LA SOCIETA' A CUMPANGIUS

La società formata da due o più pastori  proprietari di bestiame è chiamata solitamente cumpangìa o a cumpàngius . Essa nasce da esigenze di tipo economico ma soddisfa anche finalità prettamente sociali.
Si tratta di un contratto stipulato in chiave informale, ma che possiede un suo sistema di regole codificate e condivise. Tali regole, poche e semplici, definiscono l’ossatura stessa della società a cumpàngius che offre la possibilità di attuare, in base ad esigenze specifiche, delle sotto-norme che talvolta risultano valide solo per una "società pastorale" particolare, altre volte assumono il ruolo di consuetudini locali, condivise da una comunità intera.
Il contratto, differentemente dalla durata dei contratti di soccida nelle forme più comuni, fissa la sua scadenza ad un anno. O meglio, riprendendo il modo in cui lo intendono i pastori, dopo un anno offre al socio che non si è trovato bene la possibilità di uscire dalla società . Alcune società di cumpàngius sono rimaste in piedi qualche anno, altre venti, trent’anni, alcune tutta la vita. È chiaro, dunque, che non si possa stabilire una durata media. E già questo ci fa capire quanta differenza passi tra le forme definite ormai classiche della soccida sarda e questo tipo di associazione , che offriva maggiore elasticità.
<<Ne duravano anche sino a vent’anni, fino a trent’anni, quindici anni, dieci anni, un anno solo, C’erano tutte le categorie. C’è gente che è rimasta assieme venti-trent’anni, magari in famiglia, tra fratelli; a volte invece per una piccolezza…>>, informatore di Armungiai.
In molte delle località in cui quella a cumpàngius è stata la forma più diffusa di organizzazione del lavoro pastorale  era presente la vidazzone (organizzazione comunitaria della terra). L’esigenza di preservare le colture imponeva ai pastori di essere sempre presenti, giorno e notte, al pascolo del bestiame.La vidazzone (la zona propriamente dedicata alla coltivazione) e il paberile (la zona destinata al pascolo delle greggi)  erano spesso separati da strutture talvolta fragili o addirittura puramente indicative; era dunque implicito che ciascun gregge avesse un proprio custode, a qualsiasi ora della giornata e con qualsiasi condizione atmosferica. Inoltre non si doveva sconfinare nei pascoli altrui, che di solito non erano delimitati da muri, e tantomeno negli orti. Le pene pecuniarie contro gli sconfinamenti erano salate , e bastava qualche ora per rovinare completamente il raccolto di un anno di lavoro.
Un pastore da solo non sarebbe riuscito a svolgere in una giornata tutti i compiti necessari dal momento che il solo pascolo richiedeva una presenza continua.
I pastori che si univano a cumpàngius erano piccoli e medi proprietari. La loro condizione pertanto poteva giovare dell’affitto comune di terreni da pascolo, ma anche della compartecipazione di un unico ovile, con un'unica baracca nella quale lavorare e conservare il formaggio. Un'altra importante esigenza, ancora legata alle caratteristiche delle singole proprietà, era la produzione del latte. Un gregge di modeste dimensioni, come quelli dei piccoli e medi proprietari, produceva una quantità di latte giudicata insufficiente per essere lavorata quotidianamente. Attraverso il prestito quotidiano del latte, ogni pastore concentrava in un'unica giornata, presa a turno, una quantità di latte superiore alla potenzialità effettiva del proprio gregge. Il resto del tempo lo occupava dunque nelle altre attività pastorali oppure, se le condizioni oggettive lo permettevano , in lavori agricoli.
Un’altra esigenza dei pastori, non meno importante delle precedenti era quella di assentarsi dal lavoro quando sopraggiungevano malattie o esigenze particolari (processi, lutti, ma anche festività). Di norma, la società pastorale garantiva in ogni periodo, la sostituzione del cumpàngiu assente; il contraccolpo veniva avvertito in misura minore se la stessa società era composta da più di due soci. Altrimenti c’erano i vicini di ovile (che partecipavano ad un’altra società) che potevano prestare il proprio aiuto. Tutto ciò avveniva, beninteso, in caso di buoni rapporti, sia tra soci che tra vicini, altrimenti il pastore che aveva bisogno di essere sostituito doveva preoccuparsi di mandare un familiare o pagare un servo pastore.

LA PROPRIETÀ E I SOCI
L’ovile si trovava sempre nella proprietà di uno dei soci, ma talvolta la sua costruzione era frutto della loro collaborazione. Solitamente, ma non sempre, si cercava di accorpare i terreni di proprietà dei soci; la contiguità spaziale delle proprietà poteva dunque essere un vincolo nella scelta del partner. Il territorio di pascolo così composto non sempre permetteva l’autosufficienza e pertanto era spesso necessario prendere in affitto altri appezzamenti.
Il gregge di ognuno confluiva nell’unico grosso gregge che risultava dall’unione dei soci. L’entità del gregge risultante non doveva superare la capacità lavorativa dei soci; ciò dipendeva fortemente dalle condizioni del rilievo in cui si operava il pascolo, almeno quanto la vicinanza di colture. Le spese di pascolo erano divise in base al numero effettivo delle bestie di ciascuno. Anche le tasse sul bestiame venivano pagate individualmente in base alla quantità di animali posseduti.
Ciascun socio doveva avere la sua attrezzatura per la lavorazione e la stagionatura del formaggio in una quantità proporzionale alla propria potenzialità produttiva. Nell’ovile si trovava un'unica marmitta per scaldare il latte, di proprietà di uno dei soci, e veniva utilizzata da tutti. Altre spese, come quella relativa all’acquisto dei sonagli  ricadeva proporzionalmente sugli individui, in base alla loro effettiva proprietà. Nelle zone più povere non tutti possedevano la caldaia utilizzata per riscaldare il latte (caddàxiu): infatti essa era solitamente di proprietà di uno solo dei soci. Questi permetteva l’uso del pentolone agli altri dietro pagamento in natura di un canone d’affitto:

DISTRIBUZIONE DEI COMPITI
I compiti operativi erano distribuiti secondo una consuetudine che assegnava alla produzione di latte il ruolo di punto di riferimento. L’entità numerica del bestiame non veniva tenuta in conto: tutto si basava sulla effettiva capacità di produzione del latte. Ogni pastore, infatti si ri-appropriava  di una quantità di latte pari a quella prodotta dagli animali di sua proprietà.
 Il principio cardine della società a cumpàngius istituiva una rigida proporzionalità tra la quantità di prodotto e la quantità di lavoro. Chi produceva di più era tenuto a lavorare di più. Questo principio veniva realizzato in base alla minuziosa misurazione del latte che diventava, in ultima analisi, la misura di tutto. I turni di lavoro non venivano stabiliti una volta per tutte ma seguivano quotidianamente la produzione.
 L’attività lavorativa era divisa in due attività principali : il pascolo (sa muda : il cambio, il turno) e la lavorazione del formaggio (la ‘giornata di latte’ o ‘giornata di formaggio’); quest’ultima comprendeva tutte le attività collaterali di gestione dell’ovile. Ciascun pastore, secondo il proprio turno, si appropriava dell’intera produzione giornaliera di latte. In una ‘società’ a due (composta sempre da un produttore maggiore e uno minore in quanto le quantità di latte, misurate minuziosamente, erano sempre differenti), il produttore maggiore si impossessava, anche per più giorni, del totale del latte prodotto sino a quando quello minore non eguagliava la produzione giornaliera del socio maggiore. La giornata di pascolo doveva essere svolta esclusivamente da colui al quale sarebbe spettato il latte (‘giornata di latte’) il giorno dopo.

SPARTIZIONE DEI PRODOTTI
Una volta lavorato il latte, il formaggio fresco veniva messo ad essiccare nella capanna stessa, dove subiva anche un processo di affumicamento. Le forme di proprietà dei due soci venivano separate ma lo spazio di fatto non permetteva una distinzione netta. Per assicurare la certezza della proprietà del formaggio, per non incorrere in equivochi, ma anche per non subire furti, ogni pastore tendeva a contrassegnare le proprie forme con un segno distintivo. Poteva allora trattarsi delle proprie iniziali segnate con la matita copiativa, nei casi in cui il pastore sapesse scrivere. Altrimenti si usava riporre dei bastoncini nel recipiente in cui scolava il formaggio appena fatto, ponendoli in una posizione particolare di modo che, una volta essiccato, il formaggio conservasse il marchio del proprietario.
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