IL FASCIO DEI LAVORATORI DI ALESSANDRIA DELLA ROCCA 1893-94  (Giuseppe Frisco)

 

Anche ad Alessandria della Rocca si costituì un Fascio dei lavoratori il cui presidente fu il Sig. Pietro Amorelli.
L’otto ottobre 1893 il delegato di pubblica sicurezza di Alessandria della Rocca, Ariani, informava il sottoprefetto di Bivona di una riunione in un locale privato in cui vi furono circa 70 iscrizioni. Il 15 ottobre 1893 fu issata la bandiera nazionale nella sede del Fascio, sita nei locali di un certo Ferraro Ignazio e i soci erano più di 200.

L’inaugurazione del 3 dicembre 1893, con la partecipazione di rappresentanti dei Fasci di Bivona e di Cianciana per una pubblica manifestazione, forse non ebbe luogo e la cosa si ridusse a una normale riunione.

Tuttavia, per la circostanza, furono prese opportune misure di sicurezza, poiché ad Alessandria fu inviato un drappello di 30 soldati. Nel farne relazione al Prefetto di Agrigento, il sottoprefetto di Bivona scrive addirittura che, da informazioni assunte dal delegato di P.S. Ribera, l’inaugurazione fosse stata un’invenzione, “uno stratagemma” del Sindaco Cordova per avere un distaccamento permanente di soldati sia a scopo di “commercio”, sia a scopo intimidatorio verso il Fascio e il suo Presidente “accanito oppositore dell’Amministrazione comunale, la qual cosa ha formato l’unico e precipuo scopo (del Sig. Amorelli Pietro) a dirigere il Fascio sotto le sembianze della questione agricola”.

Sempre nella stessa relazione si dice che “i comunisti (cioè gli abitanti del comune) sono contenti del sistema di mezzadria che già vi esisteva in modo che sono quasi tutti gli agricoltori tanti piccoli proprietari”. E conclude che “Il Fascio di Alessandria è alla vigilia del suo scioglimento”:

Ma una più attendibile relazione che mette in luce il carattere di questo Fascio è quella del già citato delegato di P.S. Ariani, il quale, il 22 novembre 1893, al sottoprefetto di Bidona scrive: “Questo Fascio dei lavoratori, nel quale sono iscritti circa 250 persone tra contadini e artisti(cioè artigiani) nonché n. 14 donne, tiene la sera delle riunioni nel proprio locale fino a due ore di notte.

Il Presidente Sig. Amorelli Pietro legge ai convenuti il Giornale di Sicilia, parla delle condizioni dell’agricoltura, dei patti più vantaggiosi ottenuti da alcuni proprietari nelle delle terre, e delle speranze di un migliore avvenire del contadino, generalizzandosi l’idea della mezzadria.

L’opera di detto sodalizio fin ora si è svolta nell’orbita della legalità, accenna a desideri non a pretese da conseguire con la violenza”.

E ancora il 26 novembre scrive:”Qui non si ha nessun sentore delle mene rivoluzionarie attivate per opera degli anarchici e socialisti del continente”.

Ma il 3 gennaio 1894 il Crispi decretava lo stato d’assedio nell’isola, inviando un esercito al comando del generale Roberto Morra di Lariano. I dirigenti dei fasci siciliani respinsero l’ipotesi insurrezionale e approvarono un manifesto diretto ai lavoratori siciliani dove venivano espresse, per l’ultima volta, le rivendicazioni del movimento (abolizione dei dazi sulla farina, sanzioni dei patti colonici di Corleone, espropriazione dei latifondi ecc…).

“Ma ormai si era scatenata la repressione generale. Furono sciolti i Fasci e tutte le organizzazioni dei lavoratori in Sicilia, furono operati circa 2000 arresti seguiti da numerose assegnazioni al domicilio coatto”. G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Vol. Vi, pag.437, U.E. Feltrinelli (MI).

Questa fu la risposta alle "speranze di un migliore avvenire" dei siciliani, da parte del siciliano F. Crispi, capo del governo.

Anche il Fascio di Alessandria si sciolse "volontariamente". Così riferì il delegato di P.S. il 14 gennaio 1894 al sottoprefetto.

Tuttavia, la notte tra il 15 e il 16 gennaio furono arrestati sei alessandrini: La Barbera Giuseppe di Domenico di anni 43, Savarino Filippo di Domenico di anni 44, Perricone Santo di Filippo anni 42, Ferraro Fano Paolo fu Pasquale anni 41, Valenti Filippo fu Gioacchino anni 45, Castellano Salvatore Giuseppe anni 42, i quali vennero tradotti a Porto Empedocle. Gli arresti furono eseguiti solo per ubbidienza ad un ordine superiore, poichè il delegato Ariani ne avrebbe volentieri fatto a meno. Infatti, scrive: "Era mia opinione evitare in questo comune misure di rigore, che ritenevo inopportune, sia per la debolissima azione spiegata dal Fascio dei lavoratori, che per l'indole mite e il rispetto che i cittadini hanno dimostrato alle leggi". 

Infine il 12 luglio 1894, un altro (il nuovo) delegato di P.S. scriveva al sottoprefetto che "il disciolto Fascio dei lavoratori di Alessandria componevasi di individui di idee apparentemente monastiche, anzichè socialiste ed anarchiche(...) e pare non avessero altro scopo che quello di migliorare e di proteggere gli interessi della cosa pubblica - a lor dire - non ben amministrata".

Certamente le note informative riguardanti il fascio dei lavoratori di Alessandria sono attendibili. In questi documenti di P.S., ricavate dall'archivio di Stato di Agrigento, si fa menzione di un solo episodio di agitazione nelle campagne dei feudi alessandrini. Il sottoprefetto il 26 ottobre vuol sapere se è vero che il Sig. Amorelli Pietro, Filippo Savino (o Savarino) "ed altri appartenenti al sodalizio, con la violenza vogliono imporsi alla classe dei proprietari e sulla gente onesta, forzando con minacce contadini ad abbandonare il luogo di lavoro e non riprenderlo se non ai patti che il Fascio intende dettare".

Ariani risponde che "il Presidente Amorelli Pietro ha idee pacifiche e non intende scostarsi dalla legalità. E' suo intendimento fare rispettare gli affitti in corso, ma per le nuove gabelle vorrebbe fare ottenere migliori patti con i proprietari, ed all'uopo si è messo in corrispondenza epistolare con il barone Sig. De Michele, con il Sig. Saporito e Bongiovanni da Lercara (...).

"Nullo ho inteso di minacce, violenze e pressioni, anzi lunedì volgente, saputo che alcuni del Fascio avevano scorazzato pei feudi di Pietranera e Chinesi, suscitando i contadini a desistere dal lavoro, redarguii pubblicamente (Savarino) Filippo uno dei più caldi propugnatori del sodalizio, e poi feci lagnanze con lo stesso Presidente. Ebbi però a convincermi che non vi erano state violenze o minacce per ottenere la sospensione del lavoro, come poi me ne accertai interrogando gli stessi lavoratori Baldassare Scaglione fu Antonino, Leonardo Demmi fu Giovanni e Falletta Giuseppe, i quali mi assicurarono di avere volontariamente sospeso il lavoro, senza ricevere violenza o minacce da parte del fascio". Ecco quale connotazione emerge dai verbali di P.S. intorno al Fascio di Alessandria della Rocca. Certamente nasce sull'onda di quel vasto movimento, ma qui ebbe vita effimera e dispiegò "debolissima azione", quasi un riflesso di altri più solidi movimenti, quali quello di S. Stefano Quisquina dove a guidare il fascio era una personalità come quella di Lorenzo Panepinto.

Ma ad ogni modo, non si può fare a meno di mettere in rilievo le idee e che animarono il Presidente Amorelli Pietro, o la carica emotiva di un Filippo Savarino arrestato con altri cinque, oppure l'umanità del delegato Ariani, così attento verso quel movimento, anche se di breve durata, che coinvolse centinaia di persone (circa 350), e non si può passare sotto silenzio la presenza di quelle donne. In conclusione, si può affermare che anche nel nostro paese, pur se in diversa misura che altrove, furono vissute le ansie e le speranze di quel grande movimento popolare dei Fasci siciliani.

Giuseppe Frisco (Alessandria ieri-1986)