Comune di SIDDI

   
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Tradizioni a Siddi

Lavoro di Fabio e Alberto della 3° di Ussaramanna.

Per descrivere le tradizioni di Siddi abbiamo pensato di rivolgerci ad una persona che ci potesse raccontare come venivano festeggiate le ricorrenze 50 anni fa.

Il signore che gentilmente ha accettato di essere da noi intervistata è nato e vive a tutt’oggi a Siddi; nel 1950, aveva 11 anni.

Questa che segue è la fedele trascrizione dei suoi ricordi.

Nel mese di gennaio, il giorno 20, in occasione della festa di San Sebastiano, sul tardi e solitamente dopo cena, si accendeva un gran falò, chiamato a Siddi "Su Fogadoi".

L’accensione del falò era riservata a una sola persona, e doveva essere esperta in materia, abile nella sistemazione dei rami, rami secchi, meno secchi, tronchi ecc., in quanto una volta acceso il fuoco le fiamme non dovevano spegnersi sino al completo incenerimento dei tronchi e dei rami.

Era poi consuetudine arrostire della carne e consumarla attorno ai resti del falò. Solitamente il pasto era accompagnato da vino, pane, formaggio e salumi.

A Carnevale i ragazzi indossavano vestiti dei genitori e andavano, senza maschera, a chiedere zeppole e altri dolci nelle case. Gli anziani facevano altrettanto indossando i vestiti più vecchi. Visitavano tante di quelle case da essere alla fine tutti ubriachi. Finivano la serata nell’osteria e si divertivano a rincorrere i ragazzini e far burle ai passanti.

Un altro periodo dell’anno che i ragazzi a quell’epoca vivevano con molta partecipazione era la Settimana Santa.

Infatti il Venerdì Santo e il Sabato Santo a Siddi, come nei paesi vicini, erano giorni di lutto per la morte di Gesù. Le campane restavano mute e l’orario delle funzioni religiose era scandito da gruppi di ragazzi che, con dei legni ai quali erano fissati maniglie di porte, i "matracasa" e "su strociarrà", giravano per le vie del paese creando un gran frastuono e che ripetuti in orari prestabiliti dal Sacerdote invitavano gli abitanti a recarsi in chiesa.

A maggio e giugno i ragazzi preferivano giocare all’aperto. In quei tempi le strade non erano ancora asfaltate, solamente la strada principale era di solito ricoperta di selciato. I ragazzi uscivano nelle strade polverose, facevano dei mucchi di polvere all’interno dei quali nascondevano delle fave.

Sul mucchio di polvere si lanciavano delle pietre piatte e le fave scoperte si recuperavano; vinceva chi riusciva a scoprire più fave

A novembre, per Tutti i Santi, i ragazzini chiamati "doppiadorisi" passavano di casa in casa chiedendo dei doni che consistevano in noci, mandorle, fichi secchi mele cotogne e melograno.

La notte tra Tutti i Santi e Tutti i Morti a casa si mangiava la pastasciutta e si doveva lasciare un piatto di pasta per i morti.

La notte di Natale si giocava con una piccola trottola chiamata "Su Baddarincu", sul quale erano segnate le tettere T = "tottu", M = "mesu", N = "nudda", P "poi". Una volta lanciato e persa la sua forza rotativa "Su Baddarincu" ricadeva su un lato e mostrando una faccia sulla quale era impressa una di queste lettere. Il giocatore aveva così diritto, nel caso di vincita, a tutta la posta o a metà posta, poteva pareggiare, non rimetterci nel caso della lettera sorteggiata fosse la N, oppure impinguare la posta con la lettera M "poi" (mettere, aggiungere).

Un altro gioco di Natale era il "Cavalieri in Potta". Si trattava di un semplice indovinello tra due giocatori. Uno di essi doveva indovinare il numero degli oggetti racchiusi nelle mani dell’altro giocatore, gli oggetti erano castagne, mandorle o noccioline.

Anche lo svolgimento del gioco era abbastanza semplice. "Cavalieri in Potta lassam’ intrai" era la frase con cui uno dei giocatori apriva il gioco. " cantu cin da dai?" rispondeva l’altro. A questa domanda seguiva, in risposta, un numero che il giocatore pensava corrispondesse agli oggetti contenuti nelle mani dell’avversario.

In caso di vincita, colui che indovinava prendeva l’intera posta e diventava "Cavalieri in Potta". Diversamente, era tenuto a dare all’avversario tante noccioline ecc. sino a raggiungere il numero esatto degli oggetti contenuti nella mani dell’avversario, sia che avesse sbagliato per eccesso o per difetto.

Come c’è oggi, racconta l’intervistato, anche allora la notte di Natale a mezzanotte si celebrava la Santa Messa. Le strade mancavano della pubblica illuminazione e quelle non ricoperte da selciato diventavano un pantano a causa delle piogge. Nessuno però tra ragazzi e ragazze rinunciava a partecipare alla Messa. I ragazzi, per l’occasione, si recavano in chiesa portando torce rudimentali accese per illuminare la strada, "I Mannugusu de cruccuri", mazzi di saracchio, molto efficaci e a combustione relativamente lenta.