Le sibille dell' Ambro
di p. Giuseppe Santarelli
 

Il pittore Martino Bonfini, tra il 1610 e il 1611, ha dipinto la Cappella dell’Apparizione del Santuario dell’Ambro, narrandovi i momenti salienti della vita della Madonna e raffigurandovi Profeti e Sibille tutto intorno. Egli è stato guidato nel suo lavoro da una chiara concezione teologica: ha voluto rappresentare le profezie bibliche e pagane relative alla Madonna e il loro compimento nelle varie fasi della vita di lei.

Ma in ciò il Bonfini non fu originale, perché si ispirò sicuramente al rivestimento marmoreo della S. Casa di Loreto, che quell’alta concezione esprime in sovrane forme scultoree, e forse anche al Pomarancio che, fra il 1605 e il 1610, affrescando la Sala del Tesoro loretano, ripeteva, proprio in quegli anni, l’idea teologico-figurativa del rivestimento marmoreo.

Ciò che sorprende nel Bonfini è il fatto che egli, mentre dedica solo quattro spazi alla raffigurazione di altrettanti Profeti (Mosè, Salomone, Geremia e David), riserva ben dodici riquadri alla rappresentazione di altrettante Sibille, otto disposte a cerchio sulla volta, di piccole dimensioni, e quattro dipinte sulle pareti quasi a grandezza naturale (Cumana, Eritrea, Ellespontica e Agrippa).

Nel rivestimento marmoreo della S. Casa di Loreto la disposizione delle figure di Profeti e Sibille e delle scene della vita di Maria è artisticamente e teologicamente più persuasiva, giacché a ogni statua di Profeta, collocata in una nicchia in basso, corrisponde in alto, in altra nicchia, la statua di una Sibilla, in una simmetria di concetti e di forme tipicamente rinascimentale.

Non è che il Bonfini, rappresentando dodici Sibille di fronte a quattro Profeti, volesse attribuire maggiore importanza alle antiche veggenti, perché egli, assai probabilmente, è stato indotto a una simile ripartizione soltanto da esigenze decorative, pago di realizzare una simmetria teologico-pittorica nelle quattro figure di Profeti, posti a fronte delle quattro figure grandi di Sibille. Le piccole figure delle altre otto Sibille sulla volta, pertanto, debbono considerarsi elementi decorativi nell’intera economia artistica dell’opera.
Tuttavia, l’osservatore comune spesso non sa spiegarsi perché mai le Sibille, profetesse del paganesimo, siano entrate a far parte di certe costruzioni teologiche del cristianesimo. Qui non intendiamo affrontare il problema di fondo sulla esistenza storica delle Sibille, ammessa da alcuni e negata da altri per le spesse incrostature mitiche che le respingono nella sfera della leggenda; vogliamo solo ricordare che i Padri della Chiesa, a cominciare dal Pastore di Erma fino a S. Clemente Alessandrino, a Origene, a Lattanzio e a Sant' Agostino, non solo non dubitarono dell’esistenza delle Sibille, ma le considerarono inconsapevoli profetesse dell’avvento di Cristo, fino a che, specie nel Medioevo, non furono addirittura equiparate ai Profeti biblici. Lo testimonia un noto verso del Dies irae: "teste David cum Sibilla". Cioè, il Profeta David e la Sibilla sono elevati al ruolo di testimoni nel giorno del Giudizio universale.

Di qui l’enorme fortuna delle Sibille nell’arte cristiana che, abitualmente in numero di 10, le raffigurò più volte nel Medioevo e nel Rinascimento, fino ai fastigi supremi dell’arte di Raffaello, che le dipinse nelle Stanze Vaticane, e di Michelangelo, che le rappresentò nella Cappella Sistina.

A ogni Sibilla si attribuiva un detto profetico, riferito a Cristo o alla sua Vergine Madre. Ad esempio, alla Sibilla Ellespontica veniva messo in bocca questo vaticinio: "Una vergine, predestinata dalla divinità, partorirà un figlio sfolgorante di luce"; l’Eritrea (proveniente da Eritre, nell' Asia Minore), avrebbe pronunciato questa frase: "Dal cielo verrà un futuro re dei secoli, che una vergine ebrea, di nobile stirpe, porterà" e la Cumana, la più celebre di tutte per essere entrata nel poema di Virgilio, avrebbe così profetato: "Allora Dio, dall’alto Olimpo, invierà un re, e una sacra vergine nutrirà col suo latte il re dell’eterna milizia".
E’ ovvio che si tratta di vaticini spurii, cioè inventati o, per lo meno, sostanzialmente aggiustati nell’era cristiana (e in tempi neppure tanto remoti). Ma il fatto rivela una profonda concezione cristiana, che intende coinvolgere nell’avvento di Cristo tutta la storia, sacra e pagana, anche questa tesa a realizzare inconsapevolmente, per un misterioso disegno di Dio, l’era messianica della salvezza, che trova in Cristo il punto di arrivo e di partenza di tutta la storia umana.