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I precursori dell’ipertestualita'
"In questo testo ideale le reti sono multiple e giocano fra loro senza che nessuna possa ricoprire le altre;  questo senso è una galassia di significati, non una struttura di significanti; non ha inizio; è reversibile; vi si accede da più entrate di cui nessuna può essere decretata con certezza la principale; i codici che mobilita si profilano a perdita d'occhio, sono indecidibili...; di questo testo assolutamente plurale i sistemi di senso possono sì impadronirsi, ma il loro numero non è mai chiuso, misurandosi sull'infinità del linguaggio"(Barthes, 1973). 
Questo passo potrebbe sembrare una descrizione, in chiave semiologica, dell'ipertesto, ma appare in un'opera pubblicata nel 1970, quando eravamo ben lontani da qualsiasi progetto concreto di ipertesto elettronico e le idee di Nelson erano ancora utopie lontane. Il brano succitato è del semiologo francese Roland Barthes ed appare nel saggio "S/Z", in cui si descrive una forma di testualità aperta, in grado di mostrare quelle interconnessioni semantiche che inevitabilmente si schiudono nei testi di ogni tipo, interconnessioni dovute ai rimandi più o meno impliciti che la codificazione, i processi di significazione richiedono. 

Questa idea di testualità destrutturata ed aperta si trova anche in Michel Foucault, il quale sostiene che qualsiasi libro "si trova preso in un sistema di rimandi ad altri libri, ad altri testi, ad altre frasi...il nodo di un reticolo", e soprattutto nelle teorie decostruzioniste di Jacques Derrida, per il quale vanno riconfigurati "tutti quei confini che formano la linea di demarcazione corrente di ciò veniva chiamato testo, di ciò che un tempo pensavamo fosse designato da tale termine, cioè i presupposti inizio e fine di un'opera, l'unitarietà di un corpus, il titolo, i margini, le segnature, l'ambito di riferimento al di là della cornice e così via..".

In pratica queste teorie tendono tutte ad evidenziare ciò che poi costituisce un dato dell'esperienza comune, chiunque affronti ed operi processi di significazione, di interpretazione in relazione a un testo si trova necessariamente ad operare all'interno di una rete di rimandi intertestuali o intratestuali, rimandi che possono essere impliciti, se si appoggiano sulle conoscenze individuali del fruitore e sulla sua pratica testuale, espliciti se sono richiamati in note o in riferimenti bibliografici, ad esempio. 

Anche nella pratica letteraria vi sono esempi di opere che si avvicinano e precorrono l'ipertestualità, grazie a  costruzioni reticolari di intrecci narrativi, flashback, rimandi, combinazioni stilistiche. Basti citare "Il castello dei destini incrociati"di Italo Calvino, "Ulisse" e "Finnegans Wake" di James Joyce, "Finzioni" di Jorge Luis Borges,  tutte opere che mettono in discussione la struttura espositiva della narrativa tradizionale, caratterizzata da una costruzione in cui inizio, svolgimento e fine sono vincolati in un'unica sequenza predefinita e, a suo modo, necessitata. 

Pertanto nella teoria letteraria, nella narratologia, nella semiologia, nella letteratura una prima elaborazione di ciò che oggi chiamiamo ipertestualità esisteva già ben prima che apparissero i primi  computer; da questo punto di vista Barthes, Foucault, Derrida, Calvino, Joyce possono essere considerati dei veri e propri precursori dell'idea di ipertesto, giacché nelle loro opere viene evocata, se non addirittura realizzata, una forma di testualità aperta e reticolare che anticipa e prefigura il concetto di ipertestualità. 
 
 


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