Una politica senza qualità

Di Domenico Jervolino 

Apriamo un nuovo anno di vita della nostra rivista registrando ulteriori "aggiustamenti" del quadro politico italiano: una crisi di governo pilotata per un rafforzamento in termini immediati della premiership, rinviando al domani i nodi più spinosi; il congresso, anch’esso blindato da una regia "forte" sia pure nel quadro di un pensiero "debole", dei Ds, ex Pci, ex Pds, che sono riusciti per ora a non perdere la esse finale; le grandi manovre per determinare alleanze ed equilibri con cui affrontare, da parte delle varie forze politiche che vivono sempre più sul piano dell’immagine, la fine della legislatura e le nuove elezioni politiche, passando per la tappa delle regionali e l’incognita dei referendum. In altri tempi, uno scenario del genere avrebbe forse suscitato passioni e interesse. Oggi, francamente, anche chi è abituato da lungo tempo a seguire e commentare le vicende politiche, non può nascondere di vedere uno spettacolo che prosegue tutto chiuso in se stesso e sempre meno appassionante. E’ il baco dell’indifferenza, dello svuotamento di senso dell’agire politico, che produce certamente più danni del tanto chiacchierato millenium bug.

Il nostro paese sembra proseguire, continuando la lunga crisi della prima Repubblica, una interminabile transizione verso una meta di cui sono svaniti per la strada i connotati precisi. Verso dove andiamo, verso quale tipo di equilibrio sociale e politico, è una domanda alla quale ormai è difficile rispondere.

Un tempo, si parlava di processi che avrebbero condotto a una "democrazia compiuta", alla realizzazione di un sistema fondato sull’alternanza di soggetti politici pienamente legittimati a candidarsi al governo del paese, entro una sostanziale solidità dell’impianto complessivo della vita politica. Ma di questa storica trasformazione non si vedono ancora i presupposti, che dovrebbero consistere in una diffusa e condivisa accettazione dei valori di base e delle regole generali che presiedono ai processi democratici e in un conseguente riconoscimento reciproco degli attori politici e sociali sulla base di quel consenso di fondo.
 
 

Sul tema della necessità di una crescita e di un consolidamento della democrazia italiana, pur con una diversità di accentuazioni, si potrebbero registrare convergenze significative fra molti illustri personaggi e protagonisti dell’Italia del secondo Novecento di diversa ispirazione ideale: Moro, Dossetti, Berlinguer e, ancora oggi, tra i grandi vecchi della Repubblica, Bobbio, Foa, Ingrao. Versioni assai differenti (spesso differenti anche nelle fasi diverse del pensiero dello stesso personaggio) di un progetto di espansione della democrazia nel nostro paese, soprattutto con una diversa sottolineatura dei temi dell’alternanza e dell’alternativa, ma versioni che, nonostante le loro differenze, però si basavano sempre su un concetto alto della democrazia e sulla sostanziale fedeltà all’eredità della Resistenza, anche questa diversamente interpretata, ma comunemente accettata.

Non voglio entrare adesso nel merito delle differenze e delle proposte che rispondono ai diversi nomi che ho citato: è evidente che le idee che perseguiamo non coincidono con quelle di tutti i nomi elencati e che anche le posizioni più vicine richiederebbero delle chiose e degli sviluppi. Il tema dell’espansione della democrazia in un mondo globalizzato e in una prospettiva in cui si incontrano analisi delle classi, critica sociale e fondazione dei diritti rappresenta del resto non da ora uno dei filoni di ricerca di questa rivista e degli organismi culturali ad essa collegati (Il filo d’Arianna, il Cred, Punto Rosso, ecc.).

Ciò che voglio invece qui sottolineare è un’altra cosa. Se guardiamo al panorama politico attuale, come non registrare un penoso divario fra quei discorsi alti che sembrano lontanissimi nel tempo, e la realtà attuale della politica italiana che pure pretende di essere impegnata a fare dell’Italia un paese normale ed "europeo"? La politica italiana di oggi sembra essere una politica "senza qualità". Il ceto politico che attualmente occupa la grande maggioranza delle postazioni istituzionali manca di riferimenti comuni che non siano il diffuso chiacchiericcio sulla necessità di riforme non meglio precisate (con sullo sfondo le banalità del neoliberismo più o meno temperato). Esso ha clamorosamente fallito nel tentativo temerario di riscrivere la Costituzione della Repubblica italiana. Quest’ultima nacque come frutto di un compromesso difficile, imposto da eventi storici tragici e grandiosi, tra grandi forze popolari che ormai non esistono più. Comunque la Costituzione, tuttora vigente ma continuamente attaccata nei suoi principi e non solo nella parte relativa all’organizzazione dello stato, è riuscita a offrire un quadro di riferimento a mezzo secolo di vita della nostra comunità nazionale. Poteva essere migliorata, si è cercato invece di stravolgerla e di eroderne le fondamenta, senza riuscire a produrre nulla di meglio.

Non ci si può certamente meravigliare se questo ceto politico, privo di una legittimazione ideale, intanto, non gode del rispetto diffuso della gente né è capace di rispettare se stesso, anche per una incomprensibile oscillazione nei rapporti fra le maggiori forze politiche, tra fasi di insulti tempestosi in cui l’avversario viene dipinto come un pericolo pubblico e fasi di amoreggiamenti consociativi dove lo stesso avversario viene presentato come un potenziale padre della patria e co-fondatore di una nuova repubblica. Detto in altri termini, più consoni alla cultura massmediologica dominante: i rapporti fra i leader politici attuali oscillano fra le cene concluse dai patti della crostata e le comiche delle torte in faccia, col risultato di una complessiva perdita di credibilità..
 
 

Eppure, la politica non si presta ad essere ridotta a teatro e la posta in gioco nei prossimi mesi non è per nulla senza valore: non si tratta di sapere se si affermerà il centro sinistra, con o senza trattino, e se esso sarà guidato da D’Alema, oppure da Amato, Veltroni o da qualche altro outsider. Se, a prezzo di nuovi equilibrismi, il polo di centro-destra si rialleerà con Bossi oppure se e come i referendum radicali, e non solo radicali, entreranno nel gioco politico (e saranno gestiti da questo o da quello) o se si trasformeranno, infine, in mine vaganti, non più controllabili da nessuno. Sono tutte questioni che hanno un loro più o meno grande rilievo politico, benché il modo con cui esse sono quotidianamente presentate, dibattute, cucinate e ricucinate sembra fatto proprio per ridurle a problemi privi di senso o comunque lontani dal comune sentire della gente.

Ma dietro a tali questioni si nasconde, non esplicitato o volutamente occultato, un problema più grande e ai nostri occhi assai più decisivo: proseguirà pressoché indisturbata l’omologazione della società italiana e delle sue istituzioni al modello imposto dal neoliberismo americanizzante che sembra (sembra, ma non è) senza rivali nel mondo d’oggi? Deregulation, ideologia del mercato e del profitto, deperimento dello stato sociale, controllo neo-imperiale del mondo, che non impedisce, anzi contribuisce a diffondere il flagello delle tante guerre locali e dei conflitti etnici, e last but not least, deterioramento del pianeta terra e dissipazione delle sue risorse: a tutto ciò occorre saper offrire qualche risposta, almeno nel senso di una praticabile resistenza.

Queste risposte sono dovute alle vittime e agli oppressi di tutto il mondo, ma sono anche le risposte che possono far rinascere nei giovani e nei meno giovani il gusto per l’agire politico. Esse definiscono anche l’agenda di una politica d’alternativa sempre più necessaria, oggi forse per la prima volta possibile a livello cosmo-politico. Non riusciamo a intravedere nessuna discriminante fra destra e sinistra oggi, che non sappia dire e fare qualcosa che vada in tale direzione.