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I medici giocarono un ruolo cruciale ad Auschwitz. Partecipavano in sostanza a tutte le selezioni, decidevano della vita e della morte dei pazienti delle baracche infermeria (finendo i più deboli con iniezioni di fenolo), e, in effetti, si affollarono per farsi assegnare ad Auschwitz per via dell’abbondanza di materiale sperimentale umano che era disponibile al Blocco 10. Questi medici tedeschi salvarono la vita di molti internati che erano medici, solitamente non per pietà ma per arruolarli come collaboratori nei loro esperimenti su cavie umane.

 

La storia di Auschwitz è riassunta dalle vite, azioni ed esperienze di due dottori che vi lavorarono, il dott. Josef Mengele e il dott. Ernst B.

 

 

 

Il dott. Mengele

 

Nato nel 1911, era il maggiore dei tre figli maschi di Karl Mengele, un imprenditore. Raffinato, intelligente, e famoso nella sua città, Josef studiò filosofia a Monaco e medicina a Francoforte sul Meno. Nel 1931, s’iscrisse ad un gruppo paramilitare; nel 1935, la sua tesi trattò delle differenze razziali nella struttura della mandibola inferiore. Nel 1937, s’iscrisse al partito nazista, e nel 1938 entrò nelle SS. Nel 1942 fu ferito sul fronte russo e fu dichiarato inabile al servizio. L’anno seguente, fece domanda di assegnazione ai campi di concentramento e fu mandato ad Auschwitz.

 

Mengele cominciò le sue ricerche sui gemelli, e setacciava ogni convoglio in arrivo alla ricerca di questi soggetti; essi sfuggivano al gas ma divenivano l’oggetto di orrendi esperimenti cui molti non sopravvissero. Mengele fece uccidere parecchi dei suoi soggetti per poterli sezionare, oppure se ne disfava quando s’indebolivano o non ne aveva più bisogno. Mengele era ossessionato dalla diatriba "ambiente versus natura"; voleva dimostrare che l’ereditarietà significava tutto, e l’ambiente nulla. Tra i suoi interessi vi erano il colore degli occhi, il gruppo sanguigno, e il noma, la malattia che lasciava buchi vuoti nelle guance dei bambini zingari internati.

 

 

Il dott. Jancu Veckler:

 

Nel settembre del 1943 arrivai al campo zingari di Birkenau. Lì vidi un tavolo di legno con sopra bulbi oculari. Tutti erano etichettati con numeri e brevi appunti. Erano giallo pallido, azzurri, verdi e viola.

 

Anatomia, pag. 326.

 

 

L’ex-internata Hani Schick, madre di gemelli che fu sottoposta ad esperimenti insieme ai suoi bambini, testimoniò che il 4 luglio 1944, su istruzioni di Mengele, furono effettuati prelievi di sangue sui suoi bambini in quantità tali che la procedura terminò con la morte sia del bambino sia della bambina.

 

Anatomia, pag. 324.

 

 

In (un) caso in cui una madre non voleva essere separata dalla sua figliola di tredici o quattordici anni, e morse e graffiò il viso dell’SS che cercava di infilarla a forza nella fila cui era stata assegnata, Mengele tirò fuori la pistola e sparò alla madre e alla bambina. Come ulteriore punizione, mandò in gas tutte le persone di quel trasporto che erano già state selezionate per il lavoro, commentando "via questa merda!".

 

Lifton, pag. 343.

 

 

I prigionieri "marciavano davanti a lui con le braccia levate in aria," ci dice il dott. Lengyel, "mentre lui continuava a fischiettare Wagner -- o poteva essere Verdi o Johann Strauss. Ostentava un distacco manierato..."

 

Più apertamente, ci sono molti racconti di come colpiva le persone con il suo lungo frustino da cavallo, in un caso facendolo scorrere sui tatuaggi sul petto delle donne russe, come una sopravvissuta polacca ha descritto, "e poi colpendole lì", per nulla "eccitato, ma... casuale, ... semplicemente giocando un po', come se fosse un pochino buffo."

 

Lifton, pag. 344.

 

 

La passione di Mengele per la pulizia e la perfezione si riversavano in un’estetica della selezione; mandava in camera a gas persone con piccoli difetti sulla pelle, o quelle con piccoli ascessi o cicatrici d’appendicectomie. "I miei due cugini furono mandati a morte da Mengele davanti ai miei occhi perché avevano piccole ferite sul corpo," fu il modo in cui lo raccontò un sopravvissuto.

 

Lifton, pag. 345.

 

 

Mengele alimentò la sua leggenda drammatizzando le sue politiche omicide, come il suo tracciare una linea sul muro del blocco dei bambini, tra i 150 e i 156 centimetri dal pavimento, e mandando in gas quelli il cui capo non arrivava a raggiungere la linea.

 

Lifton, pag. 346.

 

 

Mengele uccideva anche in modo diretto. Fu osservato mentre praticava le iniezioni di fenolo, sempre in modo professionalmente corretto... Mengele sparò anche a un certo numero di prigionieri, e fu testimoniato che uccise almeno una volta calpestando il corpo di una donna.

 

Lifton, pag. 347.

 

 

Questo dualismo -- una sconcertante combinazione di affetto e violenza -- mi è stata costantemente descritta. La sopravvissuta polacca, ad esempio, lo definì "impulsivo... (di) carattere collerico,", ma "nell’atteggiamento verso i bambini (gemelli)... tenero come un padre..." ... I gemelli lo chiamavano spesso "Zio Pepi", e altri gemelli raccontarono come Mengele portasse loro caramelle e poi li invitasse a fare un giro con la sua macchina, che poi risultò essere "una piccola gita con lo Zio Pepi, alla camera a gas." Simon J. spiegò succintamente: "poteva essere amichevole e uccidere."

 

Lifton, pag. 355.

 

 

 

Il 18 gennaio 1945, quando arrivò l’Armata Rossa, Mengele fuggì da Auschwitz. Catturato in giugno, trascorse del tempo in due campi di prigionia controllati dagli Stati Uniti, nei quali non fu identificato come criminale di guerra. Infine evase e riuscì a raggiungere l’Argentina. Visse nascosto là, in Paraguay e in Brasile, fino al 24 gennaio 1979, quando annegò nuotando nell’oceano a Bertioga, in Brasile.

 

Anatomia, pagg. 329-331.

 

 

 

Il dott. Ernst B.

 

Questo medico rimasto anonimo, che fu intervistato a lungo da Lifton, si rifiutò di partecipare alle selezioni, non condusse esperimenti dannosi, e salvò le vite di molti pazienti e internati. Dopo la guerra, fu assolto dall’accusa di aver commesso crimini di guerra e ostinatamente difeso dagli ex-internati, alcuni dei quali rifiutarono persino di identificarlo per le autorità. Era un giovane medico generico nel 1939, quando la guerra cominciò. Si arruolò nelle SS e fu infine mandato ad Auschwitz alla metà del 1943. Sapendo poco dei campi, portò con sé la moglie. Quando espresse il suo orrore alla vista dei prigionieri emaciati, un suo buon amico, il dott. Bruno Weber, gli disse di mandare la moglie a casa ma che, se fosse rimasto, avrebbe potuto lavorare in modo indipendente dalla gerarchia SS del campo.

 

 

Weber quindi gli espose "quasi con ironia" la verità centrale di Auschwitz, usando il termine ufficiale "Soluzione Finale del problema ebraico": "egli (Weber) disse, ‘se vuoi sapere come funziona, va a vedere fuori della finestra. Vedrai... due grandi ciminiere... Il tipo di produzione normale di questa macchina... è di mille uomini in ventiquattr’ore."

 

Lifton, pag. 305.

 

 

 

B. alla ricerca di un amico ebreo

 

Un ex-internato medico, Michael Z., mi raccontò di come era rimasto sorpreso quando Ernst B. entrò di corsa nel laboratorio "cerca(ndo) un amico ebreo. Mi chiese, a voce piuttosto alta... ‘Conosci Cohen?’ Gli dissi, ‘(Per cortesia) si calmi, lei non ha il diritto di parlare così. Il dott. Z. Mi spiegò perché riteneva necessario proteggere il dott. B. facendolo calmare e, di conseguenza, proteggere anche se stesso... Ma allo stesso tempo Z. era rimasto profondamente commosso dalla ricerca del dottore delle SS: "Capii che era un uomo con un animo diverso... che era capace di sentimenti umani... perché non si era mai sentita né vista una SS pronunciare il nome di un amico ebreo."

 

Lifton, pag. 306.

 

 

 

"...semplicemente non poteva farlo - ne era psicologicamente incapace

 

Ma B., quando fu ripetutamente avvicinato da Wirths, fornì una serie di ragioni per il suo rifiuto: che aveva troppo lavoro, che lo trovava incompatibile con i suoi compiti, e che semplicemente non poteva – ne era psicologicamente incapace – farlo.

 

Lifton, pag. 308.

 

 

 

Protegge e salva gli internati

 

Una volta superata la sua crisi con le selezioni, il dott. B. non ebbe grosse difficoltà ad Auschwitz. Consolidò un numero notevole di rapporti con prigionieri medici... Quando si ammalavano si occupava delle loro medicine e cure generali, e li visitava personalmente. Li aiutò a mandare messaggi e ad organizzare incontri con mogli o amici in altre parti del campo. Contribuì alla loro sopravvivenza tenendoli costantemente informati sui diversi piani e correnti di Auschwitz. E salvò direttamente delle vite in altri modi: proteggendo i medici prigionieri dalle selezioni, trovandoli e salvandoli dalla camera a gas quando erano stati selezionati, e con esperimenti benigni...

 

Lifton, pag. 315.

 

 

 

La sua amicizia con Mengele

 

Il dott. B. ricordava Mengele come "premuroso", "un camerata veramente bravo"... e ammirevole nelle sue "aperte ammissioni di simpatia e antipatia..."

 

Quando richiamai la questione degli esperimenti di Mengele su esseri umani, B. balzò alla difesa del suo amico: gli esperimenti su esseri umani erano "una questione relativamente minore" ad Auschwitz; i bambini (che costituivano la maggior parte delle coppie di gemelli che Mengele studiava) avevano poche possibilità di sopravvivere ad Auschwitz, ma Mengele si accertava che fossero ben nutriti ed accuditi... E quando chiesi a B. se avrebbe cambiato idea, se io gli avessi presentato prove numerose della pratica di Mengele di mandare occasionalmente uno o entrambi i gemelli in gas, B. rispose senza esitare di no, "perché nelle condizioni di Auschwitz si deve pur sempre affermare che gli esperimenti di Mengele non erano forme di crudeltà."

 

Lifton, pag. 321.

 

 

 

Evacuato a Dachau, dà una pistola ai dottori ebrei

 

Con l’avvicinamento degli eserciti alleati, discusse con i medici prigionieri le loro possibili vie di fuga dal controllo nazista, compresa l’idea di far avere loro uniformi delle SS. Poi strinse loro la mano e "disse loro addio in modo molto amichevole", e come ultimo atto prese una pistola dal suo cassetto e la diede ad uno di loro perché si proteggessero.

 

Lifton, pag. 326.

 

 

 

Eppure egli è comunque un nazista

 

Al termine dell’intervista, nel confrontare il periodo nazista con il presente, egli affermò che, nonostante la "piena liberalizzazione" di oggi, c’è un’assenza di "ideali per la gioventù", una "mancanza di impegno", che porta a "condizioni caotiche" e all’assenza di una "comunità coerente." I nazisti avevano "esagerato" in direzione opposta, egli ammise, ma nei "metodi (decisamente) primitivi" c’era "qualcosa di giusto", qualcosa che "andava bene con i nazisti."

 

Lifton, pag. 330.

      

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