Il pittore Martino Bonfini, tra il 1610 e il 1611, ha dipinto la Cappella dell’Apparizione del Santuario dell’Ambro, narrandovi i momenti salienti della vita della Madonna e raffigurandovi Profeti e Sibille tutto intorno. Egli è stato guidato nel suo lavoro da una chiara concezione teologica: ha voluto rappresentare le profezie bibliche e pagane relative alla Madonna e il loro compimento nelle varie fasi della vita di lei.
Ma in ciò il Bonfini non fu originale, perché si ispirò sicuramente al rivestimento marmoreo della S. Casa di Loreto, che quell’alta concezione esprime in sovrane forme scultoree, e forse anche al Pomarancio che, fra il 1605 e il 1610, affrescando la Sala del Tesoro loretano, ripeteva, proprio in quegli anni, l’idea teologico-figurativa del rivestimento marmoreo.
Ciò che sorprende nel Bonfini è il fatto che egli, mentre dedica solo quattro spazi alla raffigurazione di altrettanti Profeti (Mosè, Salomone, Geremia e David), riserva ben dodici riquadri alla rappresentazione di altrettante Sibille, otto disposte a cerchio sulla volta, di piccole dimensioni, e quattro dipinte sulle pareti quasi a grandezza naturale (Cumana, Eritrea, Ellespontica e Agrippa).
Nel rivestimento marmoreo della S. Casa di Loreto la disposizione delle figure di Profeti e Sibille e delle scene della vita di Maria è artisticamente e teologicamente più persuasiva, giacché a ogni statua di Profeta, collocata in una nicchia in basso, corrisponde in alto, in altra nicchia, la statua di una Sibilla, in una simmetria di concetti e di forme tipicamente rinascimentale.
Non è che il Bonfini, rappresentando
dodici Sibille di fronte a quattro Profeti, volesse attribuire maggiore
importanza alle antiche veggenti, perché egli, assai probabilmente,
è stato indotto a una simile ripartizione soltanto da esigenze decorative,
pago di realizzare una simmetria teologico-pittorica nelle quattro figure
di Profeti, posti a fronte delle quattro figure grandi di Sibille. Le piccole
figure delle altre otto Sibille sulla volta, pertanto, debbono considerarsi
elementi decorativi nell’intera economia artistica dell’opera.
Tuttavia, l’osservatore comune spesso non
sa spiegarsi perché mai le Sibille, profetesse del paganesimo, siano
entrate a far parte di certe costruzioni teologiche del cristianesimo.
Qui non intendiamo affrontare il problema di fondo sulla esistenza storica
delle Sibille, ammessa da alcuni e negata da altri per le spesse incrostature
mitiche che le respingono nella sfera della leggenda; vogliamo solo ricordare
che i Padri della Chiesa, a cominciare dal Pastore di Erma fino a S. Clemente
Alessandrino, a Origene, a Lattanzio e a Sant' Agostino, non solo non dubitarono
dell’esistenza delle Sibille, ma le considerarono inconsapevoli profetesse
dell’avvento di Cristo, fino a che, specie nel Medioevo, non furono addirittura
equiparate ai Profeti biblici. Lo testimonia un noto verso del Dies irae:
"teste David cum Sibilla". Cioè, il Profeta David e la Sibilla sono
elevati al ruolo di testimoni nel giorno del Giudizio universale.
Di qui l’enorme fortuna delle Sibille nell’arte cristiana che, abitualmente in numero di 10, le raffigurò più volte nel Medioevo e nel Rinascimento, fino ai fastigi supremi dell’arte di Raffaello, che le dipinse nelle Stanze Vaticane, e di Michelangelo, che le rappresentò nella Cappella Sistina.
A ogni Sibilla si attribuiva un detto profetico,
riferito a Cristo o alla sua Vergine Madre. Ad esempio, alla Sibilla Ellespontica
veniva messo in bocca questo vaticinio: "Una vergine, predestinata dalla
divinità, partorirà un figlio sfolgorante di luce"; l’Eritrea
(proveniente da Eritre, nell' Asia Minore), avrebbe pronunciato questa
frase: "Dal cielo verrà un futuro re dei secoli, che una vergine
ebrea, di nobile stirpe, porterà" e la Cumana, la più celebre
di tutte per essere entrata nel poema di Virgilio, avrebbe così
profetato: "Allora Dio, dall’alto Olimpo, invierà un re, e una sacra
vergine nutrirà col suo latte il re dell’eterna milizia".
E’ ovvio che si tratta di vaticini spurii,
cioè inventati o, per lo meno, sostanzialmente aggiustati nell’era
cristiana (e in tempi neppure tanto remoti). Ma il fatto rivela una profonda
concezione cristiana, che intende coinvolgere nell’avvento di Cristo tutta
la storia, sacra e pagana, anche questa tesa a realizzare inconsapevolmente,
per un misterioso disegno di Dio, l’era messianica della salvezza, che
trova in Cristo il punto di arrivo e di partenza di tutta la storia umana.