VITA CELEBRATISSIMA et AVVENTUROSA

di

DON GIOVANNI TENORIO

 

TEATRO COMUNALE di CITTA’ S. ANGELO - SABATO 15 e DOMENICA 16 ore 21:00

 

 

“ Nel 1787 quando Mozart cominciò a scrivere

la sua opera, di Don Giovanni se ne parlava

dappertutto: nelle sale regali, nei palazzi

patrizi, nelle gelide aule degli istituti religiosi,

nei chiassosi teatri popolari, nelle piazze, nelle

fiere. E in lingue diverse : italiano, spagnolo,

francese, inglese e, inoltre, anche nei più vivaci

dialetti della penisola.…Questo personaggio, venuto

da lontano, era nato sul Teatro e per il Teatro…”

Giovanni Macchia 

 

NOTE sparse DI REGIA

 Parte I:   …sull’inizio del cammino

Don Giovanni è un mito complesso, un mito della sacralità teatrale, celebratissimo e discusso. Pieno di sfaccettature, di rivoli inattesi, di antri nascosti; molti sono coloro che hanno scritto il proprio Don Giovanni, stranamente, solo pochi per il Teatro. Questo proliferare di titoli sul mito ha inizio con la storia del Conte Leonzio, che tra gli altri, viene magistralmente raccontata dal gesuita Paolo Zehentner nel : Promontorium malae spei. Cronaca di un dramma rappresentato ad Ingolstadt nel 1615. Negli anni successivi quella figura di ateo dissoluto ed irriverente, vicino alle teorie del Macchiavelli, cambiò nome in Aurelio (Ateista fulminato). Ma quando il mito, partito dall’Europa Centrale (Ingolstadt) arrivò sul Mediterraneo, assunse il nome con il quale ancor’oggi è ricordato : Don Jaun el burlador de Sevillia. A donare questa consacrazione al mito, fu un frate spagnolo, Gabriel Tellez, conosciuto come Tirso de Molina. Da quel momento il Don Giovanni si propagò rapidamente per tutta l’Europa, soprattutto per merito dei Comici dell’Arte, autori di un numero infinito di scenari e canovacci, dai titoli più disparati, ma tutti legati allo stesso mito.  In seguito molti si occuparono di lui, Moliere, Goldoni, Mozart, Kierkegaard, Puskin, Baudelaire…l’elenco sarebbe lunghissimo. Don Giovanni è un terreno vasto, sconfinato, nel quale è bello perdersi, soprattutto perché è di “terreno teatrale” che si tratta. Una figura, come si è detto complessa, ma forgiata con una sostanza granitica, che l’ha fatta resistere alle intemperie del tempo. C’è un’immagine, o meglio una sequenza d’immagini, che ha guidato tutto il nostro lavoro. La figura di Don Giovanni in piedi, su di un palcoscenico, all’interno di un teatro, e davanti a lui, una platea, che vorticosamente cambia aspetto, insieme con tutto quanto c’è intorno. Il tempo scorre, ma rapido, le ore diventano secondi, e tutto si rinnova velocemente. L’architettura del teatro muta, con il cambiar degli stili, si trasformano gli arazzi sulle pareti, il colore dei velluti, i ricami dorati intorno ai palchi, le sedie, la forma del grande lampadario centrale, prima candele e poi luce elettrica. E poi l’edificio, ad un tratto, lo vediamo semidistrutto, lì fuori è passata una guerra, una disgrazia, chissà un terremoto forse. Ma non facciamo in tempo a rendercene conto, che tutto, velocemente, si modifica ancora, con lo scorrere rapido ed inesorabile del tempo. E così anche la platea cambia, cambiano i vestiti degli spettatori, cambia il loro modo di stare in teatro, cambiano le loro acconciature, i loro accessori, il loro linguaggio. E poi, la platea è vuota, il teatro semidistrutto, ancora, quante sciagure nella nostra storia, ma sul palcoscenico lo spettacolo continua, per un pubblico che non c’è, perché impegnato a fare altro. E sulla scena, Don Giovanni, anche lui si trasforma; ad ogni nuova epoca si trasformano i costumi, cambiano le acconciature, lo stile nel dire, attorno a lui mutano le scenografie, la recitazione degli attori che gli sono al fianco, Zaccagnino…e poi…Passarino…Pulcinella. Ed anche quando la platea è sepolta da pietre e calcinacci, e sul soffitto, su in alto, dove una volta era appeso il grande lampadario, c’è uno squarcio, che ci fa vedere il cielo, per un attimo illuminato dal sole, e l’attimo dopo rischiarato dalla luna, anche in quegli anni, dov’era il grigio a dominare, Don Giovanni è sempre lì insieme con i suoi compagni, ed il tempo continua a scorrergli rapidamente addosso, sopra, sotto, sulle mani, tra i capelli e sul volto. Tutto avviene velocemente. Questa è l’idea che ha sottinteso tutto il nostro lavoro, Don Giovanni sempre presente lì sulla scena, mentre intorno a lui il mondo cambia, invecchia, muore. Ma Don Giovanni non è immune dagli effetti di questo vortice complesso e complicato che attraversa, lo percepisce ugualmente, ma giacché mito, in maniera più dilatata. Don Giovanni cambia, come se invecchiasse, anche lui. Stratifica esperienza. Di tanto in tanto accade, che nello scorrere veloce del tempo, sfiori con una mano una sedia, un tavolo, un tendaggio della scenografia, e proprio in quel momento in sala, tra il pubblico, accade qualcosa di importante, qualcosa che non si può raccontare, perché le parole non bastano. In quel preciso istante ciò che avviene, è simile ad una scarica, accecante, un lampo, con il fragore del tuono, ma che solo Don Giovanni può vedere e sentire. Queste interferenze, ci è piaciuto chiamarle così, fanno gravare il peso del tempo sulle spalle di Don Giovanni, costituiscono esperienze pronte a disporsi in strati. Il suo contatto con i tanti presente che incontra nel tempo, lo segnano sulla pelle e nel sangue. Quindi si è deciso di “complicare” il mito; si direbbe oggi, contaminarlo, per dare sostanza a quei segni sulla pelle, che il mito inevitabilmente si porta addosso, mostrandoli, attraverso piccole schegge di Teatro, quel Teatro che arrivò dopo. Vita celebratissima et avventurosa di Don Giovanni Tenorio, è informata ad un idea di movimento, ricco, pieno di dinamiche variabili, in intensità e direzione, ma pur sempre, un movimento lineare, com’è quello del mito attraverso il tempo. La passione per l’erotismo, piacere naturalmente terreno, naturalmente perché insito nella natura umana, terreno perché lontano dall’amore idealizzato che intendeva ricongiungersi a Dio, costituisce la spinta dinamica di Don Giovanni.. Un tempo libertino abbandonato alle gioie del sesso, oggi potrebbe essere un colto enogastromo anarchico, come un attempato signore della bergamasca dei nostri giorni. Abbandonato alle gioie del piacere naturalmente terreno della tavola, pronto a godere di ogni attimo che la vita gli offre, senza paura alcuna della morte. Ma potrebbe anche essere uno di quei tanti personaggi che abbiamo imparato a conoscere attraverso il Teatro del Secolo scorso, fatalmente consapevoli che l’affanno di vivere, non ha che un solo e scontato finale. Allora se è così, tanto vale correre dietro le gonne delle signore, burlandosi di tutto quanto gli altri si ostinano a ritenere sacro. Partendo dal passato, abbiamo attraversato il tempo, e siamo finalmente arrivati, in questo presente. Bisognava scegliere, decidere quali e quante interferenze si erano, nel mentre, stratificate, cosa aveva toccato Don Giovanni ? E di che colore erano i lampi ? Enogastromo anarchico, o personaggio immorale e disincantato ? Ho scelto la strada più vicina, più aderente alla mia umanità, ed intorno a questa traiettoria, ho atteso che gli attori creassero il proprio percorso artistico. Sopra ogni cosa, artistico, appartenente cioè, a quel mondo, capace di suscitare negli animi l’indicibile.

 

“…un mito tipicamente barocco che continua a prosperare per più di tre secoli, mentre rivoluzioni sociali e di pensiero, guerre e movimenti d’idee cambiano la faccia del mondo. In questa eterna vicenda tra il cielo e la terra, Don Giovanni è vivo, nell’immortalità della sua giovinezza.”

Giovanni Macchia 

 

 

 

 

 

Don Giovanni è un mito, per questa ragione il suo viaggio nel tempo è lineare, nulla di più distante dalla circolarità dell’umana esistenza.

 

Capocomico