OPERAZIONE
VOLO D'AQUILA " ALBANIA 1995 "
Nell'estate 1995 si verificherà
lungo le coste dell'Adriatico uno strano paradosso: da una
parte l'esercito e la polizia pattuglieranno giorno e notte il
litorale per intercettare e respingere le imbarcazioni degli
Albanesi che tentano l'avventura sulla nostra penisola. Dall'altra
centinaia di giovani rover e scolte italiani approderanno in
Albania sotto lo sguardo benevolo e accogliente della popolazione
locale.Coloro fra gli Albanesi che verranno presi saranno
rapidamente espulsi e rimpatriati. Una volta che gli scout
avranno terminato il loro servizio è probabile che verranno
salutati affettuosamente e invitati a tornare al più presto.Esistono
certo molte ragioni di natura economica, politica e storica che
possono spiegare questo contrasto, a prima vista incomprensibili.
Non dubito che l'attenta lettura di questo libretto sarà in
grado di fare ampia luce su tale ragioni e rischiarare anche le
menti più ottenebrate.Queste ragioni non sono sufficienti
purtroppo, a far tacere in me una voce che da un po' di tempo a
questa parte si fa sempre più insistente e sgradevole: quella
voce che mi ripete che se questa estate mi troverò ad
attraversare il mare nella direzione "giusta" (e che
quindi non troverò ad aspettarmi una nave corvetta col mitragliatore puntato), ebbene ciò non è
dovuto ad alcuna ragione logica ma solo ad una incredibile
fortuna sfacciata; la fortuna di essere nato sulla sponda ricca
del mare. Una fortuna dovuta decisamente al caso e di cui non ho
alcun merito tanto che essa mi sembra rasentare l'ingiustizia.Credo
d'altro canto che serva a poco ragionare in questo modo se non si
è capaci di trasformare quella sensazione sgradevole in una
immediata presa di coscienza e di responsabilità.Questa
responsabilità ha modi molto precisi e concreti di manifestarsi:innanzitutto
sotto forma di un desiderio di capire e comprendere le cose e le
persone che incontreremo, liberi da pregiudizi e preconcetti. In
particolare liberi dalla convinzione di essere i "soccorritori"
di umili popolazioni bisognose. Ciò che ci deve guidare è la
convinzione profonda che ogni uomo porta con sé ricchezze uniche
e impareggiabili (ciò che gli deriva anche dal fatto di essere
stato creato simile a Dio) e che il nostro dovere è quello di
rispettare la sua identità (spesso assai diversa dalla nostra).
Vi è un tesoro di dignità che va rispettato in ciascuno e che
se per caso la vita o la storia lo hanno sepolto sotto la polvere
noi dobbiamo limitarci a contribuire alla sua riscoperta e
riportarlo al suo splendore.In secondo luogo !a responsabilità
si manifesta nel portare il massimo di competenza e bravura in ciò
che facciamo. È una questione di fondamentale rispetto per
coloro che ci accolgono. È mia convinzione che bravura significa
innanzitutto fare le cose faticose o poco piacevoli con il
sorriso sulle labbra. Tutti sono capaci di fare cose poco
gradevoli borbottando o recriminando. Solo quelli davvero in
gamba !e fanno con allegria ed evitando di farlo pesare sugli altri.
E questo un modo per sottolineare anche l'aspetto della gratuità
del nostro servizio e i nostro disinteresse verso qualunque forma
di premio o riconoscenza/bravura. Significa anche essere capaci
di farsi coinvolgere a fondo dalle cose, prenderle "sul
serio" così comesiamo capaci di prendere sul serio ogni
gioco che davvero ci appassiona. Competenza significa essere
preparati al meglio e quindi informarsi anche prima di partire su
quello che dovremo fare, organizzarsi per saperle fare, cercare
gli strumenti per farlo davvero bene.La responsabilità infine si
manifesta nel cercare di capire in che modo l'esperienza che
viviamo può cambiare la nostra vita, renderci più attenti e
capaci alle cose che incontriamo quando siamo a casa nostra, nel
nostro quartiere e nella nostra città. Questo significa capacità
di non essere impermeabili ai fatti, alle esperienze, alle
persone che incontriamo e lasciare che essi occupino un posto
nella nostra vita e siano in grado di cambiarla in qualche modo.
Vuoi dire non vivere distrattamente ma ragionare criticamente su
ciò che stiamo facendo e guardare il mondo con gli occhi di chi
vuole lasciarlo meglio di come lo ha trovato. Significa infine
aver capito che mettersi in cammino verso nuove frontiere non vuoi
dire andarsene in un paese lontano ma cercarle e scoprirle là
dove viviamo tutti i giorni, là dove forse sono più invisibili,
là dove è ancora più importante il nostro impegno per renderli
luoghi di speranza.