I n
(da
Famiglie feudali siciliane. Patrimoni redditi investimenti tra ‘500 e ‘600
di Timothy Davies - Salvatore Sciascia Editore)
uov
I
nuovi villaggi dei Barresi - Di Napoli: la costruzione di Alessandria
Tra
il tardo '500 e il primo '600 tre paesi vennero fondati sui feudi appartenenti
alle famiglie Barresi e Di Napoli, cioè Alessandria, Campobello di Mazara e
Resuttano. Pare che nel tardo '600
un altro paese sia stato progettato nel feudo di Bessana che era stato
acquistato nel 1651. Poiché
disponiamo di poco materiale in grado di gettar luce sulle costruzioni di
Campobello e Resuttano, la nostra discussione si limita quasi sempre alla
situazione di Alessandria.
La
fondazione ufficiale del paese, situato nel feudo di Cabbibi, pertinente alla
baronia di Pietra d'Amico, si può fissare nel 1588, quando si stipularono
capitoli fra Carlo Barresi e i suoi nuovi vassalli. E’ probabile che una parte
della baronia fosse stata sempre coltivata nel '500 e che qualche persona vi
risiedesse da sempre, da quando cioé fu abbandonato il casale di Xibeni. Verso
la metà del '400 e poi nei primi del '500 furono emesse licenze per ripopolare
la baronia, ma dopo il 1507 non furono concesse altre licenze, ciò che portò
un indagatore del '700 a ritenere che il ripopolamento di Pietra d'Amico avesse
avuto inizio nel primo '500, tesi questa che non possiamo verificare. Nel tardo
'500, che molti dei nuovi vassalli di Carlo Barresi già coltivassero delle
terre nella baronia è evidenziato dall'accordo che egli fece con loro nel 1583. Nei decenni seguenti Carlo comprò terreni e vigneti a Pietra d'Amico
appartenenti a persone che abitavano nei paesi vicini. La maggior parte della
documentazione di cui disponiamo per studiare le migliorie nella baronia di
Pietra d'Amico è senza data e, come quella per la costruzione di Santa
Caterina, deriva dagli atti di una lite intentata contro Pietro e Girolamo Il Di
Napoli per la ristima dei vitalizi che dovevano spettare agli eredi delle
sorelle cadette di Elisabetta Barresi. A
tale scopo, il valore stimato delle migliorie e l'importo delle soggiogazioni
furono dedotti dalla gabella annua proveniente dal feudo.
Però, mentre era piuttosto facile stabilire quale fosse l'entità delle
soggiogazioni, veniva piú difficile per le migliorie, e inoltre, l'erede
universale, cioé Elisabetta Barresi, aveva tutto l'interesse a gonfiare il
valore delle migliorie, perché in tal modo si potevano calcolare vitalizi
minori.
Le
stime che abbiamo relativamente al capitale nominale speso da Carlo per
costruire Alessandria sono molto diverse tra di loro, e oscillano da 600 onze
fino a 24.000 onze. Secondo un documento viene addirittura asserito che l'unica spesa
sostenuta da Carlo fu di 300 onze per la costruzione di due mulini. In uno di
questi documenti, il valore delle migliorie venne stimato sulla base del reddito
potenziale che sarebbe mancato a Carlo a causa della fondazione del paese.
Il valore del terreno che nel 1595 Carlo concesse come comuni
ai vassalli venne calcolato sulla base del suo reddito capitalizzato al 4,3%
per i rimanenti 23 anni della vita di Carlo.
In modo simile venne calcolato il costo della costruzione della chiesa,
comprendendo in esso anche la consistenza della sua dotazione.
Un criterio diverso, però, pare sia stato applicato per apprezzare i
mulini poiché il loro valore venne stimato capitalizzando al 5% la gabella
annua (originariamente in frumento). Su
tale base, le migliorie specificate in questo documento, che dovette essere
stato redatto verso il 1674-78, avrebbero avuto un costo di quasi 16.000 onze,
di cui quasi il 40% sarebbe rappresentato dal valore dei mulini. La stima per i
mulini, 6.400 onze, è senza dubbio erronea: se nel 1632 i Grimaldi riuscivano a
far costruire un mulino per 250 onze, all'inizio del '600 il costo ne doveva
essere inferiore.
Un'altra
difficoltà ci impedisce di valutare sia pure in modo approssimativo le
migliorie apportate da Carlo. Secondo
gli elenchi di migliorie compilati nel '600, Carlo avrebbe fatto costruire due
mulini, un abbeveratoio (quello di Presti Lisciandro al centro del villaggio),
due fontane, 150 case, una chiesa e un palazzo o castello.
Ai primi del '700, però, si fecero
delle stime di certi altri edifici che, secondo gli stimatori, sarebbero stati
fatti costruire da Carlo, e cioé due abbeveratoi in piú, un acquedotto e un
carcere. Secondo queste ultime
stime, valori superiori vennero assegnati all'abbeveratoio di Presti Lisciandro
e al palazzo: non
si fa invece alcun accenno ai mulini, fontane, case o
Le
stime che abbiamo relativamente al capitale nominale speso da Carlo per
costruire Alessandria sono molto diverse tra di loro, e oscillano da 600 onze
fino a 24.000 onze.96 Secondo un documento viene addirittura asserito che
l'unica spesa sostenuta da Carlo fu di 300 onze per la costruzione di due
mulini.97 In uno di questi documenti, il valore delle migliorie venne stimato
sulla base del reddito potenziale che sarebbe mancato a Carlo a causa della
fondazione del paese. Il valore del
terreno che nel 1595 Carlo concesse come comuni
ai vassalli venne calcolato sulla base del suo reddito capitalizzato al 4,3%
per i rimanenti 23 anni della vita di Carlo.
In modo simile venne calcolato il costo della costruzione della chiesa,
comprendendo in esso anche la consistenza della sua dotazione.
Un criterio diverso, però, pare sia stato applicato per apprezzare i
mulini poiché il loro valore venne stimato capitalizzando al 5% la gabella
annua (originariamente in frumento). Su
tale base, le migliorie specificate in questo documento, che dovette essere
stato redatto verso il 1674-78, avrebbero avuto un costo di quasi 16.000 onze,
di cui quasi il 40% sarebbe rappresentato dal valore dei mulini.91 La stima per
i mulini, 6.400 onze, è senza dubbio erronea: se nel 1632 i Grimaldi riuscivano
a far costruire un mulino per 250 onze,99 all'inizio del '600 il costo ne doveva
essere inferiore.
Un'altra
difficoltà ci impedisce di valutare sia pure in modo approssimativo le
migliorie apportate da Carlo. Secondo
gli elenchi di migliorie compilati nel '600, Carlo avrebbe fatto costruire due
mulini, un abbeveratoio (quello di Presti Lisciandro al centro del villaggio),
due fontane, 150 case, una chiesa e un palazzo o castello.
Ai primi del '700, però, si fecero delle stime di certi altri edifici
che, secondo gli stimatori, sarebbero stati fatti costruire da Carlo, e cioé
due abbeveratoi in piú, un acquedotto e un carcere.
Secondo queste ultime stime, valori superiori vennero assegnati
all'abbeveratoio di Presti Lisciandro e al palazzo: non si fa invece alcun accenno ai mulini,
fontane, case o chiesa, probabile che anche le nuove opere siano state fatte da
Carlo, ma credo che il costo assegnato all'acquedotto debba comprendersi nel
costo delle due fontane. Infine, si
dovrebbe stimare la spesa per i quattro magazzini: nel 1578 si dichiarava che si
erano spese 800 onze per gli abbeveratoi e magazzini, ma la cifra è
probabilmente troppo alta.
Le predette stime di migliorie sono troppo arbitrarie per essere accettate
da noi alla lettera come valori assoluti, ma ci permettono di stabilire per i
vari componenti del nuovo villaggio una scala di valori relativi espressi come
percentuali. Secondo una stima
delle migliorie,
da me rettificata, circa il 50% del costo totale della costruzione di
Alessandria, (2.950 onze), fu rappresentato da 150 case costruite ad un costo di
10 onze ciascuna, mentre il 17% dal palazzo.
Queste due voci da sole, quindi, sarebbero costate i due terzi del
totale. D'altronde, il solo 7% del
costo totale è rappresentato dalla chiesa, ma si tenga conto che anche alla
chiesa di Santa Caterina abbiamo assegnato una simile percentuale delle spese di
migliorie.
Possiamo
avere ancora un'altra stima del costo totale della costruzione di Alessandria,
sommando ai dati della colonna A quelli della colonna B, quelli cioé della
stima dei primi del '700. Aggiungendo
quindi i costi del carcere (226 onze sembrano però eccessive) e dei due altri
abbeveratoi, gli aumenti nelle stime dell'abbeveratoio a Presti Lisciandro e del
palazzo, ma non l'acquedotto, complessivamente il capitale nominale che Carlo
avrebbe potuto spendere assommerebbe a 3.715 onze.
Ammettendo che poteva spendere altre 200 onze per i quattro magazzini, il
capitale nominale giunge ad un totale di quasi 4.000 onze.100 Su tale base, le
due voci piú costose sarebbero sempre le case e il palazzo (l.500 onze e 828
onze), pari al 60% del costo totale, benché forse nella realtà, sulla base dei
contratti di costruzione stipulati, il costo delle case era stato ancora piú
elevato. Il costo del due mulini,
tre abbeveratoi e due fontane (951 onze) equivarrebbe al 25% circa del totale,
mentre quello delle rimanenti voci, cioè
carcere, chiesa e magazzini (626 onze), al 15%.
Secondo
i contratti, in 23 anni (1585-1608) si dovevano costruire almeno 254 case: le
prime 100 sarebbero sorte entro i primi tre anni, mentre una - seconda fase di
costruzioni non sarebbe avvenuta che un decennio piú tardi, ai primi del '600.
Nella prima fase, Carlo incaricò 6 o 7 maestri muratori, provenienti per
lo piú da Bivona, di costruire le case. Ognuno
dei muratori, tramite il proprio contratto, doveva costruirne un certo numero.
Fatte costruire le prime case, il fondatore cercò di limitare le spese,
obbligando i nuovi vassalli a costruire le case a loro spese.
La maggior parte dei beneficiari del soccorso - di solito 5 onze per ogni
casa -, che si doveva restituire entro 1-3 anni, si impegnò a costruire 2 e
qualche volta anche 3 case, e ciò forse significa che vi erano tanti
capifamiglia che pensavano all'alloggio dei figli che si dovevano sposare.
Va notato che alcuni dei mutuatari erano muratori di professione: cosí,
il 21 gennaio 1608, Maestro Francesco e Vincenzo di Valentia, oriundi di
Aragona, avvalendosi di 120 onze di soccorsi, da restituire entro 4 anni, si
obbligarono a costruire 20 case di pietra e taio).
Come regola, il soccorso venne distribuito col patto che il destinatario
dovesse risiedere ad Alessandria con tutta la famiglia. Qualche volta si
concordava che se la casa fosse rimasta disabitata il costruttore avrebbe pagato
al barone il censo sulla casa, mentre altre volte si diceva che mancando di
adempiere alle condizioni del contratto egli doveva soggiogare i propri beni in
modo da compensare Carlo per il censo non riscosso. Non siamo riusciti a trovare
che notizie frammentarie a proposito delle costruzioni dei villaggi di
Campobello e Resuttano. Pare che
in entrambi,i posti i dintorni fossero coltivati prima che esistessero i
villaggi. A Resuttano nel 1625,
data in cui fu concessa la licentia
populandi, esistevano un castello, un vigneto e un magazzino,101 e poi nel
feudo confinante di Irosa, che aveva fatto parte della baronia di Resuttano fino
a quando, ai primi del '600, fu venduto separatamente, c'erano un vigneto, un
magazzino e un mulino.
A
Campobello, invece, gli antecessori dei Di Napoli avevano iniziato a far
costruire delle case in mezzo ai vigneti.105 Nel 1619, quando fu comprato da
Giuseppe I Di Napoli, nel feudo di Guardiola vi erano un castello, un carcere,
un monastero cadente e molte case. Al contrario del caso di Alessandria, per
Resuttano e Campobello non ci sono pervenuti documenti tali da gettar luce
sull'attività edilizia. A
Campobello pare che molte delle case siano state costruite sulla base di patti
enfiteutici, ogni enfiteuta essendo obbligato ad edificare entro tre anni una
casa per ogni salma di terra che teneva .107 Mentre, invece, a Resuttano i
pochi edifici sorti nel primo decennio della sua esistenza ufficiale li aveva
fatti costruire direttamente Girolamo Di Napoli: e infatti nell'inventario
compilato quando mori, nel 1633, sono indicate 40 case.101 Su lungo periodo sia
Campobello che Resuttano ebbero uno sviluppo demografico piuttosto lento
rispetto a quello di Alessandria, e prima del 1651 non si facevano i «riveli»
né nell'uno né nell'altro paese. Nel
1651 la loro popolazione insieme (766 abitanti) era solo il 20% di quella di
Alessandria (3.466 abitanti).
Si
potrebbe, almeno in parte, attribuire la causa dello sviluppo languente alla
morte prematura di Girolamo Di Napoli e alla minore età del primogenito,
Giuseppe II. Pare che Elisabetta
Barresi, in quanto vedova, si sia interessata dello sviluppo di Alessandria, la
proprietà paterna, che gestiva in nome proprio, anziché di quelle del defunto
marito, che amministrava come tutrice.