proviene
dalla cultura angloamericana ed in particolare c'è una tendenza, tipica di
tale linguaggio, a una vera e propria "anglomania". Manzoni (1997) rivela
alcune espressioni giovanili provenienti dall'inglese: down,
glam, glovvv!, jamparround, jobber, keik¸
lullaby, out, over, rave, trash,
trendy, ecc.
Legato al fenomeno dell'anglomania è sicuramente quello della musica
ascoltata dai ragazzi che agisce come collante, aumentando la coesione e la
solidarietà fra i giovani. Si è venuta a creare, dagli anni del dopo guerra
in poi, una vera e propria cultura musicale giovanile, costituita dai diversi
tipi di musica che offrono i rispettivi anglicismi. Fra gli innumerevoli tipi
di musica ascoltati dai ragazzi ricordiamo: jazz, rock and
roll, pop, underground, acid rock, punk,
heavy metal, reggae, rap, ecc. (Radtke 1997, 216). A
questa lista possiamo aggiungere musica house, country,
black, progressive e altre.
Insieme alla musica anche l'influsso dal gergo della droga offre degli
anglicismi quali ad esempio flash "il primo momento dello sballo, il
più intenso, quando la droga ha il massimo della potenza" (Giacomelli 1988,
136): ricorrente nel modo di parlare dei ragazzi è l'espressione
flesciare nel senso di "prendere una cosa per un'altra" (ad es.: "ho
flesciato mi sembrava un gatto invece era un topo"). Un altro esempio
può essere fornito dall'espressione mi intrippi "mi piaci molto",
dall'inglese trip "viaggio". O ancora dall'ingl. to sniff
l'espressione sniffare "tirar su la droga col naso" (Giacomelli 1988,
169).
Gli anglicismi provengono anche dall'influsso dei linguaggi settoriali
sui linguaggi giovanili. Si pensi ad esempio al settore dell'informatica da
cui provengono molti termini inglesi usati dai ragazzi: hardware
"aspetto fisico" (Giacomelli 1988, 141), un bit " un attimo", è
stato un floppy "non è andata"(Cortelazzo 1992, 72).
Anche dal mondo dei fumetti affiorano anglicismi. Si pensi ad ideòfoni
quali ad esempio gulp, slurp, smack, sob.
Come possiamo vedere, l'influsso della lingua inglese sul linguaggio
giovanile è molto rilevante. È ricorrente che, nei messaggi dei
ragazzi, affiori qualche parola inglese. Se si pensa alle varie forme di
comunicazione giovanile (scritte sui muri, messaggi telefonici, scritte sui
diari, ecc.), in esse è sempre presente una qualche evocazione di inglese
(kiss invece di "bacio", tonight invece di "questa notte",
OK invece di "va bene", thanks invece di "grazie").
Se gli anglicismi prevalgono nel linguaggio usato dai teen ager, i
termini ispirati dallo spagnolo sono in aumento, forse sulla scia del
successo della musica latino–americana. Sono, infatti, entrati nel parlato
quotidiano dei ragazzi espressioni quali nada per dire "no", o las
guardias per dire "i bidelli scolastici" (Marchesini 1995, 63). Altri
esempi di ispanismi: adios per dire "arrivederci", o amigos che
vuol dire "amico" (Manzoni 1997); o, ancora: mucho gusto "va bene",
me gusta "mi piace" (Banfi 1992, 127).
Spesso però tali termini non sono accompagnati da una perfetta
conoscenza delle lingue da parte dei ragazzi. Il ragazzo, per così dire,
"mastica" la lingua straniera ma non la conosce sufficientemente, si avvicina
ad essa ma non la conquista e, in tal modo, finisce per farne un uso
deformato (si pensi ad arrapescion per l'inglese e cuc(c)adòr o
non tengo dinero per lo spagnolo).
Il motivo del prestito da parte dei giovani è strettamente legato ad
un fattore psicologico: il giovane, usando dei termini stranieri, si sente
più "avanzato", più nuovo rispetto alla banalità e conformità della lingua
standard e soprattutto rispetto al mondo adulto. Come dice Radtke (1992, 26),
i "prestiti funzionano da elementi–chiave di una sottocultura che si pone,
come primo obiettivo, il superamento della dimensione provinciale". Questo
inoltre fortifica l'identità e il senso di appartenenza al gruppo.
Una domanda molto ricorrente fra gli studiosi del linguaggio dei giovani è volta ad individuare perché i ragazzi utilizzano un certo tipo di linguaggio e un codice spesso incomprensibile e impenetrabile. I giovani, quando parlano fra di loro, possono avere diversi scopi. Le funzioni prevalenti del linguaggio giovanile sono almeno tre:
La funzione criptica: i giovani userebbero un certo tipo di linguaggio come codice segreto. C'è chi, come Berruto (1997, 25), parla di "gergo giovanile". Tale espressione è, tuttavia, impropria. Mentre infatti il gergo ha come scopo principale quello di escludere gli altri dalla comunicazione, tale funzione non è quella che prevale quando i ragazzi parlano fra di loro. Certo non si può fare a meno di considerare tale funzione se si pensa al mondo dei giovani di oggi. È un mondo a sé stante, che vuole esprimere la distanza e l'indifferenza nei confronti di ogni forma di partecipazione (dalle forme più o meno diffuse di astensionismo politico ed elettorale, al progressivo indebolirsi di un dialogo e di un rapporto comunicativo con le istituzioni, con la società e con il mondo adulto in generale). Tali fattori possono influire sulla lingua, che dipende inevitabilmente dal contesto psico–sociale. Nonostante ciò, i ragazzi utilizzano un certo tipo di linguaggio non con lo scopo, intenzionale e consapevole, di rendere "segreta" la comunicazione. È vero ed inevitabile che tale linguaggio risulti incomprensibile agli adulti, o a chi non fa parte del gruppo, ma questa impenetrabilità non è fine a sé stessa; fa parte di un vero e proprio gioco.
La funzione ludica: dietro ad una apparente funzione criptica, è questa la funzione che prevale nel linguaggio giovanile. Il linguaggio giovanile non è un'anti–lingua nel senso che non si prefigge nessuno scopo di opposizione. Tale scopo poteva, semmai, appartenere ai giovani del '68. Oggi, in una situazione non di contrasto, ma di completa indifferenza verso il mondo adulto, crediamo sia più opportuno considerare l'aspetto giocoso di tale linguaggio. Il linguaggio giovanile ha, infatti, una spiccata componente giocosa, particolarmente espressiva, fra lo scherzoso e il dissacrante, fra l'ironia e il cinismo. È un linguaggio apparentemente basato su un atteggiamento demenziale, ma in realtà è veloce, creativo, basato sul gioco, sull'umorismo, sull'allusività. Basti pensare ai diversi giochi di parole, alle deformazioni giocose che caratterizzano i meccanismi semantici e di formazione delle parole. Si pensi all'uso deformato di lingue straniere (cfr. 3.2.4) o all'uso di eufemismi e disfemismi (i genitori diventano i sapiens quasi per ridicolizzarli). Certamente i teen ager "maneggiano il linguaggio con acrobatica disinvoltura e accanito compiacimento. E se consumano le trovate con capricciosa intemperanza, la dimensione del gioco resta intatta attraverso le stagioni" (Marchesini 1995, 63).
La funzione di identificazione: i ragazzi utilizzano spesso un determinato linguaggio per rafforzare l'appartenenza ad un gruppo. Tendono a distinguersi dal mondo adulto e questo non solo "esteriormente" (modo di vestirsi, capelli e "pizzetti" colorati, piercing, tatuaggi), ma anche e soprattutto dal punto di vista linguistico. L'uso di un certo linguaggio è dettato dalla volontà di consolidare l'identità del gruppo rispetto all'esterno. In altre parole, il linguaggio giovanile è uno strumento usato dall'adolescente per differenziarsi dal mondo degli adulti, non con lo scopo di non farsi capire, ma di rafforzare l'appartenenza al gruppo e crearsi una propria identità. L'uso di tale linguaggio nasce dal bisogno che il gruppo sia riconoscibile e soprattutto si distingua. Nasce dunque dalla necessità di identificazione e ricerca di identità: "il linguaggio è uno strumento indispensabile alla strutturazione stessa del gruppo, in quanto con la sua carica cementificante consente processi di identificazione, sviluppa sentimenti di appartenenza, individua le ragioni della coesione e della solidarietà" (Mininni 1993, 83).
A queste funzioni se ne potrebbe aggiungere una quarta:
La funzione espressiva e autoaffermativa: il ragazzo, quando parla, tende "ad affermare il suo personale pensiero, il quale a sua volta è indissolubilmente avviluppato nel suo personale modo di sentire" (Titone 1995, 12). Gli adolescenti parlano un linguaggio molto spontaneo, veloce, creativo, dalle strutture semplificate e dalle intonazioni e modulazioni della voce molto espressive. Tutto ciò rivela un forte bisogno di manifestare esternamente sentimenti molto intensi. Basti pensare al modo con cui i ragazzi accentuano in modo eccessivo le parole con un forte contenuto emotivo, prolungando le vocali toniche (ad es. Stupeeendooo!); o all'uso di interiezioni, esclamazioni e imprecazioni che "riflettono la necessità degli adolescenti di attrarre continuamente l'attenzione sui loro sentimenti, sulle loro opinioni, o atteggiamenti" (Danesi 1989, 41–42).
Le forme
di comunicazione giovanile sono numerose e difficilmente possono essere
inquadrate in categorie rigide. Esse sono caratterizzate da una forte
ricchezza espressiva. I ragazzi sperimentano sempre nuovi canali di
espressione: musica, fumetti, graffiti, scritte sui muri, sui diari, sulle
banconote, piercing, tatuaggi, moda, letteratura, Internet, messaggi sui
telefoni cellulari e via dicendo. Si tratta di nuovi tipi di testi che sono
in grado di promuovere innovazione linguistica.
L'infinita gamma delle modalità comunicative dei ragazzi d'oggi sta
crescendo a dismisura rispetto ai modi espressivi non solo delle vecchie
generazioni, ma anche delle generazioni intermedie. I cambiamenti culturali
si fanno notare nel linguaggio dei giovani.
Come dice Simone (2000, 123–124), siamo di fronte a "cambiamenti
nell'organizzazione del linguaggio, nella sua qualità e nel suo modo di
‘cogliere' le cose". Ne sono un esempio la posta elettronica e, più
recentemente, gli SMS (Short Message System). Riguardo a questi
ultimi, si è recentemente assistito ad una vera e propria inondazione. Si
calcola che in Italia vengano scritti circa sei milioni di messaggi al giorno
e si presume che la maggior parte di questi provenga dai ragazzi. Purtroppo
tali messaggi di testo non possono essere oggetto di studi approfonditi dal
momento che non si possono, per così dire, "spiare".
Questi cambiamenti, cui sono esposti soprattutto i più giovani, "hanno
modificato in profondità il concetto stesso di ‘lettera' e il modo di
scrivere epistolare. Abbreviazioni più o meno scherzose, simboli, formule
fisse hanno preso ormai piede tra le usanze linguistiche" (Simone 2000, 124).
Per la necessità di comporre testi brevi, in tali messaggi si ricorre spesso
a segni del tipo "+" (più) o "×" (per), che, fino a non molto tempo fa, erano
ancora considerati di infima cultura. Un messaggio tipico in tal senso
potrebbe essere il seguente: "Non posso + venire al cinema…× oggi sto a
casa".
Un altro interessante esempio è questo simpatico modo di scrivere
"perché sei triste?":
×ké 6 :( ?
dove
"×ké" sta per "perché", "6" sta per "sei", i "due punti" e "la parentesi
tonda aperta" stanno per "triste". Questo vale, naturalmente, anche per i
messaggi via e–mail in cui si mescolano scritto e parlato, segni, icone,
lettere.
Tali messaggi costituiscono un
chiaro segnale di cambiamento, cominciato con la disgregazione del rapporto
fra pronuncia e rappresentazione grafica. La scrittura dei ragazzi di oggi
non è fatta più solo di parole scritte, ma è una chiara mistura di segni di
natura diversa di cui le lettere sono solo una parte. I giovani utilizzano
con estrema libertà e spontaneità lettere, segni, icòne quasi aspirassero ad
un specie di multimedialità grafica.
Altre novità nelle modalità comunicative derivano dalle scritte sui
muri. In realtà, esse hanno una lunga tradizione (si pensi ad esempio ai
graffiti) ma, ultimamente, hanno subito una forte spinta grazie anche ad una
loro caratteristica: l'anonimato di chi scrive. Chi scrive può esprimere
liberamente una sua idea su un partito, su uno stato d'animo o sull'amore
senza che sia identificato. L'idea è espressa nella forma rapida e veloce
dello slogan pubblicitario, tanto che le scritte sui muri sono paragonabili
alle affissioni pubblicitarie. Questo per ovvi
motivi: lo spazio fisico occupato, la fusione di parola e immagine, il
tentativo di attirare l'attenzione involontaria dei passanti (Bruni 1987,
121). La scrittura sui muri è certamente una modalità di comunicazione
aggressiva, tipicamente giovanile e rivolta al pubblico, che indica un
insopprimibile bisogno di scrivere, di farsi sentire, di comunicare.
Stesso bisogno di comunicare lo ritroviamo nelle scritte sulle
banconote. Porto l'esempio di una banconota da mille lire che mi è capitata
sotto mano e su cui c'era scritto "× favore se qualcuno legge queste parole
pensi almeno 1 istante a me" (Immagine 1).
Stesso discorso per le scritte sui banchi e sugli zaini di scuola, sui
diari quali la famosa "Smemoranda" (Immagine 2). In particolare, sui diari i
ragazzi scrivono e fanno scrivere ai loro amici le loro idee, i loro stati
d'animo, mettendoci dentro tutta la loro immaginazione.
Tutti questi esempi indicano il bisogno dei giovani di occupare gli
spazi per marcare la loro presenza come gruppo nel territorio.
Scrivere lo spazio è per Mininni (1993, 81) "un indice
dell'adolescenza di chi non può (e/o non sa) gestire i canali della
comunicazione socialmente accettati, per cui tenta di appropriarsi di ogni
forma residuale per scaricarvi ora tensioni sovversive ora aneliti
derisori".
Dunque, oggi sono sorte nuove modalità di comunicazione giovanile. Si
dice che i giovani di oggi scrivano poco. Non è vero. I ragazzi scrivono
tanto ed hanno una forte, e direi violenta, spinta a scrivere, a comunicare.
Non è che scrivano di meno, ma lo fanno in modo del tutto diverso dalle
vecchie generazioni: dai diari alle scritte sui muri, dai banchi di scuola
alle banconote, dai messaggi dei telefonini ad Internet, fino ad arrivare a
scrivere sulla loro stessa pelle attraverso piercing e tatuaggi.
Tutti questi messaggi che abbiamo
visto sono destrutturanti in quanto i ragazzi frantumano le grammatiche della
lingua degli adulti e, in tal modo, si distinguono da questi. Le modalità
comunicative dei giovani d'oggi si distinguono da quelle non solo degli
adulti di oggi, ma anche dei giovani di qualche generazione fa.
Simone (2000, 127), ci spiega come, "negli ultimi decenni del secolo
XX, le generazioni giovani hanno adottato usanze comunicative totalmente
diverse da quelle dei loro genitori (e più ancora dei loro nonni) e si stanno
spostando gradualmente verso una sponda oltre la quale c'è il silenzio". Egli
cerca di discutere l'opposizione fra due diversi modelli di pensiero e di uso
del linguaggio appartenenti a generazioni diverse: il modello
proposizionale delle generazioni passate (basato sul paradigma della
lucidità) e quello non–proposizionale delle ultime
generazioni (basato sul paradigma della fusione). L'atteggiamento
proposizionale è analitico, strutturato, gerarchico e referenziale. Al
contrario L'atteggiamento non–proposizionale è generico, rifiuta la
struttura e la gerarchia, è vago dal punto di vista referenziale. Il modello
cognitivo delle nuove generazioni si basa più sulla fusione e la
semplificazione, che sulla distinzione, l'analisi, la gerarchizzazione, la
strutturazione. Preferisce, cioè, strutture lineari a strutture complesse,
preferisce fondere che analizzare. Tale atteggiamento "si ispira quindi a una
sorta di generale Massima di Fusione. Per effetto di questa, tutto si
presenta in una massa indistinta, tutto è in tutto, e analizzare,
gerarchizzare e strutturare è inutile o illecito. L'analisi sciupa la
percezione e la ricchezza dell'esperienza" (Simone 2000, 130–131).
Questo orientamento può riscontrarsi nel rifiuto delle buone maniere
linguistiche, soprattutto nel modo di salutare e di rivolgersi ad un adulto
rispetto a un coetaneo. C'è un'incapacità, o meglio una mancata volontà, di
distinguere le persone a cui va detto "buongiorno" dalle persone cui va detto
"ciao". I linguaggi dei giovani costituiscono un modo di comunicare che
elimina ogni differenza fra formale e informale. L'uso del "tu" invece che
del "lei", del "ciao" invece che del "buongiorno", esprime proprio questa
preferenza per l'informalità, la spontaneità, la familiarità. I giovani
cercano di rimuovere le regole del parlato adulto, caratterizzato da un alto
grado di formalità e di gerarchizzazione sociale: "tale tentativo rappresenta
un'innovazione linguistica che annulla, nella comunicazione di tutti i
giorni, la dicotomia formale vs. informale a favore di strategie di carattere
informale anche in situazioni formali. Questo allargamento dei mezzi
linguistici riservati a situazioni informali si manifesta attualmente anche
nell'italiano contemporaneo dove, in meno di trent'anni, ciao è stato
introdotto a livello nazionale come forma di saluto familiare" (Radtke 1997,
210). I giovani utilizzano, semplificandole, diverse strategie verbali per
potenziare l'espressività e l'informalità del parlato. Fra queste strategie
notiamo un tipo di organizzazione del parlato che si caratterizza per una
scarsa pianificazione, soprattutto sintattica (ripetizioni, elisioni,
risparmio di elementi per brevità), "come reazione alla provvisorietà della
comunicazione della vicinanza" (Radtke 1997, 211).
Abbiamo
visto che il linguaggio giovanile si differenzia dalla lingua comune per
diversi motivi (per non farsi capire dagli estranei, per gioco, per
rafforzare l'identità e l'appartenenza al gruppo, per esprimere sé
stessi).
Ma il linguaggio giovanile, oltre a differenziarsi dalla lingua
comune, esercita su di essa una certa influenza. Il tema che riguarda
l'impatto che il linguaggio usato dai ragazzi produce, e in maniera sempre
più evidente rispetto al passato, sulla lingua degli adulti, ossia sulla
lingua comune, ha acquistato una rilevanza sempre maggiore ed è oggi di
estremo interesse. Rispetto al passato, infatti, l'influenza del linguaggio
giovanile sulla lingua comune è andato aumentando. Basti pensare alle
numerose voci mutuate dal linguaggio dei giovani fra cui beccare,
bestiale, casino, frana, gasato, goduria,
imbranato, ecc.; o ancora espressioni come fuori di testa,
cannare, libidine, alzare (Coveri 1992, 65). In
particolare l'espressione fuori di testa "matto" fino alla fine degli
anni Ottanta non era neanche conosciuta dagli adulti (Radtke 1997, 222).
L'influenza del linguaggio dei giovani sulla lingua comune può essere
notata anche se si pensa alla formazione di parole col suffisso in
–oso, suffisso frequentemente usato dai ragazzi (ad es.
palloso "noioso"). È infatti sempre più diffusa nel parlato
colloquiale la presenza di neologismi quali ad esempio sciccoso o
malavitoso. Frequente nel linguaggio dei giovani anche la affissazione
in –aro (metallaro, casinaro) e in –ata
(figata, cagata). Tali affissi possono essere accolti
nell'italiano contemporaneo potenziandone la produttività (Radtke 1997,
223–24).
Il linguaggio giovanile ha una certa influenza sulla lingua italiana.
Esso rappresenta, infatti, una fonte di materiale lessicale innovativo,
particolarmente espressivo, pratico, veloce, che può essere assorbito dalla
lingua comune. Diversi sono i termini, fra cui profio o prof
"professore", mate "matematica", drago o un dio "bravo,
in gamba", che "sono ormai sul confine tra italiano paragergale giovanile e
italiano colloquiale" (Berruto 1997, 157–58).
Tale linguaggio produce importanti innovazioni e cambiamenti nel
linguaggio adulto. Si pensi ad espressioni quali beccare nel senso di
"incontrarsi, sentirsi, vedersi" (ci becchiamo domani) o come
tipo usata come congiunzione (Ho comprato un cappello tipo
questo) o, addirittura, in forma assoluta come risposta (domanda: hai preso
anche tu una pizza come questa? Risposta: tipo); o ancora, parole come
squillo nel senso di "telefonata" (fammi uno squillo più
tardi). Queste ed altre parole provenienti dal linguaggio giovanile vengono,
con sorpresa, adoperate dagli adulti come se appartenessero al proprio
linguaggio. Sono cioè entrate in gran parte nel linguaggio adulto informale.
Si sta verificando un passaggio di termini dal linguaggio giovanile al
linguaggio comune. È stata infatti rilevata la presenza di termini
giovanili nel dizionario a cura di Tullio De Mauro (1999) e riportato in
Appendice VI. Ciò vuol dire che siamo di fronte ad una infiltrazione di
neologismi di ambito giovanile nel lessico italiano standard, che segnala una
certa vitalità e innovatività della lingua. I giovani diventano sempre più
prepotentemente titolari di un potere di comunicazione che non è più di
nicchia, ma socialmente e linguisticamente visibile.
I linguaggi giovanili hanno, dunque, dato un nuovo profilo
all'italiano contemporaneo, accelerando la sua dinamicità interna. In una
fase caratterizzata da un profondo cambiamento e rinnovamento, che Berruto
chiama processo di "ristandardizzazione" (Berruto 1997, 55), i linguaggi dei
giovani sono pienamente coinvolti in tale processo, dal momento che
introducono degli elementi di innovazione e rafforzano i cambiamenti in corso
nell'italiano contemporaneo (Radtke 1997, 228).
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