“Il mondo contadino nel nostro passato"

Parte 11

S
i vendemmiava dal quindici al venti settembre.  Le vigne scarseggiavano.  Si invitavano i vicini di casa e i parenti.  Partecipavano volentieri sia perché la vendemmia era una giornata diversa, di canti, di gioia, di risate, di spensieratezza; sia perché ci si poteva saziare di uva che, molto spesso, non si aveva.  Si partiva a giorno fatto.  I muli trasportavano persone e "cufina, panara, panareddra".  Il sole di settembre, nelle prime ore del giorno, carezzava per l'ultima volta i bei grappoli d'uva che mani esperte, con coltelli taglienti, recidevano, facendoli cadere nei panieri.  Qualche chicco, nello strappo, andava a finire tra le zolle.  Alla fine qualcuno li raccoglieva e li mischiava ai grappoli.  Si tagliavano i fili di disa con cui erano stati legati i tralci, perché si potesse vendemmiare più agevolmente.  Qualcuno iniziava a cantare.  Le belle fanciulle sorridevano alla speranza e alla vita.  Qualcuna, fresca nel corpo e nell'anima, con le mani ai fianchi e qualche foglia larga tra i fluttuanti capelli, lunghi fin sulle spalle, si esibiva tra i filari, in brevi passi di danza.  I canti si perdevano nelle pianure e nelle vallate.  I ragazzi avevano il compito di svuotare i panieri “nni li cufina" collocati fuori dalla vigna. Per terra erano stati sistemati  tralci e foglie.  Vi si metteva l'uva buona, selezionata, da regalare ai vendemmiatori o da appendere a casa, al tetto, per consumarla in autunno.  Verso le 11:00 si smetteva, per la colazione.  Il proprietario provvedeva a tutto.  Sulla bisaccia c'erano fette di pane fresco, olive verdi condite con cipolla, olio, origano e sarde salate, Si mangiava in allegria e con appetito.  Si tornava a ultimare il lavoro.  Ogni tanto qualcuno imprecava.  Si era tagliato con il coltello o era stato punto da una vespa.  Si provvedeva a strofinargli un po' di cipolla per attutire il gonfiore.  Le vespe e le api, attratte dalla dolce uva, ronzavano caparbie e numerose vicino ai cesti ricolmi.  I muli erano pronti con il carico succoso e dolce.  Si era già lungo le viottole, vicino alle trazzere.  Chi osservava le vigne a lavoro ultimato, provava un indistinto sentimento di malinconia.  Le viti, alleggerite dai grappoli, apparivano sconfitte, devastate, saccheggiate, Se l'occhio ispezionava tra i filari, poteva scorgere qualche piccolo grappolo "lu sgangu " forse dimenticato tra le foglie o volutamente lasciato nascosto, perché lo si potesse ritrovare, a giorni.  Lungo le trazzere si incontravano i vendemmiatori.  Chi andava e chi tornava.  Si era soliti mettere a disposizione l'uva con una formula ricorrente "a favuriri". In una di quelle trazzere, un giorno di vendemmia, il signor Spoto che stava tornando con i muli carichi di uva, incontra un giovane sui venticinque anni che si recava in campagna, per la vendemmia.  Quando sono l'uno di fronte all’ altro si fermano e si salutano.  "Beddru picciottu, a favuriri ". - "grazii, zu Pé, accamora la racina è abbunnata.  Ma chi ffá ummi canusci chiù?  ". Lu ziu Peppi cerca di andare a ritroso nel tempo, a scandagliare nella memoria.  Inutilmente.  Il giovane allora esclama: "I sugnu Pitrineddru!  Ma ora li scarpi l'aiu!  " E mostra con orgoglio all'anziano contadino gli scarponi sodi, impolverati, legati stretti con doppi lacci di cuoio.  All'entrata del paese i ragazzi sciamavano come vespe.  A frotte, quando avvistavano qualcuno che stava arrivando con il carico d'uva, gli si facevano incontro e con tono aggraziante chiedevano: "Zì, mi l'avaddari na rappuzza di racina!  " Qualche volta la richiesta veniva soddisfatta, altre no.  E allora prendevano di mira l'ultimo mulo legato a quello di davanti, lontano dal conducente, e a saltelli cercavano di afferrare i grappolì che nell'urto e nello scarto dell'animale che si adombrava, si spappolavano; in parte andavano a finire per terra, tra la polvere.  I ragazzi si dileguavano velocissimi, sottraendosi alla vista del proprietario che, con cipiglio minaccioso e con il pugno all'aria, continuava a imprecare: "Si v’ incagliu” (se vi prendo!!!).  "A lu trappitu" si provvedeva a macinare l'uva e a casa si metteva il mosto nelle botti, sistemate in un angolo, su due tripodi di legno.  Alla fine di settembre, nel cielo comparivano grosse nuvole bianche che man mano si addensavano, diventavano sempre più minacciose.  Folate di vento staccavano dagli alberi e dalle viti le foglie ormai vizze.  Le rondini, in fila, erano pronte a ripartire. Stava arrivando l'autunno.