Sono trascorsi oltre settant’anni da quando due archeologi scoprirono in Egitto l’ormai mitica tomba del faraone Thot-Ank-Amon. Era il lontano 1922 e da allora il fascino di questa terra misteriosa e leggendaria non si è mai spento. Una scoperta tanto straordinaria, unica nel suo genere se si esclude la spedizione napoleonica del 1798, si materializzò immediatamente in montagne di carta stampata. L’uomo della strada divorò la notizia con avidità, ma gli addetti ai lavori non gli furono da meno. Da quel giorno l’Egitto si trasformò in terreno di caccia per ogni sorta di avventurieri, fossero colti studiosi o semplicemente amanti del rischio e cacciatori di tesori sepolti sotto la sabbia del deserto. Il cinema, allora ai propri albori di moderna Musa, non tardò a impadronirsi della vicenda, soprattutto dopo che alcuni membri della spedizione titolare della scoperta erano morti in circostanze contornate dal mistero. S’iniziò a parlare di una maledizione che aveva resistito ai millenni colpendo i profanatori delle tombe, una sorta di oscuro rito esoterico che aveva attraversato le epoche per uccidere gl’incauti e i saccheggiatori.


La maschera di Tut-Ankh-Amon.


Sullo sfondo Boris Karloff (la Mummia) e Zita Johann (Helen), in primo piano Noble Johnson (il servo nubiano) - dal film della Universal "La Mummia" del 1932.

Fu in quel preciso momento che il mito della Mummia potè vedere la luce. Avventura cinematografica senza precedenti, seconda per notorietà soltanto alla saga del Vampiro, ebbe nell’attore inglese Boris Karloff il suo primo e inquietante simbolo di celluloide. Il regista Karl Freund, uno dei pionieri dell’Empressionismo tedesco emigrato, come molti connazionali, negli USA all’avvento del nazismo, diresse Karloff nel 1932 garantendo con la propria maestria e il supporto di un valido cast il grande successo ottenuto dalla pellicola.

Nelle sale di tutto il mondo l’alta figura di Karloff e la sua tipica voce blesa divennero l’immagine vivente di Imhotep, l’antico sacerdote riportato in vita da una magica formula scritta sul papiro dissepolto insieme alla sua mummia. Imhotep, innamorato di Ankh-es-en-Amon, figlia di Amon-Ofis il Magnifico (si tratta probabilmente del famoso faraone poeta, eretico e scismatico, salito al trono nel 1372 a.C. Divenuto Akhenaton dopo lo scisma, sposa Nefertiti e ha con lei sei figlie, una delle quali dovrebbe essere la famosa Ankhesenamon, la vedova di Tutankhamon) e quasi impazzito per la morte di lei, cerca di riportarla alla vita con un antico rito proibito ma, scoperto, viene condannato a essere sepolto vivo e vegliarla per l’eternità. Dopo 3000 anni il resuscitato Imhotep, divenuto nel frattempo Ardath Bey, ritrova l’antico amore reincarnato in una giovane inglese e decide di farla sua per sempre ma...

Sin qui la storia originale, un film oggi considerato una delle migliori pellicole horror di tutti i tempi, mitizzato quanto più possibile dai cultori del cinema di qualità, ma che dire della Mummia moderna? Il regista Stephen Sommers, probabilmente affascinato dall’idea originaria di una mummia vendicatrice che non esita a uccidere per riprendersi l’amore perduto, nel 1998 rispolvera l’idea di Freund e produce l’ultimo kolossal sul mito della resurrezione, un film spettacolare ricco di effetti speciali e curatissimo nella scenografia.


John Hannah e Rachel Weisz.

Dopo quattro mesi di estenuanti riprese tra Londra, Marocco e deserto del Sahara, la pellicola esce nelle sale americane, conquista il pubblico e incassa 270 miliardi. Interpretata dall’ex cover boy Brendan Fraser (Rick) che grazie a questo film diventerà il nuovo sex symbol di Hollywood, dalla bella Rachel Weisz (Evelyn) nel ruolo che fu di Zita Johann, dall’ex elettricista scozzese John Hannah (Jonathan) e dall’affascinante attore sudafricano Arnold Vosloo (Imhotep), questa Mummia di fine millennio è uno dei pochi film della stagione che valga veramente il battage pubblicitario organizzato per lanciarne l’uscita.


Brendan Fraser.


Rachel Weisz e Arnold Vosloo.


Patricia Velasquez (Anck-Su-Namun).

Sorretta da una solida regia e dall’intrigante colonna sonora composta da Jerry Goldsmith, la Mummia di Sommers presenta molte differenze rispetto alla sua blasonata antenata; innanzitutto lo sfondo della vicenda che vede Imhotep innamorato non della figlia di Amon-Ofis bensì della felina e tatuata amante del faraone Seti I (un discreto salto temporale. Si tratta del figlio di Ramsete I e la sua collocazione avviene quarantatré anni dopo il regno di Amon-Ofis IV) insieme alla quale ne complotta l’uccisione, il personaggio del legionario Rick, assente nella pellicola di Freund, il ruolo di Evelyn, non più reincarnazione di Anck-Su-Namun ma soltanto un mezzo per riportarla in vita, il ciclo delle piaghe, i guerrieri Mumia che vegliano su Hamunaptra, città inesistente nell’originale, solo per citarne alcune. A parte la multimedialità, le frequenti e godibili battute, l’aria sorniona e divertita dei personaggi, questa pellicola resta un lavoro enorme che ha messo a dura prova i nervi dell’intero cast, basti pensare alle temperature torride e le tempeste di sabbia con le quali sono stati girati molti degli esterni e la non piacevole compagnia di serpenti, scorpioni e insetti d’ogni tipo. È quindi evidente come tutti abbiano profuso al massimo le forze per realizzare un film che, senza bisogno di sesso e volgarità oggi sin troppo comuni nelle pellicole d’ogni genere, ha meritato il grande successo ottenuto e in più ha avuto il merito di aver fatto riscoprire una terra splendida e affascinante giustamente consacrata al mito.

Lena Chiarini


© 1999 Rita Carla Francesca Monticelli