GIOVANNI CODA - FRAMMENTI

 

Monografiche

 
 

Il rumore di una bottiglia che si infrange... lo scricchiolio della sedia dove siedo da oltre cinquant'anni... sempre lo stesso, sempre la stessa.

Sono sola. Nessuno al mio fianco... tranne i cocci di vetro che regolarmente raccolgo e faccio ricadere per terra... l’unica compagnia, un tintinnio elettrico che si mescola ad un anello di fumo ed una goccia di sudore colata verso il pavimento... per il troppo caldo.

Osservo il buco di un tarlo. La sua rotondità, l’oscurità che confina con il mio più lucido pensiero... la sua fame tale alla mia... non mangio da tempo, il desiderio si è spento fra le mie gambe ormai vecchie... un uomo, il suo odore, il suo peso dentro di me... tutto ciò non esiste, non è mai esistito... vive solo nelle confuse immagini delle mie giornate.

Avrei potuto imparare a gridare almeno uno, due nomi... nell’immensa eternità avrebbero colmato la mia voglia d’amore... invece non è accaduto... non sono riuscita a fare nulla di più di ciò che oggi sono... vecchia, sdentata e mezza calva... inutile, come le foglie che riscaldano la mia pelle, come le foglie di cui mi cibo...

 

Un passante mi offre da bere... una donna mi regala un tozzo di pane, un bambino mi sorride stringendosi nel suo cappotto rosso... cosa credete che mi importi?... cosa pensate che possa trame dalla bontà di un gesto... una buona parola. lo li guardo e non penso a niente... lo li guardo e non posso pensare a niente. Non li guardo affatto, faccio finta, mentre fotografo muove posizione d’amore, mentre tento un inutile momento d’estasi... seduta da cinquanta anni in un bar, attendo una tazza di caffè caldo ed un uomo che si chieda... chi sarà quella donna?... Caffè?... il mio corpo è ricolmo di caffè... di vino, di pane duro... di alloro e rosmarino, chicchi di riso. Poggio i gomiti sul legno, incastro la mia testa fra le mani, la faccio ondeggiare... ho gli occhi chiusi, chiusi ad immaginare com’ero... Legata... non ho voluto staccarmi dalla mia terra, seguire il vento, seguire l’unico uomo che per sbaglio ho incrociato lungo il mio pellegrinare da un angolo all’altro di questa inutile città. Mi è rimasta solo una sedia del bar... l’unico bar dove mi facciano entrare, dove non vengo sbattuta fuori perché non posso pagare.

 

Mordo le mani, mordo il vetro, mordo la lingua che non è consumata... dove volerò stanotte... dove mi coglierà un’altra alba di freddo... guardo fuori dalla vetrata... il buio è arrivato e con sé le lunghe tenebre della notte... Mi sollevo lenta, odo nuovamente lo scricchiolare della sedia, lancio il vetro per terra e lo raccolgo... salutando, esco di scena... domani ritornerò, e poi domani, domani e cosi via, nella speranza di un risveglio tra fili d’oro e languide lenzuola che pronunciano il mio nome, una carezza nella trasparenza perfetta di un corpo.

Porca puttana! ...

 

 

ÓGiovanni Coda

 

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