La trombolisi: indicazioni, controindicazioni e tecnica
 

CESARE FIESCHI
Dipartimento Scienze Neurologiche, Università La Sapienza, Roma, Italy


Nonostante l'ictus cerebrale sia stato a lungo considerato come una fatalità per la quale è inutile tentare qualsiasi provvedimento terapeutico, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che le conseguenze umane ed economiche dell'ictus stesso sono troppo importanti per essere tralasciate: terza causa di morte e prima causa di invalidità nei paesi industrializzati con un costo che rappresenta all'incirca il 4% delle spese sanitarie nei paesi europei (1).
Tentare di curare i pazienti con infarto cerebrale non è più quindi una scelta ma una necessità. L'individualizzazione e il trattamento dei principali fattori di rischio (ipertensione arteriosa, diabete, cardiopatie emboliche, dislipemie, ) ha permesso negli anni '70-80 di diminuire la prevalenza e l'incidenza dell'ictus. Ma sarebbe utopistico pensare che la prevenzione possa risolvere completamente il problema. Da qualche anno, un'altro passo avanti è stato realizzato con la creazione di reparti ospedalieri di terapia intensiva specializzati nella cura dell'ictus (Stroke Unit). La gestione accurata di questi pazienti (prevenzione delle complicanze dell'ictus, prevenzione del rischio di secondo ictus, fisioterapia precoce,) ha non soltanto migliorato la prognosi (riduzione della mortalità e dell'invalidità), ma ha anche ridotto la durata della degenza e il numero di pazienti necessitanti un ricovero in centro di riabilitazione, con successiva riduzione dei costi (2, 3, 4). Nonostante ciò la mortalità e l'invalidità dell'ictus sono ancora elevate e, da qualche anno, la frequenza dell'ictus sembra aumentare di nuovo (5). È ora indispensabile stabilire una terapia specifica dell'ictus.
La migliore conoscenza della fisiopatologia dell'infarto cerebrale ha permesso di prendere in considerazione alcune possibilità terapeutiche. Le basi fisiopatologiche della terapia della fase acuta dell'ictus sono state avanzate negli anni 70-80 con gli studi sugli animali di Hossman (6) meglio delineate, in seguito, dagli studi con metodica PET nell'uomo. Infatti, la tolleranza del tessuto cerebrale all'ischemia varia a seconda del grado di diminuzione del flusso sanguigno: tra, all'incirca, 10 e 20 ml/100mg/mn, esiste una zona detta "penombra ischemica' nella quale le cellule, grazie a diversi meccanismi di compenso (autoregolazione vascolare locale e aumento del tasso di estrazione di ossigeno), possono temporaneamente sopravvivere. Al contrario, al di sotto della soglia stimata a 10 ml/100mg/mn, le lesioni cellulari sono irreversibili. La morte cellulare non è comunque immediata, il meccanismo lesionale irreversibile si estende progressivamente con il trascorrere delle ore salvo in caso di flusso molto inferiore alla soglia minima di sopravvivenza o di "flusso zero', condizione che determina la morte cellulare dopo pochissimi minuti dall'ischemia. La scuola di Fred Plum alla Cornell University (7) ha partecipato alla dimostrazione dell'esistenza di una vulnerabilità selettiva dei neuroni all'insulto ischemico. Queste scoperte hanno lanciato una fase di ricerca neurobiologica e neurofarmacologica che ha avuto e avrà importanti ripercussioni sull'attività clinica e sui pazienti. Baron (8) ha fornito la conferma clinica di queste nozioni sperimentali in un paziente con occlusione dell'arteria cerebrale media, uno dei primi casi di infarto cerebrale veramente studiato in fase acuta con PET e inalazione di ossigeno 15 all'equilibrio: il tessuto ischemico estrae molto più ossigeno che il tessuto sano circostante. E quindi, se la perfusione (e quindi l'apporto di ossigeno) non viene ripristinata con ricanalizzazione del vaso o formazione di una circolazione collaterale efficiente, questa zona sarà destinata alla necrosi. Da queste nozioni sperimentali e cliniche, è nato il concetto di "finestra terapeutica" corrispondente all'intervallo di tempo di cui dispone il clinico per mettere in opera una terapia prima che le lesioni diventino irreversibili, intervallo di tempo concesso dalla maturazione lesionale e dalla penombra ischemica. È interessante notare che questa finestra terapeutica sembra essere aperta nelle ischemie dell'arteria cerebrale media dell'uomo durante le prime 5-6 ore dopo l'infarto in circa il 60% dei nostri pazienti (9).
Al fine di proteggere le cellule della penombra ischemica sono stati sviluppati farmaci detti "neuroprotettori' in grado di bloccare la cascata di eventi biochimici. Ma questa protezione è temporanea e le cellule "addormentate" non possono essere "risvegliate" che dal ripristino di un flusso ematico adeguato. Questo fatto spiega probabilmente il fallimento della maggior parte degli studi finora tentati nell'uomo con i neuroprotettori malgrado gli ottimi risultati ottenuti con gli stessi farmaci nell'animale. D'altra parte, i più aggiornati studi clinici dimostrano che la maggior parte delle ischemie cerebrali è dovuta alla migrazione in un'arteria intracerebrale di un'embolo proveniente dai vasi del collo o dal cuore (10). Quindi, la presenza di un trombo "fresco" rende teoricamente possibile la precoce ricanalizzazione del vaso grazie alla fibrinolisi farmaceutica. La fibrinolisi cerebrale è stata provata per la prima volta nel 1958. Durante gli anni '60, numerosi studi di trombolisi endovenosa con urokinasi o streptokinasi hanno riscontrato un'elevato rischio di emorragia intracerebrale e pochi benefici per i pazienti. Ma tali studi sono stati realizzati in assenza di Tomografia Computerizzata (TC), sulla base di criteri clinici e quindi sono stati probabilmente trattati alcuni pazienti con emorragia cerebrale. Inoltre, il trattamento avveniva spesso diverse ore dopo l'esordio dei sintomi (ben oltre le 6 ore). Più tardi, il successo della trombolisi nell'infarto del miocardio, lo sviluppo del rt-PA (recombinant tissue plasminogen activator) e i progressi delle tecniche di neuroradiologia (TC, risonanza magnetica, angiografia digitalizzata) hanno rilanciato l'interesse dei ricercatori per la trombolisi cerebrale. Il farmaco trombolitico può essere somministrato per via endovenosa o intraarteriosa.
 
 

Fibrinolisi intraarteriosa

Consiste nella somministrazione di trombolitici direttamente al contatto del trombo nel corso di un'angiografia selettiva dell'arteria cerebrale interessata. La fibrinolisi intraarteriosa viene spesso praticata con risultati positivi e a volte spettacolari con recupero immediato del deficit neurologico, in particolare nei casi di occlusione in territorio vertebrobasilare. Il tasso di ricanalizzazione dopo somministrazione locale di streptokinasi, urokinasi o rt-PA varia a seconda degli studi dal 46 al 100% e corrisponde molto spesso ad un miglioramento clinico (11, 12, 13). Purtroppo non disponiamo di nessuno studio controllato effettuato su sufficiente numero di pazienti per poter confermare la validità di questi risultati : la somministrazione di un placebo in corso di un esame così invasivo come una arteriografia pone infatti enormi problemi etici. Inoltre, la realizzazione di una fibrinolisi intraarteriosa necessita un materiale sofisticato e un personale specializzato e non può quindi essere effettuate se non in centri specializzati ed attrezzati.
 
 

Fibrinolisi endovenosa

Trial recenti hanno dimostrato che il successo del trattamento dipende dai tempi di somministrazione : infatti entro 4 a 5 ore dall'esordio dei sintomi, debbono essere eseguiti tutti gli esami preliminari necessari. È anche importante ricordarsi che, dopo un infarto cerebrale, la fibrinolisi può essere pericolosa. Gli stessi studi clinici sembrano confermare le possibilità di "danno da riperfusione" (edema cerebrale, trasformazione emorragica,) che possono colpire i pazienti trattati. Si tratta quindi di una terapia aggressiva e i suoi possibili benefici debbono essere valutati bilanciandoli con i rischi. Nel 1992, Warlow e Wardlaw hanno pubblicato una metaanalisi degli studi non randomizzati realizzati in precedenza su più di 2000 pazienti (14). Questi autori hanno riscontrato una riduzione della mortalità del 37% ed una complessiva riduzione della mortalità e della disabilità funzionale del 56% nei pazienti trattati, ma con un rischio di trasformazione emorragica del 11% e di edema cerebrale grave del 5%. L'anno 1995 ha appunto visto la conclusione di 5 studi di fibrinolisi cerebrale randomizzati, controllati contro placebo. I risultati sono contrastanti ma senz'altro incoraggianti. Negli studi MAST-I (Multicenter Acute Stroke Trial ­p; Italy), MAST-E (Multicenter Acute Stroke Trial - Europe) e ASK (Australian Streptokinase Trial), il maggior numero di trasformazioni emorragiche (MAST-E), la maggiore mortalità a 6 mesi (MAST-I) e la peggiore prognosi funzionale (ASK) nei gruppi trattati con streptokinasi ha condotto alla loro interruzione prima della fine della randomizzazione (15, 16, 17). Invece, gli studi sul rt-PA sono stati più positivi. Lo studio americano NINDS (National Institute of Neurological Disorders and Stroke) ha riportato una riduzione dell'invalidità a 3 mesi dopo somministrazione di 0.9 mg/kg di rt-PA entro 3 ore dall'esordio dei sintomi (18). Lo studio europeo ECASS (European Cooperative Acute Stroke Study) ha dato risultati meno clamorosi su pazienti trattati entro 6 ore dall'esordio dei sintomi alla dose di 1.1 mg/kg ma ha soprattutto permesso di meglio individuare il gruppo di pazienti trattabili senza rischio eccessivo (19). Infatti, erano esclusi i pazienti clinicamente più gravi, soporosi o in coma, e i pazienti portatori di segni radiologici di lesione ischemica estesa (ipodensità precoce di più del terzo del territorio dell'arteria cerebrale media). Rispettare tali criteri di inclusione in situazione di emergenza e nei termini di tempi, era un'obiettivo ambizioso che fu soltanto parzialmente raggiunto. Infatti, 109 dei 620 pazienti inclusi (il 17,4%) sono stati considerati "violatori di protocollo'. Per i due terzi, il motivo di esclusione era di ordine radiologico. Per l'analisi statistica di efficacia e tolleranza, i pazienti sono stati divisi in due gruppi "Target Population (TP) ' e "Intention To Treat (ITT)", cioè "i pazienti che avremmo voluto trattare" e "i pazienti che abbiamo trattati". L'analisi dei risultati sul gruppo ITT sono da considerare negativi : a prezzo di un lieve aumento della mortalità, non si apprezza nessuna riduzione dell'invalidità. Se, invece, l'analisi viene ristretta alla TP, il gruppo trattato mostra un'evoluzione più favorevole che il gruppo placebo con riduzione significativa dell'invalidità e riduzione della durata del ricovero. La maggior parte dell'eccesso di mortalità nel gruppo ITT è dovuta al numero elevato di trasformazioni emorragiche e/o edema cerebrale massivo nei violatori di protocollo. Quindi, lo studio ECASS dimostra che la fibrinolisi cerebrale è certo efficace ma conferma che deve essere usata con precauzioni e sembra confermare l'ipotesi che il principale fattore di rischio di trasformazione emorragica è l'esistenza di segni precoci di lesione ischemica estesa.
Limitare l'uso del rt-PA ad una sottopopolazione di pazienti selezionati (pazienti trattabili entro 3 o 6 ore dall'esordio dei sintomi, pazienti senza segni di lesione ischemica estesa) è poco soddisfacente se si considera che lo scopo iniziale era di ridurre significativamente i costi umani ed economici dell'ictus cerebrale. Ad esempio, nella popolazione italiana, il 20% dei pazienti colpiti da infarto cerebrale potrebbero essere candidati alla fibrinolisi e al massimo il 15% di questi pazienti (cioè il 3% degli italiani colpiti d'infarto cerebrale per anno) potrebbero veramente trarre beneficio della terapia. Potremmo quindi guarire 2000 pazienti all'anno. Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration ha autorizzato l'uso del rt-PA nell'infarto cerebrale entro 3 ore dall'esordio dei sintomi (20). Gli esperti europei sono molto più prudenti e per ora consigliano l'uso del rt-PA soltanto in centri specializzati e da neurologi esperti di patologia neurovascolare (21). Alle fine '96, è iniziato un secondo studio europeo con rt-PA alla dose di 0.9 mg/kg, sperando che la diminuzione della dose permetterà di ridurre i rischi della fibrinolisi, speriamo non al prezzo di una minore efficacia della terapia stessa. D'altra parte, si sta cercando di organizzare uno studio che testi l'efficacia e la sicurezza dell'rt-PA e di un neuroprotettore dati in associazione. La somministrazione precoce di un farmaco neuroprotettore consente teoricamente un allargamento della finestra terapeutica, e potrebbe permettere di somministrare il fibrinolitico con buoni risultati anche oltre le fatidiche 6 ore. Il farmaco neuroprotettore (non pericoloso in caso di emorragia) può essere somministrato a domicilio come primo intervento, e quindi seguito da rt-PA i.v. in ambiente ospedaliero specializzato, dopo aver verificato mediante lo screening clinico-radiologico che non esistono controindicazioni. Questo obbiettivo è in vista e potrebbe essere realizzato entro il 2000.
 

 
Bibliografia
 

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20) FDA approves t-PA for stroke. Lancet 1996; 347: 1822.
21) The European Ad Hoc Consensus Group. European strategies for early intervention in stroke. A report of an Ad Hoc Consensus Group Meeting. Cerebrovasc Dis 1996; 6: 315-324.