La
problematica determinazione del valore di avviamento
nella
cessione d’azienda ai fini dell’imposta di registro
di
Enrico Larocca
Dottore
Commercialista e Revisore contabile in Matera
www.studioenricolarocca.it
Il
problema della determinazione del valore di avviamento ai fini
dell’imposta di registro, ha sempre suscitato un vivace
dibattito in dottrina ed una copiosa giurisprudenza, a causa dei
criteri estremamente empirici adottati dall’Amministrazione
Finanziaria nella quantificazione del valore di avviamento
tassabile ai fini dell’imposta di registro.
Secondo
l’orientamento prevalentemente seguito dall’Amministrazione
Finanziaria, il valore di avviamento si quantificava, mediante
la capitalizzazione del reddito fiscale ai fini IRPEF / IRPEG.
In altri termini, l’avviamento veniva calcolato con il
seguente algoritmo:
(
REDDITO FISCALE X COEFFICIENTE
DI CAPITALIZZAZIONE)
Quindi
esemplificando, posto il reddito fiscale ai fini IRPEF / IRPEG
pari a € 50.000,00 e il coefficiente di capitalizzazione pari
a 3, l’avviamento si quantificava il € 150.000,00.
Considerare
la metodologia di calcolo descritta sommaria appare un eufemismo
! La definizione più corretta dovrebbe aggettivarla non già
come astratta, bensì come errata.
E
ciò almeno per due ragioni:
1)
Il processo di capitalizzazione considera trasferibili elementi
che non lo sono affatto quali : le capacità organizzative del
cedente o la sua abilità tecnica sintetizzate nello stipendio
direzionale;
2)
il trasferimento di rendite finanziarie diverse da quella
addizionale rispetto a quella ordinaria ritraibile da un
investimento di pari valore a basso rischio quale potrebbe
essere un investimento obbligazionario o in titoli di stato,
sintetizzabile nell’interesse di computo.
In
effetti la variabile di reddito capitalizzabile potrebbe essere
soltanto quella che la dottrina aziendalistica definisce
EXTRA-REDDITO o SOVRA-PROFITTO, giammai il reddito fiscale in
quanto così procedendo si giungerebbe al paradosso di
capitalizzare persino dei consumi
di reddito.
In
altri termini la variabile da capitalizzare dovrebbe essere così
determinata:
(MEDIA
TRIENNALE DEI REDDITI D’ESERCIZIO – STIPENDIO DIREZIONALE
– INTERESSE DI COMPUTO )
=
EXTRA-PROFITTO
Determinato
l’extra-profitto si dovrebbe scegliere un tasso adeguato di
capitalizzazione su base discreta o perpetua.
Purtroppo
con l’introduzione del D.P.R. 460/1996 – norme concernenti
l’accertamento con adesione del contribuente – si è data un
ulteriore spallata ai criteri che i professionisti contabili
utilizzano per l’effettuazione delle perizie di stima del
valore di avviamento e ciò al solo scopo di mettere a
disposizione degli Uffici Finanziari uno strumento che potesse
creare gettito fiscale a
tavolino.
Infatti,
con l’art. 2 punto 4) del D.P.R. 31/07/1996 n. 460 si è
stabilito che: per le
aziende e per i diritti su di esse il valore di avviamento è
determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di
settore o, in difetto, sulla base della percentuale di
redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in
mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli
ultimi 3 periodi di imposta anteriori a quello in cui è
intervenuto il trasferimento, moltiplicata 3. La percentuale di
redditività non può essere inferiore al rapporto tra il
reddito d’impresa e i ricavi accertati o, in mancanza,
dichiarati ai fini delle imposte e nel medesimo periodo. Il
moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi
validamente documentati e, comunque, nel caso in cui ricorra
almeno una delle seguenti situazioni:
1.
l’attività sia iniziata entro i tre periodi di imposta
precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento;
2.
l’attività non sia stata esercitata, nell’ultimo
periodo precedente a quello in cui è intervenuto il
trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di
svolgimento dell’attività stessa;
3.
la durata residua del contratto di locazione dei locali,
nei quali è svolta l’attività, sia inferiore ai dodici mesi.
In
un articolo recentemente pubblicato su Guida Normativa
n. 220 del 11/12/2003 si sottolinea come con la Comunicazione di
Servizio n. 52 del 25/07/2003, diramata dall’Agenzia delle
Entrate in materia di controllo
selettivo delle cessioni d’azienda da assoggettare a
valutazione, si sia confermata la legittimità
della formula contenuta nel D.P.R. 460/1996, come
strumento di valutazione della congruità del valore di
avviamento denunciato in atti. Nel contempo la comunicazione ha
stabilito che fossero sottoposti a controllo gli atti che
avessero presentato una delle seguenti anomalie:
1)
valore di cessione aziendale inferiore alla somma del
valore delle rimanenze finali e dei beni
strumentali dichiarati nell’anno più prossimo
disponibile in banca dati;
2)
valore di cessione inferiore a quello determinato ai
sensi dell’art. 2 punto 4) del D.P.R. 460/1996;
3)
contemporanea presenza di entrambe le anomalie nel
contratto di cessione.
La
comunicazione proseguiva enunciando che dal controllo andavo
esclusi i trasferimenti a titolo gratuito per successione mortis
causa in quanto
esenti ai sensi dell’art. 13 della Legge 383/2001 e i
trasferimenti a titolo gratuito per atto tra vivi in quanto
esenti ai sensi dell’art.
69 della Legge 342/2000.
In
aggiunta, la comunicazione affermava che andavano altresì
esclusi da controllo, gli atti in relazione ai quali era
intervenuta definizione agevolata ai sensi dell’art. 11, comma
1, della Legge 289/2002 con
l’aumento del 25% dell’importo originariamente dichiarato.
Ovviamente chi oggi si trovasse in condizioni di anomalia
potrebbe beneficiare della riapertura dei termini del condono
fiscale, regolarizzando la propria posizione entro il
16/03/2004.
Fermo
restando che non riteniamo – per le argomentazioni sopra
richiamate – legittima l’applicazione tout
court dei criteri di cui al D.P.R. 460/1996 in quanto
un’astratta formulazione matematica non può, in assoluto,
condizionare le trattative commerciali inerenti i trasferimenti
d’azienda.
Un metodo che non tenesse conto dei singoli fattori, positivi e
negativi, specifici di ciascuna azienda, sarebbe sfornito di
adeguata motivazione e quindi passibile di impugnazione innanzi
agli organi della giurisdizione
tributaria, che per la verità fino ad adesso, non si sono
pronunciati sul metodo, bensì sul valore.
Nell’applicazione
del metodo matematico indicato dalla norma più volte citata
resta però un altro problema quello del calcolo della
percentuale di redditività da applicare alla media dei ricavi e
ciò soprattutto in relazione alle cessioni che dovessero
perfezionarsi nel periodo che va dalla presentazione
dell’ultima dichiarazione dei redditi anteriore alla cessione,
alla successiva. Cercheremo di illustrare il problema con un
esempio.
Nella
tabella che segue sono riportati i dati in Euro che sono alla
base del calcolo del valore di avviamento ex art. 2, punto 4)
del D.P. R. 460/1996:
ANNO
|
RICAVI
|
REDDITO
|
2002
|
100.000,00
|
7.000,00
|
2001
|
115.000,00
|
53.000,00
|
2000
|
135.000,00
|
45.000,00
|
MEDIA
|
116.666,67
|
35.000,00
|
Supponiamo
altresì che i ricavi dell’anno 2003 – anno in cui è
avvenuta la cessione - ammontino a € 70.000,00 mentre il
reddito dello stesso anno ammonti a € 25.000,00. Applicando il
disposto normativo, il valore di avviamento dovrebbe essere
calcolato attraverso la seguente formula:
(
116.666,67 x ( 25.000 : 70.000) x 3) = > ( 116.666,67 x
35,71% x 3) = > 124.985,00
Dalla
formulazione del metodo emerge subito che l’applicazione della
percentuale calcolata in base al rapporto (Reddito / Ricavi )
riferiti all’anno della cessione, postula che l’annualità
non solo sia terminata ma che sia stata già oggetto di
dichiarazione definitiva. Quindi, in linea di massima, tutte le
cessioni d’azienda che si perfezionassero nel periodo che va
dall’inizio del periodo d’imposta al termine di
presentazione della dichiarazione dei redditi dovrebbero essere,
per così dire arretrate di un anno, per cui l’anno di base
per il calcolo della percentuale di redditività dovrebbe essere
l’ultimo anno precedente quello in cui è avvenuto il
trasferimento – nel nostro caso il 2002 – e il triennio
precedente utilizzato per il calcolo della media dei ricavi
dovrebbe anch’esso contemplare il 2002.
Quindi
la formula cambierebbe così:
(
116.666,67 x ( 35.000,00 : 116.666,67) x 3) = > ( 116.666,67
x 30,00% x 3) = > 105.000,00
Pur
riconoscendo la difformità della formula precedente rispetto al
dettato normativo, non vediamo altra soluzione, considerato che
la dichiarazione dei redditi dell’anno 2003 – anno che
potrebbe constare solo di alcuni mesi – verrà prodotta nel
2004. L’Agenzia delle Entrate dovrebbe così attendere diversi
mesi per prima di poter tassare l’atto recante il
trasferimento d’azienda, oppure occorrerebbe imporre
all’azienda cedente una dichiarazione dei redditi anticipata,
pur non essendo ciò contemplato da nessuna norma vigente.
Cosicché
si consiglia in tutti i casi di discutere preventivamente con
l’Agenzia delle Entrate competente per il territorio, ogni
singola fattispecie, al fine di prevenire ogni possibile
contenzioso diveniente da una norma che certamente non brilla
per praticità.
Dicembre
2003
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