Concludendo il suo bel saggio
sul cinema di Gianini e Luzzati, Sara Cortellazzo scrive: “Le loro opere
sembrano sollevare il sipario sull’immaginazione, aprendosi al mondo della
fiaba e a quello della tradizione popolare, ma nel contempo rivisitandoli
con sottile spirito ironico e leggero distacco critico. Un ‘teatralissimo’
sipario rosso cala a volte al termine della rappresentazione
cinematografica quasi a suggerirci che tutto ciò che abbiamo visto era
pura finzione. I personaggi escono di scena, ‘vanno a stuccarsi nei loro
camerini’. Si riposano in attesa che un nuovo sipario si sollevi sul
cinema dell’immaginazione”. Non si potrebbe dir meglio. E’ infatti il
teatro da un lato, la fantasia dall’altro – in uno stretto rapporto di
interdipendenza che ci dà di volta in volta il massimo della “teatralità”
e il massimo del “fiabesco” –, a costituire ciò che possiamo chiamare
l’essenza del cinema di Gianini e Luzzati.
Forse non si è scritto molto sulla loro opera cinematografica, o non
abbastanza, e questo lavoro della Coltellazzo è un ulteriore prezioso
contributo alla migliore conoscenza d’una poetica e d’una tecnica che si
configurano come un caso del tutto particolare, quasi unico, nella storia
del cinema d’animazione. E tuttavia sembra che si sia già detto tutto
quanto si doveva dire; che – in un certo senso – i loro film parlino un
linguaggio così netto, chiaro, inequivocabile, che non ha bisogno di altre
spiegazioni. La ragione è semplice,
o almeno così pare. Ed è una ragione che penso sia condivisa dagli stessi
autori, così schivi, di poche parole, limpidi e naturali come i loro
personaggi. La ragione, lapalissiana, è che ogni loro film, come ogni
fiaba che si rispetti, esaurisce totalmente al suo interno la sua stessa
ragione d’essere. Certo, possiamo – e dobbiamo – andare oltre il segno,
entrare nelle pieghe significanti per scorgere la natura dei significati;
ed è un’operazione critica ormai consueta, anche al di là dalle intenzioni
o dai limiti della semiotica contemporanea. Eppure non possiamo fare a
meno di tornare (di corsa, oserei dire) alla vivacità, alla “corposità”,
al fascino ineguagliabile di quei colori, quei ritmi, quei movimenti che
riempiono lo schermo come una superficie continuamente mutevole. Il fatto
è che l’aspetto fiabesco dei loro film, così calato nelle forme plastiche
dei personaggi e dei paesaggi, dei costumi e degli oggetti, è talmente
pregnante – appunto come in ogni fiaba classica – che si impone per se
stesso, al di fuori di qualsiasi costruzione ermeneutica. Tuttavia il lato
fiabesco della poetica di Gianini e Luzzati è appunto soltanto un lato,
non ne esaurisce la complessità. C’è, come si è detto, il lato teatrale,
che è quello proprio del teatro delle marionette. Ma anche qui, come nella
fiaba, il ciclo dei significati pare chiudersi su sé stesso, non rimanda
ad altro, se non alla generica simbologia dell’infanzia. Cosicché ci
lasciamo attrarre dalle storie e dai personaggi, dalle scenografie e dai
pupazzi disarticolati, come quando, piccini ci lasciavano attrarre dai
burattini o dalle marionette dei nostri teatrini familiari. Un gioco nel
gioco, un rimando continuo alla memoria, un divertimento che nasce e
finisce nello spazio e nel tempo d’un film di pochi minuti. Insomma il
cinema di Gianini e Luzzati –quei loro cavalieri e donzelle, maschere
della commedia dell’arte e personaggi dell’opera lirica, regine della
notte e buffi uomini pennuti, draghi e uccelli, sultani e concubine; ed
anche quei loro cieli d’un azzurro
intenso, quei loro paesaggi di pittura naïve, quegli alberi e fiumi
e rocce e case e palazzi e barche e monumenti, che paiono uscire da un
gustoso abbecedario illustrato – è un cinema che nasce dal piacere di
raccontare e dimostrare, dalla fiaba e dal teatro, senza altri fini se
quelli di esprimere la libertà assoluta della fantasia e
dell’immaginazione. La “morale” della favola viene dopo, e il più delle
volte è aggiunta dai chiosatori, dagli interpreti più o meno autorizzati,
appunto come normalmente accade per la fiaba e per il teatro delle
marionette. Prima c’è – ed è ciò che rimane anche alla fine, dopo le
chiose e le interpretazioni – il piacere di essere liberi, che si
manifesta nel gioco dell’invenzione formale.
Ma ancora una volta, come ci ribadisce la Cortellazzo nel suo saggio,
questo gioco ci coinvolge perché rimanda ad altro, perché noi non siamo
più bambini, ed il cinema di Gianini e Luzzati non è solo memoriale, non
si esaurisce in un recupero del passato, anzi. Le loro fiabe – come quelle
di Rodari – sono, se così possiamo chiamarle delle “metafiabe”. Lo
smottaggio della loro struttura avviene dall’interno, con l’uso
dell’ironia, ed è l’ironia a dare alle storie e ai personaggi una nuova
dimensione estetica. Ci si accorge allora che il fascino sottile che emana
dai loro piccoli film è dovuto soprattutto a questo risvolto ironico della
narrazione e della rappresentazione.
Così si torna daccapo a rivoltare le immagini, i colori, i ritmi, i suoni
nella ricerca dei doppi fondi dei significati nascosti, come se non ci
bastasse il piacere dello spettacolo. Ed è un circolo vizioso, ma
ineluttabile. Proprio perché l’opera complessa di Gianini e Luzzati
continua a coinvolgerci edonisticamente, ci rendiamo conto che ci deve
essere qualcosa di più profondo e duraturo affinché il piacere si
ripresenti sempre nuovo e fresco. Basta l’aver individuato
nell’intelligenza e nell’ironia questo doppio fondo per esaurire la nostra
curiosità, o meglio il nostro bisogno di superare i confini dello schermo?
O non c’è qualcosa d’altro ancor più coinvolgente, che ci tocca
nell’intimo? E’ così. Lo si può esprimere con una parola sola, abusata e
fuori moda ma sempre valida: poesia.
(da “pastelli pupazzi e
siparietti - IL CINEMA DI GIANINI E LUZZATI” di Sara Cortellazzo)
Giulio Gianini è nato
a Roma il 9 febbraio 1927. Dopo essersi diplomato all’Accademia di Belle
Arti e dopo aver frequentato i corsi di architettura, entra nel mondo del
cinema come direttore della fotografia, specializzandosi nell’uso del
colore. In questi anni gira circa 120 documentari e alcuni lungomentraggi
a soggetto. A metà degli anni ‘50 incontra per caso Emanuele Luzzati, cui
è accomunato dalla medesima passione per il teatro dei burattini, insieme
al quale nel 1960 realizza il primo film di animazione I paladini di
Francia. Gianini e Luzzati hanno ricevuto ben due candidature all’Oscar
per La gazza ladra e Pulcinella. Dagli anni ‘80 Gianini ha iniziato la sua
attività didattica, insegnando al C.A.M.S., corso di animazione
organizzato dalla regione Lazio e al Centro Sperimentale di
Cinematografia.
Emanuele Luzzati è
nato a Genova il 3 giugno 1921. Ha studiato e si è diplomato a Losanna
presso l’Ecole del Beaux Arts, pittore, decoratore, illustratore,
ceramista, si dedica alle scene e ai costumi teatrali e, più tardi,
insieme a Giulio Gianini al cinema d’animazione. Luzzati ha realizzato
oltre 400 scenografie per spettacoli di prosa, lirica e danza in teatri
italiani e stranieri. Ha eseguito pannelli, sbalzi ed arazzi, collaborando
con architetti per arredi navali e locali pubblici. Ha illustrato e
scritto molti libri dedicati all’infanzia (tra cui Le fiabe scelte dei
fratelli Grimm, Il candido di Voltaire e Pinocchio di Collodi). Nel 1992
gli è stata conferita all’Università di Genova la laurea honoris causa in
Architettura. Luzzati è attualmente direttore artistico del Teatro della
Tosse di Genova da lui fondato insieme a Tonino Conte e Aldo Trionfo.
Filmografia
I due guerrieri (1957,
2’, incompiuto); Pulcinella: il gioco dell’oca (1959, 4’,
incompiuto); La tarantella di Pulcinella (1959, 4’, spot
pubblicitario, inedito); I paladini di Francia ovvero il tradimento di
Gano di Maganza (1960, 12’); Castello di carte (1962, 10’);
La gazza ladra (1964, 11’); Tre Nature Songs - II episodio
(Usa, 1965, film didattico); L’armata Brancaleone (1965, 2’30”,
titoli di testa del film di Mario Monicelli); Wiston (1967, 2’,
spot pubblicitario, inedito); Operazione qualità (1967, 5’, inserto
del film di Virgilio Tosi); L’italiana in Algeri (1968, 10’); Alì
Babà (1970, 10’); Brancaleone alle Crociate (1970, 2’40”, titoli di
testa del film di Mario Monicelli); Il viaggio di Marco Polo (1971,
42’); Giocagiò (1971, 3’, sigla televisiva Rai); Nel mondo di
Alice (1973, 3’ titoli di testa per la versione televisiva di
“Alice nel paese delle meraviglie” di Guido Stagnaro); Pulcinella
(1973, 12’); Turandot (1974, 24’); Seguirà una brillantissima
farsa (1974, 2’, sigla televisiva Rai); L’augellin belvedere
(1975, 22’); Il flauto magico (Austria, 1978, 33’, esiste anche una
versione di 52’); I tre fratelli (Svizzera, 1979, 9’); La donna
serpente (Svizzera, 1979, 9’); L’uccello di fuoco (Svizzera,
1981, 9’); Pulcinella e il pesce magico (Svizzera, 1981, 9’);
Concerto per gatti (1985, 2’); Contrappunto bestiale (1986,
1’30”); Jerusalem (1990, 20’); La casa dei suoni (50’,
cassetta allegata al n.4 della rivista mensile “Video Art Concerto”).
I film in programma
La gazza ladra
Italia, 1964, 11’, 35mm, colore, s.d.
tecnica: découpage; regia, soggetto e sceneggiatura: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; fotografia, montaggio e animazione: Giulio Gianini;
disegno e scenografia: Emanuele Luzzati; musica: Ouverture de “La gazza
ladra” di Gioacchino Rossini; consulenza musicale: Gianfranco Maselli;
produzione: Gianini - Luzzati
Tre sovrani annoiati decidono di dichiarare guerra agli uccelli. Ben
presto colombi, fringuelli e mille altre specie di uccelli variopinti sono
costretti a fuggire dalla foresta. Solo una gazza decide di resistere e
prendersi la rivincita sui tre impostori.
L’italiana in Algeri
Italia, 1968, 11’, 35mm, colore, s.d.
tecnica: découpage; regia, soggetto e sceneggiatura: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; fotografia, montaggio e animazione: Giulio Gianini;
disegno e scenografia: Emanuele Luzzati; musica: Ouverture di L’italiana
in Algeri e “Temporale” da Il barbiere di Siviglia di G. Rossini;
consulenza musicale: Gianfranco Maselli; produzione: Gianini - Luzzati
Pulcinella
Italia, 1973, 12’, 35mm, colore, s.d.
tecnica: découpage
regia, soggetto e sceneggiatura: Giulio Gianini e Emanuele Luzzati;
fotografia, montaggio e animazione: Giulio Gianini; disegno e scenografia:
Emanuele Luzzati; musica: Ouverture de “Il turco in Italia” di Gioacchino
Rossini; consulenza musicale: Gianfranco Maselli; produzione: Giannini -
Luzzati
Pulcinella desidera ardentemente, almeno per un giorno, abbandonare la sua
squallida vita, liberandosi dagli intoppi della quotidianità: la mogle che
lo butta giù dal letto e lo manda a lavorare, i carabinieri che
controllano ogni suo gesto… la migliore via di fuga è quella del sogno…
Il flauto magico
Austria, 1978, 55’, 35mm, colore, s.d.
tecnica: découpage; regia, soggetto e sceneggiatura: Giulio Gianini e
Emanuele Luzzati; fotografia, montaggio e animazione: Giulio Gianini;
disegno e scenografia: Emanuele Luzzati; musica: brani da “Il flauto
magico” di W. A. Mozart; montaggio musicale: Michael Rosa; collaboratori
animazione: Manfredo Manfredi, Jan Trmal; produzione: Thalia Film.
Le vicende di un principe, Tamino, che, assistito dal buffo uccellatore
Papageo, deve superare una serie di prove impostegli dall’alto sacerdote
del tempio della Sapienza, Sarastro, prima di potersi unire in matrimonio
con l’amata Pamina, figlia della Regina della notte.
Roma, Marzo 1974
Cari Amici,
ho visto il vostro “Pulcinella”. Beh, voi vi ricordate quanto mi era
piaciuto “La gazza ladra”, quanto avessi ammirato la fantasia figurativa,
l’estro umoristico, il senso della fiaba e le geniali soluzioni grafiche
di quel vostro lavoro; non credevo avreste potuto fare di meglio. Con
gioia, invece vi dico che ci siete riusciti. Pulcinella è più bello, ha
qualcosa di più, e questo qualcosa di più è preziosissimo e appartiene
alla poesia perché si riferisce a un sentimento che nell’altra vostra
opera mi sembra fosse meno evidente, ed è il sentimento dell’umano, della
sofferenza, del bisogno insopprimibile della giustizia…
Il vostro “Pulcinella”, pur rispettando la tradizione della maschera
napoletana che lo vuole clown fantasioso e canagliesco, surreale e tutto
sprofondato nei problemi di sopravvivenza animalesca, racconta soprattutto
il dramma grottesco e straziante di un uomo che vuole con tutte le sue
forze essere libero.
Non è così?
Vi saluto con molta simpatia e arrivederci presto al prossimo lavoro.
Vostro
Federico Fellini
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