LA FAMIGLIA BARRESI - DI NAPOLI

(da Famiglie feudali siciliane. Patrimoni redditi investimenti tra ‘500 e ‘600 di Timothy Davies - Salvatore Sciascia Editore)

 1.   I Barresi di Alessandria: gli acquisti di Nicolò Barresi, cadetto di famiglia feudale e le modifiche apportate nel '500 all'insieme dei beni familiari

 Veniamo ora a trattare delle fortune di due famiglie che nel primo '600 vennero unite da un matrimonio. Il possedimento piú importante dei Barresi era la baronia di Pietra d'Amico, in cui venne fondato verso il 1580, il paese di Alessandria. I due possedimenti dei Di Napoli, invece, erano la baronia di Guardiola, sito del paese di Campobello di Mazara,e la baronia di Resuttano, sito del paese omonimo.  A differenza dei possedimenti dei Grimaldi e dei Giardina, quelli dei Barresi-Di Napoli si trovavano, dopo il 1625, sparsi in varie parti del Regno.

Il costruttore delle fortune fondiarie dei Barresi di Alessandria fu un figlio cadetto di una famiglia feudale, quella dei baroni di Militello.  Come cadetto, Nicolò Barresi non fu ammesso al godimento del patrimonio paterno anche se pare che gli fosse assegnato un piccolo vitalizio. Per migliorare la posizione e costruire un patrimonio proprio, Nicolò si trovò costretto a far ricorso all'attività imprenditoriale.  Non sappiamo quale poteva essere la portata di tali attività, che continuarono anche dopo il 1542, quando acquistò la baronia di Pietra d'Amico.  Quando morí, nel 1558, Nicolò teneva la terza parte della gabella di un trappeto di zucchero a Brucato e di un altro trappeto a Pietra di Roma, vicino Mirto.

Non ci è possibile distinguere i beni di Nicolò in «temporanei» e «permanenti», come abbiamo fatto per i beni di Pietro Andrea I Grimaldi.  Ma è illuminante esaminare le modifiche avvenute nella struttura dei beni patrimoniali della famiglia, facendo il confronto fra le varie fonti dei redditi percepiti nelle tre generazioni di capifamiglia nel cinquantennio 1558-1609.  Nel 1558 il capitale nominale attribuito al solo possedimento feudale, la baronia di Pietra d'Amico - che nel 1542 Nicolò aveva acquistato «a tutti passati» e quindi a titolo definitivo, per 6.020 onze - equivaleva appena al 33% dell'importo del patrimonio Barresi, mentre al contrario nel 1609, la baronia di Pietra d'Amico costituiva oltre il 90% del capitale nominale del nipote Carlo Barresi.  Nel breve tempo, si presentava a Nicolò Barresi la possibilità di fare certi investimenti non necessariamente fondiari, come per esempio l'acquisto nel 1543 dei «minuti» della «tratta ordinaria» sulle esportazioni dei grani.  Per tali «minuti» di 2 grani pare che Nicolò abbia pagato solo 4.800 onze.  Certo, chi comprava questi «mìnuti» non aveva la sicurezza di poterli tenere per sempre, poiché si acquistavano con patto di ricompra a favore della Regia Corte.  Ciò nonostante il «minuto» rappresentava, almeno nel breve tempo, un vantaggioso investimento perché poteva fruttare una rendita del 7-8%, mentre il frutto annuale della terra incolta non poteva essere piú del 4%.

Tra i cambiamenti strutturali apportati nel tardo '500 al patrimonio Barresi, è evidente l'orientamento degli interessi economici lontano da Messina, verso la Sicilia occidentale e, piú indirettamente, Palermo.  Pare che Nicolò abbia acquistato, o possibilmente ereditato, i suoi primi beni a Messina, dove la sua famiglia aveva una rinomanza tradizionale. A Messina possedeva le case e un macello e il nesso messinese fu rafforzato dal matrimonio con la figlia del barone di Raccuia.  Ma Nicolò cominciò presto ad interessarsi di affari anche al di fuori del territorio messinese, come dimostra l'attività di gabelloto del trappeto di Brucato vicino Termini, e l'acquisto di una tenuta di terra vicino Palermo.  Dopo l'acquisto di Pietra d'Amico, infatti, gli interessi di Nicolò si erano maggiormente rivolti verso Palermo, e palermitani dovevano essere per lo piú i creditori con i cui capitali, in forma di « soggiogazioni» sul patrimonio, egli riuscí a comprare la baronia.  Dopo il 1567, anno in cui mori Francesco, erede universale di Nicolò, la famiglia cedette tutti i possedimenti di Messina, e Carlo Barresi erede di Francesco comprò un tenimento di case a Palermo.

 Nel secondo '500, quindi, la famiglia Barresi, invece di basarsi, come prima, sui proventi vari della proprietà urbana e dell'industria zuccheriera situata per lo piú nelle zone costiere, derivò la maggior parte dei suoi redditi da un solo possedimento situato al centro dell'isola e adibito ad una sempre maggiore produzione di frumento.  Mentre Nicolò Barresi aveva preso in gabella i trappeti lungo la costiera settentrionale, suo nipote Carlo, si dava a gestire in gabella i possedimenti altrui che, come il proprio, si trovavano nella «Sicilia del grano».

Al tempo della sua morte (1558), il patrimonio di Nicolò consisteva in un capitale nominale di 15.657 onze, equivalente cioè a circa il 39-40% di quello di Pietro Andrea I Grimaldi nel 1591 (38.844-40.000 onze).  Il 30% (4.800 onze) era rappresentato dai «Minuti» della “tratta”, il 48% (7.525 onze) dalla baronia di Pietra d'Amico, il 13% (2.055 onze) dalla proprietà urbana, il 9% (l.277 onze) dal capitale di tre rendite. Agli stessi valori percentuali perveniamo, grosso modo, se consideriamo le voci del reddito annuo (onze 1.024) che nel 1558 Nicolò probabilmente avrebbe realizzato.  Ragionando cosí, il reddito dei «minuti» di 2 grani avrebbe rappresentato una percentuale di circa il 38% del reddito complessivo. Poi, le percentuali del reddito spettantigli da Pietra d'Amico, dalla proprietà urbana e dalle soggiogazioni attive sarebbero state il 39, 14 e 9%.

Dieci anni dopo, nel 1567, il reddito percepito da Francesco Barresi (onze 927) sarebbe diminuito, rispetto al 1558, di almeno il 10%, a causa principalmente dell'alienazione dei «minuti» e di due rendite come porzioni per i cadetti della famiglia.  In questi anni l'incidenza percentuale del reddito (730 onze) ricavato da Pietra d'Amico raddoppiò dal 39 a quasi l'80%.  E nel 1609 aumentò sino a quasi il 90% (3.425 onze)." Per tutto il periodo non sembra che l'incidenza percentuale derivante dalle soggiogazioni attive sia variata di molto (8-12% del reddito complessivo).