Linguaggi Giovanili e Pubblicità
3   Linguaggi Giovanili


  Introduzione


Le forme di comunicazione giovanile sono numerose (musica, fumetti, piercing, tatuaggi, messaggi telematici e dei telefoni cellulari, scritte e graffiti) e difficilmente si possono racchiudere in categorie rigide. I giovani sperimentano continuamente nuovi canali espressivi.
  Tra il linguaggio pubblicitario, che abbiamo appena visto, e quello dei giovani, che qui ci apprestiamo ad analizzare, esistono delle somiglianze e delle interferenze. I prossimi capitoli saranno dedicati proprio al rapporto fra questi due linguaggi. La pubblicità, a volte, per rivolgersi ai giovani (ma non solo), infarcisce i suoi messaggi di "modi di dire" usati dagli stessi. Al contrario alcune espressioni presenti nei messaggi pubblicitari vengono spesso adottate dai ragazzi. Come vedremo, questi due linguaggi interferiscono l'uno con l'altro in maniera da rendere molto difficile stabilire quale dei due influenzi veramente l'altro. Infatti, possiamo riscontrare una certa influenza della lingua della pubblicità sui linguaggi giovanili, ma nello stesso tempo possiamo dire che la pubblicità attinge, volontariamente e consapevolmente, parte della terminologia giovanile, per raggiungere i suoi scopi.
  Prima di addentrarci in tale riflessione dobbiamo definire, come abbiamo fatto per il linguaggio pubblicitario, che cosa si intende per "linguaggio giovanile", quali sono le sue caratteristiche, le fonti da cui attinge, il prestito da altri linguaggi (fra cui quello della pubblicità), le funzioni e le finalità di tale linguaggio, le nuove forme di comunicazione dei ragazzi di oggi. Infine, si parlerà dei rapporti fra linguaggio giovanile e lingua comune.


  Sommario del capitolo 3º: "Linguaggi Giovanili"


  Sommario del capitolo 3º: "Linguaggi Giovanili"


3. LINGUAGGI GIOVANILI
3.1 Gli studi in Italia
3.2 Problemi di definizione del linguaggio giovanile
3.2.1 Definizione di "linguaggio giovanile"
3.2.2 Caratteristiche linguistiche ed extralinguistiche del linguaggio giovanile
3.2.3 Le fonti del linguaggio giovanile
3.2.4 Internazionalismi nel linguaggio giovanile
3.3 Funzioni e finalità del linguaggio giovanile
3.4 Rapporti fra linguaggio giovanile e lingua comune
3.4.1 Le nuove forme di comunicazione giovanile e i linguaggi dei giovani d'oggi
3.4.2 Influenza del linguaggio giovanile sulla lingua comune


Sommario Generale


3.1 - Gli studi in Italia


  In Italia gli studi sull'argomento seriamente fondati sono ancora molto pochi. Del resto bisogna dire che la tradizione di studi sui linguaggi giovanili, al contrario di altri paesi quali ad esempio la Germania, è alquanto recente. Fino a una ventina di anni fa erano pochi, insufficienti, frammentari e inadeguati. Ricordiamo due raccolte di termini giovanili: Lanza (1977) e Manzoni–Dalmonte (1980). Tuttavia, tali studi appaiono ancora insufficienti a definire il linguaggio giovanile, soprattutto da un punto di vista nazionale. Il primo importante lavoro in materia è quello di Coveri (1983), cui sono seguiti altri lavori di Mastrangelo Latini (1989) su Roma, di Banfi (1992) su Trento e, ancora, di Coveri (1992) su Genova e Liguria. Fra i diversi lessici: Forconi (1988), Giacomelli (1988) e quello più recente di Manzoni (1997). Altri importanti interventi provengono da Mosca (1978), Danesi (1989), Coveri (1991c), Cortelazzo (1992), Finessi (1992), Livolsi–Bison (1992), Sobrero (1992), Mininni (1993), Titone (1995), Banfi (1997). Ricordiamo due convegni sul linguaggio giovanile (Menaggio–Villa Vigoni 1990 e Trento 1991) e un recente seminario organizzato dalla Enciclopedia Treccani. Inoltre di rilevante importanza l'idea del primo dizionario on–line dello slang under 18, venuta al professore Michele Cortelazzo, che ha coordinato recentemente una ricerca condotta dagli studenti dell'Università di Trieste sul lessico di 1200 ragazzi, con l'intenzione di raccogliere le parole della lingua degli adolescenti apprendendole "alla fonte", dai diretti interessati.
  Il linguaggio dei teen ager è una istruttiva bussola per sociologi, osservatori del costume, linguisti, ed oggi pare più che mai al centro dell'interesse generale per la sua creatività e innovazione. Gli studi sui linguaggi giovanili, in passato, utilizzavano delle fonti di tipo indiretto, quali ad esempio, come afferma Coveri (1992, 61), le fonti letterarie. Fra le fonti dirette, che sono, invece, più "nuove", riscontriamo quelle dei media e dei nuovi media che riguardano ad esempio il cinema (da Verdone all'ultimo film del Piotta, Il segreto del giaguaro); i DJ; i gruppi musicali (da Vasco Rossi a Jovanotti, dagli Articolo 31 al Piotta); la stampa giovanile; le scritte sui muri, sugli zaini, sulle T–shirt, sulle banconote; le agende–diario (Smemoranda); la messaggistica telematica (e–mail) e dei telefonini (SMS).
  Oggi è in qualche modo aumentata l'attenzione nei confronti dei giovani e, come dice Coveri (1992, 59), "nessuno mette più in dubbio la centralità del fenomeno giovanile nella società, nella cultura, nel mondo dei consumi, nei media: al contrario, i giovani sono scrutati, interrogati, vezzeggiati, spesso manipolati, più raramente ascoltati".


3.2 - Problemi di definizione del linguaggio giovanile


3.2.1 - Definizione di "linguaggio giovanile"


  Prima di definire cosa sia il "linguaggio giovanile" dobbiamo in qualche modo avere chiaro cosa si intende con la categoria "giovane".
  Se consideriamo il bruto dato anagrafico, possiamo considerare "giovani" i cosiddetti teen agers, ossia coloro che hanno un'età compresa fra gli 11 e i 19 anni circa e che vanno dalla scuola media alla scuola media superiore. Tuttavia, l'etichetta "giovane" risulta molto ambigua: se rientrano nella categoria i soggetti che si trovano nella fase di passaggio dalla adolescenza all'età adulta, come si fa a definire tale fase di passaggio?
  Il dato anagrafico risulta insufficiente a chiarire una realtà socio–culturale estremamente complessa. Con "giovani" non si deve intendere un'entità omogenea. Risulta più utile parlare di segmenti di età difficilmente affini, di "segmenti di realtà giovanile" (Livolsi–Bison 1992, 149). Non esiste, cioè, un livello omogeneo comune a undicenni e ventenni. Esiste certamente un problema di definizione in quanto quella dei giovani non è da considerarsi una categoria sociale ma un periodo transitorio. Infatti, "le ricerche sui giovani concordano almeno su un punto: e cioè che ‘i giovani' non esistono; o, per meglio dire, che ci sono molte tipologie di giovani, spesso difficili da accomunare le une alle altre. Così, quando si parla di ‘giovani', si intendono realtà molto diverse; sotto l'etichetta ‘giovani' si collocano, ad esempio, sia i pre–adolescenti che gli adolescenti o i post–adolescenti" (Livolsi–Bison 1992, 149).
  Chi dobbiamo dunque far entrare in tale etichetta? Oggi essere giovani è una condizione diversa da quella pre–sessantottesca. Prima del '68, infatti, il "livello di omogeneizzazione tra i modelli linguistici degli adulti e quelli dei giovani era assai alto" e i giovani, "anche linguisticamente, erano "entro" le regole del sistema: la "trasgressione" era un fatto piuttosto marginale, limitato a poche eccentriche "schegge" giovanili" (Banfi 1997, 153). La realtà di oggi è assai diversa. Dopo lo scossone del '68, che ha posto per la prima volta nella storia sociale il "problema giovani", con tutti i bisogni ad essi legati (indipendenza, autonomia, identificazione), e con la perdita della capacità di controllo e di orientamento delle centrali educatrici tradizionali (famiglia, scuola, istituzioni), si assiste alla cosiddetta "Sindrome di Peter Pan". Il cammino verso l'età adulta è più lento rispetto al passato ed oggi si rimane nella "dimensione giovani" anche quando anagraficamente giovani non si è più (Banfi 1997, 153).
  Parlando di linguaggi giovanili, sorge un problema di definizione. Bisogna parlare di "linguaggio dei giovani" o di "linguaggio giovanile"? Si tratta di due diverse categorie che possono, anche se non necessariamente, coincidere. Come dice Banfi (1997, 155), con il termine "linguaggio dei giovani (o, meglio "italiano dei giovani")" va inteso "un continuum di varietà che coincide, in buona misura, col continuum delle varietà dell'italiano di tutti". Invece, per "linguaggio giovanile in senso stretto" si intende "quella varietà di lingua utilizzata, in modo più o meno ampio e costante – ma quasi sempre nelle relazioni del gruppo dei pari – da adolescenti e postadolescenti; varietà che appare individuata soprattutto da specifiche peculiarità lessicali, fraseologiche (in misura minore morfosintattiche)".
  Il linguaggio giovanile non va però considerato come un vero e proprio linguaggio, ma un "modo di parlare", di comunicare soprattutto a livello conversazionale. È quella varietà di lingua usata in maniera più o meno continuativa dai ragazzi quando parlano tra loro.
  Considerando la funzione criptica, il linguaggio giovanile può essere inserito nella tipologia dei gerghi. Nello schema delle nove varietà dell'italiano contemporaneo di Berruto (1997, 21) il linguaggio giovanile fa parte di quello che l'autore chiama "italiano gergale" che racchiude "varietà colloquiali–espressive proprie di categorie o gruppi particolari di utenti, che ai tratti dell'informale trascurato aggiungono tipicamente un lessico peculiare, valido sia per affermare e rinforzare il senso di appartenenza al gruppo; sia per manifestare una sorta di contro–cultura o anti–cultura polemica, contestatrice o dissacratrice nei confronti della cultura standard; sia, nei casi più forti, per impedire la partecipazione alla comunicazione ai membri estranei al gruppo o alla categoria. Si tratta di un polo di varietà molto poco stabili, transeunti, mutevoli col mutare del gruppo e dei valori attorno a cui esso si consolida" (Berruto 1997, 25). Il gergo ha una funzione criptica, ossia tende ad escludere gli altri dalla comunicazione. Tale funzione è evidente se facciamo riferimento ai gerghi storici (il gergo della malavita, i gerghi di mestiere con cui venivano trasmessi i segreti del mestiere di generazione in generazione). Tra i gerghi moderni ricordiamo il gergo di caserma, che però differisce dai linguaggi giovanili in quanto il primo rimane sostanzialmente lo stesso, i secondi cambiano. Parlare di "gergo giovanile" è, secondo me, improprio dal momento che la funzione prevalente del linguaggio giovanile è, come vedremo (cfr. 3.3), quella ludica e non quella criptica.


3.2.2 - Caratteristiche linguistiche ed extralinguistiche del linguaggio giovanile


  Consideriamo adesso le caratteristiche di tale linguaggio. Parlando di caratteristiche generali ci si riferisce a quei tratti tipologici che ritroviamo in tutti i linguaggi giovanili (non solo quello italiano). Edgar Radtke (1992) si è occupato della dimensione internazionale del linguaggio giovanile e quindi delle convergenze e dei parallelismi a livello europeo. Egli individua diverse caratteristiche a livello internazionale (cioè presenti anche nei linguaggi giovanili di altri paesi). Sono caratteristiche linguistiche ed extralinguistiche.
  Prendendo in considerazione gli aspetti linguistici troviamo:

  Il linguaggio giovanile è costituito anche da aspetti extralinguistici:

  Riguardo a queste ultime osservazioni, è importante individuare quali sono le caratteristiche che distinguono i linguaggi giovanili da un punto di vista sociolinguistico.

Tabella 3: Caratteristiche generali dei linguaggi giovanili.
Caratteristiche Linguistiche Uso frequente della metafora
Poche varianti semantiche
Tendenza all'uso effimero di alcuni lessemi
Caratteristiche Extralinguistiche Mancanza di storia linguistica dei linguaggi giovanili
Fattori psicologici (ricerca di identità)
Fattori sociologici (appartenenza a un gruppo)

  Secondo Sobrero (1992, 45–46), ci sono cinque parametri che distinguono i linguaggi giovanili dalle altre varietà della lingua comune:

  1. Bacino d'utenza: può essere suddiviso in due parti, i giovani in generale e i singoli gruppi in particolare. Il linguaggio giovanile si costituisce sulla osmosi fra singoli parlanti, piccoli gruppi di giovani e determinati ambienti da essi frequentati quali la scuola (ambiente più frequentato), la musica (che crea aggregazione), la caserma (rito di passaggio dall'adolescenza all'età adulta), i movimenti politici (non tanto per la loro funzione ideologica quanto per quella aggregante), lo sport, il peer group, che "ha la funzione di consentire l'affermazione dell'Io all'interno di un gruppo (essenziale nella pre–adolescenza)" (Sobrero 1992, 46). Di solito ogni gruppo di giovani ha un luogo preciso in cui incontrarsi. Tale luogo è il simbolo della coesione del gruppo: il bar, il muretto, le scale della parrocchia.

  2. Intenzioni: quali sono le funzioni che contraddistinguono il linguaggio giovanile? Secondo Sobrero, rispetto a quella criptica, per cui vale l'etichetta di "gergo", e che nel linguaggio giovanile è "solo apparente", la funzione prevalente è quella ludica: l'impenetrabilità di tale linguaggio non è fine a sé stessa ma "fa parte del gioco" (Sobrero 1992, 47).

  3. Finalità: all'interno del gruppo dei giovani ci sono due finalità precise, una di tipo sociale e l'altra di tipo personale. La prima è orientata sia all'interno che all'esterno del gruppo. All'interno per rafforzarlo, per aumentare l'unità, la coesione; all'esterno per contrapporsi a chi è estraneo al gruppo (che possono essere sia gli adulti, sia altri gruppi di giovani, insomma gli "intrusi"). La finalità personale riguarda, invece, l'affermarsi a livello individuale di una propria identità all'interno del gruppo "di delimitazione del proprio territorio all'interno di quello del ‘branco'" (Sobrero 1992, 47). In ogni gruppo di giovani ognuno si crea un proprio personaggio (il "gaggio", il "coatto", il "pariolo" o "preciso", il "buffone–pagliaccio", il "mollicone" o "provolone", ecc.).

  4. Variabilità: è un'altra caratteristica distintiva del linguaggio giovanile. I linguaggi giovanili sono variabili nel tempo, nello spazio, nella società e nel tipo di aggregazione. Nel tempo in quanto in ogni periodo abbiamo linguaggi giovanili diversi. La periodizzazione proposta da Sobrero (1992, 47) è: "1) la goliardia pre–'68; 2) il sinistrese; 3) il riflusso (dalla fine degli anni Settanta); 4) il post–moderno (paninari, punk, dark, ecc.): ad ogni cambiamento di periodo corrisponde una ‘sterzata' del giovanilese, in armonia con le mutazioni esterne (ideologia, costume, ecc.)". I linguaggi giovanili sono, poi, variabili nello spazio in quanto essi cambiano non soltanto da una nazione all'altra, ma anche, considerando il nostro paese, da Nord a Sud, da città a campagna. Sono più diffusi al Nord rispetto al Sud, nelle città rispetto alla campagna. Sono variabili nella società in quanto un giovane che appartiene ad un ceto medio, con un medio grado di scolarizzazione, è sicuramente diverso per cultura, modo di pensare, modelli di riferimento. Ciò, naturalmente, influisce sul loro modo di parlare. Infine, i linguaggi giovanili sono variabili nel tipo di aggregazione che influisce sulle strutture della lingua dei giovani.

  5. Vitalità: i linguaggi giovanili differiscono da altre varietà della lingua comune anche per la loro vitalità. In confronto alla lingua comune, il lessico di tali linguaggi ha una dinamica linguistica molto più veloce. I termini "giovanili" hanno un ciclo di vita molto breve. Come dice Sobrero (1992, 49) "termini come matusa ‘anziano, genitore' o nisba ‘niente', che erano termini–chiave del giovanilese negli anni Sessanta ed erano ancora usati negli anni Settanta ora sono pressoché sconosciuti".

  Come abbiamo visto, questi cinque criteri distinguono i linguaggi giovanili da altre varietà della lingua comune: mentre l'ultimo che abbiamo analizzato (la vitalità) è di tipo strettamente linguistico, i primi quattro (bacino d'utenza, intenzioni, finalità e variabilità) sono di tipo sociale.
  Considerando le caratteristiche strettamente linguistiche dei linguaggi giovanili, possiamo dire che sul piano lessicale troviamo gergalismi (sballo); dialettalismi (accannare); forestierismi (down); eufemismi (casino); latinismi e cultismi (ad es. sodomizzo); alcuni giochi lessicali nel processo di formazione delle parole fra cui le affissazioni in –oso, –aro, –ata, mega– (ad es. palloso, metallaro, cavolata o megagalattico) finalizzate all'esagerazione semantica; sincopi (inascoltable invece di "inascoltabile"); apocopi e abbreviazioni (para invece di "paranoia", prof invece di "professore"); deformazioni giocose (iao, arrapescion, cucadòr); iperboli (allucinante, mega, bestiale, pazzesco, mostruoso).
  Sul piano semantico frequenti sono le estensioni di significato (ad es. godo "sono contento"), le esagerazioni (spacco tutto, bestiale), le metafore e i cambiamenti semantici (il significato viene cambiato; ad es. in parole come gasarsi "esaltarsi", o tagliarsi "morire dal ridere").
  Sempre dal punto di vista linguistico, oltre al livello lessicale risulta interessante il livello fonematico del linguaggio giovanile. Tuttavia, bisogna dire che la dimensione lessicale e di semantica lessicale ha finora predominato su quella fonematica. Sarebbe invece utile e interessante considerare anche i fatti di pronuncia e di intonazione. Ad esempio il modo di pronunciare l'affermazione "si" e la negazione "no" che subiscono degli allungamenti vocalici (seeee…, naaaa…). Pronuncia e intonazione costituiscono dei fattori molto importanti del modo di parlare dei giovani.


3.2.3 - Le fonti del linguaggio giovanile


  Un quesito ricorrente fra gli studiosi del linguaggio giovanile riguarda le fonti di tale linguaggio. Ogni linguaggio giovanile, come dice Sobrero (1992, 49), "riceve apporti sia dalle varietà sincroniche della lingua e del dialetto, sia da varietà diacroniche giovanili". Tutto ciò avviene senza un preciso rapporto gerarchico, anzi i materiali che confluiscono nei linguaggi giovanili "si fondono e si confondono, come le acque di più immissari in quelle del lago" (Sobrero 1992, 49).
  Come abbiamo visto, i linguaggi giovanili si distinguono da altre varietà della lingua italiana, ma molti materiali di quest'ultima costituiscono la base comune di ogni linguaggio giovanile. Fra le varietà della lingua italiana usate come fonti ricordiamo:

  Altre fonti provengono dai gerghi. I giovani utilizzano spesso nella loro parlata espressioni gergali (ad esempio dal gergo dei drogati sballo).
  Oltre ai gergalismi, una componente importante del lessico giovanile sono i dialettalismi. Nel vocabolario on–line curato da Cortelazzo emergono molte parole dialettali. Fra queste ricordiamo brevemente: accannare, aggiustarsi, ammuccare. I giovani fanno un uso gergale dei dialetti, ossia, riprendono voci dialettali e le gergalizzano. Molto spesso tale procedimento di gergalizzazione avviene per effetto dei mass media, che mediano tali parole. Per fare un esempio il "Gabibbo" ha introdotto termini che appartengono ai dialetti tradizionali delle vecchie generazioni (besuga). Come dice Sobrero (1992, 50), il "termine dialettale, inserito all'interno di un contesto non dialettale, acquista una connotazione ‘giovanilese' fra lo scherzoso, l'espressivo e il gergale".
  I ragazzi di oggi sembrano proprio dei prestigiatori. Mescolano con ironia e spontaneità termini appartenenti alle costellazioni più diverse. Dai fumetti alla musica, dal cabaret televisivo alla pubblicità. L'influsso più prepotente sembra derivare dal mondo della musica e dei fumetti ma non va sottovalutata l'influenza da parte dei media, in modo particolare la televisione. Riguardo all'importanza di quest'ultima ricordiamo programmi come "Striscia la notizia" di Antonio Ricci. Il linguaggio usato dai comici di queste trasmissioni ha una grandissima influenza e un grande carisma sui ragazzi. Si pensi inoltre alla fortuna che sta avendo il trio di "Aldo Giovanni e Giacomo" i cui modi di dire sono molto usati dai giovani. Di questo si è accorta la pubblicità che sfrutta tali espressioni per catturare l'attenzione dei giovani e per divertirli (ad es. lo spot di "Yomo", cfr. Appendice I).
  Molte espressioni entrano rapidamente in circolazione ma, altrettanto rapidamente spariscono per la loro natura effimera. I giovani hanno bisogno di usare termini e modi di dire da ripetere, che gli vengono offerti da programmi di questo genere ma soprattutto dalla pubblicità, la quale, soprattutto quando è rivolta proprio ai ragazzi, può offrire un importante modello. I media, all'interno dei quali la pubblicità occupa ampio spazio, costituiscono dunque un modello importante cui i giovani attingono.
  Parlando di mass media e di pubblicità, viene naturale chiedersi dove arriva il modello e dove lo specchio. Ossia, i massa media sono modello cui i giovani attingono o semplice specchio che ne riflette gli usi linguistici? Sicuramente sono entrambe le cose e vedremo come la pubblicità offra un modello ai ragazzi (cfr.
4) ma, al tempo stesso, rifletta gli usi linguistici giovanili (cfr. 5).


3.2.4 - Internazionalismi nel linguaggio giovanile


  L'uso di prestiti da parte dei giovani è un fenomeno che, come ha rilevato Radtke (1992), ritroviamo a livello internazionale.
  Si può dire che esista prestito nel linguaggio giovanile in quanto in esso ritroviamo dei forestierismi. L'influenza più forte sui ragazzi proviene dalla cultura angloamericana ed in particolare c'è una tendenza, tipica di tale linguaggio, a una vera e propria "anglomania". Manzoni (1997) rivela alcune espressioni giovanili provenienti dall'inglese: down, glam, glovvv!, jamparround, jobber, keik¸ lullaby, out, over, rave, trash, trendy, ecc.
  Legato al fenomeno dell'anglomania è sicuramente quello della musica ascoltata dai ragazzi che agisce come collante, aumentando la coesione e la solidarietà fra i giovani. Si è venuta a creare, dagli anni del dopo guerra in poi, una vera e propria cultura musicale giovanile, costituita dai diversi tipi di musica che offrono i rispettivi anglicismi. Fra gli innumerevoli tipi di musica ascoltati dai ragazzi ricordiamo: jazz, rock and roll, pop, underground, acid rock, punk, heavy metal, reggae, rap, ecc. (Radtke 1997, 216). A questa lista possiamo aggiungere musica house, country, black, progressive e altre.
  Insieme alla musica anche l'influsso dal gergo della droga offre degli anglicismi quali ad esempio flash "il primo momento dello sballo, il più intenso, quando la droga ha il massimo della potenza" (Giacomelli 1988, 136): ricorrente nel modo di parlare dei ragazzi è l'espressione flesciare nel senso di "prendere una cosa per un'altra" (ad es.: "ho flesciato mi sembrava un gatto invece era un topo"). Un altro esempio può essere fornito dall'espressione mi intrippi "mi piaci molto", dall'inglese trip "viaggio". O ancora dall'ingl. to sniff l'espressione sniffare "tirar su la droga col naso" (Giacomelli 1988, 169).
  Gli anglicismi provengono anche dall'influsso dei linguaggi settoriali sui linguaggi giovanili. Si pensi ad esempio al settore dell'informatica da cui provengono molti termini inglesi usati dai ragazzi: hardware "aspetto fisico" (Giacomelli 1988, 141), un bit " un attimo", è stato un floppy "non è andata"(Cortelazzo 1992, 72).
  Anche dal mondo dei fumetti affiorano anglicismi. Si pensi ad ideòfoni quali ad esempio gulp, slurp, smack, sob.
  Come possiamo vedere, l'influsso della lingua inglese sul linguaggio giovanile è molto rilevante. È ricorrente che, nei messaggi dei ragazzi, affiori qualche parola inglese. Se si pensa alle varie forme di comunicazione giovanile (scritte sui muri, messaggi telefonici, scritte sui diari, ecc.), in esse è sempre presente una qualche evocazione di inglese (kiss invece di "bacio", tonight invece di "questa notte", OK invece di "va bene", thanks invece di "grazie").
  Se gli anglicismi prevalgono nel linguaggio usato dai teen ager, i termini ispirati dallo spagnolo sono in aumento, forse sulla scia del successo della musica latino–americana. Sono, infatti, entrati nel parlato quotidiano dei ragazzi espressioni quali nada per dire "no", o las guardias per dire "i bidelli scolastici" (Marchesini 1995, 63). Altri esempi di ispanismi: adios per dire "arrivederci", o amigos che vuol dire "amico" (Manzoni 1997); o, ancora: mucho gusto "va bene", me gusta "mi piace" (Banfi 1992, 127).
  Spesso però tali termini non sono accompagnati da una perfetta conoscenza delle lingue da parte dei ragazzi. Il ragazzo, per così dire, "mastica" la lingua straniera ma non la conosce sufficientemente, si avvicina ad essa ma non la conquista e, in tal modo, finisce per farne un uso deformato (si pensi ad arrapescion per l'inglese e cuc(c)adòr o non tengo dinero per lo spagnolo).
  Il motivo del prestito da parte dei giovani è strettamente legato ad un fattore psicologico: il giovane, usando dei termini stranieri, si sente più "avanzato", più nuovo rispetto alla banalità e conformità della lingua standard e soprattutto rispetto al mondo adulto. Come dice Radtke (1992, 26), i "prestiti funzionano da elementi–chiave di una sottocultura che si pone, come primo obiettivo, il superamento della dimensione provinciale". Questo inoltre fortifica l'identità e il senso di appartenenza al gruppo.


3.3 - Funzioni e finalità del linguaggio giovanile


  Una domanda molto ricorrente fra gli studiosi del linguaggio dei giovani è volta ad individuare perché i ragazzi utilizzano un certo tipo di linguaggio e un codice spesso incomprensibile e impenetrabile. I giovani, quando parlano fra di loro, possono avere diversi scopi. Le funzioni prevalenti del linguaggio giovanile sono almeno tre:

  1. La funzione criptica: i giovani userebbero un certo tipo di linguaggio come codice segreto. C'è chi, come Berruto (1997, 25), parla di "gergo giovanile". Tale espressione è, tuttavia, impropria. Mentre infatti il gergo ha come scopo principale quello di escludere gli altri dalla comunicazione, tale funzione non è quella che prevale quando i ragazzi parlano fra di loro. Certo non si può fare a meno di considerare tale funzione se si pensa al mondo dei giovani di oggi. È un mondo a sé stante, che vuole esprimere la distanza e l'indifferenza nei confronti di ogni forma di partecipazione (dalle forme più o meno diffuse di astensionismo politico ed elettorale, al progressivo indebolirsi di un dialogo e di un rapporto comunicativo con le istituzioni, con la società e con il mondo adulto in generale). Tali fattori possono influire sulla lingua, che dipende inevitabilmente dal contesto psico–sociale. Nonostante ciò, i ragazzi utilizzano un certo tipo di linguaggio non con lo scopo, intenzionale e consapevole, di rendere "segreta" la comunicazione. È vero ed inevitabile che tale linguaggio risulti incomprensibile agli adulti, o a chi non fa parte del gruppo, ma questa impenetrabilità non è fine a sé stessa; fa parte di un vero e proprio gioco.

  2. La funzione ludica: dietro ad una apparente funzione criptica, è questa la funzione che prevale nel linguaggio giovanile. Il linguaggio giovanile non è un'anti–lingua nel senso che non si prefigge nessuno scopo di opposizione. Tale scopo poteva, semmai, appartenere ai giovani del '68. Oggi, in una situazione non di contrasto, ma di completa indifferenza verso il mondo adulto, crediamo sia più opportuno considerare l'aspetto giocoso di tale linguaggio. Il linguaggio giovanile ha, infatti, una spiccata componente giocosa, particolarmente espressiva, fra lo scherzoso e il dissacrante, fra l'ironia e il cinismo. È un linguaggio apparentemente basato su un atteggiamento demenziale, ma in realtà è veloce, creativo, basato sul gioco, sull'umorismo, sull'allusività. Basti pensare ai diversi giochi di parole, alle deformazioni giocose che caratterizzano i meccanismi semantici e di formazione delle parole. Si pensi all'uso deformato di lingue straniere (cfr. 3.2.4) o all'uso di eufemismi e disfemismi (i genitori diventano i sapiens quasi per ridicolizzarli). Certamente i teen ager "maneggiano il linguaggio con acrobatica disinvoltura e accanito compiacimento. E se consumano le trovate con capricciosa intemperanza, la dimensione del gioco resta intatta attraverso le stagioni" (Marchesini 1995, 63).

  3. La funzione di identificazione: i ragazzi utilizzano spesso un determinato linguaggio per rafforzare l'appartenenza ad un gruppo. Tendono a distinguersi dal mondo adulto e questo non solo "esteriormente" (modo di vestirsi, capelli e "pizzetti" colorati, piercing, tatuaggi), ma anche e soprattutto dal punto di vista linguistico. L'uso di un certo linguaggio è dettato dalla volontà di consolidare l'identità del gruppo rispetto all'esterno. In altre parole, il linguaggio giovanile è uno strumento usato dall'adolescente per differenziarsi dal mondo degli adulti, non con lo scopo di non farsi capire, ma di rafforzare l'appartenenza al gruppo e crearsi una propria identità. L'uso di tale linguaggio nasce dal bisogno che il gruppo sia riconoscibile e soprattutto si distingua. Nasce dunque dalla necessità di identificazione e ricerca di identità: "il linguaggio è uno strumento indispensabile alla strutturazione stessa del gruppo, in quanto con la sua carica cementificante consente processi di identificazione, sviluppa sentimenti di appartenenza, individua le ragioni della coesione e della solidarietà" (Mininni 1993, 83).

  A queste funzioni se ne potrebbe aggiungere una quarta:

  1. La funzione espressiva e autoaffermativa: il ragazzo, quando parla, tende "ad affermare il suo personale pensiero, il quale a sua volta è indissolubilmente avviluppato nel suo personale modo di sentire" (Titone 1995, 12). Gli adolescenti parlano un linguaggio molto spontaneo, veloce, creativo, dalle strutture semplificate e dalle intonazioni e modulazioni della voce molto espressive. Tutto ciò rivela un forte bisogno di manifestare esternamente sentimenti molto intensi. Basti pensare al modo con cui i ragazzi accentuano in modo eccessivo le parole con un forte contenuto emotivo, prolungando le vocali toniche (ad es. Stupeeendooo!); o all'uso di interiezioni, esclamazioni e imprecazioni che "riflettono la necessità degli adolescenti di attrarre continuamente l'attenzione sui loro sentimenti, sulle loro opinioni, o atteggiamenti" (Danesi 1989, 41–42).


3.4 - Rapporti fra linguaggio giovanile e lingua comune


3.4.1 - Le nuove forme di comunicazione giovanile e i linguaggi dei giovani d'oggi


  Le forme di comunicazione giovanile sono numerose e difficilmente possono essere inquadrate in categorie rigide. Esse sono caratterizzate da una forte ricchezza espressiva. I ragazzi sperimentano sempre nuovi canali di espressione: musica, fumetti, graffiti, scritte sui muri, sui diari, sulle banconote, piercing, tatuaggi, moda, letteratura, Internet, messaggi sui telefoni cellulari e via dicendo. Si tratta di nuovi tipi di testi che sono in grado di promuovere innovazione linguistica.
  L'infinita gamma delle modalità comunicative dei ragazzi d'oggi sta crescendo a dismisura rispetto ai modi espressivi non solo delle vecchie generazioni, ma anche delle generazioni intermedie. I cambiamenti culturali si fanno notare nel linguaggio dei giovani.
  Come dice Simone (2000, 123–124), siamo di fronte a "cambiamenti nell'organizzazione del linguaggio, nella sua qualità e nel suo modo di ‘cogliere' le cose". Ne sono un esempio la posta elettronica e, più recentemente, gli SMS (Short Message System). Riguardo a questi ultimi, si è recentemente assistito ad una vera e propria inondazione. Si calcola che in Italia vengano scritti circa sei milioni di messaggi al giorno e si presume che la maggior parte di questi provenga dai ragazzi. Purtroppo tali messaggi di testo non possono essere oggetto di studi approfonditi dal momento che non si possono, per così dire, "spiare".
  Questi cambiamenti, cui sono esposti soprattutto i più giovani, "hanno modificato in profondità il concetto stesso di ‘lettera' e il modo di scrivere epistolare. Abbreviazioni più o meno scherzose, simboli, formule fisse hanno preso ormai piede tra le usanze linguistiche" (Simone 2000, 124). Per la necessità di comporre testi brevi, in tali messaggi si ricorre spesso a segni del tipo "+" (più) o "×" (per), che, fino a non molto tempo fa, erano ancora considerati di infima cultura. Un messaggio tipico in tal senso potrebbe essere il seguente: "Non posso + venire al cinema…× oggi sto a casa".
  Un altro interessante esempio è questo simpatico modo di scrivere "perché sei triste?":

×ké 6 :( ?

  dove "×ké" sta per "perché", "6" sta per "sei", i "due punti" e "la parentesi tonda aperta" stanno per "triste". Questo vale, naturalmente, anche per i messaggi via e–mail in cui si mescolano scritto e parlato, segni, icone, lettere.
  Tali messaggi costituiscono un chiaro segnale di cambiamento, cominciato con la disgregazione del rapporto fra pronuncia e rappresentazione grafica. La scrittura dei ragazzi di oggi non è fatta più solo di parole scritte, ma è una chiara mistura di segni di natura diversa di cui le lettere sono solo una parte. I giovani utilizzano con estrema libertà e spontaneità lettere, segni, icòne quasi aspirassero ad un specie di multimedialità grafica.
  Altre novità nelle modalità comunicative derivano dalle scritte sui muri. In realtà, esse hanno una lunga tradizione (si pensi ad esempio ai graffiti) ma, ultimamente, hanno subito una forte spinta grazie anche ad una loro caratteristica: l'anonimato di chi scrive. Chi scrive può esprimere liberamente una sua idea su un partito, su uno stato d'animo o sull'amore senza che sia identificato. L'idea è espressa nella forma rapida e veloce dello slogan pubblicitario, tanto che le scritte sui muri sono paragonabili alle affissioni pubblicitarie. Questo per ovvi motivi: lo spazio fisico occupato, la fusione di parola e immagine, il tentativo di attirare l'attenzione involontaria dei passanti (Bruni 1987, 121). La scrittura sui muri è certamente una modalità di comunicazione aggressiva, tipicamente giovanile e rivolta al pubblico, che indica un insopprimibile bisogno di scrivere, di farsi sentire, di comunicare.
  Stesso bisogno di comunicare lo ritroviamo nelle scritte sulle banconote. Porto l'esempio di una banconota da mille lire che mi è capitata sotto mano e su cui c'era scritto "× favore se qualcuno legge queste parole pensi almeno 1 istante a me" (Immagine 1).
  Stesso discorso per le scritte sui banchi e sugli zaini di scuola, sui diari quali la famosa "Smemoranda" (Immagine 2). In particolare, sui diari i ragazzi scrivono e fanno scrivere ai loro amici le loro idee, i loro stati d'animo, mettendoci dentro tutta la loro immaginazione.
  Tutti questi esempi indicano il bisogno dei giovani di occupare gli spazi per marcare la loro presenza come gruppo nel territorio.
  Scrivere lo spazio è per Mininni (1993, 81) "un indice dell'adolescenza di chi non può (e/o non sa) gestire i canali della comunicazione socialmente accettati, per cui tenta di appropriarsi di ogni forma residuale per scaricarvi ora tensioni sovversive ora aneliti derisori".
  Dunque, oggi sono sorte nuove modalità di comunicazione giovanile. Si dice che i giovani di oggi scrivano poco. Non è vero. I ragazzi scrivono tanto ed hanno una forte, e direi violenta, spinta a scrivere, a comunicare. Non è che scrivano di meno, ma lo fanno in modo del tutto diverso dalle vecchie generazioni: dai diari alle scritte sui muri, dai banchi di scuola alle banconote, dai messaggi dei telefonini ad Internet, fino ad arrivare a scrivere sulla loro stessa pelle attraverso piercing e tatuaggi.
  Tutti questi messaggi che abbiamo visto sono destrutturanti in quanto i ragazzi frantumano le grammatiche della lingua degli adulti e, in tal modo, si distinguono da questi. Le modalità comunicative dei giovani d'oggi si distinguono da quelle non solo degli adulti di oggi, ma anche dei giovani di qualche generazione fa.
  Simone (2000, 127), ci spiega come, "negli ultimi decenni del secolo XX, le generazioni giovani hanno adottato usanze comunicative totalmente diverse da quelle dei loro genitori (e più ancora dei loro nonni) e si stanno spostando gradualmente verso una sponda oltre la quale c'è il silenzio". Egli cerca di discutere l'opposizione fra due diversi modelli di pensiero e di uso del linguaggio appartenenti a generazioni diverse: il modello proposizionale delle generazioni passate (basato sul paradigma della lucidità) e quello non–proposizionale delle ultime generazioni (basato sul paradigma della fusione). L'atteggiamento proposizionale è analitico, strutturato, gerarchico e referenziale. Al contrario L'atteggiamento non–proposizionale è generico, rifiuta la struttura e la gerarchia, è vago dal punto di vista referenziale. Il modello cognitivo delle nuove generazioni si basa più sulla fusione e la semplificazione, che sulla distinzione, l'analisi, la gerarchizzazione, la strutturazione. Preferisce, cioè, strutture lineari a strutture complesse, preferisce fondere che analizzare. Tale atteggiamento "si ispira quindi a una sorta di generale Massima di Fusione. Per effetto di questa, tutto si presenta in una massa indistinta, tutto è in tutto, e analizzare, gerarchizzare e strutturare è inutile o illecito. L'analisi sciupa la percezione e la ricchezza dell'esperienza" (Simone 2000, 130–131).
  Questo orientamento può riscontrarsi nel rifiuto delle buone maniere linguistiche, soprattutto nel modo di salutare e di rivolgersi ad un adulto rispetto a un coetaneo. C'è un'incapacità, o meglio una mancata volontà, di distinguere le persone a cui va detto "buongiorno" dalle persone cui va detto "ciao". I linguaggi dei giovani costituiscono un modo di comunicare che elimina ogni differenza fra formale e informale. L'uso del "tu" invece che del "lei", del "ciao" invece che del "buongiorno", esprime proprio questa preferenza per l'informalità, la spontaneità, la familiarità. I giovani cercano di rimuovere le regole del parlato adulto, caratterizzato da un alto grado di formalità e di gerarchizzazione sociale: "tale tentativo rappresenta un'innovazione linguistica che annulla, nella comunicazione di tutti i giorni, la dicotomia formale vs. informale a favore di strategie di carattere informale anche in situazioni formali. Questo allargamento dei mezzi linguistici riservati a situazioni informali si manifesta attualmente anche nell'italiano contemporaneo dove, in meno di trent'anni, ciao è stato introdotto a livello nazionale come forma di saluto familiare" (Radtke 1997, 210). I giovani utilizzano, semplificandole, diverse strategie verbali per potenziare l'espressività e l'informalità del parlato. Fra queste strategie notiamo un tipo di organizzazione del parlato che si caratterizza per una scarsa pianificazione, soprattutto sintattica (ripetizioni, elisioni, risparmio di elementi per brevità), "come reazione alla provvisorietà della comunicazione della vicinanza" (Radtke 1997, 211).


3.4.2 - Influenza del linguaggio giovanile sulla lingua comune


  Abbiamo visto che il linguaggio giovanile si differenzia dalla lingua comune per diversi motivi (per non farsi capire dagli estranei, per gioco, per rafforzare l'identità e l'appartenenza al gruppo, per esprimere sé stessi).
  Ma il linguaggio giovanile, oltre a differenziarsi dalla lingua comune, esercita su di essa una certa influenza. Il tema che riguarda l'impatto che il linguaggio usato dai ragazzi produce, e in maniera sempre più evidente rispetto al passato, sulla lingua degli adulti, ossia sulla lingua comune, ha acquistato una rilevanza sempre maggiore ed è oggi di estremo interesse. Rispetto al passato, infatti, l'influenza del linguaggio giovanile sulla lingua comune è andato aumentando. Basti pensare alle numerose voci mutuate dal linguaggio dei giovani fra cui beccare, bestiale, casino, frana, gasato, goduria, imbranato, ecc.; o ancora espressioni come fuori di testa, cannare, libidine, alzare (Coveri 1992, 65). In particolare l'espressione fuori di testa "matto" fino alla fine degli anni Ottanta non era neanche conosciuta dagli adulti (Radtke 1997, 222).
  L'influenza del linguaggio dei giovani sulla lingua comune può essere notata anche se si pensa alla formazione di parole col suffisso in –oso, suffisso frequentemente usato dai ragazzi (ad es. palloso "noioso"). È infatti sempre più diffusa nel parlato colloquiale la presenza di neologismi quali ad esempio sciccoso o malavitoso. Frequente nel linguaggio dei giovani anche la affissazione in –aro (metallaro, casinaro) e in –ata (figata, cagata). Tali affissi possono essere accolti nell'italiano contemporaneo potenziandone la produttività (Radtke 1997, 223–24).
  Il linguaggio giovanile ha una certa influenza sulla lingua italiana. Esso rappresenta, infatti, una fonte di materiale lessicale innovativo, particolarmente espressivo, pratico, veloce, che può essere assorbito dalla lingua comune. Diversi sono i termini, fra cui profio o prof "professore", mate "matematica", drago o un dio "bravo, in gamba", che "sono ormai sul confine tra italiano paragergale giovanile e italiano colloquiale" (Berruto 1997, 157–58).
  Tale linguaggio produce importanti innovazioni e cambiamenti nel linguaggio adulto. Si pensi ad espressioni quali beccare nel senso di "incontrarsi, sentirsi, vedersi" (ci becchiamo domani) o come tipo usata come congiunzione (Ho comprato un cappello tipo questo) o, addirittura, in forma assoluta come risposta (domanda: hai preso anche tu una pizza come questa? Risposta: tipo); o ancora, parole come squillo nel senso di "telefonata" (fammi uno squillo più tardi). Queste ed altre parole provenienti dal linguaggio giovanile vengono, con sorpresa, adoperate dagli adulti come se appartenessero al proprio linguaggio. Sono cioè entrate in gran parte nel linguaggio adulto informale. Si sta verificando un passaggio di termini dal linguaggio giovanile al linguaggio comune. È stata infatti rilevata la presenza di termini giovanili nel dizionario a cura di Tullio De Mauro (1999) e riportato in Appendice VI. Ciò vuol dire che siamo di fronte ad una infiltrazione di neologismi di ambito giovanile nel lessico italiano standard, che segnala una certa vitalità e innovatività della lingua. I giovani diventano sempre più prepotentemente titolari di un potere di comunicazione che non è più di nicchia, ma socialmente e linguisticamente visibile.
  I linguaggi giovanili hanno, dunque, dato un nuovo profilo all'italiano contemporaneo, accelerando la sua dinamicità interna. In una fase caratterizzata da un profondo cambiamento e rinnovamento, che Berruto chiama processo di "ristandardizzazione" (Berruto 1997, 55), i linguaggi dei giovani sono pienamente coinvolti in tale processo, dal momento che introducono degli elementi di innovazione e rafforzano i cambiamenti in corso nell'italiano contemporaneo (Radtke 1997, 228).