I paradigmi hyper

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I paradigmi hyper
Vi sono numerosi paradigmi esplicativi che fanno propria l'idea di una testualità aperta e reticolare e, più in generale, vi sono veri e propri  modelli e teorie culturali che creano un retroterra favorevole all'emergere dei concetti di rete ed ipertesto; questi modelli e teorie cercano di rovesciare la tradizione culturale occidentale che, dall'idealismo in poi, si è nutrita di dicotomie, separazioni, contrapposizioni, cercando di far emergere le interazioni fra i diversi aspetti della realtà; in questa prospettiva il sapere non viene più visto come una serie di ambiti nettamente distinti, ma come una rete, un insieme di elementi necessariamente in simbiosi, come un testo globale. Ci ritroviamo all'interno di una sorta di epistemologia della rete, di quella corrente di pensiero contemporanea che ha cercato di ridefinire e ridisegnare i confini della cultura, elaborando modelli e paradigmi interpretativi centrifughi, tridimensionali, reticolari, a loro modo hyper.

Un esempio radicale di concezione reticolare della cultura, intesa in senso antropologico, si ha nella teoria della trama che connette di Gregory Bateson per il quale "la mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo: essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo" (Bateson, 1976), pertanto, per l'antropologo americano, ogni individuo è unito a livello mentale con la fonte delle sue informazioni attraverso ciò che quell'informazione veicola, ovvero il medium, infatti poi aggiunge che "il mondo mentale, la mente, il mondo dell'elaborazione dell'informazione non è delimitato dall'epidermide... c'è un sacco di canali di informazione fuori dall'epidermide, e questi canali e i messaggi da essi trasportati devono essere considerati parte del sistema mentale ogni volta che siano pertinenti... vi è una più vasta Mente di cui la mente umana è un sottosistema... essa è immanente nel sistema sociale totale interconnesso e nell'ecologia planetaria"(Bateson, 1976). Bateson, dunque, teorizza una sorta di panteismo mentale, di visione olistica dell'intelligenza umana, concepita come una serie di interconnessioni reticolari che attraversano le singole menti individuali, i canali di informazione, la cultura, la natura stessa.

Nella semiosfera teorizzata dal semiologo della cultura Juri Lotman possiamo intravedere un altro esempio di reticolarità ed "ipertestualità" del sapere e della cultura.  Per Lotman "la semiosfera è quello spazio semiotico al di fuori del quale non è possibile l'esistenza sella semiosi"(cit. in Giacomarra, 1997 pag. 48), ovvero è il luogo esclusivo della produzione di significato; i processi di significazione, poi, sono anch'essi frutto di interconnessioni reticolari, giacchè, come afferma lo stesso Lotman, "tutto lo spazio semiotico si può considerare come un unico meccanismo"(cit. in Giacomarra, 1997 pag. 48).

I filosofi Gilles Deleuze e Felix Guattari sono altri due sostenitori di un modello di cultura reticolare ed "ipertestuale", a loro dobbiamo la teorizzazione del rizhome, un modello semiotico da opporre a tutti i paradigmi scientifici e culturali basati su una struttura ad albero. Nel paradigma ad albero vi è una gerarchia di valori precodificati, un centro stabile, un ordine predeterminato di significati disposti linearmente, invece "a differenza degli alberi o delle loro radici, il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mette in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. Il rizoma non si lascia ricondurre né all'uno né al molteplice. Non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento, non ha inizio né fine ma sempre un mezzo, per cui cresce e straripa... Rispetto ai sistemi centrici (anche policentrici), a comunicazione gerarchica e collegamenti prestabiliti, il rizoma è un sistema acentrico, non gerarchico e non significante" (Deleuze e Guattari, 1977). Il rizoma si delinea come un paradigma culturale alternativo al dualismo ed a tutto ciò che è dialettica; al paradigma scientifico ad albero,  gerarchico, lineare e dialettico, si contrappone, dunque, quello rizomatico, non sequenziale, decentrato, reticolare. Deleuze e Guattari descrivono sei principi che guidano il funzionamento del rizoma. Innanzitutto il primo principio, Principio di Connessione, prevede che "qualsiasi punto del rizoma può essere collegato con qualunque altro, e deve esserlo" (Deleuze e Guattari, 1977). Secondo il Principio di Eterogeneità il rizoma mette in collegamento strutture semantiche differenti. Il rizoma può essere pertanto una costruzione sincretica, basata su codici e sistemi semiotici eterogenei, complessi, per usare un termine di moda, multimediali. In base al Principio di Molteplicità il rizoma non presenta un asse, una struttura dimensionale stabile, da ciò deriva che "un rizoma o molteplicità non si lascia codificare", ovvero è costruito in modo da offrire sempre nuove interpretazioni. Il Principio di rottura asignificante prevede poi che un rizoma può essere rotto o spezzato in un punto qualsiasi, ma riprende seguendo questo o quel percorso. Nel rizoma, come in qualsiasi altro sistema a rete, ad esempio un ipertesto, non vi è mai rottura significante, ma asignificante perché ogni salto o frattura viene assimilato nel senso del percorso che li prevede e li integra in nuovi spazi interpretativi. Infine vi sono i Principi di Cartografia e Decalcomania che oppongono al concetto di carta quello di calco, "una delle caratteristiche più importanti del rizoma è il fatto di essere ad accessi multipli. La carta ha entrate multiple mentre il calco rimanda sempre ad una pretesa competenza, ad un unico autore”(Deleuze e Guattari, 1977). Il modello del rizoma proposto da Deleuze e Guattari è sicuramente un paradigma hyper, delinea uno spazio della conoscenza multipuntiforme, eterogeneo, mutevole, instabile,  tridimensionale, ricco di linee di fuga.

Al filosofo e antropologo fancese Pierre Lévy dobbiamo l'elaborazione di un altro paradigma culturale hyper quello dell'intelligenza collettiva, ma prima ancora è sua una delle prime esplicitazioni dell'ipertestualità come metafora, infatti in Le tecnologie dell’intelligenza del 1990 Lévy afferma che "la metafora dell'ipertesto rende conto della struttura indefinitamente ricorsiva del senso... L’ipertesto è forse una metafora che vale per tutte le sfere della realtà in cui delle significazioni sono in gioco" (Lèvy, 1992). Analizzando i principi ermeneutici della comunicazione Lèvy sostiene che "il fondamento trascendentale della comunicazione, compresa come condivisione di senso, è questo contesto o questo ipertesto condiviso"(Lèvy, 1992). Pertanto comunicare è condividere il senso e dove il senso di un messaggio non è chiarito dal suo contesto "diremo piuttosto che l'effetto di un messaggio è di modificare, complessificare, rettificare un ipertesto, creare delle nuove associazioni in una rete contestuale che è sempre presente"(Lèvy, 1992). Lévy sembra poi rielaborare, secondo i parametri della cybercultura, la batesoniana trama che connette, infatti teorizza una cosiddetta ecologia cognitiva, in base alla quale "non c’è più soggetto o sostanza pensante, né materiale, né spirituale... in una rete in cui dei neuroni, dei moduli cognitivi, degli umani, delle istituzioni di insegnamento, delle lingue, dei sistemi di scrittura, dei libri e dei calcolatori si interconnettono, trasformano e traducono delle rappresentazioni"(Lèvy, 1992). Ma allora "quel che occorre pensare è l’implicazione, la coesistenza e l’interpretazione reciproca dei diversi circuiti di produzione e di diffusione dei saperi", poiché "l’uso di questa o quella tecnologia intellettuale pone un accento particolare su certi valori, certe dimensioni dell’attività cognitiva o dell’immagine sociale del tempo, che divengono allora più esplicitamente tematizzate, ed intorno alle quali si cristallizzano delle forme culturali particolari"(Lèvy, 1992). Pertanto l'ecologia cognitiva emerge come "lo studio delle dimensioni tecniche e collettive della cognizione" e, più in generale, la stessa attività cognitiva in base a questa prospettiva è ipertestualizzata, tanto che Lévy nota come  "l'essere conoscente è una rete complessa in cui i nodi biologici sono ridefiniti ed allacciati da dei nodi tecnici, semiotici, istituzionali, culturali. La distinzione netta tra un mondo oggettivo inerte e dei soggetti-sostanze soli portatori di attività e di luce è abolita. Occorre pensare degli effetti di soggettività nelle reti d'interfacce e di mondi emergenti provvisoriamente da condizioni ecologiche locali"(Lèvy, 1992). Emerge già in quest'opera del '90 quella idea di connettività del sapere e della cultura collettiva che Lévy poi sviluppa e sistematizza a pieno nel successivo L'intelligenza collettiva del 1994. Il problema centrale dell'opera "consiste nello scoprire o nell'inventare un al di là della scrittura, qualcosa che si collochi oltre il linguaggio in modo tale che il trattamento dell'informazione sia distribuito ovunque e ovunque coordinato e non sia più prerogativa di organi sociali separati, ma si integri in maniera naturale nella totalità delle attività umane, in modo da tornare nelle mani di ognuno" (Lèvy, 1996). Il filosofo francese auspica un nuovo umanesimo che includa e ampli il "conosci te stesso" in direzione di un "impariamo a conoscere per pensare insieme... Si passa dal cogito cartesiano al cogitamus"(Lèvy, 1996). Lévy sembra quasi ricercare uno spazio ideale in cui costruire una società legata dalla continua valorizzazione delle intelligenze e dal coordinamento in tempo reale delle conoscenze, il filosofo francese identifica questo spazio in quello che lui chiama spazio del sapere, ovvero uno spazio antropologico "del vivere-sapere e del pensiero collettivo che potrebbe organizzare l'esistenza e la socialità delle comunità umane"(Lèvy, 1996). Il tipo di organizzazione della  conoscenza collettiva proposto da Lévy per lo spazio del sapere è la cosmopedia, ovvero "uno spazio multidimensionale di rappresentazioni dinamiche e interattive... la cosmopedia contiene tante semiotiche e tanti tipi di rappresentazione quanti se ne possono trovare nel mondo stesso. La cosmopedia moltiplica gli enunciati non discorsivi... Come il mondo, la cosmopedia non si esplora solo discorsivamente ma anche attraverso modalità sensibili, secondo percorsi e associazioni ricchi di senso. La principale caratteristica della cosmopedia, e ciò in cui consiste il suo valore, è precisamente la non-separazione. Per gli intellettuali collettivi il sapere è un continuum, un grande patchwork, ogni punto del quale può essere ripiegato su un altro... È lo spazio del sapere a venire cartografato dinamicamente e non solo una parte dell'universo di riferimento di una comunità... La semplificazione non risulta dalla proiezione di un sistema di coordinate ma dall'autorganizzazione su un piano di immanenza"(Lèvy, 1996). Lévy specifica ulteriormente la propria posizione ed arriva a definire la cultura stessa come "la dimensione collettiva dell'intelligenza e poiché possediamo questa intelligenza collettiva siamo degli esseri umani; l'intelligenza collettiva è data dalla memoria collettiva, da un immaginario collettivo. Siamo quel che siamo grazie all'esistenza delle istituzioni, delle tecniche, dei linguaggi, dei sistemi di simboli, dei mezzi di comunicazione. Questo è il livello più generale dell'intelligenza collettiva e la nostra intelligenza individuale è totalmente infiltrata dall'intelligenza collettiva; non saremmo intelligenti se non usassimo il linguaggio, se non fossimo stati allevati in una certa cultura... in fin dei conti, quello che mi interessa è l'arricchimento di una persona. Se una persona partecipasse all'intelligenza collettiva, tale esperienza dovrebbe consistere in un'esperienza di emancipazione, non significa affatto essere rinchiuso in qualcosa di unificatore" (Lèvy, 1998). L'inteliggenza collettiva è la somma delle conoscenze condivisibli, è lo spazio dove si sovrappongono e si rafforzano, in una continua sinergia, i saperi, le esperienze, le informazioni; questa forma di intelligenza condivisa è valorizzata al massimo mediante le nuove tecnologie, infatti, come dice lo stesso Lévy "oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva"(Lèvy, 1998).

Altro paradigma a suo modo ipertestuale è quello teorizzato da Umberto Eco con la cosiddetta semiotica ad enciclopedia. Per enciclopedia il semiologo italiano intende "l’insieme registrato di tutte le interpretazioni, concepibile oggettivamente come la libreria delle librerie" (Eco, 1984), dunque una sorta di archivio ideale di tutto il sapere, o meglio di tutto ciò che produce significazione, in quanto “ciascuna unità semantica implica tutti gli enunciati in cui può essere inserita, e questi tutte le inferenze che autorizzano sulla base delle regole registrate nell’enciclopedia” (Eco, 1984). Ciò che caratterizza questo sistema è la sua reticolarità, giacché come afferma lo stesso Eco, riprendendo Gilles Deleuze e Felix Guattari, "il modello dell'enciclopedia semiotica non è l'albero, ma il rizoma... in effetti nel rizoma non vi sono punti o posizioni ma solo linee di connessione; un rizoma può essere spezzato in un punto qualsiasi e riprendere seguendo la propria linea; è smontabile, rovesciabile; una rete di alberi che si aprono in ogni direzione può fare rizoma, il che equivale a dire che in ogni rizoma può essere ritagliata una serie indefinita di alberi parziali; il rizoma non ha centro” (Eco, 1984).
 
 

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